Categorie
Attualità

Volare Alitalia ai tempi della Cai.

Roma, 2 maggio:Lettera di due passeggeri del volo AZ628, pubblicata su ilmessaggero.it

Raccontiamo con tremendo disagio la disavventura capitataci a bordo di un volo alitalia (AZ00628) da Roma a Chicago del 25 Aprile 2009. Il viaggio inizia subito male con due ore di ritardo. Il volo schedulato per le 10.45, decolla alle 12.00. Sul monitor della cabina appare il tempo di volo e con disapprovazione apprendiamo che questo sarebbe stato di 10 ore e 30 invece delle 8 e 50 riportate sulla prenotazione.

Durante il volo notiamo una scarsa assistenza del personale di volo in particolare per quel che riguarda bevande e cibo. Inoltre due bagni dell’aereo erano fuori uso e pertanto i duecento e più passegeri avevano a disposizione solo i restanti due bagni. Davanti ai bagni era posto un orribile cesto di cartone posticcio dove i viaggiatori potevano gettare fazzoletti sporchi e altro…

Arriviamo comunque sopra Chicago e il capitano (nessuno di noi sapeva ancora quanto lo avremo sopportato) ci informa che a causa di maltempo il nostro volo doveva rimanere in attesa. Cominciamo perciò a girare sopra l’aeroporto per un’altra ora e poi veniamo dirottati su Indianapolis.

A Indianapolis inizia (o meglio continua l’incubo), l’aereo non riceve alcuna assistenza dal personale aeroportuale per tre ore durante le quali ci viene impedito di scendere (assenza della dogana) non ci viene data alcuna assistenza (niente acqua, niente aria condizionata, 30 gradi di temperatura) alcune persone iniziano a sentirsi male.

Il capitano ci informa che prima o poi sarebbe arrivato il servizio doganale e saremmo scesi. Ad un tratto colpo di scena. Il capitano ci informa che la compagnia aerea ha permesso un prolungamento delle ore di lavoro. Possiamo quindi ripartire verso Chicago.

Bisogna pero attendere il rifornimento: altro tempo. Rifornito l’aereo tutti pronti per partire: neanche per idea, il capitano ci informa che dobbiamo attendere il servizio aeroportuale di accensione dei motori. Altro tempo. Finalmente decolliamo da Indianapolis.

Dopo un’ora arriviamo sopra Chicago e il capitano ci informa che finalmente atterriamo. A circa 300 metri dal suolo, improvvisamente, l’aereo riattacca i motori e si rialza. Panico a bordo il capitano ci informa di non preoccuparsi (sfido chiunque a non farlo) e che il nuovo decollo era dovuto all’intenso traffico sulle piste (boh sarà vero? Nessuno ci ha creduto).

Atterriamo! Il capitano ci informa con voce indecisa, che purtroppo il nostro parcheggio sarebbe stato pronto in pochi minuti. I viaggiatori esausti (non esiste termine più forte altrimenti lo userei) urlano dalla disperazione. I pochi minuti diventano trenta. Usciamo alla fine dall’aereo in condizioni disperate affamati e assetati dopo 18 ore e mezza di permanenza in aereo (o meglio in una carretta del cielo).

Tutto ciò è totalmente intollerabile per l’incapacità della compagnia e del personale di risolvere più velocemente la situazione. Inoltre i numerosi passeggeri americani non credo sceglieranno ancora di volare con alitalia e ancora di più diffonderanno i solito odioso clichè della totale inefficienza del popolo italiano danneggiando l’immagine della gran parte del nostro popolo che ogni giorno lavora duramente con ottimi risultati.

Due passeggeri del volo AZ628

(2 maggio 2009)

Share
Categorie
Attualità

A che serve portare il G8 in mezzo ai disagi del terremoto?

Terremoto, Abruzzo/ Lontano dai riflettori, il G8 all’Aquila: esibizione e umiliazione
di Luigi Zanda da blitzquotidiano.it
L’idea di Silvio Berlusconi, il nostro primo ministro, di non tenere più la riunione del G8 in Sardegna, alla Maddalena, ma a l’Aquila, è certamente affascinante e suggestiva, è quel che si dice un colpo di genio. Porta i potenti del mondo dove l’Italia ha più sofferto negli ultimi tempi. Il messaggio, sotto elezioni, è forte e chiaro: I care, sembra voler dire. Tradotto, Berlusconi dice: ora che ci sono io, qualcuno si occupa di voi.

Gli abruzzesi sanno bene come stanno le cose, specie quei terremotati che vivono nelle tende, dimenticati da tutti. Ma il resto degli italiani, per i quali il terremoto è ormai un lontano ricordo, provano sollievo nel pensare che ora loro non si devono più preoccupare, perchè c’è lui che provvede.

Ma se vogliamo ragionare in termini non di colpi di teatro e di campagne elettorali ma di buona e sana amministrazione del paese, allora servono spiegazioni precise, perché i conti non tornano.

Fino all’altro ieri governo e protezione civile invitavano tutti – parlamentari compresi – a non andare in Abruzzo per non intralciare i soccorsi e la risistemazione provvisoria del territorio dopo il disastro. Adesso sappiamo che tra qualche settimana arriveranno alla periferia dell’Aquila otto capi di stato e di governo, tremila delegati, tremila giornalisti e sedicimila uomini delle forze dell’ordine.

In questa decisione, c’è qualcosa che non quadra.

Intanto sul piano dei costi, perché è difficile credere che garantire la sicurezza di tutta quella gente sia più facile e meno costoso tra le tendopoli che non su un’isola, dove peraltro, molto di quel denaro che si asserisce di volere risparmiare è stato nel frattempo speso.

Poi sul piano dell’immagine e della solidarietà. Gli abruzzesi sono gente seria e orgogliosa, come i sardi. Non amano mettere in piazza i loro sentimenti. Sono riservati e misurati. Hanno creduto nelle promesse del governo e aspettano che Berlusconi ora le mantenga. Non si aspettavano certo di essere esibiti, nel disagio che vivono ogni giorno, nelle tante piccole umiliazioni che subisce chi vive in modo precario e provvisorio.

Molto di quel che dice Berlusconi è pura immagine, perché lontano dai riflettori della tv la cose stanno diversamente e la gente sta male, c’è da chiedersi cosa proveranno gli abruzzesi quando vedranno che il frenetico vai e vieni di capi di stato e ministri e attendenti comporterà un ulteriore aggravio del ritardo e dell’abbandono. (Beh, buona giornata).

Share
Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: