“Mi venne poi mostrato il cimitero, o meglio la necropoli dei Matranga, degli Schirò, dei Barbato, dei Loiacono e delle altre famiglie cristiane albanesi che erano emigrate in Italia meridionale e in Sicilia nel quindicesimo e nel sedicesimo secolo.
Tutte le lapidi moderne, grandi o piccole che fossero, avevano la fotografia del defunto. La morte era sempre presente a Piana, era una realtà mai dimenticata e sentita con rispetto.
In quella cittadina vidi un aspetto del costume tradizionale che era ancora dato per scontato e cioè le donne, vestite di nero, che stavano sedute in silenzio sulla strada, ma sempre con il viso rivolto verso l’interno della casa.
Stavamo camminando lungo un lato della piazza – gli anticomunisti e i mafiosi camminavano dall’altro lato – quando mi fermò per un istante: «Non dire a nessuno, qui, che sei un inglese», mi avvisò. «Ci sono persone che, se lo sapessero, non sarebbero affatto contente di vederti assieme a me. Gli ho detto che vieni da Bologna».
Era abbastanza logico: anche in Sicilia si sapeva che Bologna era rossa ed era quindi naturale che un comunista venisse a far visita a un suo compagno.
C’era soltanto un particolare che non capivo: eravamo stati assieme tutto il giorno, parlando in inglese ad alta voce. Sala, che conosceva la sua gente, fugò i miei dubbi: «E come fanno a sapere che lingua parlano a Bologna?»
In effetti, una novantina d’anni prima, poco dopo l’unificazione dell’Italia, era successo proprio questo: nel 1865, i primi maestri inviati dal nuovo regno per insegnare ai bambini siciliani l’italiano di Dante erano stati scambiati per inglesi.” (da “Anni interessanti: Autobiografia di uno storico” di “Eric J. Hobsbawm”).