Categorie
Attualità Natura Salute e benessere Società e costume

La birra fa fare pipì ecologica.

Lo so, lo so che lo sanno tutti che la birra è diuretica. Quello che non sapevo è che la birra diminuisce il contenuto salino nelle urine. Come lo so? Lo hanno detto gli esperti dell’università di agronomia di Vienna, che hanno lanciato un allarme inquinamento da urina a Euro 2008 in Austria.

Gli esperti temono infatti danni per alberi e cespugli nelle zone frequentate dai tifosi che potrebbero cercare di evitare le file davanti alle toilette pubbliche e urinare nel verde.

Secondo gli esimi scienziati della pipì, il ‘problema delle acque gialle’ riguarda soprattutto la cosiddetta ‘fan-zone’ di Vienna, un’area con maxi-schermi e gastronomia lungo il ‘Ring’, lo storico viale verde che delimita il centro, dove sono attesi 70.000 tifosi per ogni partita.

Grazie ai loro studi, apprendiamo che l’urina umana di per sé non è velenosa per le piante, ma il sale in essa contenuto potrebbe costituire una vera minaccia per gli ippocastani ultracentenari che punteggiano il Ring, ma anche per l’erba, i fiori e altre piante storiche dei giardinetti dell’area che sarà frequentata dai tifosi, perché la loro abbondante pipì potrebbe ostacolare l’assorbimento di acqua dal terreno.

È a questo punto che fa il suo ingresso la buona notizia: il consumo abbondante di birra diminuisce il contenuto salino nell’urina. Dunque, ora che lo sapete, potete farla fuori senza problemi ecologici. Ah, che sollievo.

A parte ogni altra considerazione di ordine pubblico, tipo quelle cose che hanno a che vedere con la buona educazione, il pudore, per non dire il convitato di pietra dell’epoca moderna, vale a dire il buon senso, questa straordinaria scoperta degli ineffabili esperti viennesi significa almeno un paio di cose: la prima è che sarebbe meglio aumentare il numero di vespasiani; la seconda è che sarebbe meglio aumentare la vendita e il consumo di birra.

La cosa di per sé fa scompisciare dal ridere. Però, è una buona opportunità per le marche di birra a Euro 2008, i campionati europei di calcio. O no?! Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Pubblicità e mass media

Quando un apostrofo sbagliato manda in vacca la festa.

E’ un vero peccato. I news magazine italiani pubblicano questa settimana un annuncio in pagina singola di una famosa e molto prestigiosa marca di orologi svizzeri. L’annuncio in questione è quello che ci si aspetta da un prodotto di lusso: rigoroso, pulito nella grafica, arguto nel titolo.

Però, c’è un brutto però: c’è uno stupido errore di grammatica. È stato proditoriamente apostrofato l’articolo indeterminativo singolare maschile. Insomma, c’è scritto: “un’ altro”.

Che peccato. L’allure della prestigiosa marca, la percezione dell’assoluta precisione dei maestri orologiai svizzeri, la reputazione della cura maniacale nella soddisfazione del cliente, tutto in vacca per un maledetto apostrofo. Che uno dice: ma se siete davvero così precisi come mai non lo siete stati nello scrivere, nell’impaginare, nel controllare l’esecutivo, nel darlo alle stampe?

Ad aggravare la situazione, l’annuncio pubblicitario in questione celebra quasi un secolo e mezzo di vita e di successi, con una preziosa riedizione di un modello di alto prestigio. Ecco come, dunque, l’apostrofo sbagliato ha mandato in vacca una bella festa.

Lo sappiamo tutti che gli errori sono sempre in agguato, come i briganti con lo schioppo gli errori tentano di tagliarti la gola quando meno te lo aspetteresti. Magari dell’apostrofo galeotto se n’è accorto qualcuno e la regola grammaticale verrà ripristinata prontamente nelle prossime uscite.

Rimane il fatto. Quando una marca è sinonimo di precisione, lo deve essere anche la pubblicità firmata dalla marca. A questa precisione devono concorrere tutti. Se no la pubblicità è capace di vendicarsi, vale a dire riesce in una frazione di secondo a creare più danni che benefici.

Non so se un apostrofo è l’equivalente di un centesimo di secondo. In ogni caso, perdere un centesimo di secondo è grave per una prestigiosa marca di orologi svizzeri, esattamente come mettere un apostrofo nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Nessuna categoria

Till voglio bene.

“Andrò a Cannes non per difendere i nostri lavori, ma per premiare la qualità, la migliore di ogni Paese.” Lo ha detto Till Neuburg, giurato italiano nella categoria Cyber. Bravo Till.

La vecchia guardia non si piega al solito stucchevole, consuetudinario e scontato bla-bla del prima, durante e dopo il prossimo Festival della pubblicità di Cannes.

Till appartiene a quella folta schiera di pubblicitari che vennero a lavorare in Italia. Attratti dalla qualità della vita, della cucina, del Design e dell’arte italiana, Till e Fritz e Hans-Rudolf, e Michele e Felix e Chris, tanto per citarne solo alcuni, sono stati tra coloro che hanno portato il loro contributo alla crescita della pubblicità italiana. Un contributo deciso e decisivo.

L’Italia attirava talenti dall’Europa e dagli Usa, non solo nella creatività, ma anche nel contatto, nel media, insomma in tutta la filiera del nostro mondo. C’era voglia di fare, di innovare, di costruire, di forzare l’esistente, di inventare nuove e più promettenti regole. C’era posto per tutti.

Una delle ragioni della linea continua verso il basso della nostra creatività, che a Cannes viene ogni anno aggiornata verso il basso, sempre più basso, sta proprio nella perdita secca della voglia di fare, di innovare, di costruire. di forzare l’esistente, di inventare nuove e più promettenti regole. Non siamo più attrattivi né attraenti.

L’importanza della contaminazione culturale e professionale è stata una delle grandi ricchezze del nostro mondo della comunicazione commerciale. Vi basti pensare che il primo presidente dell’Art Directors Club italiano è stato Fritz Tschirren, svizzero che vive e lavora a Milano da quasi quarant’anni.

