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La classe operaia senza sinistra?

di Francesco Piccioni-Il Manifesto

Una domanda per Bersani, Ferrero, Vendola e Di Pietro: «Chi rappresenta gli interessi dei lavoratori?». La Fiom chiama i partiti di sinistra a confrontarsi sul tema del lavoro. E domattina Nichi Vendola, Paolo Ferrero e Antonio Di Pietro si troveranno di fronte a una platea di 500 delegati metalmeccanici; un pienone che lascerà fuori un numero assai più alto di delegati che vorrebbero esserci, nonostante i molti impegni di mobilitazione in corso anche in questi giorni e l’impegno totale delle strutture sindacali nelle zone terremotate dell’Emilia.

Ci sarà anche Luigi Bersani, che è segretario del partito più grande, ma anche l’unico dei quattro a sostenere il governo Monti che proprio sul lavoro – tra «riforma» delle pensioni, cancellazione dell’art. 18, drastica riduzione degli ammortizzatori sociali e conferma perenne della precarietà – ha esibito socialmente il peggio di sé.

Per lui, insomma, sarà probabilmente meno facile trovare l’empatia con la platea. L’attesa del sindacato guidato da Maurizio Landini è che «la politica venga ad ascoltare, e magari anche che dica qualcosa di sinistra». Viviamo in tempi in cui la «crisi della rappresentanza» è concetto dibattuto persino nei talk show, ma quando si deve affrontare il tema concreto della «rappresentanza degli interessi materiali del lavoro» le bocche si chiudono, gli interlocutori diventano vaghi, le parole si arrampicano su ogni tipo di specchio.

L’obiettivo minimo è quindi quello di verificare se è possibile una riaprtura del «dialogo tra due mondi» che hanno percorso, nel bene e nel male, fianco a fianco la storia italiana del dopoguerra, ma che da tempo hanno smesso di parlarsi. Anche qui il discorso non è uguale per tutti, perché Rifondazione e Sel accompagnano in modo esplicito le rivendicazioni del mondo del lavoro; e altrettanto fa il partito-movimento di Di Pietro, con un occhio attento ai dati elettorali disaggregati per classi sociali; il Pd, invece, da molti anni si presenta ufficialmente come partito «neutrale» rispetto al conflitto tra capitale e lavoro, ma all’atto pratico – il voto su provvedimenti che danneggiano pesantemente il secondo – lascia cadere gli interessi dei più deboli in nome del «salvataggio del paese».
Il tentativo è insomma quello di un’interlocuzione alta con la politica, perché un sindacato non fa mai politica in proprio, anche se – ovviamente – nel suo agire esercita un peso indubbio sulla politica e anzi, nella storia italiana, ha per lungo tempo trovato nella politica una «sponda» attenta a tradurre in misure legislative gli interessi concreti dei lavoratori.

La crisi e la «fuga della sovranità» dallo Stato verso i «mercati internazionali» senza volto né nome hanno tranciato questi legami già molto indeboliti nell’ultimo ventennio. La domanda «è possibile ricostruirli?» è dunque non solo legittima ma necessaria.

Una parte della stampa, nei giorni scorsi, ha fatto circolare la voce che in realtà – con questa scadenza – la Fiom intendesse annunciare la sua «discesa in politica». Una tesi sostenuta in particolare da Luca Telese, su Il Fatto, curiosamente proprio alla vigilia dell’annuncio della sua «scissione» dal giornale diretto da Padellaro per andare a fondarne uno proprio.

In Fiom lo scherzo mediatico non è stato preso bene, perché – non è inutile ricordarlo, in tempi in cui «farsi un partito» è diventata un’attività imprenditoriale emergente – «il bene più prezioso di un sindacato è la sua autonomia da qualsiasi partito».

Un sindacato, infatti, chiama la gente a mobilitarsi, a scioperare, quindi a sacrificare una fetta di salario per raggiungere obiettivi tangibili. Non certo per «scaldare» una campagna elettorale…
Quella lettura «politicista» sembrava insomma quasi strillata a bella posta, per far derubricare l’incontro di domani a «normale» giro di valzer nello squalificato «teatrino della politica politicante». Che nel paese ha ormai una credibilità quasi zero, ma tra i metalmeccanici – atti legislativi alla mano – forse anche meno. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Lavoro Leggi e diritto

Paolo Ferrero: “A questo punto si tratta di cambiare passo”.

La nostra proposta per la sinistra di alternativa
(da Liberazione di giovedì 14 ottobre 2010)

Il colloquio tra Bersani e Vendola dell’altro ieri ha finalmente superato lo scoglio delle primarie che aveva sin’ora reso impossibile il confronto politico. Questo incontro apre la fase della discussione tra le forze che vogliono costruire un accordo di governo. Bersani e Vendola hanno concordato come questa proposta di governo comprenda l’UdC e la proposta di modificare la legge elettorale con una governo di transizione. Adesso si tratta di costruire il fronte democratico che vada a oltre le forze che fanno l’accordo di governo. Abbiamo infatti sempre ritenuto che non vi siano le condizioni per un accordo di governo con le forze del centro sinistra – nella proposta di Bersani e Vendola comprendenti anche il centro – mentre riteniamo necessario dar vita ad una alleanza democratica che abbia l’obiettivo esplicito di sconfiggere Berlusconi, di difendere la costituzione , di mettere in campo essenziali misure di giustizia sociale e di modificare la legge elettorale in senso proporzionale.

A questo punto si tratta di cambiare passo e lavorare alla concretizzazione della nostra ipotesi politica.

In primo luogo la costruzione di una vera opposizione che porti alla caduta del governo Berlusconi. E’ infatti evidente che l’equilibrio instabile che regge questo governo può durare a lungo e produrre altri danni. Ogni giorno che passa questa maggioranza non fa altro che scaricare ulteriormente sulle spalle dei più deboli i costi di una crisi che morde sempre più pesantemente. Basti pensare al Disegno di legge sul lavoro che sostanzialmente introduce il contratto individuale di lavoro per tutti i nuovi assunti. Con questa misura che presto sarà in discussione alla Camera le giovani generazioni non saranno solo inchiodate ad un destino di precarietà ma si troveranno dentro una guerra tra poveri che non ha precedenti nel paese. Costruire l’opposizione, a partire dalla manifestazione del 16 ottobre che non deve essere un momento a se stante ma deve proseguire con la costruzione di iniziative di mobilitazione su tutto i territorio. Per noi la costruzione dell’opposizione è il punto propedeutico alla costruzione del fronte democratico

In secondo luogo il problema della costruzione del progetto e dell’unità della sinistra. A partire dalle prossime settimane si terrà il Congresso della Federazione della Sinistra che rappresenta un passo decisivo per l’aggregazione di una sinistra degna di questo nome, automa dal PD e con un proprio profilo strategico anticapitalista. A partire da questo processo noi lanciamo a tutte le forze di sinistra una sfida: per uscire dalla crisi non basta un movimento ma occorre un programma di alternativa. Noi proponiamo a tutte le forze di sinistra, a partire da quelle che saranno presenti alla manifestazione del 16 ottobre, di definire concordemente la piattaforma con cui avviare il confronto con il PD. Se la crisi è il frutto del neoliberismo, occorre una politica che rovesci questa politica economica: dalla redistribuzione del reddito all’intervento pubblico in direzione della riconversione ambientale dell’economia. Dal no alla guerra al finanziamento dello stato sociale, della scuola, della ricerca e dell’università.
(Beh, buona giornata).

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