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“Magari il G8 fosse quello che i no global immaginano e paventano, magari ci fosse un governo del mondo. E’ proprio quel che manca il governo del mondo, ma questo tutti gli attori in scena non lo racconteranno, perderebbero la parte.”

G8, il fumo e l’arrosto: non fidatevi di stampa e tv, italiane e straniere. Raccontano solo la scena, ma la sostanza…di Lucio Fero-blitzquotidiano.it

Del G8 ci sarà raccontata solo e soprattutto la scena. Poco o niente ci verrà invece narrato della sostanza. Per abitudine e pigrizia, per modello culturale e metabolizzata ignoranza, per libera scelta ed imposto modello, il grande sistema di comunicazione di massa altro non vede e quindi “comunica” che la scena. Non necessariamente il fumo al posto dell’arrosto, ma sempre e comunque la scena sì e la sostanza no. Poco male, tenendo conto che il G8 è per ammissione e consapevolezza dei suoi stessi protagonisti soprattutto “parata”, sfilata di problemi, esibizione di intenti. Poco male la narrazione limitata alla scena, basta, basterebbe, saperlo. Ma stavolta c’è qualcosa di più e di diverso: stavolta nel e del racconto della scena non bisogna fidarsi, sia che venga da stampa e tv italiane, sia che arrivi da stampa e tv straniere.

Entrambe narreranno in maniera inaffidabile. Perchè il G8 si svolge in Italia. Un paese dove l’appunto alla scenografia, la non lode della messa in scena diventa un atto destabilizzante, politicamente destabilizzante. Quindi la gran parte dei media italiani si sentiranno investiti di una responsabilità e di un mandato “istituzionale” a raccontare che tutto è risultato grande utile e bello della tre giorni abruzzese. Sarà un racconto di trionfi e perfezione “a prescindere”. Come altrettanto a prescindere dalla realtà sarà il racconto di una minoranza dei media italiani, pronti a cogliere un cigolio di una porta o un mugugno di cittadino come presagio di debolezza politica. Succede nei contesti emergenziali-autoritari che l’arredo, la puntualità, la soddisfazione dei commensali a tavola siano indicati dal potere e raccolti dall’informazione come simboli e notizie di buon governo e viceversa. Succede oggi in Italia.

Simmetricamente da non fidarsi sarà la narrazione della stampa e tv straniere. Se la comunicazione italiana ha ingurgitato e assimilato il pregiudizio della lode come “mission” informativa, fuori dai confini si adotta il pregiudizio per cui un paese berlusconizzato non può che essere “unfair” qualunque cosa faccia. La stampa straniera descrive un paese politico che non c’è, racconta gli ultimi giorni di “Berluscolandia”, racconterà a prescindere i tre giorni de L’Aquila applicando lo stesso falso schema.

La scena del G8 verrà dunque narrata con enfasi e trionfi che non ci sono se non nel dettato della regia, oppure con incertezze e passi falsi costruiti a tavolino. Comunque racconti già scritti. Solo il terremoto nella sua disumana imprevedibilità potrebbe mutare i racconti che sono già nella testa degli uomini. O forse nemmeno il terremoto. In caso di una scossa che sconvolgesse il G8, probabilmente anche qui i racconti sono due e già scritti anch’essi: il racconto dell’eterno otto settembre italiano in cui tutti si squagliano, lo Stato per primo, oppure il racconto di San Bertolaso che sconfisse il Drago che scuoteva la terra portando al dito l’anello magico consegnatogli da re Silvio.

E la sostanza del G8? Hanno davanti le tre fasi della crisi economica. Quella finanziaria che è tamponata, arginata ma non finita. Devono, dovrebbero, vogliono, vorrebbero scrivere e far rispettare nuove regole restrittive all’uso finanziario del denaro su scala planetaria. Non sanno se si può fare, non sanno fino a che punto è utile farlo, non sanno se riusciranno a farlo tutti insieme.

Quella del lavoro e dell’occupazione che cala, la fase della crisi che non è tamponata e anzi si allargherà per almeno due anni. Devono decidere se fronteggiarla spendendo denaro pubblico, ma non possono indebitarsi tutti alla stessa maniera. Oppure rintanandosi e aspettando che passi. E poi ci sarà la terza fase, quella del rientro dai debiti pubblici dilatati, quella che, quando verrà, potrebbe stroncare più di una popolarità e di un governo. Quando verrà sarà l’inizio della fine della crisi ma sarà il momento delle tasse o dell’inflazione.

Devono e vogliono, ma non parlano la stessa lingua. Negli Usa la “lingua” del governo e del paese coniuga la grammatica della speranza, la retorica del nuovo inizio, la sintassi della scommessa ed è una lingua parlata con un “accento” culturale che potremmo definire emotivamente e socialmente di sinistra. In Europa si parla la lingua della paura, della difesa strenua dell’esistente, della bilancia tra le corporazioni. Alla crisi l’Europa reagisce con sentimenti e voglia di destra. Accadde già dopo la crisi del 1929, di là il New Deal, di qua la borghesia e i ceti popolari impauriti che sceglievano regimi autoritari. L’ha rilevato D’Alema, non per questo vuol dire sia sbagliato. E’, insieme, una suggestione storica e una constatazione empirica. In ogni caso non saranno i G8 a L’Aquila a decidere, saranno i G20 a Pittsburgh a settembre. E’ quella la sede dove parlano e contano le altre grandi economie mondiali, a partire dalla Cina che ha, niente meno, bisogno insieme di sviluppo del Pil, welfare interno, stabilità finanziaria degli Usa e mantenimento del livello dei consumi americani. Lettere a appelli di Ratzinger o Bono è meglio che portino anche questo secondo indirizzo.

Ci sono poi e niente meno che la pace e la guerra. Se la Cina non taglia il cordone ombelicale, la Corea del Nord non crolla e non molla. Ma, se la Corea crolla, la Cina deve accollarsela. Quindi la Cina non taglia. E non deciderà certo di farlo a L’Aquila. L’Iran: con somma leggerezza e disinvoltura Berlusconi ha annunciato giorni fa nuove sanzioni verso Teheran. Sanzioni che non ci saranno. Non funzionano e Mosca non vuole che funzionino. E poi sanzioni potrebbero rafforzare il regime ormai militare di Teheran. Con l’Iran l’Occidente non sa bene che fare. L’unica cosa che sa bene, Obama e non l’Europa, è che in Afghanistan c’è una guerra vera da non perdere. Lui infatti ha deciso di combatterla, gli altri stanno a guardare, i più amichevoli fanno il tifo ma non osano dire alle rispettive opinioni pubbliche che val la pena morire per Kabul.

Quindi il clima. Strana umanità quella rappresentata al G8. Non c’è cittadino del mondo sviluppato che non sia consapevole e preoccupato. Però quando questo cittadino diventa imprenditore, operaio, automobilista o comunque consumatore di energia, consapevolezza e preoccupazione evaporano. Obama una legge perchè gli americani consumino meno e diversa energia l’ha fatta. Negli Usa proveranno ad applicarla. In Europa una direttiva l’avevano fatta, l’abbiamo fatta. Nella certezza che nessuno l’applicherà.

Sostanza dura e scarsa dunque quella del G8. Ma non si vedrà perchè sarà tutta scena, scena per la quale lavorano anche quelli che protestano. Gridano che non vogliono che otto o ottanta potenti decidano per il mondo, per i popoli. Giurano che questo è il guaio. Al netto del fatto che i popoli, quando parlano, parlano con discreta babele tra loro e comunque con lingua non sempre diritta, il vero guaio è che gli otto o ottanta potenti sono abbondantemente impotenti. Magari il G8 fosse quello che i no global immaginano e paventano, magari ci fosse un governo del mondo. E’ proprio quel che manca il governo del mondo, ma questo tutti gli attori in scena non lo racconteranno, perderebbero la parte. (Beh, buona giornata).

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Attualità Salute e benessere

Dopo l’emergenza terremoto, ecco l’emergenza soldi promessi e mai arrivati.

di di Francesco Marcozzi-ilmessaggero.it
GIULIANOVA (21 maggio) – Quello che si temeva potesse accadere, è successo. Ieri, all’ora di pranzo, in un camping di Roseto, gli oltre duecento sfollati aquilani ospiti della struttura sarebbero rimasti senza mangiare se non ci fosse stato l’intervento della Protezione civile. Il titolare della struttura ricettiva si è rifiutato di fornire il pasto ai suoi ospiti in quanto, come ha dichiarato anche ai carabinieri, «non ho ricevuto nemmeno un euro a fronte delle fatture regolarmente inoltrate per il promesso rimborso, ogni quindici giorni, in base all’accordo che era stato sottoscritto».

I carabinieri di Giulianova, coordinati dal capitano Luigi Dellegrazie, hanno raggiunto il campeggio su richiesta di alcuni aquilani che lamentavano l’atteggiamento del gestore, ma non hanno potuto far altro (e questo è stato, comunque, determinante al fini della soluzione momentanea del problema) che avvertire il coordinamento della Protezione civile, nel centro sociale del quartiere Annunziata a Giulianova. Il coordinamento si è messo in movimento ed è riuscito, recandosi in altre strutture, a recuperare dei pasti per gli ospiti del campeggio, e così ha fatto anche ieri sera dal momento che la situazione non sembra destinata a cambiare «se non arriveranno i soldi».

«Sono sotto di oltre 200mila euro – avrebbe dichiarato ai militari il gestore – e non so più come andare avanti. Le banche mi hanno ”chiuso i rubinetti” e, non incassando nulla, non so dove andare a prendere i soldi per continuare a fornire i pasti gratis. Il primo ad essere dispiaciuto sono io, ho resistito, ho pensato di tirare avanti sperando che la situazione si potesse sbloccare, ma a questo punto non ce la faccio più». E adesso i carabinieri temono che ci sia un effetto-domino e che altri titolari di alberghi, campeggi o residence possano fare la stessa cosa: sarebbe davvero una situazione difficile da poter tenere sotto controllo. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

“Gli abruzzesi hanno preso il decreto, lo hanno letto, lo hanno studiato, e hanno scoperto che quasi metà di loro passerà l’inverno in tenda e che il soldi delle case ci saranno solo a metà”.

Terremoto Abruzzo/ Non ci sono le case, mancano i soldi: solo promesse di cartapesta
di Alessandro Duchi-blitzquotidiano.
Pezzo a pezzo, la cartapesta del mito ricostruzione abruzzese viene giù.

Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi aveva esordito alla grande, con una regia perfetta: nascosto dietro una gigantografia di se stesso in maglioncino blu e sorriso rilassato, che faceva da sfondo al salotto di Bruno Vespa convocato d’emergenza in luogo del consiglio dei ministri, dava ordini a destra e a manca, compreso al ministro dell’interno Roberto Maroni, cui Berlusconi ingiungeva: domattina voglio 1.500 pompieri all’Aquila.

Chi ha una minima idea, e per questo basta leggere i giornali, del tempo che ci vuole a spostare un reparto incluse le truppe d’assalto aviotrasportate americane, per non dire una semplice pattuglia di vigili urbani quando uno li chiama, sa bene che l’eordine era impossibile da eseguire, a meno che non fosse stato già dato ore prima e ripetuto in tv solo per la delizia degli spettatori.

Berlusconi aveva capito che il terremoto era una grande occasione di campagna elettorale, un mega spot gratuito, con i costi di produzione a carico del contribuente: la chiave era dare l’impressione che tutto era sotto controllo, che la macchina dello stato girava come un diesel, per la prima volta dal 1870, meglio anche di come girava quando c’era l’altro Lui, quello dei treni in orario; perché ora c’è un altro Lui, che non è un maestro elementare,ex caporale, ma è laureato e uno degli imprenditori di maggioiri genio e successo della storia d’Italia.

Quello che i pubblicitari chiamano “pay off”, il messaggio finale, era: italiani, dormite tranquilli, non disturbate il manovratore, votatelo e dategli quel 51% dei suffragi che gli permetterà di fare ancor meglio.

Il primo intoppo è venuto con Michele Santoro, il quale, con i suoi modi che non sono studiati per generare simpatia, ha dimostrato una banalità: che mentre all’Aquila tutto girava al meglio, bastava allontanarsi di qualche chilometro per scoprire che c’erano ritardi, che i mezzi di aiuto lasciavano a desiderare, che c’era gente che si lamentava. Gli abruzzesi sono gente di montagna, dura, orgogliosa, grandi lavoratori, testa bassa, denti stretti. I lamenti erano critiche e osservazioni puntuali, precise.

Le spiegazioni erano semplici, ma Berlusconi ha perso la testa, dando una prova di come un liberale del profondo nord può mutare se i voti lo sostengono. Se in quel momento avesse avuto la maggioranza assoluta, Santoro, se ancora fosse stato a libro paga Rai (aveva tra l’altro appena vinto una causa per una precedente estromissione, sempre ordinata da Berlusconi), sarebbe stato cacciato; l’ordine dei giornalisti, meravigliosa invenzione di Benito Mussolini che nemmeno Stalin è stato capace di uguagliare, lo avrebbe convocato, ammonito e espulso.

Berlusconi ha perso la testa perché una piccola macchietta, sotto specie di una trasmissione che non è certo nelle corde della maggioranza degli italiani, e che sarebbe passata sconosciuta ai più se Berlusconi non avesse fatto il diavolo a quattro che ha fatto, gli è schizzata sullo sparato bianco della festa della ricostruzione.

Poi via con i funerali, momento culminante del cordoglio nazionale.

Poi l’assurda pretesa di portare i capi degli otto paesi più ricchi e potenti del mondo in Abruzzo per la già programmata, in Sardegna, riunione di settembre. C’è da prevedere che sarà una catastrofe, e anche una um,iliazione per i poveri abruzzesi esibiti come scimmie allo zoo davanti a decine di migliaia di stranieri al seguito dei potenti della terra.

Infine, gli italiani tornavano alla vita normale, e anche gli abruzzesi della costa si rivolgevano ai loro affari quotidiani, e anche gli abruzzesi del terremoto cercavano di recuperare un minimo di normalità, confidando nelle promesse del Politico numero uno. In quel momento prendeva il via la gestazione del piano per la ricostruzione.

Si era parlato prima di dodici miliardi di euro, scesi a otto ma finanziati non con nuove tasse e imposte, ma con una serie di spostamenti di voci del bilancio, cosa possibile visto che nell’enorme massa di soldi che la macchina dello stato macina, otto miliardi sono poca cosa e ci sono notevoli quantità di soldi che non sono utilizzati.

Ma si era anche parlato, da parte di Berlusconi, di tempi e scadenze. L’impegno più importante riguardava le case: quelle provvisorie, necessarie per togliere gli abruzzesi dalla precarietà delle tende, quelle definitive, che ciascun terremotato si sarebbe costruito sulle macerie della vecchia distrutta o dove più avrebbe gradito, purché sempre, rigorosamente antisismiche.

Berlusconi aveva rinnovato le sue promesse non più tardi di martedì sera, 5 maggio, in Tv, nel solito salotto di Vespa, davanti alla nazione,convocata col pretesto del bilancio di un anno del suo governo, ma interessata soprattutto a sentire la sua versione della sua privata vicenda matrimoniale, tra Veronica, Noemi e le veline.

Incaute affermazioni, clamorosamente smentite. Ora dall’Abruzzo comincia a trapelare la verità sulla ricostruzione. L’Italia è un paese approssimativo, dove dei documenti si leggono solo i titoli, se si leggono. Andiamo per slogan, votiamo per emozioni e quindi siamo esposti a promesse e imbonimenti di ogni genere. Non ci dobbiamo buttare troppo giù, peraltro, perché se pensiamo che gli americani hanno votato George Bush e i francesi Nicolas Sarkozy, allora il nostro Berlusconi è un gigante, purtroppo per lui anche nel volere essere sempre il primo della classe, anche quando non ha studiato.

Gli abruzzesi, però, sono gente seria. Hanno preso il decreto, lo hanno letto, lo hanno studiato, e hanno scoperto che quasi metà di loro passerà l’inverno in tenda e che il soldi delle case ci saranno solo a metà.

È a questo punto che un grande pezzo del fondale di cartapesta, stile western di Hollywood anni ‘50, è venuto giù. Il governo può insistere nelle sue illusioni. C’è ancora tempo per rimediare, siamo in primavera, piani alternativi si possono elaborare, i bisogni elementariu degli abruzzesi possono essere affrontati. Berlusconi, se ci si applica Lui personalmente, ha genio e inventiva per fare le cose bene.

Se no, chiunque ci sia al governo, il potere poltico ancora una volta avrà dimostrato di essere permeato dello stesso spirito sabaudo – borbonico di sempre, che tanto male ci ha fatto. E la scarsa fiducia dei cittadini nello stato, che Berlusconi ha eroicamente cercato di ricostruire, magari personalizzando un po’ troppo, ma con la carta pesta invece che con il cemento. Scenderà ancore di più. E sarà male per tutti. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia

Il terremoto in Abruzzo e il “Decreto Abracadabra”: propaganda elettorale sulle disgrazie dei terremotati?

I trucchi del “decreto abracadabra”ricostruzione diluita in 23 anni di MASSIMO GIANNINI-la Repubblica.

Impegni solenni, progetti altisonanti. Garantiti dalle solide certezze del presidente del Consiglio. Ma se scorri il testo del provvedimento, ti accorgi che lì dentro di veramente solido c’è poco e niente.

Tutto balla, in quello che è già stato ribattezzato il “Decreto Abracadabra”. Le cifre, innanzitutto. Dopo il Consiglio dei ministri straordinario del 23 aprile, Berlusconi e Tremonti avevano annunciato uno stanziamento di 8 miliardi per la ricostruzione dell’Abruzzo: 1,5 per le spese correnti e 6,5 in conto capitale. A leggere il decreto 39, si scopre che lo stanziamento è molto inferiore, 5,8 miliardi, ed è spalmato tra il 2009 e il 2032. Di questi fondi, 1,152 miliardi sarebbero disponibili quest’anno, 539 milioni nel 2010, 331 nel 2011, 468 nel 2012, e via decrescendo, con pochi spiccioli, per i prossimi 23 anni. Da dove arrivano queste soldi? Il governo ha spiegato poco. Il premier, ancora una volta, ha rivendicato il merito di “non aver messo le mani nelle tasche degli italiani”. Il ministro dell’Economia si è fregiato di aver reperito le risorse “senza aumentare le accise su benzina e sigarette, senza aumenti di tasse, ma spostando i fondi da una voce all’altra del bilancio”.

Il “Decreto Abracadabra” non aiuta a capire. Il capitolo “Disposizioni di carattere fiscale e di copertura finanziaria” dice ancora meno. Una prima, inquietante cosa certa (come recita l’articolo 12, intitolato “Norme di carattere fiscale in materia di giochi”) è che la ricostruzione in Abruzzo sarà davvero un terno al lotto: 500 milioni di fondi dovranno arrivare, entro 60 giorni dal varo del decreto, dall’indizione di “nuove lotterie ad estrazione istantanea”, “ulteriori modalità di gioco del Lotto”, nuove forme di “scommesse a distanza a quota fissa”. E così via, giocando sulla pelle dei terremotati. Un “gioco” che non piace nemmeno agli esperti del Servizio Studi del Senato: “La previsione di una crescita del volume di entrate per l’anno in corso identica (500 milioni di euro) a quella prevista a regime per gli anni successivi – si legge nella relazione tecnica al decreto – potrebbe risultare in qualche modo problematica”.

Una seconda, inquietante cosa certa (come recita l’articolo 14, intitolato “Ulteriori disposizioni finanziarie”) è che altre risorse, tra i 2 e i 4 miliardi di qui al 2013, dovranno essere attinte al Fas, il Fondo per le aree sottoutilizzate, che dalla Finanziaria in poi è diventato un vero Pozzo di San Patrizio, dal quale il governo pompa denaro per ogni emergenza, senza che si capisca più qual è la sua vera dotazione strutturale.
E questo è tutto. Per il resto, la copertura finanziaria disposta dal decreto è affidata a fonti generiche e fondi imprecisati: dai soldi dell’Istituto per la promozione industriale (trasferiti alla Protezione civile per “garantire l’acquisto da parte delle famiglie di mobili ad uso civile, di elettrodomestici ad alta efficienza energetica, nonché di apparecchi televisivi e computer”) al trasferimento agli enti locali dei mutui concessi dalla Cassa depositi e prestiti.

A completare il gioco di prestigio contabile, non poteva mancare il solito, audace colpo a effetto, caro ai governi di questi ultimi anni: altri fondi (lo dice enfaticamente il comma 4 dell’articolo 14) potranno essere reperiti grazie alle “maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione fiscale, anche internazionale, derivanti da futuri provvedimenti legislativi”. Insomma, entrate scritte sull’acqua. A futura memoria. E a sicura amnesia.

Ma non è solo l’erraticità dei numeri, che spaventa e preoccupa nel “Pacchetto Ricostruzione”. A parte gli interventi d’emergenza, ci sono altri due fronti aperti e dolenti per le popolazioni locali. Un fronte riguarda l’edificazione delle case provvisorie (“a durevole utilizzazione”, secondo la stravagante formula del decreto) che dovrebbero garantire un tetto ad almeno 13 mila famiglie, pari a un totale di 73 mila senza tetto attualmente accampati nelle tendopoli. I fondi previsti per questi alloggi (nessuno ancora sa se di lamiera, di legno o muratura) ammonterebbero a circa 700 milioni. Ma 400 risultano spendibili quest’anno, 300 l’anno prossimo.

Questo, a dispetto del giuramento solenne rinnovato dal Cavaliere a “Porta a Porta” di due giorni fa, fa pensare che l’impegno di una “casetta” a tutti gli sfollati entro ottobre, o comunque prima del gelo invernale, andrà inevaso. Quasi la metà di loro (secondo il timing implicito nella ripartizione biennale dei fondi) avrà un tetto non prima della primavera del prossimo anno.

Un altro fronte, persino più allarmante, riguarda la ricostruzione delle case distrutte. Il governo ha annunciato “un contributo pubblico fino a 150 mila euro (80 mila per la ristrutturazione di immobili già esistenti), a condizione che le opere siano realizzate nel rispetto della normativa antisismica”.

Basterà presentare le fatture relative all’opera da realizzare, e a tutto il resto penserà Fintecna, società pubblica controllata dal Tesoro, che regolerà i rapporti con le banche. Detta così sembra facilissima. Il problema è che quei 150 mila euro nel decreto non ci sono affatto. Risultano solo dalle schede tecniche che accompagnano il provvedimento. E dunque, sul piano legislativo, ancora non esistono. Non basta. Sul totale dei 150 mila euro, il contributo statale effettivo sarà pari solo a 50 mila euro. Altri 50 mila saranno concessi sotto forma di credito d’imposta (dunque sarà un risparmio su somme da versare in futuro, non una somma incassata oggi da chi ne ha bisogno) e altri 50 mila saranno erogati attraverso un mutuo agevolato, sempre a carico della famiglia che deve ricostruire, che dunque potrà farlo solo se ha già risparmi pre-esistenti. Se questo è lo schema, al contrario di quanto è accaduto per i terremoti dell’Umbria e del Friuli, i terremotati d’Abruzzo non avranno nessuna nuova casa ricostruita con contributo a fondo perduto. Anche perché nelle schede tecniche del decreto quei 150 mila euro sono intesi come “limite massimo” dell’erogazione. Ciò significa che lo Stato declina l’impegno a finanziare la copertura al 100% del valore dell’appartamento da riedificare.

Nel “Decreto Abracadabra”, per ora, niente è ciò che appare. Man mano che si squarcia la cortina fumogena della propaganda, se ne cominciano ad accorgere non solo i “soliti comunisti-sfascisti” dell’opposizione come Pierluigi Bersani (che accusa l’esecutivo di trattare gli aquilani come “terremotati di serie B”), ma anche amministratori locali come Stefania Pezzopane, o perfino presidenti di Confindustria come Emma Marcegaglia, che l’altro ieri a L’Aquila ha ripetuto “qui servono soldi veri”. C’è un obbligo morale, di verità e di responsabilità, al quale il governo non può sfuggire. Lo deve agli abruzzesi che soffrono, e a tutti gli italiani che giudicano. L’epicentro di una tragedia umana non può essere solo il palcoscenico di una commedia politica.

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Attualità

Le visite ufficiali passano, la rabbia rimane: 200 esposti alla magistratura per il terremoto in Abruzzo.

(ANSA) – L’AQUILA, 2 MAG – Man mano che passano i giorni aumentano tra gli sfollati i dubbi, misti a rabbia, sulle cause che hanno determinato i crolli. Sono oltre 200 gli esposti presentati all’autorita’ giudiziaria da cittadini che chiedono espressamente, alla Procura della Repubblica, di verificare se alla base dei crolli ci siano responsabilita’ umane o se, invece, e’ stata la violenza della scossa nella notte tra il 5 e il 6 aprile scorsi a devastare o gravemente danneggiare le abitazioni private. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Perché la polizia politica identifica chi contesta il premier?

(fonte: repubblica.it)

“Non devi venire in Abruzzo, ci stai rovinando”. Con queste parole Silvio Berlusconi è stato contestato oggi a Napoli da due giovani abruzzesi, che, davanti alla prefettura, gli hanno gridato contro. I due, trentenni senza precedenti penali, sono stati identificati dalla Digos, e hanno detto di essere venuti a Napoli proprio per la visita del premier. Beh, buona giornata.

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Attualità

Il G8 a L’Aquila: “fantasia al potere”? “Follia positiva”?

di Eugenio Scalfari- La Repubblica

(……..)
C’è un freschissimo esempio della “fantasia al potere” o meglio della “follia positiva” stando all’autodefinizione che ne ha dato lo stesso nostro premier, ed è il trasferimento del G8 che avrà luogo nel prossimo luglio dall’isola della Maddalena alla scuola degli allievi ufficiali dell’Aquila. Un colpo di scena suggerito da Bertolaso, sottosegretario alla Protezione civile e ai Grandi eventi e fatto proprio da Berlusconi con entusiasmo all’insaputa dello stesso governo da lui presieduto.

Le motivazioni di questo “coup de théâtre” sono quattro: le minori spese, il desiderio di mettere i potenti della terra a diretto contatto con una catastrofe naturale, la possibilità di elevare il caso Abruzzo dal livello nazionale a quello mondiale, la maggiore sicurezza del “meeting” tra le montagne abruzzesi rispetto alle sedi navali che l’avrebbero ospitato alla Maddalena.

È sufficiente un sommario esame per capire che si tratta di motivazioni infondate.

Le spese per realizzare il G8 alla Maddalena sono state tutte in grandissima parte già fatte (anche se ancora debbono essere pagate). Gli impianti previsti saranno comunque portati a termine. Nessun risparmio da questa parte sarà dunque realizzato. Il grande albergo a cinque stelle costruito nell’isola sarda resterà come una delle tante cattedrali nel deserto, di sperpero del denaro pubblico e di cementificazione di uno degli arcipelaghi più belli d’Europa. Il risparmio sulle spese navali rispetto a quelle aquilane sarà minimo, invece delle navi alla fonda bisognerà mobilitare una flotta di elicotteri che faccia la spola tra Roma e l’Aquila.

I potenti della terra hanno purtroppo larga esperienza di catastrofi naturali, in Giappone, in Louisiana, in Florida, in California, in Russia, in India, in Cina, in Turchia. Insomma nel mondo intero.

Portare il caso Abruzzo all’attenzione del mondo affinché dia una mano per risolverlo è risibile. C’è l’intero continente africano che è di per sé una catastrofe, per citare un solo caso tra tanti.

La sicurezza contro i No Global. Non metteranno piede all’Aquila, l’hanno già detto. Ma faranno altrove le loro prove. Speriamo vivamente che siano prove puramente dimostrative. Se comunque, come scopre ora Bertolaso, garantire sicurezza alla Maddalena era un compito così arduo, ci si domanda adesso perché fu scelta quella località.

Forse Bertolaso ha troppe cose da fare: la protezione contro le catastrofi, i rifiuti dell’immondizia, la progettazione ed esecuzione dei grandi eventi. Il tutto non solo sulle sue spalle ma sulle strutture della Protezione civile. Che non stia nascendo, sotto la leadership politica di Berlusconi, una leadership tecnocratica di Bertolaso? Non credo che i vertici negli altri paesi siano affidati alla Protezione civile. Li curano i ministri dell’Interno, i Servizi di sicurezza, le forze della sicurezza pubblica. Che c’entra la Protezione civile? I pompieri che ne costituiscono l’ossatura?

Bertolaso, racconta il generale della Finanza, Lisi, che lo vede lavorare nella sua scuola, “lavora notte e giorno, non dorme, è una fucina di iniziative, non è un uomo ma un miracolo”.

Forse se si concentrasse su uno solo dei suoi tanti compiti eviterebbe alcune disfunzioni che stanno emergendo in questi giorni e che i terremotati vivono sulla loro pelle.

No, neanche Bertolaso è infallibile. Quanto ai miracoli, beati i paesi che sanno farne a meno. (Beh, buona giornata).

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Attualità

A che serve portare il G8 in mezzo ai disagi del terremoto?

Terremoto, Abruzzo/ Lontano dai riflettori, il G8 all’Aquila: esibizione e umiliazione
di Luigi Zanda da blitzquotidiano.it
L’idea di Silvio Berlusconi, il nostro primo ministro, di non tenere più la riunione del G8 in Sardegna, alla Maddalena, ma a l’Aquila, è certamente affascinante e suggestiva, è quel che si dice un colpo di genio. Porta i potenti del mondo dove l’Italia ha più sofferto negli ultimi tempi. Il messaggio, sotto elezioni, è forte e chiaro: I care, sembra voler dire. Tradotto, Berlusconi dice: ora che ci sono io, qualcuno si occupa di voi.

Gli abruzzesi sanno bene come stanno le cose, specie quei terremotati che vivono nelle tende, dimenticati da tutti. Ma il resto degli italiani, per i quali il terremoto è ormai un lontano ricordo, provano sollievo nel pensare che ora loro non si devono più preoccupare, perchè c’è lui che provvede.

Ma se vogliamo ragionare in termini non di colpi di teatro e di campagne elettorali ma di buona e sana amministrazione del paese, allora servono spiegazioni precise, perché i conti non tornano.

Fino all’altro ieri governo e protezione civile invitavano tutti – parlamentari compresi – a non andare in Abruzzo per non intralciare i soccorsi e la risistemazione provvisoria del territorio dopo il disastro. Adesso sappiamo che tra qualche settimana arriveranno alla periferia dell’Aquila otto capi di stato e di governo, tremila delegati, tremila giornalisti e sedicimila uomini delle forze dell’ordine.

In questa decisione, c’è qualcosa che non quadra.

Intanto sul piano dei costi, perché è difficile credere che garantire la sicurezza di tutta quella gente sia più facile e meno costoso tra le tendopoli che non su un’isola, dove peraltro, molto di quel denaro che si asserisce di volere risparmiare è stato nel frattempo speso.

Poi sul piano dell’immagine e della solidarietà. Gli abruzzesi sono gente seria e orgogliosa, come i sardi. Non amano mettere in piazza i loro sentimenti. Sono riservati e misurati. Hanno creduto nelle promesse del governo e aspettano che Berlusconi ora le mantenga. Non si aspettavano certo di essere esibiti, nel disagio che vivono ogni giorno, nelle tante piccole umiliazioni che subisce chi vive in modo precario e provvisorio.

Molto di quel che dice Berlusconi è pura immagine, perché lontano dai riflettori della tv la cose stanno diversamente e la gente sta male, c’è da chiedersi cosa proveranno gli abruzzesi quando vedranno che il frenetico vai e vieni di capi di stato e ministri e attendenti comporterà un ulteriore aggravio del ritardo e dell’abbandono. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Il G8 dalla Sardegna all’Abruzzo: “una lacerazione di un patto che il Pdl e il suo leader hanno stretto con la grande maggioranza degli elettori sardi.”

G8 a L’Aquila/ Sardegna delusa, divisioni nel Pdl di Viola Contursi (Scuola superiore di Giornalismo Luiss) da blitzquotidiano.it

Si agitano le acque nel Pdl sardo. La decisione di Silvio Berlusconi di spostare il G8 dalla Maddalena a L’Aquila, sta creando qualche problema all’interno della maggioranza. Almeno per quanto riguarda quella sarda, la cui immagine potrebbe essere danneggiata agli occhi degli elettori che l’hanno da poco scelta. Il Cavaliere, infatti, ha fatto le cose di fretta e ha annunciato questo cambiamento senza prima consultare nessuno, neppure il presidente della Regione, Ugo Cappellacci, che a caldo ha sottolineato i gravi «problemi di natura tecnica», assicurando dopo poche ore che «prevarrà comunque il sentimento di solidarietà» per le popolazioni vittime del terremoto.

Alla delusione di quanti hanno appreso la notizia con sconforto, il premier ha risposto promettendo «che l’isola della Maddalena potrà ospitare in autunno un summit sull’ambiente» per cui il Cavaliere avrebbe già preso «contatti con il presidente americano Obama». Una magra consolazione che se non ha convinto gli esponenti dell’opposizione ha però spinto molti esponenti del Pdl sardo ad adeguarsi alla scelta del Consiglio dei Ministri. Tutti tranne uno: il senatore Piergiorgio Massidda che ha bollato come «incomprensibile» la decisione del governo e ha avvertito come questa potrebbe essere colta dai sardi come una «abiura a una parola data» e portare a «una lacerazione di un patto che il Pdl e il suo leader hanno stretto con la grande maggioranza degli elettori sardi».

È previsto per venerdì l’incontro a Roma tra il presidente della Regione Sardegna e Berlusconi per chiarire tutti i dubbi sul caso e per allontanare quella «preoccupazione» e quel «forte stupore» che Cappellacci ha espresso su questo «fatto improvviso, importante e inopinato». (Beh, buona giornata).

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Come si chiama il segretario di Rifondazione comunista: Ferrero o Tafazzi?

Terremoto, Abruzzo, Tasse e Imposte/ Ferrero (Prc): tassare i ricchi (cioè quelli sopra i 4.500 euro netti mese) da blitzquotidiano.it

Tassare i ricchi, è lo slogan di Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista. Principio sul quale quasi tutti convengono. Ma quando passa a definire chi è ricco, Ferrero indica la soglia di 100 mila euro lordi annuo di reddito lordo. Data l’attuale pressione fiscale diretta oggi in Italia, la cifra si traduce in uno stipendio intorno ai i.500 euro netti al mese. E si dice stipendio, perché di solito le imposte sul reddito colpiscono soprattutto i dipendenti, cui vengono prelevate direttamente dalla busta paga: anzi, i dipendenti, quei soldi manco li vedono. Invece gli autonomi e i commercianti si arrangiano e i padroni pagano solo il 20% sui dividendi. E con i padroni, nemmeno il comunista Vincenzo Visco, che pure ha infierito sui dirigenti d’azienda, non ha avuto il coraggio di prendersela.

E questi sono i concetti di Ferrero, come riportato dall’agenzia di stampa Agi:” Altro che spostare capitoli e voci di spesa. Per finanziare la spesa necessaria per la ricostruzione del post-terremoto in Abruzzo, il ministro Tremonti vuole mettere a repentaglio la spesa pubblica, possibilmente tagliandola ancora di più di quanto non abbia già fatto il suo governo, ma si tratta di una misura del tutto sbagliata e inutile. Per finanziare la ricostruzione c’è una strada, ed è molto semplice: basta aumentare le tasse ai ricchi, introdurre una tassa sui grandi patrimoni, tassare le rendite finanziarie, aumentare le tasse per i redditi sopra i 100 mila euro. Ecco un modo semplice ed efficace per garantire la ricostruzione”. (Beh, buona giornata).

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