Bravo Till, dicevo.

Perché dice una cosa sacrosanta, semplice e pura: non faccio il giurato a Cannes per difendere i lavori italiani. Infatti, un giurato giudica. Non difende. La pubblicità italiana non ha bisogno di avvocati difensori. È colpevole. Pluri-pregiudicata. Recidiva. È arrivata all’ultimo grado del giudizio. La sentenza è ormai definitiva. Passata in giudicato.

Nessun giurato italiano ha neanche più la forza di appellarsi alla clemenza della corte. Se lo fa è solo perché non sa più neanche che dire a chi gli chiede di dire qualcosa.

Ma c’è un altro aspetto, che mi pare importante nelle semplici parole di Till Neuburg. Il compito del Festival della pubblicità di Cannes è quello di vedere, guardare, capire e premiare la qualità migliore di ogni Paese.

È un compito complicato, ma fantastico. È un compito che è a beneficio di tutti, e proprio per questo non ha proprio nulla a che fare con le piccole e stucchevoli beghe nazionali.

A Cannes si fotografa la mappa dei pensieri e si indica un traguardo, lo si indica nel futuro prossimo venturo.

Male fanno i nostri giurati a andare a Cannes con la testa rivolta all’orticello italico. Male fanno i rappresentanti della nostre marche a scambiare Cannes come una gita premio, magari offerta da una grande concessionaria. Cannes indica la luna, e noi concioniamo sul dito.

Cannes è riuscita negli anni, tra alti e bassi, tra crisi economiche e l’insorgenza della globalizzazione economica a mantenere viva nel tempo la sua missione.

Che è semplice e pura come le parole di Till Neuburg: scovare e premiare la qualità, perché la qualità della pubblicità mette allegria, voglia di fare, ci sfida nelle nostre vecchie sicurezze, ci stimola all’avventura di nuovi orizzonti.

Ci dà forte e chiaro il senso concreto del mondo in cui viviamo. Ci assegna un ruolo, ci indica da che parte stare. Ci obbliga a cambiare punto di vista: ci spinge a osare pensare, osare lottare e osare vincere

E per questo, scrosta via il calcare, la ruggine, la forfora: in altre parole, quel calduccio mediocre in cui spesso consoliamo le nostre mediocrità. Della qual cosa incolpiamo il “fato, cinico e baro”, sfoderando il più trito cerchio-bottismo: un colpo al Cliente e un colpo all’Agenzia. Balle.

Troppo facile: non ha funzionato, non funziona e non funzionerà. Si torna a casa da Cannes e, come al solito si parla del Festival come si parla del Meteo, che è il talento di quelli che non sanno che dire. Non sanno neanche che dire a se stessi.

Quest’anno il Festival del Cinema di Cannes ha premiato il talento, il coraggio, i piedi per terra e la testa nel futuro del cinema italiano.

Possibile che la pubblicità italiana sia così gnucca da non capire come si fa? Forza Till, anche se anche quest’anno la Costa Azzurra ci farà neri, lo spirito con cui ci vai è giusto. Salubre e salutare. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità

Huston, abbiamo un problema. Grosso.

Il cesso della Stazione Spaziale Internazionale s’è tappato. Quando si rompe il gabinetto sono guai sulla Terra, figuriamoci nello spazio. Non è che uno va e la fa fuori. Spazio ce ne sarebbe, ma sai com’è: dietro a dove mi accuccio? Un meteorite? Un satellite?

Facile a dirsi: quei maledetti girano, e mentre mi scappa, quelli si muovono. E poi, anche volendo, uno la fa, ma gioca contro la forza di gravità. Lassù, la forza di gravità non c’è, dunque gioca sporco. Immaginate la scena: che schifo!

Pare che i tre astronauti della Stazione Spaziale abbiano usato negli ultimi giorni la toilette della navicella Soyuz, parcheggiata accanto al Laboratorio Orbitante. Come nelle case di ringhiera, sono andati a farla nel pianerottolo spaziale.

Però, sembra che quella tazza del gabinetto abbia una capacità limitata. Bisogna farla piccola. Ma se a uno gli scappa grossa? Situazione di “merda “per i tecnici della Nasa.

Si sono riuniti in un “gabinetto di crisi” e hanno deliberato. “Qui Huston, Nasa chiama Stazione Spaziale: per evitare intasamenti vi suggeriamo di adottare un sistema di emergenza nel bagno rotto. Usate i sacchetti collegati alla parte ancora funzionante della toilette spaziale.”

Miliardi di dollari per conquistare la nuova frontiera siderale, per costruire basi orbitanti, fior fiore di scienziati, di tecnologia di ultima generazione, i migliori cervelli del mondo che cosa sono riusciti a farsi venire in mente? Fatela nei sacchetti. Ma dai!

Non mi verrete mica a dire che l’agenzia spaziale americana si comporta come un’agenzia di pubblicità italiana. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Nessuna categoria

Vuoi vedere che anche le donne sono uomini come noi?

L’Università olandese di Leida ha annunciato, ieri sul suo sito, di avere ottenuto la mappa del Dna di una donna. Lo riferisce l’Agenzia Ansa di ieri.

La mappa del Dna di una donna è la prima al mondo e la prima di un essere umano europeo.

Finora sono state ottenute 4 mappe di Dna umano e appartengono tutte a uomini: due americani e due africani.

I ricercatori olandesi del Centro medico dell’Università di Leida, guidati da Gert-Jan van Ommen, scrivono sul loro sito web che i risultati non sono ancora stati sottomessi alla comunità scientifica. Mentre li aspettiamo, possiamo scommettere che sulla mappa del menoma della donna non c’è traccia di “sesso debole”.

La qual cosa potrebbe scompaginare la tendenza, per altro molto italiana, a emarginare le donne da incarichi di responsabilità. Credo anche che potrebbe finire la superstizione maschilista, che vuole che, per essere considerata, una donna debba dimostrare di avere le palle.

Potrebbe essere un brutto colpo al sessismo strisciante. Compreso quello che vede alcune donne fare le carognette, per essere così meglio accette tra i maschilisti.

