Categorie
Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Marchionne, impara come si fa.

(fonte: Finanzaonline.com)
Nel 2010 le vendite di Volkswagen hanno toccato quota 4,5 mln di auto, mettendo a segno un rialzo del 13,9% rispetto a un anno prima. Si tratta di un record per la casa tedesca. L´ottimo dato è frutto di un rialzo delle vendite del 49% in Russia, del 35% in Cina e del 20% negli Stati Uniti. In calo il dato europeo, che mette a segno un -1,2%. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media Salute e benessere Scienza

Alstom, Ansaldo Nucleare, Areva, Confindustria, Eon, Edf, Edison, Enel, Federprogetti, Gdf Suez, Sogin, Stratinvest Ru, Techint, Technip, Tecnimont, Terna, Westinghouse: Chicco che ti sei messo in Testa?

Pubblicità sul nucleare: diteci chi paga quei 7 milioni di euro, di Oliviero Beha

Qualche tempo fa il Ministro Brunetta aveva avuto un’idea tutt’altro che trascurabile: per i programmi tv della Rai nei titoli di coda far scorrere anche i compensi dei singoli, conduttori, autori, ospiti, i costi di produzione, ecc. La cosa finì lì, perché da un lato sembrava una mossa del centrodestra, che governa la Rai dopo la vittoria elettorale come vuole il nostro splendido costume, contro Santoro e le trasmissioni anti-governative.

Governo che ricordo presieduto dal proprietario di altre tre reti in chiaro, più un vasto pacchetto analogico più altri ammennicoli che qui o mi sfuggono o mi faccio sfuggire per farla corta. E dall’altro non se ne fece nulla per oggettive ragioni di psicologia collettiva, di radicate abitudini, di foschia antropologica: non è forse vero che la trasparenza sembra non convenire a nessuno in un Paese anticalvinista che ha un pessimo rapporto con il denaro, in una sorta di post cattolicesimo alla Dio Mammone?

Che cosa mi fa venire in mente quell’uscita di Brunetta presto evaporata tra le polemiche? La storia degli spot tv sul “nucleare sì/ nucleare no” che ormai da un bel po’ campeggiano sui nostri teleschermi (anche alla radio, anche su internet? Controllerò). Sono spot della Saatchi&Saatchi, dubbiosi, problematici, ben fatti da un certo punto di vista. Del resto non si ripete spessissimo che la parte migliore ovvero meglio fatta, più curata della tv, è la pubblicità? E nel processo di produzione delle merci abbinate ai mezzi di comunicazione, in primis la televisione, la pubblicità non gioca un ruolo decisivo?

Voglio dire che si potrebbe sostenere che oggi non sia la pubblicità a essere una condizione essenziale per il capitalismo degli anni Tremila ma il capitalismo un pretesto colossale per il mulino della pubblicità, che sia bianco o no cambia poco. Viviamo ormai una vita pubblica e pubblicitaria, nella quale gli spazi privati si sono ridotti all’osso, per scelta consenziente oppure no, per distrazione, per abitudine delle masse di consumatori. Dei prodotti pubblicizzati. Della pubblicità che li rende visibili aumentandone a dismisura il costo.

Seguendo Brunetta, forse bisognerebbe pretendere che per ogni spot pubblicitario ci fosse la scritta o la dicitura di chi paga quella pubblicità specifica. Che la Barilla produca i suoi spot è ovvio, dunque non è questo il caso in questione e tutti i produttori di qualcosa immediatamente collegabile al marchio dei loro prodotti naturalmente restano fuori da questo discorso. Ma la pubblicità ambigua o dialogica o dialettica (anche qui, dipende dal punto di vista) sulla scelta del nucleare in un Paese che lo ha comunque rigettato con un referendum popolare, bella o brutta che sia, chi la paga? Da Il Fatto di ieri l’altro ecco l’elenco di chi paga: Alstom, Ansaldo Nucleare, Areva, Confindustria, Eon, Edf, Edison, Enel, Federprogetti, Gdf Suez, Sogin, Stratinvest Ru, Techint, Technip, Tecnimont, Terna, Westinghouse.

Un budget di 7 milioni fino ad oggi, non si sa di quanto per l’anno appena cominciato. I dirigenti del Forum sono, oltre a Chicco Testa, Bruno D’Onghia (capo in Italia dell’Edf, gigante elettrico nucleare francese), Karen Daifuku (nota lobbista internazionale del settore), e tre dirigenti Enel: Giancarlo Aquilanti, Paolo Iammatteo e Federico Colosi. Tra i soci del Forum ci sono anche Cisl e Uil di categoria, più alcune Università italiane. L’associazione è fondata sul “supporto organizzativo e strategico” della Hill & Knowlton, multinazionale della comunicazione.

Il Presidente del Forum nucleare italiano che è dietro a tutta l’operazione, compresa la pubblicità di cui sto parlando, non è un profano. Citando Il Fatto ma anche la mia memoria: “Testa conosce l’argomento. L’Enel l’ha scelto per sanare i danni gravissimi da lui stesso prodotti alla cultura nucleare nazionale negli anni ‘80, quando guidava le manifestazioni per fermare le centrali. E’ lui che il 9 novembre 1987, deputato comunista, così commentava l’esito del referendum nucleare: ‘Il risultato è di grandissimo interesse politico.

La battaglia è stata dura per i grossi interessi in campo'”. Insomma, Chicco si è sistemato e da un pezzo.
Capita l’antifona? Allora forza, se la pubblicità si sta mangiando l’informazione non vale la pena che almeno si sappia se gli spot sull’Avis sono prodotti dal Conte Dracula? Non è il minimo della pena, per capirci qualcosa? E se ci fossero spot prodotti dagli antinuclearisti, non credete che pretenderei la stessa trasparenza? Viva Brunetta, dunque, e abbasso Testa se non mi mette in tv (con chiarezza assai superiore e meno subliminale del contenuto sceneggiato) che gli spot sul nucleare sono prodotti dal medesimo business del nucleare. Me li metta in sovrimpressione, prego. Il resto sono chiacchiere.
(Beh, buona giornata).

Share
Categorie
democrazia Media e tecnologia Popoli e politiche

Il sogno di Berlusconi si avvera in Ungheria.

(fonte: repubblica.it)
La pagina bianca del Népszabadsàg ricorda la protesta di Repubblica contro i piani di legge-bavaglio del centrodestra italiano. «La libertà di stampa muore in Ungheria», è scritto sotto la testata, in tutte le lingue dell’ Unione europea. A Budapest un bavaglio che a Berlino ambienti governativi definiscono «in stile tra Putine la Bielorussia», è passato senza problemi. Insieme a tasse punitive e retroattive contro le grandi aziende straniere e a sgravi fiscali varati per conquistare consenso, nonostante Moody’ s abbia degradato il rating del paese a poco più del livello spazzatura. Gennaio 2011: per la prima volta da quando l’ Unione europea esiste, un paese il cui governo non solo predica, ma pone in atto politiche autoritarie e incompatibili con la Carta europea assume la presidenza semestrale della Ue stessa. Protestano i media in tutto il mondo, e tra i governi alza la voce quasi solo quello di Angela Merkel. Il premier nazionalconservatore magiaro, Viktor Orban, replica durissimo: «Non mi sogno nemmeno di cambiare la legge, né di inginocchiarmi, né di reagire ai commenti occidentali».

La libertà di stampa muore in Ungheria. Il monito scritto su quella prima pagina bianca, in tutte le lingue della “casa comune” chiamata Europa, suona come un grido disperato nel deserto. Con una maggioranza di due terzi del Parlamento, la Fidesz, il partito nazionalconservatore di Orban, può fare e disfare leggi a piacimento. Prepara anche una riscrittura della Costituzione. Zoltan Kovacs, sottosegretario per la government communication al ministero della Pubblica amministrazionee della Giustizia, vicinissimo al premier, si indigna quando qualcuno gli chiede se il governo pensa a una riforma costituzionale in senso più democratico o liberal. «Che cosa vuol dire democratico, o liberal? Noi vogliamo rendere la Costituzione meno socialista», risponde.

