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Il caso Battisti: dite al ministro Frattini che chi è causa del suo male, piange se stesso (e il suo “padrone” politico).

di MARCO DAMILANO-http://damilano.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/01/02/battisti-ditalia/

«Basta con le dottrine che difendono i latitanti», tuona il ministro degli Esteri Franco Frattini a proposito di Cesare Battisti. «Con tutto il rispetto per il presidente Lula, non è l’Italia il paese dei desaparecidos, non è che qui in galera si tortura, si uccide o si fanno sparire i detenuti». Giusto, giustissimo. Con tutto il rispetto per il ministro Frattini, però, si poteva evitare di far cadere in equivoco il brasiliano Lula anche con talune descrizioni della nostra macchina giudiziaria arrivate dall’Italia, e da sedi autorevoli. «In Italia siamo tutti spiati, ci sono 150mila telefoni sotto controllo. Così non siamo in un paese civile, non è una vera democrazia». «L’Italia non è davvero un paese democratico: la sovranità non appartiene al popolo ma a certi giudici, sono una metastasi». Quest’ultima affermazione, formulata da Silvio Berlusconi proprio in Brasile, a San Paolo, lo scorso 29 giugno, potrebbe aver indotto Lula a pensare che in Italia la democrazia è sospesa e che siamo in mano a una dittatura.

Dice Frattini: basta con la difesa dei latitanti. Giusto: ma come fa a gridarlo l’esponente di un partito che ha sempre considerato, per fare un esempio, Bettino Craxi un esule politico e non invece un latitante condannato per tangenti da riportare in Italia (e da curare e da trattare con umanità, certo, ma questo è un discorso che riguarda qualsiasi detenuto)? Un anno fa il ministro degli Esteri era in prima fila ad Hammamet per commemorare Craxi: «è stato un grande uomo di Stato», si pavoneggiò in quell’occasione, «è un dovere morale essere qui. Un gesto di ribellione contro l’ingiustizia di certa giustizia italiana». Lula sottoscriverebbe, Battisti pure: anche lui si ribella.

Afferma Frattini: in Italia non c’è una giustizia che tortura. Benissimo: ma perché, allora, i berlusconiani da anni sono impegnati in una guerra senza quartiere contro la magistratura in blocco, considerata come un impedimento a governare o, peggio ancora, eversiva e golpista, fino a progettare uno scudo che salvi il premier dai processi? Cercano di sfuggire ai tribunali e, in caso di condanna, gridano alla sentenza politica, da non riconoscere: esattamente come Battisti e i suoi amichetti (tra cui la scrittrice Fred Vargas: il suo personaggio, il commissario Adamsberg, “spalatore di nuvole”, non la riconoscerebbe, intenta com’è a spalare cavilli giuridici, ignoranza storica e disumana lontananza dai sentimenti delle vittime. Ha un lettore in meno, almeno).

Attenzione: Craxi non è Battisti, e neppure Berlusconi. E il terrorismo politico e gli omicidi non sono neppure moralmente paragonabili al reato di finanziamento illecito. Ma le reazioni sono simili: gli stessi tic, gli stessi alibi, le stesse accuse contro la magistratura che sarebbe politicizzata e di parte. Non è una convergenza casuale. Già negli anni Settanta c’era una parte della società italiana che lavorava e faticava per dare un senso al vivere insieme: gli eroi anonimi, borghesi, nella pubblica amministrazione, nella scuola e nelle università, nelle fabbriche. E un’altra parte che invece considerava lo Stato un mostro da distruggere, le istituzioni democratiche un fantoccio, le persone che queste istituzioni incarnavano simboli da abbattere. Una cultura molto più diffusa di quanto si pensi, che unisce ex terroristi rossi e ex terroristi neri (si fecero vedere tutti insieme, due anni fa, alla presentazione di un libro sulla strage di Bologna, in un ributtante abbraccio collettivo, il fotografo di Dagospia Umberto Pizzi se ne andò indignato), ma anche chi negli stessi anni militava in logge massoniche occulte con lo stesso obiettivo: rovesciare la Costituzione.

Sì, c’è una cultura che accomuna alcuni amici di Battisti e alcuni amici del premier, e che spiega perché mai alcuni esponenti ex Lotta Continua e ex Potere Operaio si siano ritrovati a scrivere sui giornali della destra berlusconiana e a inneggiare alla rupture operata dal Cavaliere. La rottura con le regole dello Stato democratico, l’indifferenza per le istituzioni, il disprezzo per i servitori dello Stato, siano essi un commissario di polizia o un carabiniere o un magistrato o un giornalista o un operaio (perché Walter Tobagi e Guido Rossa sono stati due grandi servitori dello Stato). Il giudice Emilio Alessandrini, assassinato a Milano da Prima Linea dopo aver indagato su piazza Fontana, nel ‘79 aveva solo 37 anni: fosse vissuto quindici anni di più sarebbe stato probabilmente considerato una toga rossa o addirittura un eversore.

Quel terrorismo nero e rosso ci ha strappato gli uomini migliori, la mafia ha fatto il resto. Ci restano i Cesare Battisti: un piccolo, volgare criminale che ha trovato una valvola di sfogo per il suo sadismo sotto l’ombrello della lotta politica e che nel suo narcisismo infinito oggi godrà nel vedersi al centro di uno scontro internazionale. Ma non è un caso isolato. Sono tanti i Battisti d’Italia, mascherati da rivoluzionari, furbastri e impuniti, nel paese dell’illegalità, dove gli uomini delle istituzioni continuano a essere derisi e insultati, le vittime a restare senza giustizia e la memoria collettiva a essere tradita.

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Quest’anno, niente auguri di Buon Anno nuovo.

La vicenda della non concessione dell’estradizione a Cesare Battisti, chiude un anno di incapacità, gaffes e cialtronerie in politica estera del governo Berlusconi. Scrive Benedetta Tobagi, su Repubblica di oggi, 31 dicembre:

” La pagina nera della gestione vergognosa di questa vicenda di estradizione va ad aggiungersi alle gaffes collezionate dal premier Silvio Berlusconi all’estero, oggetto di scherno (per gli stranieri) e profondo imbarazzo (per buona parte dei cittadini italiani), che negli anni hanno degradato l’immagine dell’Italia e della sua diplomazia. E sì che la vicenda è antica, e si sa quanto sia delicata, su molteplici fronti. Nel campo dei rapporti bilaterali, la legittima
domanda della giustizia italiana si scontra con la Realpolitik, nutrita dai fortissimi interessi economici che legano Italia e Brasile: basti ricordare che Lula l’altroieri stava inaugurando un nuovo stabilimento Fiat in Brasile, oppure Telecom, che considera il Brasile “una seconda patria”, o l’accordo di partnership militare, 5 miliardi di forniture militari da Finmeccanica e Fincantieri (che imporrebbe al ministro della Difesa La Russa un imbarazzato silenzio, anziché dichiarazioni ammiccanti a un generico boicottaggio)”.

Per poi aggiugere la ferale notizia dell’ennesima lingua biforcuta di Berlusconi: ” Se si può dubitare della buona fede del senatore brasiliano Eduardo Suplicy, fiero sponsor di Battisti, altrettanto triste scetticismo suscitano le smentite da Palazzo Chigi da parte di un premier che è uso invalidare dichiarazioni battute dalle agenzie e riprese dalle telecamere”.

L’anno si chiude, ma le vicende che riguardano l’incapacità del governo Berlusconi continueranno anche oltre la mezzanotte dell’ultimo giorno del 2010. Esse riguardano la governabilità di una compagine senza maggioranza reale; la grottesca vicenda della munnezza a Napoli, perché di promesse in promesse i napoletani faranno il Capodanno tra i cumuli di immondizie nelle strade; l’apertura dell’inchesta a Lecce, promossa dagli azionisti Alitalia contro la dissennata scelta di liquidare la compagnia di bandiera, per farla mangiare da una nuova campagnia, permettendo di scaricare i debiti su una bad company, violando le leggi, come al solito; la vicenda della Fiat, che dimostra l’incapacità assoluta del governo di mediare le tensioni sociali,vicenda che porterà a una scontro frontale tra diritti acquisiti e interessi meramente finanziari dell’azienda torinese. E poi ci sono i terremotati de L’Aquila, cittadini senza città, dunque senza cittadinanza. E poi ci sono studenti, insegnanti, precari e ricercatori per i quali, come ha sottolineato lo stesso presidente della Repubblica, sono state varate norme sbagliate. E poi ci sono pastori sardi, trattati come servi della gleba, pestati, respinti e deportati in Sardegna, come se non fossero cittadini italiani, come se per il nostro governo fossero “indesiderati” sul territorio italiano. E poi c’è il generale impoverimento delle famiglie italiane, su cui graveranno, senza controlli, gli aumenti previsti di tutte le tariffe nel 2011. E poi, proprio oggi un altro militare italiano è caduto in Afghanistan

Purtroppo, il cambio di un anno è solo una superstizione del calendario. Il cambio di un governo, bugiardo, cialtrone, incapace, arrogante, sciagurato e pericoloso è da venire. Solo quel giorno ci potremo fare davvero auguri di buon anno. Beh, buona giornata.

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La protesta dei pastori sardi ricorda a tutti che la Sardegna non è solo la villa di Berlusconi, la villa di Lele Mora e neppure solo il locale notturno di Briatore. E ricorda a Bossi che è troppo facile fare il furbo con le quote latte dei produttori “padani”. E ricorda a tutti che in Italia in lotta contro il governo ci sono studenti, operai, precari, cittadini vittime della munnezza, ma anche i pastori. Chi non si fa pecora il lupo non se lo mangia.

(fonti: repubblica.it; ansa.it)

Scontri fra allevatori sardi e polizia al porto di Civitavecchia. Circa duecento membri del Movimento Pastori Sardi sono sbarcati questa mattina all’alba, decisi a compiere un blitz nella capitale. Ma ad attenderli hanno trovato un presidio delle forze dell’ordine che ha impedito loro di salire sui pullman che li stavano aspettando per condurli a Roma. E li ha bloccati nell’area portuale. Due di loro sono stati denunciati in stato di libertà per resistenza a pubblico ufficiale, tutti sono stati denunciati per manifestazione non autorizzata.

“Siamo padri di famiglia, invece ci stanno trattando come criminali – dice Felice Floris, uno degli organizzatori della protesta – siamo venuti con intenzioni pacifiche e invece continuano a impedirci di muoverci. Stasera torneremo in Sardegna scortati dalle forze dell’ordine anche durante la traversata. E’ una vergogna – aggiunge – siamo stati sottoposti a un vero e proprio sequestro preventivo, insieme ai pullman i cui autisti sono stati identificati e minacciati di denuncia se solo si fossero mossi. Non solo, successivamente ci hanno privati dell’elementare diritto di salire sui treni diretti a Roma. E pensare – conclude il leader del Movimento – che una nostra delegazione voleva solo proporre al ministero la costituzione di un Coordinamento mediterraneo dei paesi che praticano la pastorizia allo scopo di far fronte alle attuali normative che penalizzano pesantemente l’intera categoria”.

Il comparto agro pastorale della Sardegna è sul piede di guerra da mesi. Gli allevatori del Movimento pastori sardi (Mps) chiedono contributi per il settore (un de minimis di 15 mila euro per azienda) ed un equo prezzo per il latte ovi-caprino.

La protesta è rivolta contro il Governo ma soprattutto contro la Regione, accusata di non aver mantenuto gli accordi siglati il 2 novembre scorso a Cagliari dopo giorni di occupazione del Consiglio regionale culminati con una guerriglia urbana che ha portato in carcere alcuni manifestanti.

I pastori, insoddisfatti dalle risposte della Giunta Cappellacci, contestano la legge salva-agricoltura – 147,7 milioni in tre anni – approvata dall’Aula a novembre nei giorni caldi della contestazione, con le associazioni professionali di categoria che si sono spaccate andando in ordine sparso.

Al Movimento guidato da Felice Floris non piacciono gli interventi messi in campo dalla Regione sia per l’eseguità dei fondi a disposizione che per le modalità di assegnazione delle risorse.

Secondo i pastori, il rischio è che i contributi coprano solo una parte delle aziende, lasciando le briciole a quelle più piccole. Per sostenere la loro protesta, gli allevatori hanno promosso in questi mesi iniziative eclatanti con blocchi stradali che hanno tagliato in due la Sardegna, occupazione di porti e aeroporti. (Beh, buona giornata).

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Berlusconi fa finta di tenere botta, perché s’aspetta botte e a paura dei botti.

“Mi hanno accusato di tutto, dalle stragi alla mafia, alla corruzione: di tutto. Non c’è nulla da cui io sia stato lasciato esente. Ma io tengo botta” ha replicato il presidente del Consiglio. “Tu mi capisci perché anche tu sei vittima – ha continuato Berlusconi con evidente riferimento alle vicende giudiziarie di don Gelmini – ma io cerco modestamente di imitarti, come tieni botta tu tengo botta io”. Anche perché, ha aggiunto Berlusconi, “deluderemmo tanti se lasciassimo”. Beh, buona giornata.

p.s: Don Pierino Gelmini è stato rinviato a giudizio per avere molestato sessualmente 12 giovani quando erano ospiti della Comunità Incontro di Amelia. Questa la decisione del Gup di Terni Pierluigi Panariello. Il processo comincerà il 29 marzo 2011. Berlusconi sarà ancora in carica?

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Gli scontri del 14 dicembre la memoria sbagliata di Gasparri, capo manipolo del Pdl.

“Invece delle sciocchezze che vanno dicendo i vari Cascini e Palamara, qui ci vuole un sette aprile. Mi riferisco a quel giorno del 1978 in cui furono arrestati tanti capi dell’estrema sinistra collusi con il terrorismo”. Maurizio Gasparri, dixit. Peccato che quel 7 Aprile fu nel 1979. L’ennesimo colpo di sonno della memoria del capo-manipolo. Beh, buona giornata.

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Gli scontri del 14 dicembre e la memoria troppo corta del sindaco Alemanno.

(fonte: repubblica.it)

Non sono solo i magistrati ad essere risentiti: “Evidentemente il sindaco ignora che nel nostro paese esistono principi e garanzie costituzionali, prima fra tutte la presunzione di innocenza, irrinunciabile baluardo del cittadino”, afferma in un comunicato la Camera penale di Roma. In un documento, l’organo di rappresentanza dei penalisti capitolini esprime “sconcerto e preoccupazione” per le dichiarazioni del sindaco. “Il loro contenuto – si legge nell’atto – evidenzia una concezione della Giustizia da stato di polizia, fondata sul principio del capro espiatorio. Chi è stato arrestato deve rimanere in carcere ed essere condannato duramente e subito, anche senza processo”.

“Questa concezione della giustizia penale – prosegue la Camera Penale – non ci appartiene e non appartiene alla nostra Repubblica. La Camera Penale di Roma ha una memoria più lunga e ricorda le tante vicende di cittadini arrestati, processati ed infine assolti; vicende che anche il sindaco Alemanno dovrebbe ben rammentare, considerato che, come scrivono oggi i quotidiani, in un non troppo lontano passato lui stesso si è trovato appunto ad essere arrestato, processato ed assolto per atti di ‘violenza politica’. Sarebbe interessante sapere come la pensava in quelle occasioni…”. (Beh, buona giornata).

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Omicidio Sandri: “Proprio la differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente, applicata al caso specifico e con scelta finale per il primo (in difformità dai giudici aretini), ha catalizzato le discussioni di accusa e difesa, e probabilmente, anche la discussione della corte d’assise in camera di consiglio”. La giustizia sta facendo il suo corso. Adesso tocca alla famiglia Sandri fermare ogni altra speculazione politica nata sulla morte di Gabriele.

Perché fu omicidio volontario e non colposo
La sottile differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente-Agenzia Ansa

Si muove sul filo sottile della teoria giuridica “dell’accettazione del rischio” la sentenza con la quale la corte d’assise d’appello di Firenze ha condannato a nove anni e quattro mesi di reclusione, per omicidio volontario, il poliziotto Luigi Spaccarotella, che l’ 11 novembre 2007, nell’area di servizio Badia al Pino, vicino ad Arezzo, uccise con un colpo di pistola il tifoso laziale Gabriele Sandri.

I giudici hanno dichiarato il poliziotto colpevole di omicidio volontario per dolo eventuale, modificando la sentenza di primo grado con la quale la corte d’assise di Arezzo aveva qualificato il fatto come omicidio colposo aggravato da colpa cosciente ed aveva inflitto al poliziotto una pena di sei anni di reclusione Proprio la differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente, applicata al caso specifico e con scelta finale per il primo (in difformità dai giudici aretini), ha catalizzato le discussioni di accusa e difesa, e probabilmente, anche la discussione della corte d’assise in camera di consiglio.

I giudici sono partiti dalla considerazione che l’agente Spaccarotella, nel momento in cui ha impugnato l’arma ed ha deciso di sparare, ha messo in conto la concreta possibilità del verificarsi di un evento lesivo. Muovendo da questa premessa, comune sia al dolo eventuale sia alla colpa cosciente, i giudici hanno distinto tra le due fattispecie.

Per dichiarare il dolo eventuale, hanno dovuto ritenere che il poliziotto avesse fatto seriamente i conti con la possibilità di colpire il gruppo di tifosi laziale che era dall’altra parte dell’autostrade e, nonostante ciò, avesse deciso comunque di sparare. Per ritenere la colpa cosciente, i giudici avrebbero dovuto, invece, ritenere – come avevano fatto i giudici di primo grado – che Spaccarotella, pur avendo deciso di sparare, in realtà confidasse nel fatto che comunque non avrebbe colpito i tifosi.

Due esempi scolastici spiegano la differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente: – dolo eventuale: Tizio, disturbato da ragazzi che schiamazzano in strada, lancia contro di loro dal balcone della propria abitazione una bottiglia di vetro, pur prevedendo possibili ferimenti e colpendo di fatto un ragazzo; – colpa cosciente: Caio, effettuando un sorpasso automobilistico in una curva pericolosa, ha ben presente la possibilità di provocare uno scontro; facendo leva, però, sulla conoscenza della strada e sulla sua abilità di guidatore, egli si convince di poter in ogni caso evitare l’incidente che, tuttavia, si verifica.

Nel caso di Spaccarotella, la scelta della corte d’assise di Arezzo era stata per la colpa cosciente, con affermazione del reato di omicidio colposo e non di omicidio volontario; quella della corte d’assise d’appello di Firenze è stata invece di dolo eventuale, con affermazione del più grave reato di omicidio volontario e conseguente pena più severe rispetto a quella di primo grado.

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Che cosa ha combinato in Parlamento il ministro dell’Interno?

Con riferimento alle dichiarazioni rese dal ministro dell’Interno Maroni ieri 9 novembre al Senato in merito al caso della minorenne in oggetto, essendo stata personalmente coinvolta nella vicenda in veste di pubblico ministero della Procura per i minorenni di Milano di turno il 27 e il 28 maggio 2010, osservo che esse non corrispondono alla mia diretta esperienza”. “Poiché il ministro – prosegue la missiva – ha tenuto a rimarcare che il corretto comportamento degli agenti è stato confermato anche dalla autorità giudiziaria per voce del procuratore Edmondo Bruti Liberati all’esito di specifica istruttoria, chiedo che la discrepanza con i dati di realtà che sono a mia conoscenza venga chiarita”. il pm dei Minori Annamaria Fiorillo dixit. Beh, buona giornata.

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Il governo non c’é più. Per fortuna, il Capo dello Stato c’è.

“Attenzione alle scadenza di impegni inderogabili per il Paese. In particolare alla legge di stabilità e a quella di bilancio”. Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica dixit. Beh, buona giornata.

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Lavoratori di tutto il mondo, unitevi per dire al vostro capo che non capisce un cazzo.

fonte: ilmessaggero.it
«Lei non capisce un c…». Dirlo al datore di lavoro si può. Almeno secondo una sentenza emessa dal giudice di Pace del Tribunale di Frosinone che si è appellato al «gergo comune» sdoganando quella che potrebbe essere considerata una frase ingiuriosa. E così infatti l’aveva interpretata il titolare di un’agenzia di sicurezza privata che durante un’animata discussione con un suo dipendente si ritrovo investito da un «Lei non capisce un c…» dove l’incipit della frase, un forbito Lei, strideva con la parola finale, dal significato diretto. Troppo diretto tanto che il titolare denunciò il suo dipendente per ingiurie. In primo grado arrivò la condanna ma il legale del dipendente, l’avvocato Nicola Ottaviani del foro di Frosinone, si appellò e ci fu l’annullamento per un vizio procedurale.

Il processo fu rimesso così al giudice di pace. Non solo ma la difesa ha argomentato che quella frase, seppur colorita, non può più essere considerata reato perchè «rientra nel gergo comune». E per avvalorare l’ipotesi difensiva l’avvocato si è appellato all’orientamento di circa due anni fa della Corte di Cassazione su un «vaffa….» considerato non più reato. Così ieri il giudice di Pace del Tribunale di Frosinone ha riconosciuto quella frase non ingiuriosa. (Beh, buona giornata).

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Fenomeni paraculi: se è tutto regolare, Berlusconi spieghi perché il suo avvocato Ghedini si è preoccupato per una trasmissione tv sulle sue proprietà immobiliari nell’Isola di Antigua.

Berlusconi, “Operazione Antigua”-Le ville e quegli affari off-shore-Milano, Lugano, Caraibi: triangolo da 20 milioni, passati attraverso la Banca Arner. Ignorate le norme antiriciclaggio: L’istituto di credito svizzero è al centro di un’inchiesta delle procure di MIlano e Palermo, di WALTER GALBIATI-repubblica.it

È il 20 settembre 2007 quando al Land register di Saint John, la capitale di Antigua, si presenta il signor Silvio Berlusconi. Con una riga il funzionario di turno cancella dal registro la società Flat Point e trasferisce la proprietà di un terreno di poco più di quattro acri all’illustre cittadino italiano. L’appezzamento si trova dalla parte opposta dell’isola. È una porzione di collina che scende fino al mare dove si apre una spiaggia di sabbia bianca, finissima. Gli abitanti di Willikies, un paesino che sorge lì vicino, la chiamano Pastrum, perché lì portavano a pascolare i loro animali. Non ne mancano nemmeno di selvatici, soprattutto scimmie. Da almeno quindici anni quei posti sono recintati. “È da molto tempo che questa costa è al centro di un progetto immobiliare, ma i lavori sono iniziati solo negli ultimi anni” spiega Hugenes, un pescatore del luogo. La baia si chiama Nonsuch Bay e va da un lembo di terra che quasi tocca la vicina Green Island, un paradiso meta delle gite dei turisti, a Flat Point, una punta piatta coperta da vegetazione caraibica. E Flat Point Devolopment Limited si chiama la società che si è presa in carico i terreni con l’obiettivo di sviluppare un imponente progetto turistico. Qui sorgerà, e in parte è già nato, l’Emerald Cove, un resort che nel nome riecheggia la nostra Costa Smeralda, il tratto di Sardegna, patria dei vip, e disegnata in gran parte dall’architetto Gianni Gamondi, l’architetto di Villa Certosa, la residenza sarda di Silvio Berlusconi, lo stesso architetto che curerà lo sviluppo per Flat Point.

Qualche tempo fa, era stato il gruppo Maltauro, una famiglia di costruttori vicentini a mettere gli occhi su Nonsuch Bay, ma non se ne fece mai nulla. Poi improvvisamente è arrivata la Flat Point, nel 2005 la macchina si è messa in moto, le pratiche si sono sbloccate e le case sono iniziate a crescere come funghi, una dietro l’altra, l’obiettivo è arrivare ad averne un centinaio. I reali beneficiari economici, tuttavia, si celano dietro una ragnatela di società schermate, una cortina offshore, che forse qui nel paradiso fiscale di Antigua non appare certo tanto esotica, ma che diventa tale in Italia, dove la società raccoglie la maggior parte dei suoi capitali. La sede della Flat Point è al 26 di Cross Street a St. John, il capitale è interamente controllato dalla Emerald Cove Engineering Nv, una società di Curacao (nelle Antille Olandesi, poste poco più a Nord di Antigua), a sua volta controllata dalla Kappomar sempre di Curacao. L’amministratore della Flat Point è Giuseppe Cappanera, mentre i fiduciari delle holding sono Carlo Postizzi, Giuseppe Poggioli e Flavio De Paulis. I primi sono rispettivamente un avvocato e un fiduciario che si muovono tra la Svizzera e l’Italia, mentre il terzo è un dipendente di Banca Arner. Di chi facciano gli interessi è un mistero, ma il coinvolgimento della banca elvetica, già commissariata e al centro di un inchiesta per riciclaggio delle procure di Milano e Palermo, getta qualche spiraglio di luce almeno su chi abbia convogliato del gran denaro verso la Flat Point.

Dal bilancio 2005 della società, emerge che Banca Arner ha finanziato per 6 milioni di dollari caraibici (circa 1,6 milioni di euro al cambio attuale) l’operazione sulla costa di Nonsuch Bay, ma il principale sponsor della scatola offshore sembra essere, come ricostruito da Banca d’Italia, il premier Silvio Berlusconi, da sempre legato a Banca Arner, non solo attraverso uno dei suoi storici fondatori Paolo Del Bue, ma anche per i suoi depositi nella sede di Corso Venezia a Milano: il conto numero uno è suo, mentre altri fanno capo alle holding della sua famiglia (per un totale di 50 milioni di euro) o a uomini del suo entourage.
Dai conti personali di Berlusconi accesi presso Banca Intesa e Monte dei Paschi di Siena sono partiti ingenti bonifici verso un conto di Flat Point aperto proprio presso la sede milanese di Banca Arner, la quale a sua volta ha girato gli stessi corrispettivi alla sede di Lugano. Oltre 1,7 milioni nel 2005, altri 300mila nel 2006, ma è nel 2007, l’anno in cui avviene il passaggio di proprietà del terreno di Nonsuch Bay che i movimenti di denaro salgono alle stelle. In tutto oltre 13 milioni di euro: a ridosso del 20 settembre, la data dell’atto del Land register, esattamente il 10 di quel mese, passano da Milano a Lugano 1,7 milioni di euro e un mese dopo altri 3,6 milioni. Nel 2008 ancora più di 6 milioni prendono il volo per la Svizzera. Un mare di soldi che si muovono, però, senza una corrispondenza tra le somme scritte nei contratti ufficiali depositati dalla Flat Point in banca e i bonifici. Gli importi appaiono molto elevati rispetto a quanto vi è di ufficiale. Nel bilancio della Flat Point i 29 acri di terreno su cui sorge lo sviluppo immobiliare sono stati iscritti per un valore di 2,7 milioni di dollari caraibici (poco più di 700mila euro), così come attestato dalla perizia del 2004 di Oliver F. G. Davis, un esperto immobiliare. Molto meno di quanto versato dai conti del premier. Berlusconi da solo muove oltre 20 milioni di euro e dai registri risulta aver acquistato solo 4 acri di terreno.

Rimane ambiguo anche il motivo per cui l’istituto elvetico abbia fatto passare quei soldi da Milano a Lugano senza bollare come sospetto il traffico di valuta. La normativa antiriciclaggio di Banca di Italia impone di segnalare i movimenti di denaro verso l’estero, soprattutto verso i Paesi offshore come la Svizzera, ma Banca Arner non se ne è mai curata. Di certo, però, ad Antigua i soldi in qualche modo devono essere arrivati, visto che le ville ci sono. Quella di Silvio Berlusconi spunta in cima alla collina, i pescatori la chiamano “il Castello” per la sua imponenza e per come domina dall’alto la zona. A fianco si trova quella di Andrij Shevchenko, l’ex calciatore del Milan e pupillo del premier. Poco più in là sorge quella di Lester Bird, l’ex primo ministro di Antigua, in carica fino al 2004, citato l’anno successivo in una causa legale per aver svenduto dei terreni dello Stato a dei gruppi privati. Al suo successore, Baldwin Spencer, Berlusconi aveva promesso di impegnarsi personalmente per aiutare la piccola isola caraibica a ridurre il debito internazionale. (Beh, buona giornata).

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Paolo Ferrero: “A questo punto si tratta di cambiare passo”.

La nostra proposta per la sinistra di alternativa
(da Liberazione di giovedì 14 ottobre 2010)

Il colloquio tra Bersani e Vendola dell’altro ieri ha finalmente superato lo scoglio delle primarie che aveva sin’ora reso impossibile il confronto politico. Questo incontro apre la fase della discussione tra le forze che vogliono costruire un accordo di governo. Bersani e Vendola hanno concordato come questa proposta di governo comprenda l’UdC e la proposta di modificare la legge elettorale con una governo di transizione. Adesso si tratta di costruire il fronte democratico che vada a oltre le forze che fanno l’accordo di governo. Abbiamo infatti sempre ritenuto che non vi siano le condizioni per un accordo di governo con le forze del centro sinistra – nella proposta di Bersani e Vendola comprendenti anche il centro – mentre riteniamo necessario dar vita ad una alleanza democratica che abbia l’obiettivo esplicito di sconfiggere Berlusconi, di difendere la costituzione , di mettere in campo essenziali misure di giustizia sociale e di modificare la legge elettorale in senso proporzionale.

A questo punto si tratta di cambiare passo e lavorare alla concretizzazione della nostra ipotesi politica.

In primo luogo la costruzione di una vera opposizione che porti alla caduta del governo Berlusconi. E’ infatti evidente che l’equilibrio instabile che regge questo governo può durare a lungo e produrre altri danni. Ogni giorno che passa questa maggioranza non fa altro che scaricare ulteriormente sulle spalle dei più deboli i costi di una crisi che morde sempre più pesantemente. Basti pensare al Disegno di legge sul lavoro che sostanzialmente introduce il contratto individuale di lavoro per tutti i nuovi assunti. Con questa misura che presto sarà in discussione alla Camera le giovani generazioni non saranno solo inchiodate ad un destino di precarietà ma si troveranno dentro una guerra tra poveri che non ha precedenti nel paese. Costruire l’opposizione, a partire dalla manifestazione del 16 ottobre che non deve essere un momento a se stante ma deve proseguire con la costruzione di iniziative di mobilitazione su tutto i territorio. Per noi la costruzione dell’opposizione è il punto propedeutico alla costruzione del fronte democratico

In secondo luogo il problema della costruzione del progetto e dell’unità della sinistra. A partire dalle prossime settimane si terrà il Congresso della Federazione della Sinistra che rappresenta un passo decisivo per l’aggregazione di una sinistra degna di questo nome, automa dal PD e con un proprio profilo strategico anticapitalista. A partire da questo processo noi lanciamo a tutte le forze di sinistra una sfida: per uscire dalla crisi non basta un movimento ma occorre un programma di alternativa. Noi proponiamo a tutte le forze di sinistra, a partire da quelle che saranno presenti alla manifestazione del 16 ottobre, di definire concordemente la piattaforma con cui avviare il confronto con il PD. Se la crisi è il frutto del neoliberismo, occorre una politica che rovesci questa politica economica: dalla redistribuzione del reddito all’intervento pubblico in direzione della riconversione ambientale dell’economia. Dal no alla guerra al finanziamento dello stato sociale, della scuola, della ricerca e dell’università.
(Beh, buona giornata).

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About 16 ottobre 2010.

SI AI DIRITTI, NO AI RICATTI, IL LAVORO E’ UN BENE COMUNE
La cultura è un punto strategico fondamentale per una società realmente democratica. Da essa dipende la formazione della coscienza critica del cittadino, dunque la sua reale libertà e capacità di incidere nello sviluppo sociale del Paese.
Cultura, bene comune come l’acqua, non privatizzabile, diritto fondamentale come la salute. A tutti va garantito l’accesso alla produzione e alla fruizione della cultura.
Cultura, risorsa economica. E’ ormai riconosciuto il suo valore strategico anche sul piano economico: ogni euro investito in cultura ne restituisce sul territorio da quattro a sette.

Il governo Berlusconi ha tagliato drasticamente i fondi ad essa destinati in funzione di una politica che la considera esclusivamente una merce. Una politica che privatizza il sapere, legando la conoscenza all’impresa e la cultura al mercato. Oggi rischiano di chiudere l’ottanta per cento dei teatri e delle fondazioni lirico-sinfoniche; il cinema vede più che dimezzata la sua produzione; rischiano la chiusura migliaia d’imprese del settore e dell’indotto sparse sul nostro territorio nazionale.

Al contrario di quanto avviene nel resto dell’Europa, i lavoratori italiani della cultura e dello spettacolo non possono contare sul riconoscimento sociale della propria professione. L’assenza di ammortizzatori sociali, il diffuso lavoro nero, la dilagante disoccupazione e sottoccupazione li hanno trasformati in cittadini invisibili. Invisibili ed inutili. Lavoratori privi di ammortizzatori sociali, la cui professione spesso non è neanche riconosciuta come tale.
Un Paese che non tutela la cultura e coloro che vi lavorano è un Paese senza futuro.

In questi ultimi anni il lavoro è stato reso precario, è stato svalorizzato sul piano del salario, attaccato come diritto. Difendere il lavoro vuol dire superare la precarietà, riconquistarlo come diritto fondamentale della vita democratica del nostro paese.
Il lavoro è un bene comune, deve tornare a rivestire un ruolo d’interesse generale. L’attacco subìto dalla cultura in questi ultimi dieci anni ha reso possibile parcellizzare e demonizzare una reale cultura del lavoro.

La manifestazione del 16 Ottobre, ponte ideale con le manifestazioni della scuola dell’8 Ottobre, vuole rilanciare l’idea di un Paese dove sia possibile un diverso modello di sviluppo che ponga al centro i diritti, la cultura, la qualità e l’innovazione della produzione.
Una speranza aperta nel cuore della società:

LAVORO DIRITTI SAPERI CULTURA

ADESIONI

CANIO CALITRI, segretario generale Fiom Lazio – CLAUDIO AMATO, Fiom Lazio – FABIO PALMIERI, Fiom Lazio – ETTORE TORREGIANI, Fiom Lazio

SIMONE AMENDOLA, regista – CARMINE AMOROSO, regista – PIER PAOLO ANDRIANI, sceneggiatore – GIORGIO ARLORIO, sceneggiatore – SILVIA BARALDINI, giornalista – GLAUCO BENIGNI, giornalista Rai e scrittore – MAURO BERARDI, produttore cinematografico – LUCA BIGAZZI, direttore della fotografia – FRANCESCA BLANCATO, operatrice teatrale – BENEDETTA BUCCELLATO, autrice teatrale e attrice – LUCILLA CATANIA, artista – FRANCESCA COMENCINI, regista – MICHELE CONFORTI, regista – ANDREA D’AMBROSIO, regista – GIORDANO DE LUCA, sceneggiatore – CARLA DEL MESE, insegnante e regista – MARCO DENTICI, scenografo – GIOVANNI DI PASQUALE, produttore cinematografico – MARCO FERRI, copywriter – CARLA FRACCI, ballerina – MARCO GAFFINI, artista – BEPPE GAUDINO, regista – VLADIMIRO GIACCHÈ, vicepresidente dell’Associaz. politico-culturale Marx XXI – ANSANO GIANNARELLI, regista – ROBERTO GIANNARELLI, regista – GABRIELE GIUSTINIANI, ricercatore Università di Roma La Sapienza – VALERIA GOLINO, attrice – ROBERTO GRAMICCIA, scrittore – MARCELLO GRASSI, già docente Università di Roma La Sapienza – GIOVANNI GRECO, compagnia “La Differenza” – SABINA GUZZANTI, regista e attrice – RANIERO LA VALLE, giornalista – MARIA LENTI, scrittrice – GIANCARLO LIMONI, artista – ANTONIO LOMBARDI, artista – MARICETTA LOMBARDO, fonico – ADELE LOTITO, artista – FABIOMASSIMO LOZZI, regista – MARIO LUNETTA, scrittore – SILVIA LUZZI, attrice di prosa – SALVATORE MAIRA, regista – LUCIO MANISCO, giornalista – CITTO MASELLI, regista – GERARDO MASTRODOMENICO, attore – BRUNO MELAPPIONI, scenografo e pittore – ALESSIO MELCHIORRE RICCI, musicista (Après La Classe) – BEPPE MENEGATTI, regista teatrale – PAOLO MODUGNO, regista – MARIO MONICELLI, regista – CARMELA MORABITO, docente Università di Roma Tor Vergata – ROBERTO MOREA, scenografo – RAUL MORDENTI, docente Università di Roma Tor Vergata – FRANCO MULAS, artista – LAURA MUSCARDIN, regista – DIEGO OLIVARES, regista – CLAUDIO PALMIERI, artista – CLAUDIA PEIL, artista – ROBERTO PERPIGNANI, montatore – ULDERICO PESCE, autore, regista e attore teatrale – GIANFRANCO PICCIOLI, produttore cinematografico – PAOLO PIETRANGELI, regista e cantautore – FLORIANA PINTO, regista – VALERIO PISANO, artista – ROSALIA POLIZZI, regista – PASQUALE POZZESSERE, regista – MARCO POZZI, regista – GIUSEPPE PRESTIPINO, già docente Università di Siena – MARCO PUCCIONI, regista – ANDREA PURGATORI, giornalista e sceneggiatore – FAUSTO RAZZI, compositore – CLOTI RICCIARDI, artista – GIANLUCA RIGGI, autore teatrale e direttore artistico teatro Furio Camillo – RENZO ROSSELLINI, produttore cinematografico – ALESSANDRO ROSSETTI, sceneggiatore – NINO RUSSO, regista – BARBARA SALVUCCI, artista – ANTONIA SANI, Associazione per la scuola della Repubblica – MASSIMO SANI, regista – PASQUALE SCIMECA, regista – SILVIA SCOLA, sceneggiatrice e autrice teatrale – ETTORE SCOLA, regista – CLARA SERENI, scrittrice – GIANNI SERRA, regista – STEFANO TASSINARI, scrittore – BRUNO TORRI, critico cinematografico – ALESSANDRO TRIONFETTI, poeta – STEFANIA TUZI, ricercatore Università di Roma La Sapienza – BARBARA VALMORIN, attrice – DAVIDE VITERBO, musicista (Radiodervish) – DOMENICO ZIPARO, musicista (Il Parto delle Nuvole Pesanti) – VITTORIO VIVIANI, attore

ANAC – ASSOCIAZIONE NAZIONALE AUTORI CINEMATOGRAFICI
A.p.T.I. – ASSOCIAZIONE PER IL TEATRO ITALIANO
COMITATO DEI CITTADINI DEL TEATRO DEL LIDO DI OSTIA
FIDAC – FEDERAZIONE ITALIANA DELLE ASSOCIAZIONI CINEAUDIOVISIVE

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democrazia Finanza - Economia Lavoro Leggi e diritto Media e tecnologia

Il prossimo 16 ottobre il mondo del lavoro si ribella. E il mondo della cultura e della comunicazione potrebbero riscoprire che ribellarsi è giusto, ribellarsi è possibile.

di Marco Ferri-3dnews, inserto settimanale del quotidiano Terra.

Se agli intellettuali di questo nostro Paese torna in mente la classe operaia, vuol dire che siamo a una svolta epocale.

Il prossimo 16 Ottobre 2010 forse non sarà il 5 marzo del 1943, quando gli operai del Nord fecero sciopero, decretando storicamente, di fatto l’inizio della fine del Fascismo.
Però lo schieramento odierno di molte personalità di scienza e di cultura al fianco degli operai assume, nell’Italia di oggi, un’importanza straordinaria.

Tuttavia, potrebbe esserci qualcosa di più: la rinnovata saldatura sociale tra gli operai, la società civile, gli intellettuali, gli studenti e chi più ne ha più ne metta è un notizia che fa bene all’animo democratico di un Paese che troppe angherie ha dovuto subire.

Fosse anche per un giorno solo, il 16 ottobre, appunto, il desiderio razionale di un cambiamento dei rapporti di produzione potrebbe significare la voglia di rovesciare non solo una compagine di governo, ma prefigurare una prospettiva completamente nuova della società italiana

Comunque, qui non si tratta più di dare scampoli di visibilità mediatica al lavoro e alle sue sofferenze; qui non si tratta più di mandare qualche telecamera sul tetto di una fabbrica, su cui, per farsi vedere dall’opinione pubblica sono saliti operai ingiustamente perseguitati da questa o quella azienda; qui non si tratta più dare conto, tra un gossip e l’altro, di operai che crepano, come mosche sul loro posto di lavoro.

Qui si tratta di rompere i recinti del mainstream: le contraddizioni tra capitale e lavoro non sono gestibili con un politica compassionevole. La verità, nuda e cruda è che siamo di fronte a una specie di moderna soluzione finale: elimina i lavoratori, così elimini il lavoro.

Il prossimo 16 ottobre il mondo del lavoro si ribella. E il mondo della cultura e della comunicazione potrebbero riscoprire che ribellarsi è giusto, ribellarsi è possibile.
Beh, buona giornata.

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Lavoro Leggi e diritto

Quale pensione per i precari italiani? L’Inps mentisce sapendo di mentire.

da- blitzquotidiano.it

Al precario non far sapere, altrimenti nel suo piccolo si “incazza di brutto”. Ci hanno pensato sopra a lungo all’Inps e alla fine hanno scelto di “oscurare” il dato. Una censura per motivi di ordine pubblico come ha spiegato il presidente Antonio Mastrapasqua: “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”. La “simulazione” di cosa? Di quanto un “parasubordinato”, cioè un lavoratore precario prenderà di pensione tra qualche decennio dopo aver versato per una vita i relativi contributi. Il risultato sarebbe invariabilmente una pensione inferiore al minimo, roba da poche centinaia di euro al mese. Quindi meglio “oscurare”.

Oscurare dove? Ma sul sito dell’Inps ovviamente. E anche nei quattro milioni di lettere che lo stesso Inps sta per inviare a domicilio agli altrettanti precari italiani che versano contributi previdenziali. L’Inps nelle settimane scorse ha scritto anche ai lavoratori a tempo indeterminato. Una lettera in cui si spiega come fare per apprendere dal web quanto hanno versato e quanto incasseranno come pensione. La lettera che arriva ai precari è invece una lettera “muta”, non rimanda ad alcuna consultazione possibile. Il precario non può sapere perché, per ammissione dello stesso Inps, è meglio che non sappia. Quindi al precario si dice quanto paga ma si nasconde quanto “rendono” i suoi contributi. Precario dunque neanche avvisato, visto che in nessun caso, conti alla mano, può essere salvato. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Lavoro Leggi e diritto Scuola

Ma che cosa sta diventando la scuola pubblica in Italia?

La scuola in Italia è un peso per i conti pubblici: docenti, non docenti, studenti sono tutti un esubero. E come tutti gli esuberi, vanno allontanati, quei costi vanno tagliati. Mi dispiace, dice Gelmini, l’avatar ventriloqua del ministro dell’Economia, ci vuole meritocrazia, non so che vuol dire, perché a me non è mai successo, però mi hanno detto di dire così. Mi dispiace, dice il ministro dell’Economia in persona: certi diritti sarebbero pure giusti, però non ce li possiamo più permettere.

Così è e così è stato nelle scuole italiane di ogni ordine e grado. Ma, direte voi, allora vorrebbero un popolo ignorante? Sì. No. Cioè. Vogliono un popolo forgiato al comando del telecomando, quello strumento di “democrazia diretta” che permette di cambiare i programmi televisivi.

Il principio è semplice, basico, è imperativo, anzi è un imperativo categorico: nella scuola italiana si insegna che quello che dovete sapere lo sappiamo noi. Infatti, tanto per fare un esempio, l’avatar Gelmini e il ministro della Difesa La Russa hanno varato in una scuola di Adro, in provincia di Brescia (quella famosa per i simboli legisti) il programma “Allenati per la vita”: lezioni di uso delle armi, dal tiro con l’arco, all’uso della pistola (ad aria compressa). Alla Gelmini non sarebbe mai venuto in mente. A lei non viene mai in mente niente. Ma a La Russa è venuta in mente una innovazione pazzesca: “libro e moschetto, balilla perfetto”.

Tutto il resto è strumentalizzazione politica, come ha detto l’avatar Gelmini quando si è rifiutata anche solo di incontrare una delegazione in rappresentanza dei 219.000 (duecentodiciannovemila!) insegnati precari espulsi in un colpo solo dalla scuola italiana: record di licenziamenti che a pieno titolo potrebbe essere iscritti nel Guinness dei primati.

La verità è che i nemici dell’istruzione pubblica sono entrati (tanto per usare un termine militaresco), sono entrati nel perimetro del diritto all’istruzione, bene comune di una società democratica. E hanno reintrodotto gli assiomi della divisione di classe: ai ricchi scuole private, in Italia o all’estero, ai poveri una sempre più povera scuola pubblica. Basta con la storia che anche l’operaio vuole il figlio dottore. Non c’è più mobilità sociale da rendere disponibile al progresso individuale attraverso la scuola.

Però se c’è meno qualità dell’istruzione, almeno c’è più quantità di prodotti da consumare. Nei centri commerciali, negli outlet c’è tanto consumo da offrirgli. E allora, ragazzi, ma che ci andate a fare a scuola: non vi basta chattare in rete con quella roba tanto carina piena di faccette? Non vi basta partecipare al televoto, sublimazione della democrazia televisiva, che vi fa scegliere il vostro personaggio televisivo preferito? Cosa ne volete sapere voi di cultura, di sapere, di diritti e democrazia, che vi fanno venire strane idee in testa, vi rendono pensierosi, addirittura riflessivi, che poi uno diventa triste e cupo, come certi strani personaggi che hanno fatto la storia, la letteratura, la filosofia, la scienza, e che poi a uno magari gli viene voglia di cambiare le cose che non vanno.

E no, eh?! Mica ricominciamo con le rivolte studentesche, con l’idea di voler conquistare un mondo migliore. Ma non vi rendete conto di quanto siete fortunati. Qui c’è un governo del fare e una ministra avatar che sa lei quello che dovete sapere voi: glielo ha detto un giorno, a tu per tu, ad Arcore Berlusconi in persona.

E non vi azzardate neanche a immaginare di poter essere un domani i protagonisti di un ricambio generazionale dell’attuale classe dirigente. Al massimo vi si concede un provino per il Grande Fratello. Beh, buona giornata.

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democrazia Leggi e diritto Natura Popoli e politiche

Un milione e 400 mila firme contro la privatizzazione dell’acqua. Ecco come si fa l’Opposizione.

La politica del bene comune, di CARLO PETRINI-Repubblica.

Un milione e 400 mila firme contro la privatizzazione dell’acqua. Raccolte in circa tre mesi. Un record, ma la notizia è che la società civile non è morta, che si può provare a sopraffarla finché si vuole, ma c’è sempre un limite. Il retro della medaglia è l’immagine di una classe politica che di fronte alla rete che si è formata per raccogliere le firme dovrebbe impallidire, farsi piccola, capire quant’è inadeguata, vuota e fuori dal mondo. C’è chi non è in grado di raccogliere le firme necessarie a presentare una lista elettorale e mette nei guai a posteriori il recente governatore del Piemonte.

C’è chi caverebbe soldi anche da una rapa, se fosse possibile, e fa decreti per privatizzare i nostri beni comuni o condonare qualsiasi cosa, dall’acqua alle spiagge passando per l’archeologia e i mostri edilizi. C’è chi si distingue per intrallazzare fino all’inverosimile pur di coprire pulciosi interessi economici e personali e chi, bontà sua, non riesce proprio a opporsi e cade in tutti i tranelli possibili di un ménage politico stantio, autoreferenziale, basato solo su un apparire sempre più elemosinato al Cesare, sui personalismi ma con sempre meno personalità.

Un milione e 400 mila firme per dire che l’acqua non si può privatizzare sono molto di più della sacrosanta difesa del bene comune per eccellenza, sono un urlo urlato con dignità e buon senso, il frutto di un’indignazione seria e civile, una lezione per chiunque voglia fare politica in Italia. I tre quesiti referendari hanno senso, sono ben congegnati per bloccare giusto in tempo la strada di una privatizzazione generalizzata entro il 2011, da cui sarebbe difficilissimo, o costosissimo, tornare indietro. Invece ora ce la si può fare: se l’iter verrà rispettato, se la volontà di quel milione e mezzo di italiani non sarà calpestata per l’ennesima volta, nella primavera del prossimo anno la lezione data alla politica nostrana sarà completa.

La rete del Forum dei movimenti per l’acqua, che è nata e si è propagata con una naturalezza disarmante per chiunque faccia il raccattatore di voti di professione, è una speranza per la democrazia nel nostro Paese. I banchetti volanti al Giro d’Italia, quelli nei mercati (li ho visti, sempre con la gente in educata fila), ai concerti, dove si fanno gli aperitivi tanto di moda, nelle piazze e vie di fronte agli strusci consumistici: mai un simbolo di partito, chi si è messo a disposizione l’ha fatto per l’acqua perché di fronte all’acqua sparisce qualsiasi colore, qualsiasi ideologia, qualsiasi altro interesse. Non è un caso che chi abbia tentato di cavalcare l’onda pro domo sua abbia fallito miseramente.

Il cibo, l’acqua, la nostra terra, il bello e il buono che non si devono necessariamente comprare: forse c’è la speranza che non si portino via tutto. Sono le cose che stanno più a cuore alle persone umili che cercano di vivere bene la propria vita in un mare di difficoltà che non si sono per niente cercate: è la dimostrazione che i temi della politica dovrebbero essere altri, se la politica fosse nobile, se la politica sapesse. (Beh, buona gionata).

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Attualità democrazia Leggi e diritto

Ave Cesare.

Eolico: P3, il gruppo occulto avrebbe agito su mandato di Formigoni (di Marco Maffettone-Agenzia Ansa)

Tra di loro, il gruppo che faceva capo a Flavio Carboni, il premier Silvio Berlusconi lo chiamavano ‘Cesare’. Come emerge da una telefonata intercettata tra l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino e il giudice tributario Pasquale Lombardi nella quale quest’ultimo sostiene che ”Cesare e’ contento” per cio’ che il gruppo sta facendo proposito del Lodo Alfano.

“Cesare è lo pseudonimo utilizzato dai soggetti per riferirsi al presidente del Consiglio”, affermano i carabinieri del nucleo investigativo di Roma nell’informativa inviata ai pm della Procura capitolina nell’ambito delle indagini sulla cosiddetta P3. I militari dell’Arma si riferiscono proprio all’intercettazione telefonica del 2 ottobre 2009 nella quale Lombardi dice a Cosentino che “lui è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il 6″, ovvero il giorno dell’udienza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano: un esplicito riferimento, per i militari, all’attivita’ esercitata dal gruppo del quale fa parte anche l’uomo d’affari Flavio Carboni, per condizionare i giudici della Consulta sul provvedimento del Guardasigilli, poi bocciato dagli stessi giudici della Corte Costituzionale il 7 ottobre scorso.

Nessun elemento, nelle carte degli investigatori, permette di capire se il premier sapesse qualcosa o se si tratti di millanterie. Nel corso della telefonata Lombardi fa riferimento anche alla vicenda del cosiddetto complotto contro Stefano Caldoro, attuale governatore campano, sottolineando che se ”lui e’ rimasto contento” allora ”lui ci deve dare qualche cosa e ci deve dare te e non adda scassa’ o cazz”. ”Appare evidente -osservano i carabinieri- che con queste parole il Lombardi vorrebbe far intendere al Cosentino che la sua candidatura a presidente della Regione Campania è stata da loro richiesta nel corso della riunione quale contropartita per l’operazione Lodo Alfano”. Nei documenti redatti dai carabinieri si fa riferimento, inoltre, al governatore della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. In base a quanto si legge nelle carte

Formigoni diede mandato al gruppo di chiedere esplicitamente al presidente della Corte di Appello di Milano, Alfonso Marra, di “porre in essere un intervento nell’ambito della nota vicenda dell’esclusione della lista riconducibile al governatore dalle elezioni regionali 2010”.

Parlando dell’attività svolta dall’associazione, i militari dell’Arma definiscono emblematica la “vicenda che ha visto protagonista il neo presidente della corte di appello di Milano”. “Non appena Marra – proseguono i carabinieri – ha ottenuto, dopo un’intensa attività di pressione esercitata dal gruppo (ed in particolare da Pasquale Lombardi) sui membri del Csm, l’ambita carica, i componenti dell’associazione gli chiedono esplicitamente, peraltro dietro mandato del presidente Formigoni, di porre in essere un intervento nell’ambito della nota vicenda dell’esclusione della lista ‘Per la Lombardia'”.

Nelle carte dell’inchiesta si fa espresso riferimento, inoltre, al ruolo svolto dal sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, dal capo degli ispettori di via Arenula, Arcibaldo Miller, e Antonio Martone, presidente della commissione per la Valutazione, la trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche. ”Altri personaggi vicini al gruppo – si legge nell’informativa – che prendono parte alle riunioni nel corso delle quali vengono impostate le principali operazioni o che paiono fornire il proprio contributo alle attività d’interferenza, sono individuabili nei giudici Miller Arcibaldo, Martone Antonio e nel sottosegretario alla giustizia Caliendo Giacomo”.

Al momento la posizione dei tre è al vaglio dei pm della Procura di Roma. E’ prevista, infine, domani l’udienza del tribunale del Riesame che dovra’ decidere sull’arresto di Carboni. Mentre sabato il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci vera’ ascoltato dai magistrati romani nell’ambito dell’inchiesta madre, ovvero gli appalti sull’eolico nell’isola, che vede il governatore indagato per abuso d’ufficio e concorso in corruzione. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Leggi e diritto

Quei quattro “pensionati sfigati” sono rimasti in tre.

Verdini e Cosentino a rapporto da Berlusconi: il primo resta, il secondo lascia-blitzquotidiano.it

Il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino ha deciso di rassegnare le dimissioni dal governo, mantenendo però il ruolo di coordinatore del Pdl in Campania.

La decisione sarebbe stata maturata dallo stesso deputato campano e comunicata al premier. Cosentino non lascia quindi l’incarico di coordinatore regionale campano del Pdl. Diversa, almeno per ora, la sorte dell’altro ipotetico dimissionario, Denis Verdini.

Silvio Berlusconi li aveva chiamati entrambi, un doppio faccia a faccia per decidere se resistere al rischio di un voto contrario in Parlamento o se seguire le tracce del caso Brancher, cioè una ritirata “strategica”.

Denis Verdini e Nicola Cosentino erano entrati più o meno insieme a Palazzo Chigi ma alla fine all’uscita hanno preso due strade diverse. Il coordinatore regionale della Campania, già da tempo raggiunto da un mandato di cattura della magistratura per legami con la Camorra di Casal di Principe, si è dimesso per “opportunità”.

Il governo può infatti fare a meno di sottosegretario all’Economia, non così Denis Verdini. Il Pdl e lo stesso Berlusconi difficilmente potrebbero reggere senza conseguenze alle dimissioni di uno dei 3 coordinatori nazionali. Verdini quindi non dovrebbe dimettersi, a differenza di Cosentino. Questo il quadro e le strategia in cui sembra muoversi il premier.

La scelta del passo indietro è stata probabilmente vista come obbligata. Il coinvolgimento di Cosentino nell’inchiesta stava creando parecchi problemi al Pdl e all’esecutivo anche perché tutta la componente finiana del partito era pronta a votare a favore della sfiducia. Anche Pier Ferdinando Casini, di cui negli ultimi giorni si è parlato spesso per un possibile riavvicinamento dell’Udc al centrodestra, aveva fatto sapere che i centristi avrebbero dato parere favorevole alla richiesta di ritiro delle deleghe per il politico campano, già finito nel mirino nei mesi scorsi per l’accusa di essere il referente politico del clan dei Casalesi, circostanza questa che lo aveva già costretto a ritirarsi dalla corsa alla presidenza della Regione.

Il suo posto quale portacolori del Pdl venne preso da Stefano Caldoro, che poi fu effettivamente eletto, ma contro la candidatura del giovane ex socialista, si apprende dalle carte dell’inchiesta, fu osteggiata dall’interno proprio dal gruppo che oggi viene indicato come “P3″. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

Quattro sfigati pensionati?

Il senatore, il coordinatore nazionale, il sottosegretario e l’uomo d’affari: ecco chi sono i “quattro sfigati” di Berlusconi-blitzquotidiano.it

Flavio Carboni, Nicola Cosentino, Marcello Dell’Utri, Denis Verdini: il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi li ha definiti “quattro sfigati pensionati”. La Procura della Repubblica di Roma li ha iscritti nel registro degli indagati per associazione a a delinquere e violazione della legge Anselmi sulle società segrete nell’ambito dell’inchiesta sull’eolico in Sardegna.

Eppure, fatta eccezione per il settantottenne Carboni, il senatore Dell’Utri, il coordinatore nazionale del Pdl Verdini, e il sottosegretario all’Economia sono ben lontani dalla pensione. Le loro conversazioni, catturate dalle intercettazioni telefoniche trascritte nelle quindicimila pagine del rapporto dei carabinieri, trattano argomenti non certo alla portata di semplici “sfigati”.

Come i “cinquecento milioni di dollari” che, stando a quanto scrive oggi Repubblica, Carboni avrebbe detto di avere con sé in una valigetta, o le cene a casa di Verdini con magistrati e sottosegretari.

Scorrendo le biografie dei protagonisti della “difesa” di Berlusconi vengono tirate in ballo la mafia, la camorra, la loggia Propaganda 2, la morte del banchiere Roberto Calvi, il caso Moro. Restando ai fatti, ecco chi sono i “quattro sfigati pensionati”.

Nicola Cosentino, 52 anni, di Casal Di Principe (Napoli), coordinatore regionale del Popolo della Libertà in Campania, dal maggio 2008 è Sottosegretario di Stato all’Economia e alle Finanze.

Nel settembre 2008 viene pubblicamente accusato di aver avuto un ruolo di primo piano nell’ambito del riciclaggio abusivo di rifiuti tossici, come emerso dalle rivelazioni di Gaetano Vassallo, il boss responabile di disastro ambientale relativamente allo smaltimento abusivo di rifiuti tossici in Campania attraverso la corruzione di politici e funzionari.

Nel novembre 2009 i magistrati inoltrano alla Camera dei deputati una richiesta di autorizzazione per l’esecuzione della custodia cautelare per il reato di concorso esterno in associazione camorristica. La richiesta viene respinta dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera.

Nel gennaio 2010 la Corte di Cassazione conferma le misure cautelari a carico di Cosentino. Il 19 febbraio la richiesta di dimissioni dagli incarichi venne respinta da Silvio Berlusconi.

Al momento, oltre che nell’inchiesta sull’eolico, Cosentino è indagato per l’episodio legato al dossier che puntava a screditare Stefano Caldoro quale candidato alla presidentre della Regione Campania, e per le pressioni esercitate sulla Cassazione per una rapida fissazione dell’udienza in cui si doveva discutere della legittimità della misura cautelare emessa nei confronti del sottosegretario dalla magistratura napoletana.
Marcello Dell’Utri, 61 anni, di Palermo. Senatore del Popolo delle Libertà, “politico per legittime difesa”, come lui stesso si è definito in un’intervista al Fatto Quotidiano. Stretto collaboratore di Silvio Berlusconi sin dagli anni Settanta, socio in Publitalia e dirigente Fininvest, nel 1993 fonda con Berlusconi Forza Italia, di cui diventa deputato nel 1996, per “proteggersi”, come ha dichiarato egli stesso al Fatto Quotidiano, dall’accusa, poi confermata, per false fatture. È stato condannato in appello a 7 anni per concorso esterno in associazione di tipo mafioso e ha patteggiato una pena di due anni e tre mesi per frode fiscale.

Nel dicembre del 2004 il tribunale di Palermo condanna Dell’Utri a nove anni di reclusione con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il senatore è stato anche condannato a due anni di libertà vigilata, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il risarcimento dei danni (70.000 euro) alle parti civili, il Comune e la Provincia di Palermo.

Denis Verdini, toscano (è nato in provincia di Massa Carrara) di 59 anni, è uno dei tre coordinatori nazionali del Popolo della Libertà insieme a Ignazio La Russa e Sandro Bondi, dopo essere stato coordinatore nazionale unico di Forza Italia. Commercialista e presidente del Credito Cooperativo Fiorentino, candidato di Forza Italia già alle amministrative del 1995, dal 1997 è uno degli azionisti, con il 15 per cento, del quotidiano il Foglio diretto da Giuliano Ferrara.

Nel febbraio 2010 viene iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Firenze per il reato di concorso in corruzione, riguardo ad alcune irregolarità a lui imputabili su alcuni appalti a Firenze e a La Maddalena, sede in cui si sarebbe dovuto tenere il G8, poi spostato a L’Aquila. Il gip si riserva la decisione di ricorrere ad eventuale rinvio a giudizio.

Nel maggio 2010 è indagato dalla Procura di Roma in un’inchiesta su un presunto comitato d’affari, la cosiddetta “cricca”, che avrebbe gestito degli appalti pubblici in maniera illecita

Flavio Carboni, 78 anni, di Sassari. Il suo successo economico comincia negli anni ‘70 con una serie di società immobiliari e finanziarie. Succcessivamente Carboni inizia a muoversi nel mondo dell’ editoria, diventando proprietario del 35% del pacchetto azionario della Nuova Sardegna ed editore di Tuttoquotidiano, per il fallimento del quale è poi stato condannato in primo grado e assolto in appello per vizio di forma.

È stato anche accusato dell’omicidio di Roberto Calvi, imputazione da cui è stato poi assolto per insufficienza di prove: il pm aveva chiesto la condanna di Carboni all’ergastolo; è stato anche assolto dall’accusa di essere stato il mandante del tentativo di omicidio di Roberto Rosone, vice di Calvi all’ Ambrosiano; dall’accusa di falso e truffa ai danni del Banco di Napoli; dall’accusa di ricettazione della borsa di Calvi, che avrebbe contenuto il pc del banchiere, documenti, soldi e le chiavi di alcune cassette di sicurezza.

Il suo primo arresto avviene in Svizzera, nell’estate del 1982. L’unica condanna definitiva nei confronti di Carboni è emessa nel 1998: 8 anni e 6 mesi di reclusione per il concorso nel fallimento del Banco Ambrosiano. Al periodo di detenzione previsto, già ridotto in applicazione delle amnistie del 1986 e del 1989, viene detratta la carcerazione preventiva: nessun ordine di esecuzione della pena viene emesso a suo carico. Nel giugno dello stesso anno Carboni viene nuovamente arrestato per un caso di bancarotta fraudolenta riguardante una società immobiliare di Porto Rotondo.

Nel maggio 2010, all’indomani della sua assoluzione per il delitto Calvi, viene indagato per concorso in corruzione nell’ambito di un’inchiesta sugli appalti per l’eolico in Sardegna. A differenza degli altri tre “sfigati”, l’8 luglio 2010 Flavio Carboni viene arrestato. (Beh, buona giornata).

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