Comunque aspettiamo con ansia che i risultati degli studi del Centro medico dell’Università di Leida vengano resi noti.

Magari un giorno avremo più ministre (e meno subrette) al Governo, e, magari, più donne a capo di aziende, che non siano proprio solo le figlie uniche dei fondatori dell’azienda. Insomma, non solo CEO ma anche CEA. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità

Abbassiamo i ”Tony”.

Dà fastidio che una campagna tedesca, per un grande store di elettrodomestici, prenda in giro lo stereotipo dell’italiano emigrato all’estero.

La campagna si svolge in un negozio, nel quale vengono proposti sconti per l’acquisto di televisori di ultima generazione, in occasione di euro 2008, i campionati europei di calcio.

“Tony, l’italiano” appare furbastro, piacione, paraculo e maschilista. Scandalo. Ma quale scandalo? Hanno fatto una macchietta, niente affatto lontana dalla realtà. Ce la potevamo fare da soli, dimostrando un poco di intelligente autoironia.

E invece, solleviamo gli scudi. Come se questa innocua critica agli italici costumi non fosse molto, molto vicina ai comportamenti nostrani, a casa e all’estero.

Lasciamo che la pubblicità faccia i suoi giochi, innocui e beffardi. Certo, dà fastidio essere trattati come una categoria grottesca. Soprattutto in un periodo in cui va di moda (orribile dictu) trattare qui da noi le altre nazionalità, che da noi vivono e lavorano, in modo sufficiente, spesso denigratorio, per non dire offensivo e spesso xenofobo. Ma queste sono cose della politica, non ancora della pubblicità. La qual cosa si spera non avvenga mai.

E allora, suvvia: abbassiamo i “Tony”. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Nessuna categoria

L’ossitocina, l’ultima frontiera della pubblicità italiana.

Questa è scienza, non fantascienza. Forse. Fatto sta che test clinici avrebbero dimostrato che il nostro corpo ha predisposto un “antidoto” alla sfiducia nel prossimo. La qual cosa pare ci potrebbe permettere di avere una vita sociale piena di soddisfazioni.

Il nostro corpo, il corpo umano, produce ossitocina, già nota come ormone della fiducia e dell’affetto, come ha spiegato all’ Agenzia ANSA il prof. Thomas Baumgartner dell’Università di Zurigo.

Secondo lui, l’ossitocina spegne i “macchinari nervosi della diffidenza e quindi può infondere in noi fiducia negli altri”.

Resa nota dalla rivista Neuron, la scoperta potrebbe essere foriera di applicazioni terapeutiche. I neurologi sostengono, infatti, che i malfunzionamenti dei circuiti che demoliscono la nostra fiducia negli altri potrebbero essere alla base di disturbi neurologici, quali autismo o fobia sociale.

Secondo il prof. Baumgartner sono già in corso sperimentazioni.

Pare che un altro membro del team di neurologi svizzeri, lo psicologo Markus Heinrichs, stia testando gli effetti di uno spray a base di ossitocina su persone colpite da disturbi come la fobia sociale e le personalità borderline.

Se andate su un vocabolario della lingua italiana scoprirete il significato della parola ossoticina. Si tratta di una molecola importantissima, perché è grazie a lei, per esempio, che sboccia l’amore tra mamma e neonato, ma anche l’affetto nelle relazioni di coppia e la fiducia negli altri.

Tuttavia, come ha spiegato il prof. Baumgartner, dopo la scoperta dell’ossitocina restava comunque ancora oscuro il suo meccanismo d’azione e, soprattutto, su quali circuiti nervosi agisse.

Per scoprirlo i neurologi svizzeri hanno sottoposto un gruppo di volontari a due giochi.

In uno, basato sulla fiducia, i volontari dovevano affidare il proprio denaro a un fiduciario, il quale poi, investendolo, poteva decidere se restituire o tenere per sé i profitti dell’investimento.

L’altro gioco invece era semplicemente una “prova di rischio”, in cui la cessione dei profitti degli investimenti era probabilisticamente decisa da un computer.

È successo che in entrambi i giochi i volontari perdevano il denaro. Ma solo nel primo gioco vivevano l’esperienza negativa della fiducia tradita (si erano fidati del fiduciario).

A quel punto, i neurologi svizzeri hanno somministrato loro ossitocina e poi hanno osservato il loro comportamento e contemporaneamente l’attività del loro cervello, attraverso la tecnica della risonanza magnetica.

Risultato? Mentre l’ossitocina non ha avuto alcun effetto nella prova di rischio, guidata da un computer, dove non entrava in gioco la fiducia tra persone, la sua azione è risultata, invece, lampante nell’altro gioco, quello basato sulla fiducia verso la persona che li aveva convinti a farsi affidare del denaro.

Nonostante i tradimenti del fiduciario, sotto l’effetto dell’ossitocina i volontari continuavano ad affidargli i soldi, mostrando, dunque, fiducia incondizionata nei suoi confronti.

Visto come vanno le cose nella politica, nell’economia e nella società occidentale, lo spray all’ossitocina è una scoperta utile non più di tanto, dal momento che c’è sempre un fiduciario che riesce a far fare a tutti quello che gli pare e piace.

La scoperta del prof. Baumgartner è utilissima, invece, per la pubblicità italiana. Soprattutto per la categoria dei CEO, i Chief Executive Officer: non riesci a convincere un cliente che la tua agenzia è meglio delle altre? Non riesci a corteggiare un cliente con la creatività? Col servizio? Con lo sconto? Qui ci vuole lo spray all’ossitocina: una spruzzata sul muso del cliente, e tac!, ecco il budget ai tuoi piedi.

Stai per perdere il cliente che pensa che ha fatto male ad affidarti il budget, si sente tradito perché i risultati non si vedono, le spese corrono e le vendite soffrono? Fruuz-fruuz, una spruzzatina di ossitocina e torna il sereno: in ufficio, nei conti, con l’internazionale.

