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Attualità democrazia Finanza - Economia Politica

Aspettando il prossimo convegno di Confindustria.

di Roberto Mania-repubblica.it

La casa brucia. L’Italia è a un passo dalla prospettiva del default. Il rendimento dei Btp decennali si è impennato oltre il 6 per cento, lo spread con i Bund tedeschi viaggia costantemente sopra il 4 per cento, la Bce ha ripreso a comprare titoli italiani, crollano le azioni in Borsa, risale l’inflazione, il tasso di disoccupazione è cresciuto all’8,3 per cento e proseguirà in salita con la cassa integrazione che via via esaurirà la sua funzione per lasciare sul campo la perdita di migliaia di posti di lavoro, un giovane su tre, infine, non ha un’occupazione. Succede tutto questo ma gli industriali, piccoli e grandi, hanno perso la voce. Dove sono?

Nelle settimane scorse avevano chiesto, tutte le loro lobby insieme (dalla Confindustria all’Abi, passando per l’Alleanza delle cooperative), “discontinuità”. Hanno lanciato, più alcuni che altri, penultimatum a gogò: ancora venti giorni, quindici, dieci, sei, poi il governo deve andarsene se non è in grado di cambiare rotta. Nulla. Berlusconi ha presentato la lettera-fuffa a Bruxelles. Una lista delle cose non fatte più che di impegni per il futuro. Ma gli industriali hanno detto che andava nella direzione giusta. Fine degli ultimatum. E poi nella lettera hanno ritrovato il vecchio spartito: basta con l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, con annesso lo slogan “più assunzioni con più licenziamenti”. Il mondo alla rovescia. Per la discontinuità insomma sono arrivati i tempi supplementari. Il rischio terrorismo evocato dal ministro Sacconi? Silenzio. Se ne parlerà – forse – al prossimo convegno. D’altra parte questo è il ponte d’Ognissanti. Il ponte degli industriali.

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Finanza - Economia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Se la pubblicità fa i conti senza l’oste: il consumatore.

Secondo l’Istat la spesa media mensile per famiglia è stata pari a 2.485 euro, praticamente invariata in termini nominali rispetto all’anno precedente (+0,2%), ma in netto calo se si tiene conto dell’inflazione

Nel 2008 la spesa media mensile per famiglia è stata pari a 2.485 euro, praticamente invariata rispetto all’anno precedente (+0,2%). Il dato emerge dall’analisi annuale dell’Istat sui consumi delle famiglie. La variazione, che tiene conto del tasso di inflazione pari al 3,3%, mette in evidenza la netta flessione della spesa in termini reali.

Lo scorso anno, la spesa per generi alimentari e bevande si è attestata sui 475 euro, circa 9 euro in più rispetto al 2007. Il risultato sembra essenzialmente dovuto alla sostenuta dinamica inflazionistica dei generi alimentari (+5,4%). Le famiglie hanno però cercato di contenere le spese: più del 40% delle famiglie ha dichiarato di aver limitato l’acquisto o di aver scelto prodotti di qualità inferiore o diversa rispetto all’anno precedente (la percentuale è del 43,4% se si considera l’acquisto di pane; il 49,2% per la pasta, il 55,7% per la carne, il 58% per il pesce e il 53,7% per frutta e verdura).

Le spese familiari per generi non alimentari passano dai 2.014 euro del 2007 ai 2.009 euro del 2008. Aumentano le spese per combustibili: la composizione percentuale rispetto al totale della spesa passa dal 4,7% del 2007 al 5,2% del 2008. L’aumento è determinato, spiega l’Istat, da un lato dalla spesa contenuta nel 2007 e dall’altro dalla sostenuta dinamica dei prezzi per combustibili nel 2008.

Analizzando la situazione a livello territoriale si riscontra una sostanziale stabilità del livello di spesa in termini nominali: nel Nord la spesa media mensile delle famiglie è stata pari a 2.810 euro (+0,5% rispetto al 2007), nel Centro a 2.558 euro (+0,7%) e nel Mezzogiorno a 1.950 euro (-1%). Beh, buona giornata.

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“Magari il G8 fosse quello che i no global immaginano e paventano, magari ci fosse un governo del mondo. E’ proprio quel che manca il governo del mondo, ma questo tutti gli attori in scena non lo racconteranno, perderebbero la parte.”

G8, il fumo e l’arrosto: non fidatevi di stampa e tv, italiane e straniere. Raccontano solo la scena, ma la sostanza…di Lucio Fero-blitzquotidiano.it

Del G8 ci sarà raccontata solo e soprattutto la scena. Poco o niente ci verrà invece narrato della sostanza. Per abitudine e pigrizia, per modello culturale e metabolizzata ignoranza, per libera scelta ed imposto modello, il grande sistema di comunicazione di massa altro non vede e quindi “comunica” che la scena. Non necessariamente il fumo al posto dell’arrosto, ma sempre e comunque la scena sì e la sostanza no. Poco male, tenendo conto che il G8 è per ammissione e consapevolezza dei suoi stessi protagonisti soprattutto “parata”, sfilata di problemi, esibizione di intenti. Poco male la narrazione limitata alla scena, basta, basterebbe, saperlo. Ma stavolta c’è qualcosa di più e di diverso: stavolta nel e del racconto della scena non bisogna fidarsi, sia che venga da stampa e tv italiane, sia che arrivi da stampa e tv straniere.

Entrambe narreranno in maniera inaffidabile. Perchè il G8 si svolge in Italia. Un paese dove l’appunto alla scenografia, la non lode della messa in scena diventa un atto destabilizzante, politicamente destabilizzante. Quindi la gran parte dei media italiani si sentiranno investiti di una responsabilità e di un mandato “istituzionale” a raccontare che tutto è risultato grande utile e bello della tre giorni abruzzese. Sarà un racconto di trionfi e perfezione “a prescindere”. Come altrettanto a prescindere dalla realtà sarà il racconto di una minoranza dei media italiani, pronti a cogliere un cigolio di una porta o un mugugno di cittadino come presagio di debolezza politica. Succede nei contesti emergenziali-autoritari che l’arredo, la puntualità, la soddisfazione dei commensali a tavola siano indicati dal potere e raccolti dall’informazione come simboli e notizie di buon governo e viceversa. Succede oggi in Italia.

Simmetricamente da non fidarsi sarà la narrazione della stampa e tv straniere. Se la comunicazione italiana ha ingurgitato e assimilato il pregiudizio della lode come “mission” informativa, fuori dai confini si adotta il pregiudizio per cui un paese berlusconizzato non può che essere “unfair” qualunque cosa faccia. La stampa straniera descrive un paese politico che non c’è, racconta gli ultimi giorni di “Berluscolandia”, racconterà a prescindere i tre giorni de L’Aquila applicando lo stesso falso schema.

La scena del G8 verrà dunque narrata con enfasi e trionfi che non ci sono se non nel dettato della regia, oppure con incertezze e passi falsi costruiti a tavolino. Comunque racconti già scritti. Solo il terremoto nella sua disumana imprevedibilità potrebbe mutare i racconti che sono già nella testa degli uomini. O forse nemmeno il terremoto. In caso di una scossa che sconvolgesse il G8, probabilmente anche qui i racconti sono due e già scritti anch’essi: il racconto dell’eterno otto settembre italiano in cui tutti si squagliano, lo Stato per primo, oppure il racconto di San Bertolaso che sconfisse il Drago che scuoteva la terra portando al dito l’anello magico consegnatogli da re Silvio.

E la sostanza del G8? Hanno davanti le tre fasi della crisi economica. Quella finanziaria che è tamponata, arginata ma non finita. Devono, dovrebbero, vogliono, vorrebbero scrivere e far rispettare nuove regole restrittive all’uso finanziario del denaro su scala planetaria. Non sanno se si può fare, non sanno fino a che punto è utile farlo, non sanno se riusciranno a farlo tutti insieme.

Quella del lavoro e dell’occupazione che cala, la fase della crisi che non è tamponata e anzi si allargherà per almeno due anni. Devono decidere se fronteggiarla spendendo denaro pubblico, ma non possono indebitarsi tutti alla stessa maniera. Oppure rintanandosi e aspettando che passi. E poi ci sarà la terza fase, quella del rientro dai debiti pubblici dilatati, quella che, quando verrà, potrebbe stroncare più di una popolarità e di un governo. Quando verrà sarà l’inizio della fine della crisi ma sarà il momento delle tasse o dell’inflazione.

Devono e vogliono, ma non parlano la stessa lingua. Negli Usa la “lingua” del governo e del paese coniuga la grammatica della speranza, la retorica del nuovo inizio, la sintassi della scommessa ed è una lingua parlata con un “accento” culturale che potremmo definire emotivamente e socialmente di sinistra. In Europa si parla la lingua della paura, della difesa strenua dell’esistente, della bilancia tra le corporazioni. Alla crisi l’Europa reagisce con sentimenti e voglia di destra. Accadde già dopo la crisi del 1929, di là il New Deal, di qua la borghesia e i ceti popolari impauriti che sceglievano regimi autoritari. L’ha rilevato D’Alema, non per questo vuol dire sia sbagliato. E’, insieme, una suggestione storica e una constatazione empirica. In ogni caso non saranno i G8 a L’Aquila a decidere, saranno i G20 a Pittsburgh a settembre. E’ quella la sede dove parlano e contano le altre grandi economie mondiali, a partire dalla Cina che ha, niente meno, bisogno insieme di sviluppo del Pil, welfare interno, stabilità finanziaria degli Usa e mantenimento del livello dei consumi americani. Lettere a appelli di Ratzinger o Bono è meglio che portino anche questo secondo indirizzo.

Ci sono poi e niente meno che la pace e la guerra. Se la Cina non taglia il cordone ombelicale, la Corea del Nord non crolla e non molla. Ma, se la Corea crolla, la Cina deve accollarsela. Quindi la Cina non taglia. E non deciderà certo di farlo a L’Aquila. L’Iran: con somma leggerezza e disinvoltura Berlusconi ha annunciato giorni fa nuove sanzioni verso Teheran. Sanzioni che non ci saranno. Non funzionano e Mosca non vuole che funzionino. E poi sanzioni potrebbero rafforzare il regime ormai militare di Teheran. Con l’Iran l’Occidente non sa bene che fare. L’unica cosa che sa bene, Obama e non l’Europa, è che in Afghanistan c’è una guerra vera da non perdere. Lui infatti ha deciso di combatterla, gli altri stanno a guardare, i più amichevoli fanno il tifo ma non osano dire alle rispettive opinioni pubbliche che val la pena morire per Kabul.

Quindi il clima. Strana umanità quella rappresentata al G8. Non c’è cittadino del mondo sviluppato che non sia consapevole e preoccupato. Però quando questo cittadino diventa imprenditore, operaio, automobilista o comunque consumatore di energia, consapevolezza e preoccupazione evaporano. Obama una legge perchè gli americani consumino meno e diversa energia l’ha fatta. Negli Usa proveranno ad applicarla. In Europa una direttiva l’avevano fatta, l’abbiamo fatta. Nella certezza che nessuno l’applicherà.

Sostanza dura e scarsa dunque quella del G8. Ma non si vedrà perchè sarà tutta scena, scena per la quale lavorano anche quelli che protestano. Gridano che non vogliono che otto o ottanta potenti decidano per il mondo, per i popoli. Giurano che questo è il guaio. Al netto del fatto che i popoli, quando parlano, parlano con discreta babele tra loro e comunque con lingua non sempre diritta, il vero guaio è che gli otto o ottanta potenti sono abbondantemente impotenti. Magari il G8 fosse quello che i no global immaginano e paventano, magari ci fosse un governo del mondo. E’ proprio quel che manca il governo del mondo, ma questo tutti gli attori in scena non lo racconteranno, perderebbero la parte. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro

Crisi: sale l’inflazione, scendono occupazione e stipendi. Alla faccia di chi vede segnali di ripresa.

L’inflazione ad aprile è salita all’1,3%, dall’1,2% di marzo, su base annua. Lo comunica l’Istat, nella stima preliminare, aggiungendo che su base mensile i prezzi al consumo sono aumentati dello 0,3%. A livello tendenziale, il dato segna il primo rialzo, per quanto marginale, dopo sette mesi di tendenza al rallentamento.

Grandi imprese. A febbraio l’occupazione nelle Grandi imprese ha registrato una variazione negativa dell’1% al lordo della Cassa integrazione guadagni e del 3,2% al netto della Cig. Il raffronto è sullo stesso mese del 2008.

L’Istat aggiunge che l’indice depurato dagli effetti della stagionalità ha segnato un calo rispetto al mese precedente dello 0,2% al lordo della Cig e dello 0,6% al netto dei dipendenti in Cig.

Gli stipendi. La retribuzione lorda per ora lavorata nel totale delle Grandi imprese ha registrato a febbraio un aumento congiunturale (al netto della stagionalità) dell’1,2% rispetto al mese precedente ed un calo tendenziale, misurato sull’indice grezzo, del 2,7%. Beh, buona giornata

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