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Luciano Gallino: “altre politiche per il lavoro, la spesa pubblica, il welfare.”

luciano-gallinodi Sbilanciamoci.info –

Quattro milioni di senza lavoro, decine di miliardi di reddito perduto, la crisi che non finisce mai, disoccupazione che crea disoccupazione. Ma altre politiche sono possibili, per il lavoro, la spesa pubblica, il welfare. La rotta d’Italia secondo Luciano Gallino

Appese alle pareti della casa di Luciano Gallino, le foto della moglie Tilde mescolano molteplici piani attraverso giochi di specchi, spingendosi oltre la percezione di un istante e cogliendo la sfuggente complessità d’insieme. È uno sforzo, questo, che si ritrova poco più in là, negli scaffali ricolmi di libri del professore, perché afferrare la complessità, arrivare al cuore delle cose, necessita di uno studio meticoloso e incessante. E spiegarla, poi, richiede un impegno altrettanto esigente, senza sosta, né risparmio: un impegno generoso, che passa per conferenze in Italia e all’estero, interviste e un nuovo libro per raccontare cos’è accaduto e come mai la gente continua a farlo accadere. Nel contesto odierno, dominato da semplificazioni populistiche e una visione neoliberista talmente radicata e potente da riuscire nel paradosso di gestire l’incendio dopo aver appiccato il fuoco, la voce di Luciano Gallino è un punto di riferimento prezioso per tracciare la rotta da seguire.

Una rotta che nasce dalla necessità del lavoro. “In Italia, ci sono circa quattro milioni di persone fra disoccupati e non occupati. Di conseguenza, una ricchezza pari a decine di miliardi l’anno non viene prodotta e non diventa domanda, commesse per le imprese, consumi. Il risultato è che la disoccupazione crea disoccupazione”.

Per creare occupazione bisogna seguire l’esempio di Roosevelt. “Con il New Deal, lo Stato si è impegnato a creare direttamente occupazione e in alcuni mesi furono assunti milioni di persone”. Un New Deal italiano permetterebbe non solo di creare ricchezza, ma anche di risolvere annosi problemi. A cominciare dal suolo. “Il dissesto idrogeologico riguarda più di un terzo del Paese. È un campo in cui i soldi si trovano sempre a posteriori, quando sono stati distrutti o allagati interi quartieri o quando ci sono frane, morti. Allora sì che si trovano i miliardi per riparare i danni. Sarebbe meglio spenderli prima, oculatamente, in opere da individuare”.

Prioritaria è anche la terribile situazione delle scuole. “Il 48% delle scuole italiane non ha un certificato che assicuri che l’edificio è a norma dal punto di vista della sicurezza statica. È possibile che i ragazzi italiani vadano in scuole metà delle quali non è a norma dal punto di vista della sicurezza? Non si tratta di pavimenti sconnessi o rubinetti che perdono, o servizi inadeguati, ma di muri, tetti, fondamenta, che bisognerebbe rivedere e rimettere a norma”.

La miopia riguarda anche il potenziale punto di forza dell’Italia. “Il degrado del nostro immenso patrimonio culturale è per molti aspetti sotto gli occhi di tutti. Negli anni si è puntato a migliorare i punti di ristoro nei musei, insistendo sulla fruibilità da parte di pubblici sempre più vasti, invece di intervenire sulla catalogazione digitale, sulla tutela effettiva, sulla custodia. Un’azione mirata può creare centinaia di migliaia di posti di lavoro”.

C’è poi il problema della riconversione del modello produttivo. “Il modello produttivo attuale è finito nell’estate del 2007. È impensabile che i posti di lavoro che si sono persi in questi anni siano ricostituiti, ripercorrendo lo stesso modello produttivo. Processi come l’automazione e la razionalizzazione hanno soppresso quote impressionanti di posti di lavoro e molte imprese si dirigono sempre di più verso Paesi in cui i salari, le condizioni ambientali o fiscali sono più favorevoli. Occorrerebbe pensare a forme di ecoindustria, cercando di evitare errori e compromessi che hanno, in alcuni casi, caratterizzato lo sviluppo di nuovi settori, come ad esempio si è visto con la creazione di parchi eolici”.

Una riconversione che riguarda anche l’agricoltura. “Anche qui, l’epoca in cui la lattuga del Cile o i pomodori di un altro Paese facevano 10 o 20 mila km prima di arrivare sulla tavola di qualcuno probabilmente è finita. Il costo dei carburanti, degli aerei e della logistica stanno in qualche modo imponendo forme di consumi agricoli, consumi alimentari che non saranno a km zero, ma certamente non a km 10 mila o 20 mila, come è stato invece per molti anni. Il ministero dell’agricoltura dovrebbe occuparsi della riduzione dei km che pomodori, lattuga e formaggi e altro percorrono prima di arrivare sulle nostre tavole”.

Per creare occupazione, l’ideale sarebbe un’agenzia centrale. “So che a molti sale la temperatura quando sentono parlare di Stato che occupa le persone. Bisognerebbe creare un’agenzia centrale che determina i limiti e che incassa i soldi da varie fonti, magari appunto dallo Stato stesso o da una rivisitazione degli ammortizzatori sociali. L’assunzione diretta può essere affidata ai cosiddetti territori, al non profit, al volontariato, ai servizi per l’impiego, alla miriade di entità locali, comprese piccole e medie imprese”.

L’occupazione diretta servirebbe molto di più dei soliti incentivi. “Una miriade di rapporti e documenti testimoniano che, se voglio creare un posto di lavoro, è molto più conveniente dare mille euro al mese a uno che lavora piuttosto che trasformarli in sconti fiscali, contributi alle imprese, nel caso assumano qualcuno. L’assunzione diretta ha un effetto immediato sulla persona e sull’economia, perché il giorno dopo che ho versato a qualcuno mille euro di stipendio, quello li spende contribuendo così al lavoro di qualcun altro. L’incentivo all’impresa, lo sgravio fiscale, la riduzione del cuneo fiscale e altre cose del genere hanno, invece, effetti molto più ritardati”.

E sotto attacco finirebbero ancora i meccanismi di protezione sociale. “Quando si parla di riduzione del cuneo fiscale, si ha in mente la riduzione dei contributi per le pensioni, la sanità e altro. La riduzione dei contributi implica che qualcuno pagherà ticket sanitari più elevati, magari a fronte di mezzi familiari scarsi, o che subirà un’ulteriore riduzione della pensione. Si annuncia di ridurre il cuneo fiscale, ma non si precisa come si recuperano quei contributi che vengono a mancare”. Un modo sottile per continuare a prosciugare il welfare.

Ma come finanziare gli interventi proposti? Per capirlo, bisogna ragionare su vari aspetti. Innanzi tutto il ruolo della Banca Centrale Europea. “Noi non disponiamo di una moneta sovrana, dipendiamo da una moneta che per certi aspetti è una moneta straniera. Non vuole essere una polemica contro l’euro, perché le polemiche contro l’euro sono semplicemente idiote e non vorrei minimamente essere accostato a quelle. Resta, però, il fatto che, mentre la Federal Reserve può creare quanto denaro vuole, noi non possiamo prendere in prestito soldi direttamente dalla Banca centrale per creare occupazione”.

Il problema è che i soldi ci sono, ma non arrivano a destinazione. “Tra il novembre 2011 e il febbraio 2012, la BCE ha prestato alle banche 1.100 miliardi di euro, con un interesse dell’1%. E li ha prestati senza chiedere nulla. Alla fine, si è scoperto che soltanto un rivoletto di quei 1.100 miliardi è finito alle imprese, al lavoro, all’economia reale”. E allora? “Allora, è davvero politicamente impossibile pretendere in sede europea che la BCE presti soldi soltanto se questi vengono destinati, attraverso le banche, all’economia reale e se le imprese e le società non profit che li prendono a prestito firmano l’impegno scritto di creare occupazione?”

Un altro aspetto importante riguarda la cassa integrazione. “La cassa integrazione ha superato il miliardo di ore. È denaro che è sacrosanto spendere per sostenere le famiglie, per porre un argine alla disperazione. Tuttavia, invece di pagare 750 euro al mese con il vincolo di non fare nessun altro lavoro, si potrebbe pensare di aggiungere 300/ 400 euro a quei 750 e convertirli, così, in un salario pagato dallo Stato: lo scopo sarebbe quello di far assumere da imprese non profit, imprese private, servizi per l’impiego, comuni e regioni le persone in cassa integrazione che sono disposte a fare altri lavori. In questo modo, si produrrebbe ricchezza e molti soggetti da passivi diverrebbero attivi. Pensiamo ai benefici economici che si genererebbero attraverso i cosiddetti moltiplicatori”.

Le risorse potrebbero essere ricavate, poi, dal rivedere spese apparentemente insensate. “L’idea di comprare un cacciabombardiere, che pare pure pessimo dal punto di vista strategico e militare, impegnando circa 15 miliardi, a fronte dello scandalo disoccupazione, a me pare uno scandalo per certi aspetti altrettanto grave”.

