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Attualità

Non chiamatelo Me Too.

Premesso che ammiro le giovani donne che hanno avuto il coraggio di denunciare – sia pur in forma anonima e confidenziale – i soprusi a sfondo sessuale subiti da maschietti singoli o in branchi, rimane il problema che tutto quanto è avvenuto è ancora nella bolla del sentito dire.

È stato detto – correttamente – che in assenza di atti formali che avessero permesso all’autorità giudiziaria di entrare nel merito, non ci sono possibilità di andare oltre generiche dichiarazioni di scuse o tardivi lacunosi pentimenti, nonché aleatorie autosospensioni da associazioni di categoria.

Anche le denunce a mezzo stampa a un certo punto sono costrette a fermarsi, perché le illazioni devono lasciare il posto ai fatti, accertati e verificati. “Io so i nomi….ma non ho le prove”, ci ha insegnato una volta Pasolini.

Nel nostro ordinamento le responsabilità penali sono individuali, se non si individuano i responsabili non c’è storia da raccontare.

Anche le responsabilità “ambientali” si stanano solo a fronte dell’accertamento di precise circostanze, che vedano i responsabili essersi avvalsi di omertà o complicità.

C’è anche da dire che la distanza tra gli accadimenti emersi e il tempo trascorso prima che fossero resi noti è risultato oltre i limiti stabiliti per legge, e nessuno può immaginare che si apra un fascicolo a distanza di sei o sette anni per fattispecie penali che prevedono 12 mesi di tempo per la denuncia.

Il punto è che la semplice disapprovazione non risolve la questione, la quale tanto lentamente è venuta a galla, quanto velocemente si riassorbirà nel vortice degli accadimenti individuali e collettivi delle nostre esistenze.

La cosa peggiore, – che risulterebbe una ulteriore mancanza di rispetto nei confronti di chi è stata vittima delle molestie – è aver riaperto quelle ferite solo per farne oggetto di estemporanee attenzioni estive, vagamente scandalistiche, con cui indignarsi un po’, per poi passare ad altro gossip.

Vittime, carnefici e complici sono tutt’ora legati fra loro da un reticolo di omertà. Esattamente quel reticolo di ricatti morali e materiali che il “Me too”, quello esploso nel mondo del cinema è stato capace di scardinare.

Nel nostro caso, non c’è stato ancora nessun “anch’io”. Questo è il problema. E c’è da essere certi che in Italia la questione delle discriminazioni, delle disparità e delle molestie non riguardi solo e soltanto l’ambiente della pubblicità.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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