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3DNews/Con le liberalizzazioni, che fine faranno i pubblicisti? Intervista a Roberto Natale.

di Lorenza Fruci

I poveri pubblicisti italiani , ancora una volta, sono tornati ad essere boicottati da un sistema e da leggi che non gli favoriscono l’esistenza. Sono circolate notizie allarmanti sulla scomparsa del loro ordine, a causa della manovra Salva Italia (art. 3 comma 5 del DL 138/2011) che potrebbe sancire dal 13 agosto 2012, tra le altre, anche la riforma dell’Odg.

La norma “Riforma degli ordini professionali” presente nel decreto che è in applicazione della direttiva europea sulle professioni regolamentate (2005/36/CE), impone il superamento di un esame di stato per l’accesso a tutte le professioni intellettuali. Prova che non è contemplata per l’ordine dei pubblicisti la cui iscrizione all’Albo è regolata dagli articoli 1 e 35 della legge 69/1963 e definisce che “Sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi”. Oltre al fatto che la figura del pubblicista è una peculiarità tutta italiana, la maggior parte dei pubblicisti italiani lavora di fatto da redattore, cioè come se fosse un giornalista professionista, senza godere però degli stessi diritti dei colleghi. La “Riforma degli ordini professionali” ha dunque inquietato gli animi di pubblicisti, giornalisti (ai quali è stato prospettato un futuro senza la tutela dell’Odg del quale si è ipotizzato l’annullamento), addetti ai lavori e blogger che hanno prodotto anche molta disinformazione sull’argomento per interpretazioni errate delle varie norme della riforma.

Ne sono scaturite anche diverse polemiche, alle quali ha risposto il Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino che, in una nota del 30 dicembre 2011, ha cercato di tranquillizzare gli animi e fare chiarezza sul futuro dei pubblicisti, scrivendo in sintesi che è escluso che l’Ordine venga sciolto. Resta aperta invece la questione dell’esame di stato e quindi il destino degli attuali iscritti all’Albo dei pubblicisti. Le soluzioni pratiche possono essere due (fonte www.francoabruzzo.it): i Consigli dovrebbero ammettere all’esame di Stato tutti quei pubblicisti che, 730 in mano, dimostrano di vivere esclusivamente di giornalismo (come è avvenuto dal 1969 in poi in Lombardia); l’Albo dei pubblicisti potrebbe rimanere in vita ma come Albo ad esaurimento. La Costituzione, con il suo articolo 33 (V comma), taglia la strada a soluzioni che prescindono dall’esame di Stato. Si è parlato quindi di “percorsi formativi professionalizzanti” per i quali c’è bisogno, però, di una legge che individui questi percorsi e che preveda alla loro conclusione il rilascio di un titolo universitario che abiliti chi ne é in possesso ad esercitare la professione di giornalista. L’esame di laurea in sostanza potrebbe equivalere anche all’esame di Stato per l’accesso alle professioni intellettuali.

La discussione andrà avanti il 18/19/20 gennaio 2012, quando si riunirà Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti per esaminare tutti i delicati argomenti legati alla Riforma dell’ente e alla costituzione di una “Fondazione Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti”. Il tema sarà “come salvare i pubblicisti” poiché non è possibile chiedere l’esame di stato per l’accesso a questo elenco: i pubblicisti non svolgono la professione ed oggi, dice la Cassazione, non possono lavorare nelle redazioni. E’ possibile ipotizzare la sopravvivenza dell’elenco esistente ma soltanto fino ad esaurimento. Tra le proposte, una sanatoria per i pubblicisti che vivono di giornalismo con l’iscrizione d’ufficio al Registro dei praticanti e l’ammissione conseguente all’esame di “abilitazione all’esercizio professionale” (artt. 33, V comma, della Costituzione e 32 della legge 69/1963).

Intanto ne parliamo con Roberto Natale, segretario della FNSI.

È d’accordo con quello che scrive Enzo Iacopino?
Dal punto di vista delle norme, la cosa è in quei termini. Aggiungo che, qualsiasi siano le intenzioni del governo, il sindacato continuerà a difendere nella maniera più netta i pubblicisti che svolgono attività giornalistica -perché non sempre le due cose coincidono-. In Italia tantissimi pubblicisti svolgono di fatto attività professionale giornalistica a tempo pieno, come attività esclusiva. Il sindacato sarà al loro fianco per difendere la loro piena titolarità a continuare a svolgerla con il tesserino da pubblicista. Dal nostro punto di vista, la distinzione tra pubblicisti e professionisti, quando il pubblicista svolge attività professionista, è di trascurabile importanza.