Infine, sul piano del fisco, non si può prescindere dall’economia sommersa. “L’economia sommersa c’è da ogni parte, ma in Francia, Germania, Gran Bretagna, è tra il 5 e il 10% del Pil, mentre in Italia è al 22% del Pil. Tra l’altro, con la crisi, i tagli alle pensioni e le riforme cosiddette del mercato del lavoro, l’economia sommersa ha fatto ulteriori passi avanti e fornisce incentivi molto convincenti a chi deve fare i conti con ogni singolo euro per arrivare alla fine del mese. Ridurre l’economia sommersa al livello di Francia o Germania significherebbe, per lo Stato, incassare almeno 60 o 70 miliardi l’anno di maggiori imposte di vario genere, dall’Iva alle imposte dirette”. (Beh, buona giornata).

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Dibattiti Finanza - Economia Lavoro Movimenti politici e sociali

L’ennesimo inutile vertice europeo sulla crisi del debito.

di Bruno Steri-rifondazione.it

Il vertice tenutosi ieri a Bruxelles era atteso come una sorta di “ultima spiaggia” per le sorti dell’euro, una tappa decisiva per decidere il futuro di un’ “Europa in bilico”. Oggi vediamo che la montagna ha partorito un topolino: niente che sia all’altezza delle aspettative. Per la verità, c’era chi lo aveva previsto. Ad esempio, qualche giorno fa, Marco Moussanet concludeva così un editoriale de Il sole 24 ore: “Si metteranno d’accordo. Su un testo che parlerà di project bond, di sblocco dei fondi strutturali, di maggiori risorse per la Banca Europea per gli Investimenti e di Tobin Tax.

Evitando accuratamente temi spinosi come il ruolo della Bce o la mutualizzazione del debito”. L’articolo si riferiva in realtà all’incontro tra Angela Merkel e François Hollande e a un’ipotizzabile “sintesi franco-tedesca”; ma la citata argomentazione può essere estesa all’incontro di Bruxelles. In sostanza si tratta di un ben magro risultato, una mediazione che non ferma l’incipiente sprofondamento del Titanic.

Mario Monti si è affrettato a rilasciare dichiarazioni rasserenanti (“Il fatto che il tema degli eurobond sia chiaramente sul tavolo (…) significa che la cosa si muove”), le quali tuttavia non convincono nessuno. Men che meno i cosiddetti “mercati”, che ieri hanno fatto precipitare gli indici azionari nelle borse di mezzo mondo, facendo toccare minimi storici a quella di Milano (- 3,68%) e innalzando il differenziale tra titoli italiani e tedeschi da 411 a 435 punti base. Disastro comprensibilmente riassunto nel titolo: “le borse non credono nel vertice Ue”.

E, in effetti, alle parole di Monti fanno da contraltare i nein della signora Merkel, le precisazioni di Mario Draghi (“L’emissione degli eurobond ci sarà solo quando avverrà un’unione di bilanci”), i traccheggi del Presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy (“Nessuno ha chiesto che gli eurobond fossero immediatamente adottati”). Così come in pochi credono alle mielose perorazioni del “salvataggio” della Grecia (“Vogliamo che resti nell’euro”): soprattutto quando, contemporaneamente e per via ufficiosa – voci “dal sen fuggite” – i tecnici Ue chiedono ai singoli Paesi di predisporre piani per affrontare un’uscita della Grecia dall’euro. Nei confronti del Paese ellenico, è la classica politica del bastone e della carota, delle premurose esortazioni unite a ricatti e secche minacce: vi vogliamo bene, ma dovete fare quel che diciamo noi (e, soprattutto, alle prossime elezioni politiche non dovete votare Syriza, la sinistra anticapitalista).

Questi signori sono pronti ad abbandonare la Grecia al suo destino – peraltro sottostimando, da veri apprendisti stregoni, gli inevitabili dirompenti effetti a catena sulla stessa tenuta dell’Unione Europea – e, nei fatti, spianano un’autostrada alle prevedibili incursioni speculative ai danni dei singoli Paesi e, in ultima analisi, dell’euro. Ciò rende quanto mai pertinente un interrogativo: qual è il gioco a cui questi signori giocano? E a vantaggio di chi? In proposito, non riusciamo a trattenere la tentazione di menzionare qui i due editoriali con cui Le monde diplomatique ha aperto i suoi ultimi due numeri di aprile e maggio. Il primo (Gli economisti sul libro paga della finanza) fa le pulci in tasca agli “esperti” di mezza Europa, evidenziando come “gli accademici invitati dai media a illuminare il dibattito pubblico, ma anche i ricercatori designati come consiglieri dai governi, sono a libro paga di banche e grandi imprese”. E che paga! Il secondo editoriale (Il volto dei signori del debito) passa al setaccio i big della politica europea, anche in questo caso puntando i riflettori sulla materialità dei loro incarichi da rendita e da capitale. I nomi di casa nostra meritano un’ampia citazione: “La copertura giornalistica della nomina di Mario Monti alla Presidenza del consiglio in Italia fornisce un perfetto esempio di discorso-paravento, che chiama in causa ‘tecnocrati’ ed ‘esperti’ laddove semplicemente si fa un governo di banchieri”. Non si tratta di metafore evocative ma di cruda realtà: “A uno sguardo più attento si vede come la maggior parte dei ministri sieda nei consigli d’amministrazione dei principali gruppi d’affari della Penisola. Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, è amministratore delegato di Intesa San Paolo; Elsa Fornero, ministro del Lavoro e professoressa di economia all’università di Torino, è vicepresidente della stessa banca; Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione e della ricerca e rettore del Politecnico di Torino, è amministratore di UniCredit Private Bank e di Telecom Italia – controllata da Intesa Sanpaolo, Generali, Mediobanca e Telefonica – dopo esser transitato anche per Pirelli; Piero Gnudi, ministro del Turismo e dello sport, è amministratore di UniCredit Group; Piero Giarda, incaricato dei Rapporti con il parlamento, professore di Scienza delle finanze all’università Cattolica del Sacro cuore di Milano, è vicepresidente del Banco popolare e amministratore di Pirelli. Quanto a Monti è stato consulente di Coca Cola e Goldman Sachs e ha fatto parte dei consigli di amministrazione di Fiat e Generali”.

L’intento sarà forse un po’ schematico; ma, all’opposto, glissare su tali fatti equivale a imbrogliare la gente. (Beh, buona giornata).

Manifestazione degli Occupy a Francoforte: la polizia appare molto rilassata al corteo.

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I governi tanto sono stati capaci di entrare nella crisi, quanto sono incapaci di saperne uscire.

di Francesco Piccioni-Il Manifesto

Vedere che la disoccupazione giovanile esplode -da un già inquietante 31% di pochi mesi fa al 36% di marzo 2012 – impone di cercare risposta alla domanda che viene subito alla mente: non sarà che con la «riforma» che ha portato l’età pensionabile a 67 anni questo governo – sempre pronto a riempirsi la bocca con «lo facciamo per i giovani» – ha di fatto precluso l’ingresso nel mondo del lavoro ad almeno quattro-cinque scaglioni di «coscritti»?

Per Roberto Pizzuti, docente di politica economica a Roma, «è evidente e accertato il legame tra aumento dell’età pensionabile e disoccupazione, soprattutto giovanile». Del resto, «se c’è un certo numero – già insufficiente – di posti di lavoro, e riduci all’improvviso il turnover, quei posti non possono essere occupati da altre persone». Ma c’è di più: «è una cosa che danneggia anche le aziende, perché i lavoratori anziani costano di più, sono mediamente meno istruiti e inevitabilmente meno reattivi all’innovazione». Una politica di questo tipo «in questo momento è un autogol, vengono ridotti i redditi e la domanda quando dovrebbe invece essere sostenuta».

Giovanni Mazzetti, docente di economia politica, agginge una considerazione ulteriore: «se si è capaci di creare lavoro aggiuntivo, puoi anche lasciare sul posto gente che potrebbe andare in pensione; ma se non lo sai fare – e tutte le società avanzate non sono più capaci di crearne di nuovo – allora devi mandar via con soluzioni decorose quelli che hanno lavorato già un bel po’ (senza fare quei pasticci orrendi sugli ‘esodati’), e sostituirli con dei giovani».

L’obiezione del governo è nota: se si fossero lasciati andare in pensione quelli che avevano già maturato i requisiti «sarebbero saltati i conti Inps». Non è vero nemmeno questo, spiega Pizzuti (tra l’altro ex membro del cda Inpdap), «tutto il sistema pensionistico pubblico è da anni in attivo di 26 miliardi e contribuisce ai conti pubblici nella proporzione di una grande finanziaria ogni anno; è solo una scelta politica di colpire queste fasce, perché danno un’entrata certa e sono facili da colpire».

