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La rammendatrice del territorio.

Una conversazione con Patrizia Nicolini, sindaca di Sacrofano che
si batte perché il suo Comune sia davvero un bene comune.

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Una conversazione con Patrizia Nicolini, sindaco di Sacrofano che si batte perché il suo Comune sia davvero un bene comune.

Sacrofano è un paese della Città Metropolitana di Roma. È il primo a nord di Roma Nord. È uno dei comuni che insistono nell’area compresa nel Parco di Veio che, con quasi 15 mila ettari, è una cintura verde che produce effetti mitiganti sul clima, ricca biodiversità e, nonostante gli assalti dell’urbanizzazione, continua ad avere un elevato e riconosciuto valore paesaggistico. Una risorsa, un volano straordinario di cultura ambientalista, di sapere biologico, una miniera di biodiversità, una risorsa per la green economy, ma anche di turismo consapevole, che potrebbe trovare posto nei processi di “transizione ecologica”, e dare impulso all’economia circolare di Sacrofano e dei comuni limitrofi. A Sacrofano c’è la sede dell’Ente che gestisce il Parco.

Ci sono due modi per arrivare a Sacrofano da Roma. Il primo è percorre la via Flaminia per 8 chilometri, fino al bivio con la Sacrofanese-Cassia. Lungo questa strada, che porta fino in paese, si attraversa Monte Caminetto, che è la frazione in cui vivono poco meno della metà dei cittadini del Comune. 

Il secondo modo per arrivare a Sacrofano è uscire dalla Flaminia verso Prima Porta e percorrere via di Valle Muricana, che corre quasi parallela alla Flaminia. In questo caso, sempre dopo 8 chilometri, si costeggia Borgo Pineto, frazione  dove risiedono molti dei cittadini del Comune. Insomma, gli 8300 cittadini del Comune di Sacrofano vivono in un contesto urbanistico sicuramente immerso nel verde, che tuttavia non favorisce la coesione sociale.

A Patrizia Nicolini, che guida la Giunta del Comune di Sacrofano chiedo: 

Qual è la composizione sociale del Comune?

I cittadini che qui sono nati e cresciuti da generazioni sono ormai poco meno di un terzo della popolazione. La maggior parte, sono venuti soprattutto da Roma. Ma verso Roma continuano a recarsi per lavoro, con quella forma di pendolarismo molto comune nella Città Metropolitana.

Quali sono i motivi di queste migrazioni in provincia?

Il ceto medio, indebolito dal susseguirsi delle cicliche crisi economiche, ha cercato di difendere il proprio tenore di vita spostandosi dove la vita costasse di meno.

La conseguenza è stata la svendita di terreni agricoli per trasformarli in aree edificabili, col risultato di incrementare il consumo del suolo da un lato e l’impoverimento degli investimenti in agricoltura, dall’altro.

Questi fenomeni sono stati molto frequenti quasi ovunque nelle province delle grandi città. Non poteva che essere così anche in provincia di Roma. 

Questo potrebbe voler dire che i nuovi arrivati non sentono questo territorio come luogo che appartenga loro.

In effetti, se prendiamo per esempio Monte Caminetto, dove vivono la maggior parte dei cittadini, essi hanno un rapporto col Comune solo per via di adempimenti burocratici, per il resto la loro vita si svolge durante l’arco della giornata a Roma, vicino ai luoghi in cui lavorano fanno la spesa, lo shopping, vanno al bar o al cinema. 

Non socializzano con il resto del territorio?

Non è mai corretto generalizzare, tuttavia credo che nella maggior parte dei casi ognuno socializzi con la propria cerchia di amici, famigliari o conoscenti, che durante il fine settimana invita a casa. Sono belle case con giardino, lontano dal caos urbano di Roma.

Ma lontano anche dal territorio del Comune di Sacrofano.

Sì, questo è uno dei nostri problemi. 

E Borgo Pineto?

Anche loro a volte si sentono distanti. Magari più per gioco che sul serio, hanno fantasie “secessioniste”. Ma comunque, sia gli uni che gli altri esprimono, a loro, modo, un’esigenza che stiamo affrontando, che si riassume in una domanda che ci facciamo spesso: qual è il modo migliore per favorire la coesione sociale dei cittadini di questo Comune? Perché in definitiva è questo il nostro compito come amministratori.

Qual è il vero problema?

La tendenza a chiudersi. E quindi a generare diffidenze, che ostacolano una sana circolazione d’idee per affrontare senza reticenze problemi, esigenze, desideri. Senza dialogo non c’è un discorso pubblico condiviso. Ma non c’è neppure disponibilità a impegnarsi perché le cose migliorino. La mia Giunta sente forte compito di rimuovere questi ostacoli.

Ai “nuovi arrivati” da Roma, si aggiunge una robusta presenza di cittadini stranieri. Su una popolazione di 8.300 abitanti, oltre 120 cittadini provenienti da paesi della Ue e circa 300 da paesi extraeuropei o comunque non ancora entrati a pieno titolo nella Ue, sono una percentuale di tutto rispetto, si aggira a poco meno del 20 per cento.

La rilevanza di queste presenze sul territorio si può misurare tra gli alunni delle nostre scuole. Le loro iscrizioni hanno mantenuto alta la popolazione scolastica e di conseguenza il personale insegnante e non insegnante. C’è anche da dire che molti di questi cittadini sono dediti alla manutenzione delle ville che costeggiano le due arterie che portano in paese. Sono giardinieri, idraulici, elettricisti, muratori che vengono ingaggiati dai residenti per piccoli lavori. Le case di campagna sono belle, ma richiedono sempre molta cura.

Torniamo alla questione della coesione sociale. In altre occasioni, ho avuto modo di ricordare la teoria del rammendo della città esposta da Renzo Piano. Traslando dall’architettura urbana al contesto sociale, pur facendo i conti con l’urbanistica che ha seguito percorsi non sempre previsti né regolamentati, qual è la chiave che può aprire una prospettiva di coesione in questo comune?

Intanto vorrei dire cos’è per me la coesione sociale. È la capacità di mettere in rete le migliori energie: noi non abbiamo insediamenti produttivi che possano far da traino a un aumento del benessere economico del territorio. E poi c’è l’annosa questione della penuria di risorse finanziarie destinate ai Comuni italiani, che mette in grande difficoltà i servizi ai cittadini. Tuttavia vanno messe insieme le migliori qualità possibili per rendere attrattivo il nostro Comune e fare sistema per stimolare le migliori energie che i cittadini possono mettere in gioco a favore della comunità in cui vivono. 

Quali sono queste risorse che le energie dei cittadini possono rendere profittevoli?

La prima è che ognuno deve sentirsi il portatore sano di una buona reputazione.  Il passato rimanga al suo posto, che è appunto il passato. D’altronde, qui non si vive male. Ma bisogna che tutti contribuiscano a vivere bene. Il presente va sostenuto: qui ci sono ancora buoni prodotti della terra che vengono commercializzati sia dai piccoli negozi che dalla Gdo. Ci sono orti, uliveti, si alleva bestiame, ci sono maneggi e scuderie. Non si registrano livelli nocivi di inquinamento. Non si registrano pericoli. Anche la pandemia qui è stata affrontata con serena disciplina e in più di un’occasione con spontanea solidarietà. Faccio notare, per esempio, che il territorio è cablato e in molte aree ormai c’è la fibra ottica. Un’ottima notizia non solo per chi voglia svolgere da qui un’attività in “smart working”, ma anche per chi svolge attività intellettuali, professioni artistiche. Il terreno, dunque, è fertile non solo per la coltivazione, ma anche per fare impresa legata alla produzione del biologico, dell’accoglienza alberghiera, della ristorazione di qualità, dell’artigianato, degli sport all’aria aperta. Mi piacerebbe, per esempio, che un giorno tutti coloro che coltivano ulivi si consorziassero per produrre un olio autoctono. 

Lei ripone molta fiducia nei cittadini. 

Ricambio quella che hanno avuto in me e nella Giunta che guido. Ma per il ruolo che rappresento – e per il mio modo di vedere l’impegno pubblico – sento il dovere di avere più fiducia io in loro di quanto loro ne debbano avere in me. D’altronde, la fiducia nel governo della cosa pubblica è stata l’obiettivo contro cui si sono rivolti i cannoneggiamenti della propaganda secondo cui “privato” sempre è meglio di “pubblico”. Una superstizione dura da confutare.

Quale leva può davvero far progredire Sacrofano?

È la cultura. In settembre inauguriamo la biblioteca comunale, nella piazza centrale di Sacrofano. È un evento importante, ma soprattutto l’avvio di un processo irreversibile di coesione sociale.  In questi mesi abbiamo portato libri in giro per i vari luoghi del nostro comune, grazie alla collaborazione di una associazione che diffonde la lettura attraverso la distribuzione gratuita di libri di tutti i generi letterari.  È stata una specie di “campagna di promozione” diffusa sul territorio propedeutica alla prossima apertura della biblioteca comunale. 

I lavori di riuso di una struttura preesistente trasformata nella biblioteca comunale.

Una biblioteca comunale al centro del paese. Sembra un miraggio.

Invece è un fatto concreto. Abbiamo vinto un bando regionale, grazie al quale abbiamo riqualificato una costruzione preesistente, e di conseguenza riqualificato una piazza, il centro del paese, perché la biblioteca sia la biblioteca di tutto il territorio comunale, di Monte Caminetto, e di Borgo Pineto, e dell’Antico Borgo Medievale, e di Sacrofano paese e di tutte le zone e di tutti i cittadini, anche dei comuni vicini. La biblioteca dovrà presto diventare un motore della coesione, della creatività, capace di stimolare idee e buone pratiche. Grazie alla biblioteca, Sacrofano deve diventare presto un paese per giovani, della loro forza innovatrice. Per me la cultura non è pura contemplazione passiva, ma fucina di nuove idee. Idee capaci di contaminare il desiderio di coesione, di diffondere consapevolezza, di spingere il senso della cittadinanza e dei suoi diritti, ma anche capace di stimolare nuove imprenditorialità.

Mi viene da pensare che bisognerebbe riscoprire l’origine dalla parola Comune. Che non è solo un erogatore di servizi, di cui comunque i cittadini hanno il sacrosanto diritto. 

Sì, il Comune è un’istituzione locale, ma ha un compito che supera i suoi confini territoriali: ogni cittadino è un mondo, al quale partecipare, nel quale tutti gli sforzi devono tendere al bene di ciascuno e di tutti. Il Comune deve essere un bene comune. 

L’idea di Comune è una prospettiva, una visione, uno stile di lavoro, una prassi comune, appunto. 

Una prassi comune, per fare sistema, per mettere in rete tutte le energie, per fare della coesione un fatto concreto, capace di rammendare il territorio. Il sapere è indispensabile, perché è il propellente dei cambiamenti. Il sapere è l’obiettivo della cultura, di cui i libri sono strumenti indispensabili e la nostra biblioteca dovrà diventare la cassetta degli attrezzi della coesione sociale.

I lavori interni alla struttura che ospiterà la biblioteca comunale. L’inaugurazione è prevista in settembre 2021.

Patrizia Nicolini è una donna piena di energie e passione per il ruolo che svolge. Che non è un compito facile: fare il Sindaco è la più difficile delle carriere pubbliche nel nostro Paese. Ma questa miscela tra pragmatismo e visione prospettica è molto interessante. E promettente, una bella sfida contro la rassegnazione, la sfiducia, il conformismo.

Con Patrizia Nicolini, si conclude la ”trilogia della coesione”, iniziata con una conversazione con Giulia Fossà, impegnata in “Capalbio Estate”, che trovate sotto il titolo “Una maremma anomala”; e proseguita con Carmela Lalli, Assessora alla Cultura del IX Municipio di Roma, che trovate intitolata “L’archeologa della cultura”, tutte già qui pubblicate. 

La “trilogia della coesione” è stata pubblicata su grandimagazziniculturali.it

Per me è stato un viaggio con chi sta facendo cose utili per le rispettive comunità. Con competenze diverse, e specifiche sensibilità, ma con lo stesso spirito e la stessa determinazione di chi vuole imporre alla realtà un altro ritmo, promuovere altre cose da fare. Fossà, Lalli e Nicolini sono donne. Capaci, risolute, caparbie.  Il cui impegno, le cui teorie e le rispettive pratiche dovevano essere raccontati.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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