Sarebbe una vera rivoluzione: invece che invocare il “fattore C” (culo), il CEO del futuro conterà sull’effetto O (ossitocina).

L’unico inconveniente è che bisognerà rifare i biglietti da visita: la siglia CEO diventerà “Chief Executive Ossitocina”.

Niente paura: una spruzzatina sul naso del direttore finanziario dell’agenzia e zac!, il gioco è fatto.
Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Media e tecnologia

La chiamerei “Pubblicità italiana”.

E’ stata scoperta una stella pigra, ma così pigra che non riesce a brillare da sola, perché ha bisogno dell’aiuto della sua compagna.

L’ha scoperta un gruppo italiano dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La stella pigra appartiene a un sistema doppio, composto da due pulsar che emettono raggi X.

Una delle due pulsar emette raggi X solo grazie all’aiuto della compagna, che periodicamente la investe con un intenso flusso di particelle e le fornisce così l’energia necessaria per brillare.

Come ogni scoperta che si rispetti, bisognerebbe dargli un nome a questa nuovo stella, che brilla di luce altrui. La chiamerei: “Pubblicità italiana”.

Sono aperte le iscrizioni all’albo di quelli che hanno da obiettare che è “un po’ lungo”. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Nessuna categoria

Quando una campagna diventa (contemporaneamente) il brief di altre due.

La colpa non è nel plagio. Può succedere. La colpa è di aver fatto solo e soltanto quello che gli era stato chiesto. Senza preoccuparsi di dove nascesse quella richiesta. Senza informarsi da dove scaturisse quel compito. Senza guardare prima che cosa era già stato fatto. Non dovrebbe succedere.

E invece succede che due importanti vettori italiani fanno praticamente la stessa campagna. Una dice che lei (la compagnia aerea) “fa volare l’Italia”. L’altra dice che grazie a lei (la compagnia aerea) “facciamo volare alto il Paese”. E’ lo stesso posizionamento, non tanto tra i due contendenti, quanto di un’altra campagna: “Fiumicino vola”, firmata da ADR, Aeroporti di Roma, uscita un paio di mesi fa e tutt’ora “on air” (trattandosi di trasporto aereo, “on air” ci sta bene).

Evidentemente, camminando per i corridoi dell’aeroporto di una importante città italiana, dove entrambe le compagnie hanno le rispettive basi di armamento, cioè la sede principale, e dove tutt’ora campeggiano grandi e piccole installazioni con su la campagna “Fiumicino vola”, a qualcuno degli uni contemporaneamente a qualcun altro degli altri è venuta improvvisamente la stessa idea: sono io che faccio volare qualcosa.

Lecito, comprensibile, scusabile, ingenuo. Niente di male. Solo che se una struttura aeroportuale dice che fa volare se stessa, con tanto di foto di persone di tutto il mondo che alzano gli occhi al cielo per verificare o testimoniare il decollo dell’aeroporto, questa è un’idea, proprio perché dichiara apertamente di essere un “nonsense”.

Però, quando la stessa idea viene applicata contemporaneamente a due compagnie aeree, tra loro concorrenti nello stesso mercato domestico, i cui voli partono in gran parte dal medesimo aeroporto che sta facendo, prima di loro, una campagna originale, che per plagio concettuale diventa simile, va da sé che il “nonsense” si sposta dall’oggetto della comunicazione ai soggetti che le hanno concepite, realizzate e stampate sui media.

Si sa che il “cliente ha sempre ragione”. Le agenzie di pubblicità no. Ogni tanto bisognerebbe dire al cliente che ha torto, non fosse altro per il fatto che le due campagne delle due compagnie in questione non solo sono uguali tra loro, ma sono state generate da una campagna precedente e per giunta nata nello stesso settore merceologico, che oltre tutto è un loro fornitore: per montare su un aereo bisogna passare per l’aeroporto da cui il volo parte, quindi acquistare servizi utili al volo (attracco ai moli, rifornimento del carburante, gestione dei bagagli, biglietteria, check- in, controlli di sicurezza, senza contare negozi, bar, ristoranti, edicole.)

Il risultato di questo copia-copia pubblicitario (concettuale, prima ancora che estetico) rischia di diventare grottesco: entro in un aeroporto che “vola”, monto su un aereo che fa “volare” il paese. Ho le vertigini, tutto mi vola intorno. Vuoi vedere che alla fine mi girano davvero: io (passeggero) pago e loro mi pigliano in giro.

Quando una campagna (in questo caso due) dichiara smaccatamente che “verba volant”si fa un pessimo lavoro per i clienti, per i clienti dei clienti, per i clienti della pubblicità in genere.
Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Nessuna categoria

Rom by night.

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.”

Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Nessuna categoria

La cellula clandestina.

Un gruppo di ricercatori dell’Università del Queensland, in Australia, hanno scoperto come le cellule nervose possono rigenerarsi e questo apre la strada a nuovi trattamenti per ictus e demenza.

In particolare, gli studiosi hanno scoperto come la stimolazione ambientale raggiunge l’ippocampo e fa scattare l’emissione di molecole che stimolano le cellule staminali a produrre neuroni.

La qual cosa significa che i neuroscienziati australiani hanno individuato una cellula staminale chiave nel cervello associata con l’apprendimento e la memoria.

L’apprendimento di nuovi scenari della comunicazione commerciale in Italia è scarso, al disotto della media europea.

La memoria della buona pubblicità da noi è quasi estinta. Si è interrotta la trasmissione di generazione in generazione dei fondamentali del nostra mestiere.

Il che significa che questa benedetta cellula staminale in Italia è un cellula clandestina. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità democrazia Pubblicità e mass media

Quante favole sentiamo ogni giorno?

Uno studio della Boston School of Medicine dimostrerebbe che leggere ad alta voce ai bimbi in età prescolare aumenta lo sviluppo del loro linguaggio, dandogli un bagaglio linguistico migliore, con vantaggi che perdurano negli anni.

Inoltre, il racconto del genitore al bambino ha un effetto prodigioso in quanto sarebbe un mezzo fortissimo di scambio emotivo.