Se usciamo dal piano generale della macroeconomia e andiamo a vedere cosa accade nei diversi settori produttivi, la valutazione non cambia, ma assume una concretezza davvero drammatica. «Noi vediamo che la crisi non solo non passa, ma si acuisce – spiega Laura Spezia, segretario nazionale Fiom – Molte aziende chiedono ‘esuberi’ e finiamo a discutere di fatto di ‘esodati’». Perché «la riforma del mercato del lavoro non va certo nella direzione di favorire le assunzioni dei giovani». Dopo l’aumento dell’età del ritiro, infatti, «si prevede di ridurre gli ammortizzatori sociali nel tipo e nella durata; di fatto vengono rigettati sul mercato lavoratori che potrebbero e dovrebbero andare in pensione». E non è vero neppure che le aziende abbiano «tanta voglia di assumere giovani; basta guardare le reazioni della Marcegaglia e non solo all’ipotesi di restringere appena un po’ la ‘flessibilità in entrata’». La precarietà conclude – «è rimasta tale e quale, disoccupazione è aumentata; ora che vanno a scadenza gli ammortizzatori che sono stati concessi per le crisi degli ultimi anni esploderà con grandi numeri». Tanto più se andrà in porto la nuova «riforma»…

«Il fenomeno più preoccupante dice Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil – è la perdita di senso del sistema istruzione. Diplomati e laureati vengono buttati nella disperazione proprio quando il paese ne avrebbe più bisogno; si rischia una perdita totale di credibilità del sistema, che nel frattempo non è più nemmeno gratuito, negando il diritto allo studio. Questo è un paese che rinuncia al futuro, a partire dal governo Monti che non fa nulla per invertiore la tendenza».

L’ultima conferma arriva dal pubbblico impiego, ora sotto la lente della spending review. «Qui il turnover è bloccato da 7-8 anni», racconta Massimo Betti, Usb. «E già stiamo affrontando il problema di circa 100.000 dipendenti che vengono dichiarati in esubero. 65.000 dalle Province, diecimila dal personale civile della Difesa e 30.000 militari». Ma anche al ministero degli Interni si prepara un taglio «del 10% del personale». Per i «pubblici» c’è la mobilità per due anni, all’80% dello stipendio; poi, se non possono essere ricollocati in altro comparto o sede, c’è il licenziamento. La spending review punta a eliminare 4,2 miliardi di spese subito; ma «prima di nominare Bondi, Monti aveva illustrato tagli per 25-27 miliardi». Se ci si aggiunge la «delega» data a Patroni Griffi per applicare anche qui il «nuovo» art. 18, dice Betti, «diventa possibile licenziare per motivi economici praticamente tutti i 3,5 milioni di dipendenti. ‘Per Costituzione’, visto che hanno inserito l’obbligo al pareggio di bilancio».

Insomma: la crisi crea disoccupazione, ma il governo ci mette molto di suo…(Beh, buona giornata.

La ricetta della Bce per uscire dalla crisi non sta funzionando.

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“Troppi giovani che finiscono gli studi con una laurea restano senza lavoro, questo è accaduto anche a Madrid e al Cairo, stiamo attenti a non avere le stesse conseguenze, un’esplosione di proteste”.

di FEDERICO RAMPINI-la Repubblica

“New York rischia la fine del Cairo”, avverte Bloomberg. Il sindaco lo considera un rischio concreto. Teme il ritorno di rivolte violente. L’ultimo precedente risale agli anni Sessanta, quando le tensioni razziali e la guerra del Vietnam trasformarono in campi di battaglia le metropoli americane. “Troppi giovani che finiscono gli studi con una laurea restano senza lavoro – dice Michael Bloomberg – questo è accaduto anche a Madrid e al Cairo, stiamo attenti a non avere le stesse conseguenze, un’esplosione di proteste”. Mentre il sindaco parla alla radio, Wall Street è transennata perché (nonostante il sabato e i mercati chiusi) vi affluiscono i manifestanti del Day of Rage, il “giorno della rabbia”, che denunciano “il dirottamento della democrazia americana da parte della finanza”.

Nelle stesse ore il vertice europeo si tiene in una Breslavia assediata per l’arrivo di 30.000 manifestanti. Hanno fatto il giro del mondo le immagini del cittadino greco che ha tentato di immolarsi davanti alla banca che non gli aveva concesso una dilazione sul mutuo. Quell’uomo in fiamme spiega l’accostamento che fa Bloomberg tra il disagio sociale in Occidente e la “primavera araba”? In Tunisia la scintilla iniziale della rivolta fu il gesto disperato di un ambulante che si diede fuoco per protestare contro gli abusi della polizia.

Certo nei movimenti che agitano il Nordafrica c’è un altro elemento, la rivolta antiautoritaria. Ma altrettanto importante è l’elevata disoccupazione giovanile, la ragione per cui Bloomberg mette sullo stesso piano gli “indignados” di Madrid e i giovani di Piazza Tahrir. E s’immagina Manhattan trasformata a sua volta in un rogo di proteste. Esagera? Il sindaco di New York non è solito fare dell’allarmismo. E’ un brillante businessman, uno dei capitalisti più ricchi del suo Paese, per avere fondato la maggiore agenzia d’informazioni finanziarie. Politicamente è un indipendente di centro. Quella che intuisce, è una malattia comune a molte nazioni occidentali.

Dalla democrazia più antica del mondo, la Grecia, a quella più potente del mondo, gli Stati Uniti, le basi del consenso sociale vengono disintegrate dalla Grande Contrazione economica, che dura da cinque anni e di cui non si vede la fine. Atene vive una “sospensione” della democrazia: la politica economica viene dettata da tecnocrazie esterne cioè Bce, Commissione europea, Fmi. Forse è vero quel che pensano i tedeschi, che i greci se lo sono meritati con una gestione dissennata e parassitaria delle loro finanze. Resta il fatto che la loro sovranità è stata trasferita a Francoforte, Bruxelles, Washington.

Negli Stati Uniti è in frantumi un contratto sociale che reggeva dal New Deal degli anni Trenta. Più di 46 milioni di americani vivono sotto la soglia della povertà, è un livello record, mai raggiunto da quando esistono questi dati raccolti dal Census Bureau. Perfino più impressionante dei nuovi poveri, è il destino della middle class.

Il reddito annuo mediano per un maschio adulto che lavora a tempo pieno, se misurato in potere d’acquisto reale, è regredito rispetto ai livelli del 1973. Quarant’anni di sviluppo economico cancellati, per il ceto medio è la fine dell’American Dream. Questo tracollo di tenore di vita e di aspettative coincide con una smisurata accumulazione di ricchezze ai vertici della piramide.

L’unico precedente storico è negli anni Venti, la cosiddetta Età dell’Oro che precedette il crac del 1929. Anche allora le diseguaglianze sociali giocarono un ruolo fondamentale nello scatenare la Grande Depressione: la debolezza estrema del potere d’acquisto dei lavoratori fece mancare al capitalismo quel mercato interno che è essenziale per la sua crescita. Ci vollero due grandi riformatori dell’economia di mercato, il presidente Franklin Roosevelt e l’economista inglese John Maynard Keynes, per salvare il capitalismo dalle sue pulsioni autodistruttive, costruendo una società meno duale e meno feroce. La grande differenza tra questa crisi e quella di 70 anni fa, è che nel frattempo grazie al keynesismo e al New Deal rooseveltiano tutto l’Occidente si è dotato di reti di protezione sociale, un Welfare State che attutisce almeno in parte le sofferenze della crisi.

E’ proprio questo Welfare State il cui smantellamento viene messo all’ordine del giorno, in Grecia dalle tecnocrazie europee su mandato tedesco, in America dalla destra neoliberista che controlla la Camera. Questo accade mentre in tutti i Paesi sviluppati i sindacati sono in uno stato di debolezza estrema; e la sinistra è sotto assedio nelle poche nazioni dove governa (Washington, Madrid, Atene).

In assenza di meglio, tocca a un miliardario illuminato come Bloomberg lanciare l’allarme sulla lacerazione del tessuto sociale. Perfino due studi circolati nelle banche Citigroup e Morgan Stanley avvertono Wall Street sui danni della “plutonomia”, un sistema politico dominato dal potere del denaro, dove le diseguaglianze hanno oltrepassato i livelli di guardia e la crescita non ha più le basi di massa su cui ripartire. (Beh, buona giornata).

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“La Sinistra, invece di occuparsi della nuova aspra dialettica dello scontro Capitale-Lavoro, perde tempo all’inseguimento di governi di transizione, abbandonando a loro stessi i lavoratori.”

di Marco Ferri- 3DNews

Omar Thomas, un nero di 34 anni assunto da poco come autista dalla Hartford Distributors di Manchester, in Connecticut (USA), è entrato nello stabilimento in cui lavorava e ha ammazzato a rivoltellate otto persone, poi si è tolto la vita. Lo ha fatto perché temeva di essere licenziato.

Qualche giorno prima, Paolo Iacconi, un italiano di 51 anni, rappresentante di commercio presso la Gifas-Electric di Massarosa, in provincia di Lucca (Italia) è tornato in azienda e ha ucciso a colpi di pistola l’amministratore delegato e il responsabile delle vendite, poi si è sparato, togliendosi la vita. Era stato licenziato sei mesi fa. Era il 23 luglio di quest’anno.

