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Perché Grillo ha ragione.

beppegrillo.it

Se si legge con attenzione ciò che ha scritto Grillo sul suo blog, si scoprono due cose importanti, non solo per il M5s.

La prima è risaputa, anche se troppo spesso viene dimenticata: la fonte delle notizie è sempre più genuina delle interpretazioni che forzano la realtà per volersi sostituire alla verità.

La dimostrazione è che attualmente il dibattito politico, come si auto definisce il chiacchiericcio giornalistico è sull’interpretazione del significato di ciò che sostiene Grillo, e non sulla sostanza della posizione politica che ha assunto:

Il consenso è solo l’effetto delle vere cause, l’immagine che si proietta sullo specchio. E invece vanno affrontate le cause per risolvere l’effetto ossia i problemi politici (idee, progetti, visione) e i problemi organizzativi (merito, competenza, valori e rimanere movimento decentralizzato, ma efficiente).”

Questa affermazione che Grillo ha affidato al suo blog è assolutamente condivisibile, perché corrisponde allo stato dell’arte del fare politica in Italia, e non riguarda solo la vita interna al Movimento 5 stelle, ma l’intero campo in cui sono schierate le forze politiche, dentro e fuori le istituzioni rappresentative. 

E infatti, Grillo aggiunge: “Le organizzazioni orizzontali come la nostra per risolvere i problemi non possono farlo delegando a una persona la soluzione perché non sarebbero in grado di interiorizzarla quella soluzione e di applicarla, ma deve essere avviato un processo opposto: fare in modo che la soluzione decisa, in modo condiviso, venga interiorizzata con una forte assunzione di responsabilità da parte di tutti e non di una sola persona. La trasformazione vera di un’ organizzazione come la nostra avviene solo così.” 

Ecco una considerazione, che richiama la seconda scoperta che si farebbe se si leggesse il suo pensiero alla fonte. Vale a dire che la delega ai dirigenti è un atteggiamento sbagliato, perché deresponsabilizza i singoli, li isola dal dibattito collettivo, e introduce il giudizio passivo per l’operato del capo, e così le energie delle idee si riducono ad assenso e dissenso verso i dirigenti, invece che essere la forza motrice che ne riceve linfa critica e produce iniziativa politica.

La storia dei movimenti, compreso quello operaio non solo in Italia, ha sempre avuto davanti  a sé il bivio: centralizzare la struttura o diffondere organizzazione tra i soggetti sociali coinvolti nel cambiamento dei rapporti di forza? 

Andando via via lungo la storia, il potere va ai soviet o al partito, che poi diventa Stato? Il centralismo può essere davvero democratico? Decidono i consigli di fabbrica o le segreterie confederali? Le idee si formano nelle assemblee studentesche o nelle riunioni dei dirigenti dei gruppi? Il movimento deve strutturarsi o diffondersi?

In altri termini: il partito è un fine (come pensa Conte) o uno strumento (come sostiene Grillo)? Ecco la questione che divide il M5s.

È una questione dirimente. E come tale va considerata. Tutto il resto appartiene a considerazioni strumentali sulla tenuta del governo, sull’alleanza col Pd, sulle prossime elezioni, sul semestre bianco, e via cianciando. 

La tesi secondo cui il nemico elettorale è alle porte e quindi non si deve stare a discutere ha sempre spianato la strada a scelte che, al contrario, hanno favorito l’involuzione del quadro politico e fin troppo spesso ridotto la stessa agibilità politica delle istanze che dal basso rivendicano giustizia sociale. 

La parabola del Pd è lì che lo testimonia e continua a dimostrarlo: è un partito che crede di affidare le proprie sorti al segretario di turno, che gestisce il traffico caotico delle correnti, che anestetizza le contraddizioni sociali in virtù del sacro totem della governabilità, invece che alle spinte che vengono dal basso per politiche inclusive, egualitarie, ridistributive, capaci di creare coesione sociale, giustizia sociale, diffusione dei diritti civili, sociali e politici, e un’idea della sviluppo che non sia di solo profitto per pochi e costi sociali insostenibili per la maggioranza delle persone. 

Grillo ha ragione. Il che non significa che ce la farà. Ma personalmente sarei davvero stufo che ce la facciano sempre quelli che  – per avere successo – dicono e fanno cose sbagliate. Il M5s ha fatto molte cose sbagliate. Questo dibattito interno potrebbe essere molto salutare, non solo per loro.

p.s.: ai finti tonti, o genuini ignoranti, ricordo che l’accusa di pratiche seicentesche, di cui Grillo ha fregiato il lavoro di Conte,  si riferisce all’Assolutismo, che dal 1660 al 1789 imperversò in Europa.

Ricorderei che il 1789 è la data della nascita della Rivoluzione francese, che, tra le altre cose, spazzò via proprio l’Assolutismo. Ogni riferimento è tutt’altro che casuale. 

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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