Insomma, leggere le fiabe ai bimbi li aiuta ad andare meglio a scuola, ad acquistare l’arte del linguaggio prima e in modo migliore. Forse gli aiuterebbe a sviluppare la fantasia, sapendo riconoscere il vero dal falso, l’immaginifico dal reale.

Forse a tutti quelli che vanno in giro a raccontare panzane sulla pubblicità italiana sono mancati genitori che gli leggevano le favole da piccoli. E allora, per far vedere che sono grandi, le favole se le raccontano da soli. Con l’aggravante che lo fanno ad alta voce davanti al taccuino del cronista o al microfono di una qualche emittente.

Le favole per bambini sono quelle storie che cominciano con “c’era una volta” e finiscono con “e vissero felici e contenti”. Le favole raccontate dai grandi cominciano male: vogliono subito dirti che sono felici e contenti. Come tutte le bugie, queste sono storie che finiscono prima ancora di incominciare. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Nessuna categoria

La maledizione del nuovo.

La convenzione positivista di stampo ottocentesco, secondo la quale il nuovo è meglio del vecchio è superata. Il concetto di nuovo si è logorato durante gli ultimi anni del ‘900. Con l’arrivo del Terzo Millennio, il nuovo è diventato vecchio, rancoroso, pericoloso, per sé e per gli altri.

Il nuovo non dialoga, rifiuta il confronto, il nuovo non vuole essere spiegato: si impone con l’arroganza della sua potenza. Il nuovo va cambiato, perché è brutto.

Il nuovo assetto della comunicazione commerciale globale è la dimostrazione pratica che il nuovo è pericoloso e inconcludente. Il nuovo è un inganno: annaspa, distrugge e non combina niente di buono.

Il nuovo si è imposto all’attenzione del mondo l’11 Settembre del 2001. Nuovo terrorismo, nuova guerra al terrorismo, nuova crisi economica, nuova manipolazione. Nuovo disastro: la crisi dei prezzi del petrolio.

Lo hanno detto con chiarezza Bauman, in “La società sotto assedio”, piuttosto che Klein in “Shock Economy”.

La potenza della comunicazione di massa ha massificato comportamenti, stili di vita, punti di vista. E li sta distruggendo. Abbiamo trasformato i target di riferimento in “stock options” del consenso, come se fossero quotati in una “Borsa” dei valori individuali. Non sono stabili i valori finanziari, figuriamoci quelli personali.

Il nuovo ha separato la produzione di idee dalla produzione dei veicoli sui quali le idee dovevano viaggiare, cioè i media.
Da una parte l’Agenzia “creativa”, dall’altra l’Agenzia media. Al media è rimasto potere contrattuale, ricerche, know how. Alla “creativa” il cerino (spento) in mano: niente autorevolezza, niente credibilità, niente soldi.

Bell’affare: il nuovo ha distrutto valore, invece che costruirlo. Infatti, anche il media ha cominciato a soffrire: dopo l’euforia di essere diventato “single”, è cominciata la fase della depressione.

Così che la creatività italiana sembra il classico figlio di due genitori separati.

Media vecchi e nuovi si guardano in cagnesco. Tv, stampa, radio e internet se potessero, invece che investire risorse, investirebbero il concorrente.
Allo stato dei fatti, invece che idee, vendono sconti: come nella classica barzelletta dell’uomo che voleva far dispetto alla moglie, si tagliano i “budget”.

I più accorti dicono che ormai con la pubblicità non si fanno più i soldi. Se ne sono accorti perché non ne hanno più, di idee.

Indietro non si torna. Ma per andare avanti l’unica è superare il nuovo, il più velocemente possibile.
Oltre il nuovo c’è pensare, creare, osare. E poi dirlo, scriverlo, realizzarlo.
E per farlo, battersi. Ci vogliono più palle, e meno balle sul nuovo. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Media e tecnologia

Chi urla in tivvù è uno scimmione.

Perché gli uomini parlano e le scimmie urlano? La spiegazione sarebbe nella presenza di un fascio nervoso del cervello. Secondo la mappa del Genoma, abbiamo il 99% del Dna in comune, riusciamo a comunicare attraverso i gesti, ma mentre noi umani usiamo il linguaggio parlato, gli scimpanzé emettono solo grida e grugniti.

Grazie a una nuova tecnica diagnostica, i ricercatori dello Yerkes National Primate Research Center, parte dell’Università Emory di Atlanta, hanno scoperto che nel cervello umano il fascicolo arcuato è diverso da quello del cervello degli scimpanzé, una differenza in grado di spiegare perché agli scimpanzé manca la parola.

Secondo questa nuova tecnica diagnostica, si è scoperto che il fascicolo arcuato è un fascio di fibre nervose che connette due aree del cervello fondamentali per il linguaggio, l’area di Broca e l’area di Wernicke.
La prima si trova nel lobo frontale della corteccia cerebrale e ha un ruolo importante nell’articolazione motoria delle parole.
L’area di Wernicke si trova nel lobo temporale della corteccia cerebrale e contiene le memorie uditive necessarie per la comprensione del linguaggio ascoltato.
I ricercatori hanno ora scoperto che nell’uomo il fascicolo arcuato è più sviluppato e collega le due aree con una traiettoria più ampia, tanto che si proietta anche al di fuori dell’area di Wernicke.

“Nel cervello umano non solo si sono sviluppate regioni più ampie che presiedono al linguaggio – ha spiegato James Rilling, coordinatore del progetto di ricerca – ma anche una rete di fasci nervosi adatta a collegarle meglio tra di loro”. La proiezione fuori dall’area di Wernicke del fascicolo arcuato servirebbe infatti a raggiungere una zona che è coinvolta nell’analisi del significato delle parole.

Questa nuova tecnica si chiama “la tecnica della DTI”, cioè Diffusion Tension Imaging e appare come un’evoluzione della risonanza magnetica, particolarmente efficace proprio nel produrre immagini dettagliate della ricostruzione dell’orientamento delle fibre nervose.

La tecnica è non invasiva e questo ha consentito ai ricercatori di poter mettere a confronto numerose immagini del cervello di esseri umani e di scimpanzé e macachi (Rhesus machacus). “La DTI ha reso possibile capire in che modo l’evoluzione ha mutato la struttura del cervello umano per renderci in grado di pensare, parlare e agire in modo diverso da altri animali, che pure sono così simili a noi”, ha commentato Todd Preuss, uno dei coautori dello studio, uscito su Nature Neuroscience.

È dunque scientificamente provato che chi alza il volume della voce, credendo di aumentare lo spessore del suo ragionamento è uno scimmione. Test clinici, infatti, hanno chiaramente dimostrato che spararla grossa è sintomo di avercelo piccolo (il cervello, quindi il ragionamento).

E per concludere, andare in tivvù a urlare e gesticolare è la dimostrazione di deficit di quell’1 per cento mancante, dimostrato dalla differenza di Dna tra uomini e scimmie.

Ogni riferimento ai talk-show in generale, e ai dibattiti politici in campagna elettorale è assolutamente intenzionale. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Nessuna categoria

Attenti alle formiche.

Crolla il mito della formica altruista, che si sacrifica per il bene di una società dove regna l’egualitarismo. In realtà anche tra quegli insetti esistono le piaghe del classismo, del nepotismo e della corruzione.

Lo sostiene un entomologo inglese, William Hughes, docente all’Università di Leeds. A detta dell’entomologo, le formiche non lavorano sempre per il bene della propria colonia, ma sono anche capaci di una “promozione egoistica dei propri geni individuali”. A ben vedere, la cosa è abbastanza visibile in certi ambienti di lavoro, per esempio le agenzie di pubblicità.

Ci sono “formiche” che si danno un gran da fare, sembrano operose, instancabili. E invece, sono la quinta essenza della “promozione egoistica dei propri geni individuali”. Sono zelanti col capo, sono insopportabili con i colleghi. Sono perniciose, come l’acido formico che hanno in quelle piccole, ma fastidiose, tenagliette.

Producono eventi inesistenti, provocano allarmi senza ragione, agiscono senza costrutto, che non sia, appunto la “promozione egoistica dei propri geni individuali”.

Non costruiscono il formicaio, cioè l’agenzia; distruggono i fondamentali, cioè la creatività. Tendono, una mollichella per volta, a minare il lavoro, a cominciare dal metodo di lavoro. Credono che l’agenzia sia un luogo di auto-promozione egoistica, invece che una fucina di idee. Non risolvono problemi, li creano in continuazione, instancabilmente, come formiche, appunto. I problemi non si fatturano, i lay-out sì. Ma che importa.

A loro che importa: fanno peggio delle cicale. Chiacchierano, concionano, vivono nel rametto basso dell’albero della vita professionale e secernono piccole sentenze. Non parlano, si ascoltano aprir bocca. E se ne compiacciono, perché mirano a compiacere. Fieri di sé, ragionano con la testa del capo in testa.

L’ agenzia di pubblicità è il luogo ideale dell’azzardo mentale, dell’esagerazione semantica, della provocazione intellettuale, del superamento scellerato delle regole.

Loro no, loro sono i guardiani della conservazione, i talebani del già fatto, i kamikaze della muffa.

E hanno pretese, oh se hanno pretese: vogliono mettere bocca su tutto, ambiscono a essere più realisti del re, cioè più prudenti del più prudente tra i clienti, più smargiasse del più smargiasso tra i ceo delle agenzie.

Come le formiche, presidiano il perimetro della loro esistenza. Pervicacemente, con metodo ossessivo, compulsivo, ripetitivo. Non reagiscono alle sollecitazioni, semplicemente pizzicano se qualcuno gli attraversa il percorso.

Però hanno una dote incommensurabile: sanno mentire. Sanno trasportare anche grandi menzogne, con la stessa stupefacente forza che hanno le formiche quando si fanno carico di pesi più grandi di loro.

Questo le rende insuperabili agli occhi del mondo. Sono la prova provata che le bugie hanno le gambe corte. Forse è proprio per questo che infestano la pubblicità italiana. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Nessuna categoria

Quando la faccenda puzza.

L’odore di qualcosa di molto appetitoso e stuzzicante non solo ci fa muovere la lingua e i denti, ma anche le mani. Uno studio italiano dimostra che annusando l’odore di alimenti, il cervello attiva gruppi di neuroni necessari a compiere il movimento di presa. “L’odore del cibo – spiega il coordinatore della ricerca – può attivare delle strategie di movimento per prendere l’oggetto”.

Le implicazioni della scoperta possono essere utili in ambito diagnostico e riabilitativo. Ma anche in pubblicità e in politica. Infatti, se è vero che ogni principio si può dimostrare veritiero, quando viene messo a confronto col suo contrario, vale a dire: lo stimolo di cose gustose mi fa muovere le mani per poterlo gustare, allo stesso modo di come lo stimolo del disgusto mi fa ritrarre le mani dalla schifo; la cosa potrebbe valere per gran parte della pubblicità italiana.

L’odore del già masticato allontana le mani dalla voglia di gustare quell’annuncio, dunque giro subito pagine. Quel telecomunicato, quindi giro subito canale, quel banner, quindi clicco via più veloce della luce.

Teoricamente la cosa dovrebbe funzionare anche in politica: la voglia di nuovo e appetitoso dovrebbe favorire un partito e quindi le mani si potrebbero predisporre a impugnare la matita per votarlo. Allo stesso tempo, lo schifo dovrebbe impedire di prendere in mano anche la sola scheda elettorale. Pubblicità e politica hanno in comune la spasmodica ricerca del consenso. Potrebbero avere in comune la prova provata del disinteresse. Non è una bella cosa, ma chi è causa del suo mal pianga se stesso. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità

Volando di fantasia.

Fa scandalo che in un volo ad alta quota, probabilmente verso Londra, con centinaia di passeggeri a bordo i piloti fossero impegnati ad assistere e riprendere in video un focoso striptease di un’hostess. Fa scandalo perché lo spettacolino piccante è finito su Internet e adesso le compagnie aree europee si interrogano su chi siano i protagonisti. Il furbacchione che ha fatto le riprese con un telefonino deve averci tirato un gruzzolo, se è vero come è vero che il filmatino hard è finito su tutti i siti del mondo. Pare che adesso ci sia la caccia alla strip-hostess.

È molto probabile sia una bufala, come si dice in termini giornalistici quando girano notizie fasulle, patacche, bidoni, falsi scoop. Staremo a vedere. Però la cosa intriga, perché sotto-sotto appaiono due dati: uno è lo stereotipo alquanto stantìo della hostess come donna di facili costumi, ammiccante, facile, da guardare mentre cammina tra lo stretto corridoio fra due ali di sedili, che sembra ancheggiare solo per te e magari ti si struscia sul braccio, mentre sei seduto (che è il vero motivo per cui i posti corridoio sono i preferiti); l’altro è il fatto che nella realtà in volo ci si annoia da morire. Viaggiare in aereo è il modo peggiore di viaggiare. È un non viaggio, che rimanda la vera partenza all’arrivo nell’aeroporto di destinazione. Il viaggio comincia in differita, rispetto al tempo del trasferimento. Almeno all’andata, il viaggio comincia quando siete arrivati a destinazione, in un certo aeroporto.

Gli aerei hanno inquinato il modo di viaggiare. In aereo non si viaggia, in aereo ci si trasferisce da un punto all’altro, incubati in una cabina, legati come salami al sedile, sottoposti al ritmo scandito dall’organizzazione del personale di bordo. Si mangia quando è previsto, si guarda il film quando dicono loro, si fanno acquisti quando dicono loro. Anche la pipì si fa quando dicono loro, mai in decollo o in atterraggio. Adesso è il caso di dire che non è che viaggiare in aereo è brutto e sbagliato. Però, quella condizione di coercizione fa sì che i passeggeri si guardino in cagnesco, ognuno potrebbe invadere il mio spazio, ognuno potrebbe urtarmi, occupare il “mio” posto valigia nella cappelliera. Vengono anche alla mente fantasie omicide: “mannaggia, se questo mi rovescia il caffè addosso, lo ammazzo”.

Forse è proprio questa condizione coatta a rendere credibile la bufala della hostess che fa lo strip-tease in cabina. È un diversivo onirico, un viaggio con la fantasia immaginando più accettabile un viaggio in aereo. Una specie di sogno erotico collettivo, un “irreality show”, se mi si passa lo strambo neologismo. Lo sanno tutti che i sogni sono desideri irrealizzati. Che poi ti svegli e scopri che t’hanno pure perso la valigia. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Nessuna categoria

Gli scimmiotti dell’Antropocene.

La signorina Paris Hilton ha detto di condurre una vita infelice, però è contenta di aver avuto una particina in un film. Come dire: i soldi non fanno la felicità, figuriamoci la miseria.

I coniugi Beckham diventano un marca di profilattici, in una campagna pubblicitaria in Cina. I beckham’s promettono di fare gol a letto. I fan cinesi del calciatore più pagato del mondo si sono “incazzati”.

Il capo del governo australiano, durante i festeggiamenti per i 130 di fondazione dell’Australia ha fatto scrivere nel cielo “sorry” dall’aviazione militare, per scusarsi dell’apartheid contro i nativi del continente australiano, gli aborigeni. Quando si dice che “verba volant.”

L’ex ministro Mastella, che ha provocato la crisi di governo per via di citazioni giudiziarie che hanno colpito lui e la moglie, sbaglia una citazione letteraria al Senato. Quando si dice la legge del contrappasso.

Il Governatore della Banca d’Italia chiede aumenti salariali per i lavoratori dipendenti. Nonostante i cognomi beneauguranti dei principali leader sindacali (Epifani, Bonanni e Angeletti), al confronto con Draghi sembrano Aldo, Giovanni e Giacomo, nelle pubblicità di una nota compagnia telefonica.

Il presidente francese Sarkozy è andato su tutte le furie per una campagna pubblicitaria di una famosa compagnia low cost. La campagna, apparsa su un quotidiano francese, ritrae il presidente con la sua attuale compagna Carla Bruni. Nell’immagine la coppia del momento è ritratta sorridente, con l’aria sognante, e accanto al volto della ex modella c’è il fumetto con la scritta: “Con Ryanair, tutta la mia famiglia può venire ad assistere al mio matrimonio”. Idea birichina, ma garbata e divertente. L’Eliseo ha minacciato vie legali. Grazie alla sfuriata di Sarkozy, la campagna pubblicitaria è diventata famosa in tutto il mondo, moltiplicando in maniera logaritmica un piccolo investimento pubblicitario locale. Bel colpo di Ryanair.

I media di tutto il mondo trarranno grande giovamento da tre avvenimenti, che genereranno pubblicità nel 2008: le Olimpiadi di Pechino, i campionati europei di calcio e le elezioni americane. Dal che si capisce che più che un avvenimento politico di portata internazionale, le primarie negli Usa sono un generatrici di business. Non sono le idee che si confrontano, ma il denaro raccolto e speso per sostenere la lunga corsa alla Casa Bianca. Ricordiamocene quando citiamo la democrazia americana come esempio da seguire. Prima, guardiamo quanti soldi abbiamo in tasca.

Una psicologa italiana di fama ci ha spiegato che l’attuale crisi di governo in Italia crea le stesse angosce prodotte dalla separazione dei genitori e che quindi noi cittadini, come fossimo figli abbandonati dalla coppia genitoriale, ci sentiremmo colpevoli e frustrati. Preferirei la tesi sostenuta da Vauro in una vignetta fulminante, pubblicata giorni fa su Il Manifesto. La vignetta dice: “Prodi se n’è andato, Berlusconi non è ancora tornato. Godiamoci questo magico momento.”

Tirando le somme di questi episodi avvenuti nel mondo degli uomini recentemente, non si può dar torto a quegli scienziati inglesi che chiedono una radicale riforma dell’era geologica attuale. In un articolo pubblicato dalla rivista Gsa gli studiosi chiedono alla commissione internazionale di Stratigrafia di dichiarare l’epoca moderna “Antropocene”.

Secondo le convenzioni internazionali dovremmo trovarci attualmente nell’era geologica Holocene, iniziata 10 mila anni fa. Però, secondo i ricercatori le modifiche apportate dall’uomo rendono necessario un nuovo nome. Non solo per i disastri ambientali, ma anche per quelli mentali che abbiamo combinato.

Mi viene in mente un piccolo grande libro, che mi permetterei di consigliarvi: “Storia del più grande uomo scimmia del Pleistocene” di Roy Lewis, (Adeplhi, Milano). È così divertente da ridere con le lacrime. Oggi che potremmo diventare piccoli scimmiotti dell’Antropocene, c’è poco da ridere. Neanche le lacrime basterebbero.

Abbiamo fatto e stiamo facendo tante di quelle sciocchezze, da meritarci di essere considerati come una vera e propria causa di profondi cambiamenti del pianeta. Siamo gli scimmiotti dell’Antropocene, siamo per il pianeta Terra importanti come una glaciazione. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Nessuna categoria

Siccome l’argomento del giorno è la crisi di governo, non ne parlerò.

Parlerò invece di quello che è successo nel mondo reale, come l’altro giorno, in cui sulla spinta nefasta della crisi finanziaria made in Usa, quella dei “subprime”, a piazza Affari il titolo Fiat è stato sospeso a quota -11 per eccesso di ribasso. A Wall Street, Motorola ha registrato -21, Apple -12. La Fed ha ritoccato il tasso di sconto di tre quarti di punto, non succedeva dal 1984. Le Borse di tutto il Mondo si sono un poco riprese, dopo aver sbandato paurosamente, distruggendo denaro a centinaia di miliardi di dollari. Nel frattempo, da qualche parte, in una galassia lontana anni luce si discuteva delle dimissioni di un certo Mastella da Ceppaloni.

Siccome l’argomento del giorno è la crisi di governo, non ne parlerò. Parlerò, invece, del fatto che
la previsione della stagnazione dell’economia americana, previsione suggestionata qualche mese fa, è stata seccamente smentita: ma quale stagnazione, si va spediti verso la recessione! Peggio che dopo l’11 settembre. E’ come aver ingranato bruscamente la retromarcia, mentre in seconda il motore dell’economia mondiale sembrava in ripresa. L’economia europea e quelle asiatiche non sembrano essere, per il momento, un argine allo tsunami finanziario globale. Con buona pace delle trasmissioni di “Porta a porta”.

Siccome l’argomento del giorno è la crisi di governo, non ne parlerò. Parlerò, invece di Sir Martin Sorrell che ha detto che il 2008 è per il mondo economico della comunicazione commerciale un anno favorevole, solo perché ci sono le Olimpiadi di Pechino, i Campionato Europei di calcio in Europa, e la campagna elettorale americana, eventi speciali che vedranno forti investimenti in comunicazione. Ma gli effetti della recessione made in Usa, dice Sorrell, li subiremo nel 2009. Non ci sono santi. Mentre i fanti si scannavano sugli scanni del Senato della Repubblica, tra insulti, sputi, bottiglie di spumante, tifo da stadio. Uno spettacolo indegno, come ha senza torto sottolineato il presidente di Confindustria.

Siccome l’argomento del giorno è la crisi di governo, non ne parlerò. Parlerò dell’ ultima rilevazione Eurispes, che fotografa un’ Italia più povera che tira avanti pagando tutto a rate e facendo il doppio lavoro. Un’Italia in cui più di 5 milioni di famiglie sono indigenti o a rischio di diventarlo. Un Italia nella quale sono venti milioni i lavoratori sottopagati e solo una famiglia su tre arriva tranquilla alla fine del mese.

Senza soldi niente acquisti, senza acquisti, niente “consigli per gli acquisti”. Per la pubblicità italiana sono pessime notizie. Il risanamento economico e il rilancio della nostra economia sono naufragati in Parlamento. Il Transatlantico, il luogo ameno dove i nostri deputati si trastullano tra una seduta e l’altra bisognerebbe ribattezzarlo “Titanic”: mentre ballavano l’ultimo valzer sul ponte più alto della politica italiana, non si sono accorti dell’ iceberg fatale della recessione economica globale.

Siccome l’argomento del giorno è la crisi di governo, non ne parlerò. Perché è successa nel Paese sbagliato, nel momento sbagliato. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Nessuna categoria

Svelato il mistero della longevità degli uomini politici italiani.

Un’incazzatura allunga la vita. A questa conclusione sarebbero arrivati alcuni ricercatori. Litigare fa bene alla coppia, ma soprattutto alla salute. Via libera dunque a qualsiasi scontro è il suggerimento che arriva dai ricercatori dell’Università del Michigan, che hanno verificato come nella coppia chi reprime e trattiene la propria rabbia ha vita breve. Ha cioè un rischio di morte precoce doppio rispetto a chi si sfoga sempre. Nello studio si vedrebbe infatti che tra 192 coppie studiate in 17 anni, nelle 26 in cui entrambi gli sposi sopprimevano la rabbia, ne sono morte 13. Nel 27% dei casi è morto uno dei due coniugi, e nel 23% entrambi. Nei rimanenti tre gruppi, costituiti da 166 coppie, le morti sono state 41, dove il 6% con il decesso di entrambi i coniugi e il 19% con uno dei due.

Insomma, trattenere la rabbia fa male all’unione e aumenta il rischio di una vita più breve.

Deve essere per questo che nella politica italiana, nonostante unioni, alleanze e giuramenti di fedeltà a questo e a quel programma di governo, si litiga spesso, tanto, con veemenza. Scenate e sfoghi, soprattutto davanti alle telecamere, allungano la vita, come dimostrerebbero i ricercatori del Michigan.

Il che spiega il perché l’età media dei politici italiani è tra le più alte delle democrazie occidentali, mentre la durata dei governi è la più bassa: chi scassa un governo campa cent’anni.
Beh buona giornata.

Share
Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: