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Che fine ha fatto la dizione corretta?

E la pubblicità si è contagiata, è diventata una malata terminale di strafalcioni sintattici e grammaticali.

È noto come in Italia la televisione abbia contribuito alla capillare diffusione della lingua italiana tra gli italiani. E anche tra gli stranieri residenti nelle nostre città, per non dire di alcune aree geografiche del Mediterraneo.

Per molti anni questo fatto ha creato negli addetti ai lavori la consapevolezza dell’importanza della corretta dizione delle parole che compongono le frasi.

Prima a teatro e alla radio, poi al cinema infine nella tv, generazioni di doppiatori, attori, giornalisti radiotelevisivi, speaker -ma anche autori, sceneggiatori dialogisti, e copywriter – si sono impegnati a fare della lingua italiana una veicolo di coesione linguistica del pubblico

Poi, ahinoi, la tv si è trasformata in qual troiaio del marketing, dandosi alla depravazione dei reality, ma anche del talk, in cui mezze figure straparlano, sbagliando gli accenti, i tempi verbali, oltre che le citazioni storiche o geografiche.

E la pubblicità si è contagiata, è diventata una malata terminale di strafalcioni sintattici e grammaticali.

Attualmente una fanciulla sussurra cose incomprensibili a proposito di una passata di pomodoro, per poi piazzare una bella z al posto della s nella parola sapore.

Per non dire delle e aperte che ormai dilagano, che fanno tanto nord Italia, quindi trend (con la é).

Poi la catastrofe. Una ex velina che viene fatta passare per una diva già è poco credibile quando ci dice qual è il suo “segret”.

Poteva essere credibile quando la testimonial di quell’acqua oligominerale era Cindy Crawford, la cui leggendaria bellezza sembrava resistere all’usura del tempo, proprio grazie a quell’acqua.

Quando l’ex velina ha preso il suo posto, bè, quel “my segret” ha assunto un che di poco elegante, improvvisato, un errore di strategia: prodotto e testimonial hanno smesso quella sinergia che faceva credere plausibile il connubio.

Non paghi, al marketing dell’azienda dell’acqua in questione, hanno definitivamente sbragato, quando in una delle ennesime versioni, fanno dire all’ex velina: “che buono é?!”.

È un’esclamazione in slang meneghino che credo si vergognano ormai di dire anche nei negozi del parrucchiere dell’interland.

Sarebbe facile sostenere che quella campagna pubblicitaria fa acqua. Il fatto è che fa pena, sta in piedi solo perché è spalmata a tutte le ore in tutti i canali, pubblici e privati.

Tanto per dimostrare che l’ossessiva ripetizione del messaggio è la prova provata del niente da dire di interessante per lo spettatore, il consumatore, e, – ciò che è alquanto sconcio-, neppure per chi paga il canone.

Ecco allora il punto: pronunciare male le parole, per cercare il consenso attraverso regionalismi è uno sforzo degno di miglior causa, che dovrebbe, invece, essere la ricerca di un’idea forte e credibile.

Facile da capire, facile come bere un bicchiere d’acqua fresca.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

Una risposta su “Che fine ha fatto la dizione corretta?”

ecco
le tue lettere sono come dei lampi di intelligenza in questa melma ignorante
anche io racconto e notifico gli strafalcioni culturali e verbali
in televisione è una apoteosi
abbracci
loredana scippa

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