L’ ispirazione ideologica è chiara: nazionalismo, conservatorismo cattolico-tradizionalista, più potere all’ esecutivo, più controllo sulla Giustizia. La Corte costituzionale si è già vista sottrarre poteri significativi. «Adesso comunichiamo su Facebook col pubblico», ha spiegato l’ altro giorno Attila Mong. Era una star del gr del mattino, ha perso l’ incarico per aver protestato con un minuto di silenzio al microfono contro la legge sulla stampa. Legge che in qualsiasi altro paese della Ue è giudicata inaccettabile. Un Consiglio dei media, in mano agli uomini della Fidesz, controlla di fatto tv, radio, la principale agenzia di stampa e il primo portale Internet. E soprattutto, il Consiglio dei media ha il potere di punire ogni media, pubblico o privato, che giudichi colpevole di diffusione di notizie politicamente sbilanciate, con multe che nella fragile situazione economica del paese possono mandare più di un’ azienda editoriale in fallimento: dai 90mila euro a ogni “sgarro” per i media cartacei e online, fino a 750mila euro per radio e tv. Non è finita: i giornalisti sono obbligati a rivelare le fonti, «se è in gioco la sicurezza nazionale». Se e quando sia in gioco, lo decide il Consiglio stesso. Una radio privata è stata multata per un motivo del rapper Ice-T che «minaccia la morale dei giovani».

Berlino ha protestato con durezza. E in prima pagina su Die Welt, giornale vicinissimo ad Angela Merkel, un ex consigliere di Helmut Kohl, lo storico professor Michael Stuermer, ha ammonito contro il “Fuehrerstaat” guidato da Orban: un potere senza scrupoli, che a differenza dell’ Austria ai tempi del partito di Haider al governo non lancia slogan autoritari, li traduce in fatti. «Ecco quanto rapidamente una democrazia può distruggersi da sola, quasi come in un remake del film tragico degli autoritarismi antisemiti degli anni Trenta». Ieri hanno protestato i vertici di molte grandi aziende europee, Deutsche Telekom in testa: chiedono sanzioni Ue contro la politica fiscale di Budapest, definita demagogicamente ostile agli investitori stranieri.

Leggi-bavaglio, frusta contro i global player stranieri in nome di un facile anticapitalismo, flat tax per promettere un rilancio economico ignorandoi moniti degli economisti sulla fragilità dei conti pubblici, limiti alla magistratura. E in più ricordo costante con forti toni nazionalisti della “Tragedia del Trianon”, i territori perduti dall’ Ungheria sconfitta nella prima guerra mondiale perché parte dell’ Impero austriaco, e promessa di cittadinanza a slovacchi, romeni o serbi di origine magiara. Atti che inquietano i vicini: che clima graverebbe sull’ Europa se Angela Merkel ricordasse i territori perduti dalla Germania o promettesse passaporti e diritto di voto tedeschi in Alto Adige, in Boemia o in Slesia? Orban va avanti «senza scrupoli, mosso dall’ istinto del potere», accusa l’ ex consigliere di Kohl.
Bruxelles guarda e tace, anche davanti a quella pagina bianca. (Beh. buona giornata).

Share
Categorie
Leggi e diritto Popoli e politiche

Il caso Battisti: dite al ministro Frattini che chi è causa del suo male, piange se stesso (e il suo “padrone” politico).

di MARCO DAMILANO-http://damilano.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/01/02/battisti-ditalia/

«Basta con le dottrine che difendono i latitanti», tuona il ministro degli Esteri Franco Frattini a proposito di Cesare Battisti. «Con tutto il rispetto per il presidente Lula, non è l’Italia il paese dei desaparecidos, non è che qui in galera si tortura, si uccide o si fanno sparire i detenuti». Giusto, giustissimo. Con tutto il rispetto per il ministro Frattini, però, si poteva evitare di far cadere in equivoco il brasiliano Lula anche con talune descrizioni della nostra macchina giudiziaria arrivate dall’Italia, e da sedi autorevoli. «In Italia siamo tutti spiati, ci sono 150mila telefoni sotto controllo. Così non siamo in un paese civile, non è una vera democrazia». «L’Italia non è davvero un paese democratico: la sovranità non appartiene al popolo ma a certi giudici, sono una metastasi». Quest’ultima affermazione, formulata da Silvio Berlusconi proprio in Brasile, a San Paolo, lo scorso 29 giugno, potrebbe aver indotto Lula a pensare che in Italia la democrazia è sospesa e che siamo in mano a una dittatura.