Il giorno dopo, nei dintorni di Roma, un assicuratore ammazza a bastonate il suo datore di lavoro. Tornavano in macchina dopo aver visitato alcuni clienti. E’ nato un diverbio. Alla minaccia del licenziamento, è scattata la furia omicida. L’uomo è stato arrestato.

Cosa lega tra loro questi fatti? Una semplice, quanto terribile coincidenza: lo spettro della perdita del lavoro, la disoccupazione. Cosa stride tra la verità narrata dal mainstrem e la realtà delle cose? Un semplice, quanto lampante dato di fatto: governi e finanzieri parlano di segnali di ripresa dell’economia.

Una buona notizia? “Io considero fin troppo probabile che tra due anni la disoccupazione sarà ancora estremamente alta, se possibile addirittura più alta di adesso. Invece di assumersi la responsabilità di porre rimedio a questa situazione, i politici e i funzionari della Fed dichiareranno in uno stesso modo che un’ alta disoccupazione è strutturale, al di là del loro controllo.” Lo ha detto Paul Krugman, economista americano, Nobel 2008, in un articolo pubblicato su Repubblica (c .2010 New York Times News Service, traduzione di Anna Bissanti).

Allora le cose stanno così: la crisi economica globale ha distrutto i risparmi, la ripresa economica sta distruggendo il lavoro. Il Capitale vince due a zero. Se guardiamo le cose di casa nostra, possiamo vedere crescere la disoccupazione , siamo vicini a quota 9 per cento, in linea con quello che succede in Europa. Però, svettiamo a oltre il 29 per cento di disoccupazione giovanile, un gran bel record mondiale.

Senza contare, che sono stati annunciati circa tremila nuovi esuberi da Telecom Italia. Mentre Unicredit, una banca italiana tra le prime in Europa, augura buone vacanze estive 2010 agli italiani, annunciando 4.700 licenziamenti. Un sindacalista della Cisl ha detto che i licenziamenti della banca sono concepiti sul modello di pensiero di Marchionne, l’amministratore delegato della Fiat: taglio posti di lavoro, porto fuori la produzione, chiudo stabilimenti, rompo le relazioni sindacali, mando all’aria i contratti collettivi di lavoro.

Il Lavoro perde due a zero. Perché il Sindacato tarda a comprendere il cambio di passo nelle relazioni industriali. Perché la Sinistra, invece di occuparsi della nuova aspra dialettica dello scontro Capitale-Lavoro, perde tempo all’inseguimento di governi di transizione, abbandonando a loro stessi i lavoratori. Che ogni tanto, come le formiche nel loro piccolo, si incazzano. (Beh, buona giornata).

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Lavoro

Drammi di ordinaria disoccupazione nell’Italia berlusconista.

Uccide due ex datori di lavoro e si suicida. Era stato licenziato sei mesi fa- iltirreno.it

MASSAROSA (Lucca) – Sei mesi fa era stato licenziato dall’azienda per cui lavorava come rappresentante. Oggi pomeriggio è tornato e ha ucciso l’amministratore delegato e il responsabile delle vendite all’estero della ditta, poi si è tolto la vita. L’assassino si chiamava Paolo Iacconi e aveva 51 anni. Le vittime sono Luca Ceragioli, 48 anni, e Jan Frederik Hillerm, 33 anni. Quest’ultimo, tedesco residente ad Altopascio, era da venti giorni padre di una bambina.

L’uomo si è presentato nella sua ex ditta, la Gifas-Electric di Massarosa (Lucca), per un appuntamento con la direzione. Oggetto dell’incontro, secondo indiscrezioni, la richiesta di discutere di un’eventuale collaborazione con i suoi ex datori di lavoro, anche se potrebbe essersi trattato solo di un pretesto. In base a una prima ricostruzione, dopo aver preso un caffè con le vittime nell’ufficio dell’amministrazione, Iacconi ha esploso quattro o cinque colpi di pistola – probabilmente una calibro 7.65 tirata fuori dalla borsa – uccidendole, e poi si è barricato nella stanza dando fuoco a una parte dell’ufficio con la benzina che aveva portato con sé in una bottiglietta. All’arrivo della prima volante e della prima pattuglia di carabinieri l’uomo ha rivolto la pistola contro di sé e si è sparato alla testa.

“Quando è entrato sembrava sereno. Poi, dopo un po’, ho sentito gli spari”. Così un impiegato della ditta racconta quanto avvenuto. L’uomo ha spiegato che oggi pomeriggio Iacconi aveva un appuntamento in azienda: “Ci siamo salutati, pareva tranquillo. Poi è entrato negli uffici della direzione, mentre io sono rimasto nella mia stanza. Niente faceva pensare cosa sarebbe successo. Dopo un po’ ho sentito gli spari. Ho avuto paura, non ho capito cosa stesse succedendo: sono corso fuori a dare l’allarme”. Eventuali discussioni per motivi di lavoro, sempre secondo indiscrezioni, Iacconi li avrebbe avuti anche con un terzo dirigente dell’azienda che, però, oggi pomeriggio non era nella sede della Gifas.

Iacconi viveva a Sacile, in provincia di Pordenone. Fino a circa un anno fa era rappresentante dell’azienda in Trentino Alto Adige. Abitava da solo, nella stessa palazzina in cui vivevano i genitori e la sorella, che in serata sono stati ascoltati dalle forze dell’ordine per ricostruire i suoi ultimi movimenti prima della partenza per Massarosa. Pare che in passato avesse sofferto di problemi di salute e in quei frangenti proprio Ceragioli era andato a trovarlo per portargli un po’ di conforto. L’omicida-suicida non avrebbe lasciato biglietti.

I dipendenti della Gifas, in particolare i 4 o 5 del settore commerciale che si trovavano negli uffici attigui a quello di Ceragioli, sono fuggiti quando hanno udito i primi colpi di pistola. Lo conferma Massimo Bianchi, uno di loro, che ha cercato di dare l’allarme e di far uscire tutti gli operai.

“E’ la più grossa tragedia che abbia mai colpito il nostro Comune – ha detto il sindaco di Massarosa Franco Mugnai – Siamo sotto shock. Mi hanno subito informato di quello che era successo alla Gifas, un’azienda che conosco, una realtà importante per il nostro territorio. Costruisce quadri elettrici per le navi. E’ un’azienda giovane. La crisi certo si fa sentire ma nel nostro territorio a parte la cantieristica navale il settore più in sofferenza è quello legato agli stagionali del turismo”. (Beh, buona giornata).

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democrazia Finanza - Economia Lavoro

Altro che percentuali elettorali: la disoccupazione giovanile in Italia è al 28,2 per cento.

Vola a febbraio il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), attestandosi a quota 28,2%. La disoccupazione tra i giovani cresce di 0,8 punti percentuali rispetto a gennaio e di 4 punti percentuali rispetto a febbraio 2009. Lo rende noto l’Istat nella stima provvisoria di febbraio relativa a occupati e disoccupati. I tecnici dell’Istituto sottolineano che il tasso italiano è superiore di 7,6 punti rispetto a quello relativo alla Ue-27 (20,6%). Resta stabile invece il tasso complessivo a 8,5%, con una variazione congiunturale nulla ma in crescita di 1,2 punti percentuali rispetto a febbraio 2009. Il mese scorso sono stati persi 395 mila posti di lavoro. A perdere il lavoro sono stati soprattutto gli uomini: 294 mila a fronte di 101mila donne. Beh, buona giornata.

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Attualità Lavoro Società e costume

La festa degli innamorati nell’epoca dei disoccupati: “Godetevi il giorno di san Valentino ragazzi miei, amatevi di marca e sbaciucchiatevi di lusso. Domani ci ritroveremo come l’altro ieri: io e te tre metri di fila all’ufficio di collocamento”.

di GIORGIA SPINA
Mentre l’Italia cerca di divincolarsi alla meno peggio dall’abbraccio della Crisi, gli italiani oggi si concedono il lusso di abbracciarsi e sbaciucchiarsi come San Valentino comanda.
Anche quest’anno è arrivata la festa degli innamorati. Le vetrine dei negozi si riempiono di cuori rossi, i telegiornali incastrano un servizio sui buoni sentimenti dietro a quelli del Paese che va a puttane e chi ieri si mandava a fanculo oggi si ripete pateticamente “ti amo pucci pucci pu”. Tutto come da copione.
A quanto pare la crisi delle minchiate non è contemplata nella parola generica. Il giorno prima c’è chi si lamenta che il lavoro va male, che si sta con il fiato sospeso perché stanno facendo dei tagli, e il giorno dopo i tagli sono quelli di grosse banconote che entrano nelle casse di Mister Perugina, dei signori Fiorai, del completino intimo QuantoSeiZoccola da regalare alla fidanzata, moglie, amante, massaggiatrice (pare che anche loro inizino a rivendicare qualcosina…). E il giorno dopo, è chiaro, si ricomincia da capo: siamo senza futuro, non arrivo a fine mese e via dicendo.
A quanto pare Cupido colpisce al cervello: il 14 Febbraio si crea una sorta di amnesia dei giorni precedenti e un’idea vaga, vaghissima, di quelli a venire. Sono tutti pronti a spendere e spandere nel porno kitsch, per peluche di dimensioni spropositate per i quali dovresti affittare un monolocale apposito vicino casa, per gioielli che il giorno prima guardavi con il naso appiccicato alla vetrina come la Piccola Fiammiferaia. E poi cioccolatini, tubi e tubetti a profusione, rose rosa alla signora (con cui non si tromba più da un po’) e rosse all’amante (con la quale l’ultima risale a ieri sera).
Da tutto questo spettacolino aberrante non si risparmiano affatto i giovani, a furor di popolo la categoria più colpita dalla terribile Crisi. Trentenni al secondo anno di Università, disoccupati, stagisti e fancazzisti fanno una corsa agli armamenti che costa molto più di una paghetta. Alla faccia del “non ho neanche i soldi per la pizza il sabato sera”!
Ristoranti di lusso prenotati per la cena in cui sarete i più “fidanzatissssimi innamoratisssimi” di tutti, lotte per accaparrarsi la miglior lingerie di pizzo, seta o pelo rosso grazie alla quale la tua lei te la darà quella notte come mai altre, se non quella dell’anno prossimo, ovvio. E poi ancora cuori gonfiabili da far invidia alle mongolfiere, mazzi e mazzi di fiori da scatenare l’ira di Greenpeace, ciondoli, bigliettini dai profumi metifici e tante altre cazzate perché siamo giovani e spensierati… oggi. Domani si ricomincerà con il pianto e con “non trovo lavoro, non riesco a finire gli studi, mamma aiutami tu perché sono proprio sfigato”.
Godetevi il giorno di san Valentino ragazzi miei, amatevi di marca e sbaciucchiatevi di lusso. Domani è un altro giorno, avrebbe detto qualcuna. Domani ci ritroveremo come l’altro ieri: io e te tre metri di fila all’ufficio di collocamento.
E scusa Paese caro, ma ti chiamo coglione! (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro

C’è chi fa qualcosa per la crisi economica in Italia.

(fonte: il blog di paolo ferrero):

ARANCIA METALMECCANICA IN TUTTA ITALIA. DOMANI ALLE 10.00 A TORINO A PIAZZA CASTELLO IL PORTAVOCE DELLA FEDERAZIONE PAOLO FERRERO A VENDERE LE ARANCE IL CUI RICAVATO SOSTIENE LE LOTTE DELLE/I LAVORATRICI/ORI
13 Febbraio 2010

Arancia Metalmeccanica continua a svilupparsi in tutta Italia. Da oggi, e per tutta la settimana, si venderanno in molte parti d’Italia 10 mila kg di arance il cui ricavato servirà a sostenere le casse di resistenza dei lavoratori in lotta.
Arancia Metalmeccanica ha fino ad oggi venduto circa 50 mila kg di arance in tutta Italia per sostenere le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici, per portarle con i banchetti dai presidi delle fabbriche in lotta al centro delle città.
La Federazione della Sinistra ha scelto di essere utile nella crisi e di rimettere al centro la solidarietà tra le/i lavoratrici/ori e tra queste/i ed il territorio, motivo per cui l’iniziativa riscuote successo.
La scorsa settimana a Bergamo e provincia sono stati fatti 12 banchetti vendendo 3000 kg di arance con i lavoratori della Pigna e della Frattini.
Questa settimana i banchetti di Arancia Metalmeccanica saranno in Sicilia per sostenere la lotta dei lavoratori di Termini imerese, in Umbria per sostenere la lotta dei lavoratori della Merloni, nel Lazio a Civitavecchia, a Milano per i lavoratori di MAFLOW (Trezzano sul Naviglio), METALLI PREZIOSI (Paderno Dugnano), LARES (Paterno Dugnano), MARCEGAGLIA (Milano) e OMNIA SERVICE (Milano). in Toscana per i lavoratori di Agile ex Eutelia.
A Brescia per alimentare le casse di resistenza dei lavoratori in lotta.

Domani mattina, a Torino, in p.zza Castello, dalle 10.00 in poi sarà presente il portavoce della Federazione della Sinistra Paolo Ferrero.
Le/i lavoratrici/ori di Agile ex Eutelia e la Federazione della Sinistra oltre ad organizzare l’iniziativa per la vertenza in attto, vogliono ricordare a tutti che non si può morire di lavoro o di non lavoro.

Per questo hanno deciso di dedicare l’iniziativa ad Emanuele, il ragazzo suicidatosi ieri a Torino dopo aver saputo del suo licenziamento.
(Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro

La crisi? Non ne siamo ancora usciti.

«Siamo ancora dentro la crisi, e purtroppo il 2010 sarà ancora peggiore del 2009 dal punto di vista dell’occupazione: ci aspettano altri 10-12 mesi di grande sofferenza». Guglielmo Epifani, segretario generale della CGIL dixit. Ben buona giornata.

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Finanza - Economia Lavoro Media e tecnologia

In Italia la matematica è una pessima opinione.

L’Istat, Bankitalia e il balletto sui numeri dei disoccupa
Apprendisti e stregoni al lavorodi Roberta Carlini, da robertacarlini.it

Mediamente, andiamo abbastanza male in matematica, e i più seri esperti di formazione si preoccupano di questa lacuna della nostra scuola. Ma di qui a ignorare del tutto i numeri, come se fossero inconoscibili entità, anche quando si tratta di fare solo addizioni e sottrazioni, ce ne corre. Eppure, ogni volta che nel nostro dibattito politico spunta un numero, se ne parla così: Tizio dice che quel numero è X, Caio dice che è Y, scontro tra Tizio e Caio. Come se non fosse possibile risalire alla verità – oppure, spiegare le diverse ipotesi che sono alla base delle due verità – e capire se è Tizio o se è Caio che sta dicendo una colossale balla.

Il siparietto si ripete ogni volta che qualcuno si azzarda a dare i dati sul lavoro. Evidentemente, anche se da tempo i lavoratori sono trascurati da destra e da sinistra – sostituiti dalle più appetite categorie dei consumatori, risparmiatori, utenti, o ancora padani, imprenditori o altro -, la questione brucia. E brucia soprattutto in tempi di crisi. L’Istat, che con una sua indagine fa la rilevazione dello stato delle cose, si è trovato abbastanza in difficoltà quando, qualche mese fa, il governo ha ridicolizzato il modo in cui quell’indagine si fa – metodo statistico, che segue standard internazionali. Poi ha appaltato all’esterno la rete dei lavoratori – per lo più giovani, precari come tutti – che fanno le domande sulla cui base si stila l’indagine. La cosa ha preoccupato molti, e ha fatto conoscere a tutti il paradosso dei precari che vanno in giro a fare domande sulla altrui precarietà. Ma – assicura il presidente dell’Istat, economista stimato a livello internazionale – tutto ciò non mette in discussione la serietà e la attendibilità dei dati. Che, da un po’, vengono forniti mensilmente anziché trimestralmente. L’ultimo bollettino parla di una disoccupazione all’8,3%. Su questi dati poi altri economisti e altri statistici fanno ricerche, analisi, ragionamenti. E gli ultimi ragionamenti hanno dato luogo all’ultimo siparietto: la disoccupazione “vera”, ha detto la Banca d’Italia, è sopra il 10%. “Dati scorretti”, ha detto il governo, e hanno riportato le tv e i giornali. Senza preoccuparsi di dare al pubblico – evidentemente considerato troppo ignorante per care qualche operazione aritmetica – elementi in più per capirci qualcosa. Così, sembra che tra il ministro dell’Economia e il governatore della Banca d’Italia si sia svolto l’ennesimo battibecco da chiacchiera politica, uno scontro da salotto tv. Mentre si parla di cose cruciali: quante persone sono senza lavoro in Italia? Quante senza alcun reddito? Come vivranno quest’anno, l’anno prossimo? Come metteranno insieme il pranzo con la cena?

A chiunque si guardi intorno e non guardi solo le reti Rai e Mediaset (dove, ci avverte Ilvo Diamanti, alla disoccupazione si dedica solo il 7% delle notizie, limitando la nozione di “notizie” a quelle che evidenziano fatti gravi e contesti critici, insomma escludendo i servizi sulle mostre canine e simili), risulta chiaro che le persone che intorno a noi perdono il lavoro, o ne vedono ridimensionate le ore, o il salario, aumentano ogni giorno. I precari intervistatori dell’Istat registrano infatti ogni mese un nuovo record, fino ad arrivare all’ultimo: 8,3% di disoccupati ufficiali. Cosa significa? Secondo gli standard internazionali, sono “disoccupate” le persone che sono in età da lavoro, che non hanno un lavoro (non l’hanno mai avuto, o l’hanno perso), e che hanno cercato attivamente lavoro nel mese precedente l’intervista con l’Istat. Se uno, in quel momento, non sta lavorando perché è in cassa integrazione, oppure è a casa ma l’ultima ricerca di lavoro l’ha fatta oltre un mese prima dell’intervista, non rientra ufficialmente tra i disoccupati. Pur in questa definizione alquanto ristretta, il tasso di disoccupazione è crescente e preoccupante. Ma cosa succederebbe, si è chiesta la Banca d’Italia, se aggiungessimo anche i lavoratori in cassa integrazione e quelli che potrebbero tornare a lavorare ma non cercano neanche più lavoro (in molti casi non perché non ne hanno bisogno, ma perché sono scoraggiati, pensano che è inutile cercare tanto non si trova lavoro)? Aggiungendo – addizione, operazione non difficile – i lavoratori in cassa integrazione e i lavoratori “scoraggiati”, nel novero dei disoccupati abbiamo ben 800.000 persone in più: il numero dei disoccupati sale a 2.600.000, e il tasso di disoccupazione oltre il 10%.

A questo punto, la valutazione si fa più facile: non esistono dati corretti e dati scorretti – in questo caso – ma dati che tengono conto di alcune variabili e dati che non ne tengono conto. Chi pensa che non valga la pena contare le decine (forse centinaia) di migliaia di uomini e donne che non cercano lavoro perché scoraggiati e scoraggiate, e che non valga neanche la pena di contare i cassintegrati perché tanto appena la Cig finirà torneranno al lavoro e troveranno il loro posto lì ad attenderli – chi la pensa così può attenersi al dato ristretto sulla disoccupazione, che comunque non è confortante. Chi invece pensa che quell’esercito di persone comunque appartiene alla fascia problematica della società, perché è (o presto sarà) senza un reddito, darà ragione alla Banca d’Italia nel suo tentativo di illuminare a giorno la situazione dell’occupazione in Italia. Operazioni e convinzioni legittime – c’è stato perfino qualcuno, nella scienza economica, che si è inventato il concetto di “disoccupato volontario”, dunque tutto è possibile nella teoria. Quel che non è possibile, nella pratica, è cercare di oscurare con la confusione sui numeri la realtà. Fatta di molti occupati in meno, uomini e donne. Persone che hanno perso il lavoro: prima i più precari, i collaboratori; poi quelli con i contratti temporanei non rinnovati; poi i lavoratori a tempo indeterminato, che per la prima volta dal ‘99 scendono numericamente (meno 0,7%, 110.000 posti in meno, tra il terzo trimestre 2008 e il terzo trimestre 2009).

Di tutti costoro, solo pochi hanno avuto, e hanno, la protezione della cassa integrazione. Moltissimi invece non hanno avuto alcuna copertura a compensazione del salario perso. Il che spiega anche la dinamica del reddito e dei consumi nell’anno appena trascorso: le famiglie hanno comprato di meno (-2,1% la riduzione degli acquisti, nonostante un effetto-droga degli incentivi per le auto), il reddito disponibile è sceso dell’1,5%. Ovviamente ne segue un effetto a catena negativo: le imprese che vendono le loro merci in Italia, di fronte a questa situazione, prevedono il peggio, non investono e (ben che vada) non assumono. E la famosa ripresa si allontana.

Ecco perché i numeri – e i balletti sui numeri – non sono innocenti. Forse se si riconoscesse la profondità del problema, si sarebbe anche portati a muovere qualcosa, nelle leve della finanza pubblica, per avviarsi verso qualche soluzione. A dire il vero, il ministro dell’economia si è spinto fino a dire che la sola forma di deficit pubblico “moralmente accettabile” riguarda quel che si deve pagare ai lavoratori per la cassa integrazione: cioè, se si dovrà sforare per sostenere questi lavoratori, lo faremo, pare aver detto Tremonti. Ma andiamo a guardare quel che ha appena fatto, nell’anno che si è chiuso: l’Italia (il suo bilancio pubblico) ha già sforato, lo Stato è andato in rosso per il 5,6% del Pil. Rispetto al 2008, nel 2009 si sono avuti 31 miliardi di deficit in più. Ma non per la cassa integrazione e il sostegno ai lavoratori. Quasi tutto il maggior deficit è stato infatti dovuto a un effetto spontaneo del ciclo economico: la riduzione delle entrate tributarie, dovuta alla riduzione della produzione. Meno spontaneo, e forse indotto da un certo clima di tolleranza che si è diffuso nell’imminenza dell’arrivo del condono per i capitali illegali all’estero, è stato il modo in cui si è ripartita questa riduzione delle entrate fiscali: scese per tutti i settori, tranne che per l’imposta sui redditi da lavoro dipendente. Mentre in alcuni settori il gettito si riduceva molto di più di quanto fosse giustificato dalla crisi economica, le ritenute d’acconto sul lavoro dipendente restavano stabili. Inoltre, pur tuonando contro le banche e inneggiando a Robin Hood, Tremonti ha dato alle banche una delle poche spese discrezionali in più decise l’anno scorso, 4,1 miliardi per sostenerle nella crisi sottoscrivendo le loro obbligazioni.

Dunque il deficit pubblico è già salito nel 2009, ma non solo (e non prevalentemente) per aiutare i senza-lavoro. Per i quali il 2010, apertosi all’insegna del balletto sui numeri, non preannuncia per ora grandi novità: se non il fatto che, purtroppo, per molte lavoratrici e lavoratori il passaggio dalla cassa integrazione alla disoccupazione sarà ufficiale. (Beh, buona giornata).

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Le previsioni sull’andamento della crisi economica del Ministro dell’Economia del Governo italiano: “ho molta fiducia nella saggezza degli italiani, dei lavoratori, degli imprenditori”.

Il futuro degli uomini dipende dagli stessi uomini e volerlo sapere a prescindere dall’uomo è arroganza e superstizione: lo ha detto il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, in un’intervista rilasciata al Tg1 delle ore 20 del 3 gennaio.

«Il nostro futuro non è un destino fisso, un progresso o un declino inevitabile – dice Tremonti – Il nostro futuro dipende da noi, dalla nostra libertà, responsabilità, dalla nostra saggezza, dalla nostra speranza. Io per esempio, per questo tempo che stiamo vivendo, ho molta fiducia nella saggezza degli italiani, dei lavoratori, degli imprenditori. E’ per questa ragione che ho speranza. Il futuro degli uomini non è né un oroscopo, né un software, né un palinsesto, né un programma di computer».

Noi pensavamo che il futuro dell’Italia fosse una prerogativa delle scelte di politica economica del Governo. Noi pensavamo che il ministro dell’Economia facesse delle scelte con la consapevolezza di un coerente progetto di rilancio della nostra economia. Macché: lui “ha speranza”, lui “ha fiducia”.

Tornano alla mente le parole di un immobiliarista che qualche tempo fa ebbe a dire, con disarmante candore: “troppo facile fare il fro… col cu… degli altri”. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia Lavoro Media e tecnologia

Italia d’autunno: una lettera dall’inferno.

Ricevo e pubblico.

Cari Amici

scusate se vi chiedo un piccolo aiuto;

io a altri 1191 colleghi della ditta Agile ex Eutelia una sede è anche a
Pregnana Milanese (tutti derivanti da aziende come Olivetti e Bull): a fine
anno saremo tutti licenziati probabilmente senza poter usufruire degli
ammortizzatori sociali.

Ben presto a noi si uniranno altri 6600 colleghi di Phonomedia uno dei più
grandi call-center in Italia.

Tutto ciò grazie a degli imprenditori che qualcuno, con un eufemismo, ha
definito “diversamente onesti”

Questo sta accadendo nel silenzio più totale, nonostante varie
manifestazione anche eclatanti (incatenamenti davanti a Ministeri
competenti, salite sui tetti delle sedi, occupazioni delle sedi), sembra che
nessuno si accorga di noi.

Il Governo ci ignora, sembra che il destino di quasi 9000 famiglie non lo
interessi nemmeno!

Non stiamo percependo alcun stipendio nè rimborsi spese ormai da 3 (tre)
mesi !!!!!!!!!!. (conosco colleghi cinquantenni, con mutui e/o affitti, che
per mantenere la famiglia chiedono soldi a genitori e suoceri!!!!!!!!)

Vista la situazione qualcuno ha pensato di usare il tam-tam delle mail come
la vecchia “catena di S. Antonio” per fare conoscere la nostra situazione al
più alto numero di persone possibile, sperando che arrivi alle orecchie di
qualcuno….”in alto”.

Tutto quello che vi chiedo è: Inviare al più presto una mail con l’allegato
al maggior numero di amici possibile, con la preghiera che loro lo inviino
al maggior numero di amici possibile.

In questo modo in pochi giorni migliaia, forse,milioni di persone saranno al
corrente di quanto ci sta succedendo e chissà che la voce non arrivi a chi è
in grado di farsi sentire.

Per cortesia, fate capire ai vostri amici che NON è la solita catena di
S.Antonio, NON è uno scherzo si tratta di 9000 famiglie che non sapranno
come arrivare a fine mese !.

Vi ringrazio di cuore fin d’ora

gianfranco

(Beh, buona giornata)

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Finanza - Economia Lavoro

La crisi economica uccide il lavoro: “Mi sembra un piccolo mondo antico ancorato al ‘900”, disse il Ministro della disoccupazione.

Cgil torna in piazza a Roma, Epifani: “Licenziamenti a valanga”-repubblica.it
Maurizio Sacconi, ministro del welfare: “Mi sembra un piccolo mondo antico ancorato al ‘900”

ROMA – La Cgil torna in piazza a Roma contro il governo, da cui esige risposte su lavoro e crisi. La manifestazione nazionale è stata indetta per sottolineare che il peggio della crisi non è affatto alle nostre spalle e che la ripresa sarà lunga e difficile. A sfilare a fianco dei lavoratori della Cgil anche Italia dei Valori, Partito democratico e studenti universitari. Il corteo, partito nel primo pomeriggio da piazza della Repubblica, si è concluso in piazza del Popolo con un intervento del segretario generale Guglielmo Epifani.

“E’ una piazza straordinaria, grazie a tutti voi che siete qui: queste luci vive permettono anche a chi voleva oscurare le nostre ragioni di vederci chiaro e trasparente”: con queste parole il leader della Cgil Guglielmo Epifani ha aperto il suo intervento dal palco di piazza del Popolo.

“Chiediamo che il governo cambi registro per affrontare i nodi della crisi” ha detto il leader della Cgil Epifani, sintetizzando lo spirito del corteo di protesta. “Questa è una manifestazione che vuole chiedere al governo cose precise perchè gli effetti più negativi della crisi arriveranno nelle prossime settimane e investiranno l’occupazione”, ha aggiunto. “La crisi avrà gli effetti più negativi sull’occupazione nelle prossime settimane” ha detto ancora il segretario della Cgil, sottolineando come “il governo non stia facendo nulla per sostenere il lavoro e i pensionati”.

“In un anno sono stati persi, bruciati, 570 mila posti di lavoro di cui 300 mila di precari: una media di 50 mila posti in meno al mese. Questo il consuntivo di un anno da quando la Cgil lanciò l’allarme valanga disoccupazione”, ha denunciato ancora Epifani. “La valanga che avevamo previsto – ha aggiunto Epifani – non ha più neanche la ciambella di salvataggio della cassa integrazione, ma è fatto di mobilità, ristrutturazioni, chiusure e licenziamenti a valanga e ancora di altri precari senza tutela”.

Sull’analisi mostra di concordare il segretario del Pd Luigi Bersani, che nel messaggio inviato a Epifani invoca “una svolta nella politica economica del governo”. “La vera exit strategy a cui dobbiamo dare priorità oggi è la exit strategy dalla disoccupazione di lunga durata e dalla stagnazione dei redditi da lavoro – ha scritto Bersani – Il governo ha perso 18 mesi preziosissimi, ha lasciato impoverire il nostro migliore capitale sociale e la nostra più innovativa capacità produttiva faticosamente irrobustita negli ultimi anni”.

Critico invece il ministro del Welfare Maurizio Sacconi: “Mi sembra un piccolo mondo antico che rappresenta un pezzo del Paese, ma rimane ancorato al ‘900 e alle sue ideologie”. Sacconi ha sottolineato tra la Cgil e gli altri sindacati confederali: “Una manifestazione fatta da soli, esaltando in questo modo la separatezza dalle altre organizzazioni sindacali”.

Secondo gli organizzatori al termine della manifestazione c’erano 100.000 lavoratori provenienti da tutta Italia. Ad aprire il corteo uno striscione con la scritta “Il lavoro e la crisi: esigiamo le risposte”. Tante le bandiere della Cgil, della pace, ma anche di partiti della sinistra come il Pd, l’Idv, dei Comunisti Italiani e grossi palloni colorati con la scritta Flc-Cgil.

Nel corteo anche gli striscioni delle aziende in crisi come l’Eutelia: “Eutelia: come arricchire i padroni depredando i lavoratori. Landi, dove sono finiti i soldi e gli immobili di Getronics e Bull?”. I lavoratori hanno raggiunto la capitale con 3 treni e oltre 750 pullman. Tra i partecipanti anche esponenti politici nazionali come Oliviero Diliberto, Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero. In testa alla manifestazione la segretaria nazionale della Cgil Susanna Camusso e il segretario regionale del Lazio Claudio Di Berardino.

La Cgil ha deciso di scendere in piazza senza Cisl e Uil, come ha spiegato ieri Guglielmo Epifani rispondendo alle domande di RepubblicaTv. “Non siamo stati in condizione di fare una manifestazione unitaria sui temi della crisi” ha spiegato il leader della Cgil. “Questo ci è riuscito solo a livello locale, non nazionale. Sarebbe stato meglio farla insieme. Un’iniziativa comune peserebbe di più e i lavoratori, in questo momento, hanno bisogno di tutto il sindacato. Comunque, per riportare al centro i problemi di chi perde il posto, meglio soli che niente”. Da piazza del Popolo Epifani ha lanciato tuttavia un appello a Cisl e Uil: “Mando a dire a Cisl e Uil che se si volesse fare lo sciopero generale sul fisco la Cgil ovviamente è pronta ed è in prima fila”.

Con la Cgil sono centinaia, fa sapere l’Unione degli universitari, gli studenti in piazza, all’indomani del primo ok del Senato a una legge finanziaria fortemente contestata anche sui risvolti per ricerca e istruzione. Riguardo alla scomparsa dei fondi destinati ai giovani ricercatori dell’università, il leader della Cgil ha detto “è una finanziaria che non dà nulla al lavoro, agli investimenti e al Mezzogiorno e non c’è soluzione neanche per i precari dell’università”. “Manca la promessa di stabilizzare i giovani ricercatori precari”, ha spiegato il segretario generale della Cgil, aggiungendo: “gli interventi del governo vanno contro il mondo del lavoro”.

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Finanza - Economia Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

L’Italia del 2009, il Paese che guarda la tv, non si accorge della crescente disoccupazione, e non dà lavoro ai giovani talenti.

Ho sognato la star del momento, un racconto di MATTIA D’ALESSANDRO
Esasperati ed esasperanti colpi di tosse. Fu così che mi svegliai. Note poco note di bassi baritonali. Ero perfino riuscito a creare una melodia nella mia mente. A colpi di polmone. Fuori non si vedeva, ma sembrava il solito lunedì d’ottobre. Scesi dal letto, la mia spina dorsale si drizzò. Una sensazione mai sentita prima. La parrucca della zia Ester galleggiava su un mare di inchiostro. Tutto galleggiava su un mare di inchiostro. Poi qualcosa mi azzannò la caviglia. Svenni.

Al mio risveglio ero ancora nella stanza piena d’inchiostro. Mi affacciai dal letto per vedere a terra, tutto era stato pulito. Sui muri ancora i segni di quel mare nero. Cos’era stato? Di colpo ricordai del morso alla caviglia. Scalciai le coperte per vedere i segni. Quello che apparve da sotto le coperte era ed è ancora difficile a narrarsi. Un colpo di vento spalancò le finestre. Poi qualcosa di vivo mi avvolse e con me, tutta la casa. Non riuscii più a guardarmi le caviglie. L’aria era satura di polvere. Feci appena in tempo a rannicchiarmi sotto le coperte. Mi addormentai.

Rimasi un tempo infinito tra sonno e sogno. Continuavo a vedere le mie caviglie. Un mostro, mai visto prima, stava mordendole. Anzi peggio. Iniziava ad ingoiarmi, ma con lentezza. La sensazione era quasi piacevole, ogni tanto però, il mostruoso essere scaricava delle piccole dosi di elettricità sulle mie carni. Ero rapito da quella cosa. Non mi sarei mai più svegliato.

Salutai i miei piccoli, uno sguardo sfuggente alla foto di mia moglie. Entrai in macchina.

Temperatura interna: meno cinque gradi centigradi. Avvertii ancora un leggero mal di testa fino all’arrivo in azienda. Il posto auto, interno. Cancello automatizzato. Schiacciai il pulsante per l’apertura, nulla.

Dall’altro ingresso, grida e schiamazzi. Scesi dall’auto, mi avvicinai, nel gelo. Un cordone di polizia piantonava l’ingresso. I colleghi erano disperati. Alcuni cercavano di sfondare il cordone. Volò qualche manganellata.

Rientrai in macchina e tornai a casa. Mentre guidavo mi tornò in mente il mostro del sogno. Mi aveva già divorato, ero disoccupato.
Potrebbe continuare…
(Beh, buona giornata)

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Il governatore della Banca d’Italia: “Siamo meno sicuri che si stia effettivamente avviando una ripresa duratura, che non poggi solo sul sostegno straordinario delle politiche economiche”.

La crisi rovinosa si è fermata, ma la certezza di una nuova stabilità è ancora lontana. E’ il monito lanciato dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, nel corso del suo intervento alla Giornata mondiale del risparmio. “La caduta in cui le nostre economie si stavano avvitando, tra la fine del 2008 e l’inizio di quest’anno – dice il numero uno di via Nazionale – si è fermata. Siamo meno sicuri che si stia effettivamente avviando una ripresa duratura, che non poggi solo sul sostegno straordinario delle politiche economiche”. Anche da qui deriva la necessità, ”urgente”, di riprendere “il cammino delle riforme”.

Draghi diffonde anche cifre poco incoraggianti sul fronte dell’occupazione: in un anno, da settembre 2008 a settembre 2009 – sono stati persi, rivela, 650 mila possti di lavoro. Ed è probabile che negli ultimi mesi del 2009 ci saranno ulteriori perdite. Beh, buona giornata.

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Per fermare la recessione basta la televisione?

L’indice di fiducia dei consumatori mondiali è salito da 77 a 82 punti secondo i risultati della “Consumer confidence survey”, la ricerca trimestrale condotta da Nielsen a fine giugno. La ricerca dice anche che è calata la percentuale dei consumatori che pensano che il proprio Paese sia in recessione: dal 77% di aprile all’attuale 71%.

In Europa è l’Italia insieme alla Gran Bretagna a segnare il maggior incremento nell’indice di fiducia che passa dai 70 punti di aprile ai 77 di giugno.

“Per quanto riguarda il nostro Paese – ha dichiarato Stefano Galli, Amministratore delegato di Nielsen Italia – il dato di giugno segna una inversione di tendenza del clima di fiducia che torna a posizionarsi sui livelli della fine del 2007”. L’incremento di 7 punti nell’indice di fiducia sarebbe anche legato ai messaggi più rassicuranti e alle decisioni prese a supporto delle famiglie e delle imprese da parte del governo nell’ultimo periodo e alla forte caduta della pressione mediatica sul tema della crisi.

“A questo riguardo i buzz online- ha detto Galli- le discussioni in rete contenti la parola ‘recessione’ sono infatti diminuiti del 35% , come dimostrano i dati Nielsen”.

Insomma, per far risalire gli indici della fiducia dei consumatori italiani bisogna prendere due piccioni con una fava. Vale a dire: la tv deve sempre parlar bene del governo, i giornali non devono mai parlar male della crisi.

Le cose vanno male lo stesso, visto che il 20% degli intervistati si dice molto preoccupato per la possibile perdita del posto di lavoro, come rilevato da Nielsen. Però almeno l’indice della fiducia risale.

Ci sarebbe da chiedersi: a che serve l’indice della fiducia, se è basata sulle mezze verità di giornali e televisioni? Oh, bella: serve proprio ai giornali e alle televisioni, che potrebbero riprendere ad accogliere la pubblicità delle aziende, convinte che se uno ha fiducia nella ripresa, riprende a spendere.

Uno potrebbe dire: ma se la tv parla bene del governo e i giornali non parlano male della crisi, non è che questo è un bel modo per manipolare la realtà? Sì certo: ma secondo una certa “scuola di pensiero” molto in voga da noi in questi mesi, è proprio questa la fava di cui ai due piccioni, cioè giornali e televisioni. O no? Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia Lavoro

Stiamo uscendo dalla crisi?: “I 366 operai affermano di aver già posizionato delle bombole di gas collegate tra di loro in varie parti della fabbrica e di essere pronti a far saltare tutto se non si arriverà ad un accordo entro la fine del mese.”

Francia, operai in rivolta-“Facciamo saltare la fabbrica”-(fonte:repubblica.it)

PARIGI – Operai francesi in rivolta. I lavoratori della New Fabris di Chatellerault, nell’ovest della Francia, una fabbrica italiana di componenti automobilistici in fallimento, sono pronti ad un gesto estremo: se i gruppi Psa Peugeot Citroen e Renault – ex clienti dell’azienda – non verseranno 30mila euro di indennità ad ogni dipendente licenziato, faranno esplodere l’impianto. L’ultimatum scade il 31 luglio.

I 366 operai affermano di aver già posizionato delle bombole di gas collegate tra di loro in varie parti della fabbrica e di essere pronti a far saltare tutto se non si arriverà ad un accordo entro la fine del mese.

L’azienda, proprietà della veneta Zen, di Florindo Garro, da giugno è in liquidazione. Un centinaio di operai, in gran parte cinquantenni, resteranno senza lavoro e difficilmente ne troveranno un altro. Il valore dell’indennità richiesta è la stessa cifra che Renault e Psa avrebbero già versato a circa 200 dipendenti licenziati del gruppo Rencast, anche questo specializzato in componentistica auto.

“Non lasceremo che Psa e Renault aspettino agosto o settembre per recuperare i pezzi in stock e i macchinari. Se non avremo nulla noi, non avranno nulla nemmeno loro”, ha detto Guy Eyermann, responsabile sindacale. Le richieste sono state respinte dalla Psa e dalla Renault, proprietari di componenti e macchinari che si trovano all’interno della fabbrica per un valore complessivo di quasi 4 milioni di euro. “Non sta a noi sostituirci agli azionisti”, è stata la risposta della direzione di Psa Peugeot-Citroen. I rappresentanti degli operai della New Fabris, che hanno già incontrato i responsabili del gruppo Psa la settimana scorsa, saranno ricevuti giovedì dalla Renault. I lavoratori a rischio licenziamento hanno ottenuto inoltre un incontro con il ministro dell’Industria e dell’Economia Christian Estrosi il prossimo 20 luglio.

La scorsa primavera, sotto le minacce di licenziamento, centinaia di operai avevano sequestrato i dirigenti di alcune fabbriche come la Caterpillar di Grenoble (al sud), la 3M di Pithiviers (nel centro) e l’impianto Sony nelle Landes (sulla costa atlantica). Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia Lavoro

Il capolinea del governo Berlusconi.

(fonte: blitzquotidiano.it)
A Berlusconi non far sapere…ma la crisi bussa tre volte in un giorno solo. Alla porta del suo governo ma, quel che più importa, anche alla porta di casa nostra. Come il premier, anche ciascuno di noi preferisce tenerla fuori dell’uscio, ignorare i rintocchi, aspettare che si stufi e si stanchi di importunarci. Però la crisi non se ne va, anzi bussa, tre volte in un giorno.

La prima volta suona per chi i soldi li ha: 102 miliardi di quotazioni azionarie come si dice “in fumo” in un giorno. Miliardi che un giorno vanno e un giorno vengono, non è il caso di farne un dramma. E poi riguarda appunto chi ha azioni e chi ce l’ha più tra la gente normale? Solo i matti.

Se non fosse che le Borse sentono odore di bruciato. Dopo settimane e mesi di risalita perché annusavano la fatidica uscita dalla crisi, adesso sono giorni che si vende, si vende. Si vende perché non si crede che molte aziende, quelle che fabbricano cose e non finanza ce la facciano ad arrivare a fine anno. A leggere tra le righe delle cronache dei giornali si vede che molte chiusure per ferie quest’anno rischiano di essere chiusure e basta. Storie di piccole aziende, comunque la prima bussata è per investitori e azionisti, il più di noi può non sentirla.

La seconda bussata riguarda chi lavora a stipendio e a salario. Un po’ di più, parecchia più gente. La seconda bussata dice che in Europa la disoccupazione è arrivata al 9,5 per cento. Altissima. Traduzione: chi ha un lavoro rischia di perderlo, chi non ce l’ha un lavoro è quasi sicuro che non lo trova. Almeno fino al 2010, arrivarci al 2010.

La terza bussata è per i nostri figli e nipoti: il deficit dello Stato italiano nei primi tre mesi dell’anno ha viaggiato a quota 9,3 per cento della ricchezza prodotta. Una volta il tre per cento era il limite, il 4 segnale d’allarme. Ora quel nove e passa dice che lo Stato si indebita sempre più e pagheranno i figli e i nipoti nei prossimi anni e decenni. Tasse? Non ce ne sarà bisogno: sarà una tassa chiamata inflazione ad asciugare l’alluvione del debito.

Tre colpi alla porta in un solo giorno, uno per chi i soldi li ha, uno per chi vive di lavoro, l’altro per il futuro delle famiglie. Meglio non sentirli, accendiamo la tv. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: il Sole 24 Ore, giornale di Confindustria piomba a- 8% e minaccia sfracelli.

Il Sole 24 Ore ha diffuso alle agenzie stampa una nota dove comunica che il CdA del gruppo editoriale, preso atto delle proiezioni riguardanti l’esercizio in corso, si aspetta una flessione dei ricavi di circa l’8%, tenuto conto della variazione di perimetro rispetto al passato esercizio, derivante prevalentemente dalla minor raccolta pubblicitaria.

Per far fronte a questa dimunizione dei ricavi, il Consiglio di Amministrazione ha dato mandato al Presidente e all’Amministratore Delegato di predisporre ulteriori incisive iniziative, anche strutturali, di contenimento dei costi. Beh, buona giornata.

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