Quali saranno le conseguenze concrete delle norme della “Riforma degli ordini professionali” e quali cambiamenti interesseranno i giornalisti e i pubblicisti?
Quelle norme fanno chiaramente intendere che sono state pensate per altre categorie, piuttosto che per quella dei giornalisti. Quando si parla, per esempio, dell’assicurazione da stipulare da parte del cliente è evidente che il governo ha in mente un quadro più complessivo delle professioni che non è riferito specificamente all’attività professionale giornalistica. Noi riteniamo che sia importante sfruttare i mesi che verranno da qui ad agosto per arrivare a fare un discorso sulla riforma radicalmente intesa dell’ordine dei giornalisti. Il sindacato intende l’eventualità che si debba rivedere l’assetto dell’ordine professionale non come una minaccia, ma piuttosto come l’opportunità che da anni si sta sollecitando di arrivare ad una vera e propria riforma della legge istitutiva della professione giornalistica in Italia: una riforma che qualifichi l’accesso (in Italia avviene in maniera troppo ampia e non sempre qualificata) e che rafforzi le competenze deontologiche rendendo più incisivo, rapido e di garanzia per i cittadini il loro esercizio da parte dell’Ordine. Queste sono le due cose che ci interessa discutere con il governo nei prossimi mesi, ribadendo naturalmente che se nella riforma dell’accesso noi ci battiamo per un accesso più qualificato, questo in nessun modo può significare che vengano cancellati i diritti di chi già oggi è pubblicista ed esercita la professione giornalistica.

Consiglierebbe ad un giovane di prendere il tesserino da pubblicista oggi?
Sì, se è una persona che ha già scritto articoli: conviene comunque ottenere il riconoscimento che si è guadagnato. Aggiungo che come sindacato ci battiamo da anni perché la discriminazione che c’è nei confronti dei pubblicisti operata da certe leggi venga eliminata. Vedi il caso della giornalista siciliana Giulia Martorana che non si è vista riconoscere il diritto di segreto sulle fonti perché pubblicista e non professionista: la posizione del sindacato è coerentemente al fianco di questi colleghi e chiediamo che venga modificata quella norma perché non ha senso impedire ad un giornalista pubblicista di potersi avvalere di un segreto sulle fonti. Si tratta di una discriminazione. Ovviamente questo discorso si inserisce nel contesto della precarizzazione, fenomeno diffusissimo nella professione, per il quale molti pubblicisti sono dei redattori di fatto (non potendo accedere al praticantato come conseguenza della situazione di crisi) e proprio per questo non meritano di essere distinti da coloro che sono professionisti di diritto.

Di fatto, i veri problemi di oggi dei giornalisti, sia professionisti che pubblicisti, sono la disoccupazione, il precariato, lo sfruttamento. Nel realizzare la riforma dell’Odg si terrà conto di questi problemi reali della categoria che vanno oltre l’appartenenza a meno ad un albo?
Come sindacato, negli ultimi anni, così come ha fatto l’ordine, abbiamo posto il dramma e il problema della precarizzazione al primo posto. Al governo appena insediatosi abbiamo ricordato che c’è un testo di legge al quale teniamo molto che è un provvedimento sull’equo compenso che è in discussione alla camera e che avrebbe in teoria il consenso di tutte le forze politiche. Abbiamo chiesto al governo Monti, così come avevamo fatto l’anno scorso al governo Berlusconi, che quel disegno di legge promosso arrivi a rapida approvazione. Sarebbe un modo per dire ai giornalisti precari, moltissimi dei quali sono pubblicisti, che il legislatore ha compreso quanto scandalosa sia la situazione di vero e proprio caporalato nei quali troppo spesso vengono tenuti.

Visti i cambiamenti in atto, si farà necessaria una regolarizzazione dei blog?
La nostra posizione è che non bisogna confondere giornalismo professionale e libertà di espressione dei cittadini. Noi come sindacato difendiamo il giornalismo professionale, ma questo non significa che vogliamo impedire a chi, per esempio tramite la rete, esercita la sua sacrosanta libertà di espressione; non vogliamo che passino norme bavaglio nei confronti dei blogger e simili e per questo, con la stessa determinazione con la quale diciamo che c’è bisogno di giornalismo professionale, diciamo come giornalisti, ma anche come cittadini, che la rete continui ad essere, malgrado i tanti tentativi di bloccarla, luogo in cui ci possa esprimere in libertà. Non ha senso voler imporre ai blogger le stesse regole che giustamente devono valere per l’informazione professionale anche in rete.

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APPELLO DELLA STAMPA A MARIO MONTI

” Stanno morendo cento giornali. Pluralismo bene prezioso”

Ci troviamo costretti ad appellarci a Lei per segnalare la drammatica necessità di risposte urgenti per l’emergenza di un settore dell’editoria rappresentativa del pluralismo dell’informazione, un bene prezioso di cui si ha percezione
solo quando viene a mancare. Alla data di oggi, infatti, queste aziende
non sono in grado di programmare la propria attività, rischiano di
dover a fine mese sospendere le pubblicazioni e anzi alcune hanno già
chiuso i battenti. Si tratta dei giornali gestiti in cooperative
espressioni di idee, di filoni culturali politici, voci di minoranze
linguistiche, di comunità italiane all’estero, no profit per i quali
esiste il sostegno previsto dalla legge per le testate non meramente
commerciali, ma per le quali oggi non ci sono garanzie sulle risorse
disponibili effettivamente per il 2012. C’è inoltre un’ urgenza
nell’urgenza: la definizione delle pratiche ancora in istruttoria per
la liquidazione dei contributi relativi all’esercizio 2010 che riguarda
una trentina di piccole imprese. In assenza di atti certi su questi due
punti sta diventando pressoché impossibile andare avanti, mancando
persino gli elementi per l’accesso documentario al credito bancario.

Nell’ancora breve, ma intensa, attività del Suo Governo, non è mancata
occasione per prendere atto della domanda di garanzie per il pluralismo
dell’informazione, anche nella fase di transizione verso il nuovo
quadro di interventi previsto a partire dal 2014. Siamo decisamente
impegnati a sostenere una riforma. Con il Sottosegretario in carica
fino a pochi giorni fa, Prof. Carlo Malinconico, era stato avviato un
percorso di valutazione delle possibili linee di iniziative. E’
indispensabile riprendere questo dossier al più presto.

Il nostro è un vero Sos che riguarda sia le procedure amministrative in corso, da sbloccare, sia la dotazione definitiva per l’editoria durante il 2012.
Il Governo ha già preso atto dell’insufficienza dello stanziamento
risultante da precedenti manovre sulla spesa pubblica e ha, perciò,
condiviso una norma, approvata dal Parlamento, che include l’editoria
tra i soggetti beneficiari del cosiddetto “Fondo Letta” della
Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’integrazione di questa
somma con un prelievo (cifra ancora indeterminata).

Ritenevamo e riteniamo che il provvedimento sulle “Proroghe”, divenuto frattanto “proroghe”, possa e debba contenere le misure opportune per stabilire l’impegno finanziario dello Stato durante il 2012. Siamo dell’avviso
che sia indispensabile la destinazione da tale Fondo di una somma non
inferiore a 100 milioni di euro, al fine di assicurare alle testate del
pluralismo dell’informazione non meramente commerciale le condizioni
minime di sopravvivenza, nelle more di un riordino del sistema di
interventi per il quale ci sentiamo solidamente impegnati. Si
tratterebbe di operare in una linea di equità, analogamente a quanto
già fatto dal Governo per Radio Radicale, verso l’indispensabile
costruzione di un nuovo e più chiaro modello di intervento.
Condividiamo nettamente l’idea che i contributi debbano sempre più
essere misurati sulla base dell’impiego dei giornalisti e
dell’effettiva diffusione delle testate e che sia davvero “impensabile
eliminare completamente i contributi che sono il lievito di quella
informazione pluralistica che è vitale per il Paese”, come Ella ha
recentemente dichiarato in sintonia con una risposta che il Capo dello
Stato diede tre mesi fa a un appello dei direttori dei giornali.

Grati per l’attenzione – d’intesa con Fnsi, Sindacati dei lavoratori,
Associazioni di Cooperative del settore (come Mediacoop, Fisc e
Federcultura/Confcooperative), giornali di idee, no profit, degli
italiani all’estero, delle minoranze linguistiche Articolo21, e
Comitato per la Libertà dell’informazione – vogliamo aver fiducia che
una puntuale e tempestiva risposta eviti la chiusura di molte delle
nostre testate e la perdita di migliaia di posti di lavoro tra
giornalisti e lavoratori del nostro sistema e dell’indotto.

Se i nostri cento giornali dovessero chiudere nessuna riforma dell’editoria
avrebbe, ovviamente, più senso. (Beh, buona giornata).

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