Dice Frattini: basta con la difesa dei latitanti. Giusto: ma come fa a gridarlo l’esponente di un partito che ha sempre considerato, per fare un esempio, Bettino Craxi un esule politico e non invece un latitante condannato per tangenti da riportare in Italia (e da curare e da trattare con umanità, certo, ma questo è un discorso che riguarda qualsiasi detenuto)? Un anno fa il ministro degli Esteri era in prima fila ad Hammamet per commemorare Craxi: «è stato un grande uomo di Stato», si pavoneggiò in quell’occasione, «è un dovere morale essere qui. Un gesto di ribellione contro l’ingiustizia di certa giustizia italiana». Lula sottoscriverebbe, Battisti pure: anche lui si ribella.

Afferma Frattini: in Italia non c’è una giustizia che tortura. Benissimo: ma perché, allora, i berlusconiani da anni sono impegnati in una guerra senza quartiere contro la magistratura in blocco, considerata come un impedimento a governare o, peggio ancora, eversiva e golpista, fino a progettare uno scudo che salvi il premier dai processi? Cercano di sfuggire ai tribunali e, in caso di condanna, gridano alla sentenza politica, da non riconoscere: esattamente come Battisti e i suoi amichetti (tra cui la scrittrice Fred Vargas: il suo personaggio, il commissario Adamsberg, “spalatore di nuvole”, non la riconoscerebbe, intenta com’è a spalare cavilli giuridici, ignoranza storica e disumana lontananza dai sentimenti delle vittime. Ha un lettore in meno, almeno).

Attenzione: Craxi non è Battisti, e neppure Berlusconi. E il terrorismo politico e gli omicidi non sono neppure moralmente paragonabili al reato di finanziamento illecito. Ma le reazioni sono simili: gli stessi tic, gli stessi alibi, le stesse accuse contro la magistratura che sarebbe politicizzata e di parte. Non è una convergenza casuale. Già negli anni Settanta c’era una parte della società italiana che lavorava e faticava per dare un senso al vivere insieme: gli eroi anonimi, borghesi, nella pubblica amministrazione, nella scuola e nelle università, nelle fabbriche. E un’altra parte che invece considerava lo Stato un mostro da distruggere, le istituzioni democratiche un fantoccio, le persone che queste istituzioni incarnavano simboli da abbattere. Una cultura molto più diffusa di quanto si pensi, che unisce ex terroristi rossi e ex terroristi neri (si fecero vedere tutti insieme, due anni fa, alla presentazione di un libro sulla strage di Bologna, in un ributtante abbraccio collettivo, il fotografo di Dagospia Umberto Pizzi se ne andò indignato), ma anche chi negli stessi anni militava in logge massoniche occulte con lo stesso obiettivo: rovesciare la Costituzione.

Sì, c’è una cultura che accomuna alcuni amici di Battisti e alcuni amici del premier, e che spiega perché mai alcuni esponenti ex Lotta Continua e ex Potere Operaio si siano ritrovati a scrivere sui giornali della destra berlusconiana e a inneggiare alla rupture operata dal Cavaliere. La rottura con le regole dello Stato democratico, l’indifferenza per le istituzioni, il disprezzo per i servitori dello Stato, siano essi un commissario di polizia o un carabiniere o un magistrato o un giornalista o un operaio (perché Walter Tobagi e Guido Rossa sono stati due grandi servitori dello Stato). Il giudice Emilio Alessandrini, assassinato a Milano da Prima Linea dopo aver indagato su piazza Fontana, nel ‘79 aveva solo 37 anni: fosse vissuto quindici anni di più sarebbe stato probabilmente considerato una toga rossa o addirittura un eversore.

Quel terrorismo nero e rosso ci ha strappato gli uomini migliori, la mafia ha fatto il resto. Ci restano i Cesare Battisti: un piccolo, volgare criminale che ha trovato una valvola di sfogo per il suo sadismo sotto l’ombrello della lotta politica e che nel suo narcisismo infinito oggi godrà nel vedersi al centro di uno scontro internazionale. Ma non è un caso isolato. Sono tanti i Battisti d’Italia, mascherati da rivoluzionari, furbastri e impuniti, nel paese dell’illegalità, dove gli uomini delle istituzioni continuano a essere derisi e insultati, le vittime a restare senza giustizia e la memoria collettiva a essere tradita.

Share
Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: