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Boia chi bolla.

Un gruppetto di estremisti di destra, con tanto di simbolo identificativo, con tanto di video brandizzato spedito su youtube, hanno prima fatto cagnara e poi semidistrutta la bolla di Ponte Milvio, quella inventata dal Grande Fratello. Ovviamente la diretta è stata interrotta. Ce l’avevano contro la casa del Grande Fratello e dicevano cose tipo che la casa è un diritto e non un gioco. Però quella specie di igloo trasparente non era una casa, era un vetrina. Ma quelli non ci vanno per il sottile, che estremisti sarebbero.

La formazione politica, si fa per dire, che ha firmato la caciara è una formazione di estrema destra, alleata della Casa delle Libertà, quella di Berlusconi. Anche il Grande Fratello, che va in onda su Canale 5, appartiene a Berlusconi. C’è qualcosa che non va o è andata come doveva andare? Tutte due le cose.

Quello che non va è che i guaglioni in questione abbiano agito indisturbati dalla forze di polizia, nonostante, appunto, la diretta televisiva. Quello che è andato come doveva andare è che la “protesta”è stato un evento promozionale del Grande Fratello.

Dopo la spettacolarizzazione della politica, è andata in onda la politicizzazione dello spettacolo. Quando si dice “una bolla speculativa”. Complimenti per la trasmissione. Beh, buona giornata.

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Il baccellone della mediocrità ovvero la sindrome di Munchausen nelle agenzie di pubblicità.

La pubblicità italiana vive male le sue attuali difficoltà. Se c’è qualcosa di vero nella tesi “della mucillagine”, descritta dall’ultimo Rapporto del Censis, nelle agenzie di pubblicità italiane se ne potrebbero vedere gli effetti concreti.

La perdita di speso specifico nel sistema della comunicazione d’ impresa ha degli effetti deleteri nel rapporto tra le relazioni professionali. Dall’onanismo del creativo della seconda metà degli Anni Ottanta, che comunque ha prodotto buoni risultati dal punto di vista della reputazione dell’advertising italiano in Italia e nel mondo, si è passati all’ipertrofia dell’ego del Ceo, tipica della seconda metà dei Novanta. Purtroppo, in questa seconda fase i risultati sono stati alquanto miseri dal punto di vista economico e finanziario, miserevoli dal punto di vista della creazione dei messaggi: la creatività è andata da prima in stallo e poi è precipitata, fino a schiantarsi al suolo dell’intrattenimento televisivo, ingoiata dallo stomaco capace della tv generalista.

Quella che stiamo vivendo, in questi primi sette anni del nuovo secolo è una fase di disorientamento, sia nelle modalità che nei contenuti.

La forma-tipo dell’Agenzia è in crisi: non riesce a liberarsi del passato, incentrato sui media tradizionali, non riesce ad agguantare il futuro, fondato sulla comunicazione olistica. Ma siccome ciò che in Italia è ancora il futuro, in giro per il mondo globalizzato è già presente, lo scompenso spazio-temporale delle agenzie in Italia produce disturbi comportamentali.

Siamo a una fenomenologia che la scienza medica chiama Sindrome di Munchausen. Il barone di Munchausen partecipò effettivamente alla Guerra Russo-Turca nel 1700. Esattamente come la fase onanista della pubblicità italiana partecipò effettivamente alla scena nazionale e internazione negli Anni Ottanta.

Ma quando il Barone di Munchausen si ritirò nel suo castello omonimo, cominciò a spararle talmente grosse, da essere preso in giro dall’universo mondo. Esattamente come la fase dell’oligarchia dei Ceo della seconda metà dei Novanta.

Oggi siamo alla patologia. La patologia nasce quasi sempre dall’esigenza del paziente di attrarre l’attenzione su di sé, di essere oggetto di cura e premura da parte dei curanti e dei familiari e di “esistere”, agli occhi del proprio mondo relazionale, come “un eroe della malattia”.
Quando i trattamenti a cui il paziente si sottopone sono invasivi o debilitanti è possibile rintracciare una componente masochistica e autolesionistica.

Una variante particolarmente perniciosa della malattia si verifica quando il paziente determina la sintomatologia patologica in un’altra persona, spesso si tratta di madri nei confronti dei figli.
In questo caso la sindrome prende il nome di Sindrome di Munchausen per procura o sindrome di Polle dal nome vero del figlio di Munchausen morto in tenera età in circostanze sospette.

Siccome la patologia non è una entità astratta, ma è riscontrabile nelle persone, si manifesta nei ruoli, ha implicazioni relazionali, ecco che taluni nostrani pubblicitari sono il combinato disposto tra la sindrome originaria e quella per procura: da un lato si esagerano appositamente le difficoltà, al fine di sentirsi gli eroi della salvezza dell’agenzia; dall’altro, contemporaneamente si cerca di uccidere il nuovo e il buono, per poi lanciarsi in soccorso e mettersi in mostra come l’unico che poteva salvare la situazione.

Questi signore e questi signori sono tra noi, come in quel film di fantascienza in cui da baccelloni di legumi nascevano alieni che prendevano il posto delle persone vere.

Come riconoscerli? Se scopri uno o una che passa tutto il tempo a guardarsi l’ombellico, dice sempre “io”, scrive e-mail pieni di “cc”, parla per sentito dire, vuole stare su tutto, che è aggrappato con le unghie e con i denti al titolo sul biglietto da visita, e soprattutto fa di tutto e di più per mettersi in buona luce, mettendo in cattiva luce gli altri, eccolo è lui. E’ il coglione appena uscito dal baccellone della mediocrità.
Beh, buona giornata.

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Ricevo e posto 2.

Sinistra Arcobaleno, ecco la ‘carta degli intenti’

Questi sono i nostri principi: uguaglianza, giustizia, libertà; pace, dialogo di civilità; valore del lavoro e del sapere; centralità dell’ambiente; laicità dello Stato; critica dei modelli patriarcali maschilisti. Noi, donne e uomini che abbiamo partecipato all’Assemblea generale della sinistra e degli ecologisti, siamo impegnati nella costruzione di un nuovo soggetto della sinistra e degli ecologisti: unitario, plurale, federativo.

L’Italia moderna, nata dalla Castituzione repubblicana, democratica e antifascista, ha bisogno di una sinistra politica rinnovata. Il mondo chiama a nuove culture critiche, che conservano la memoria del passato e tengono lo sguardo rivolto al futuro.

Questi sono i nostri principi: uguaglianza, giustizia, libertà; pace, dialogo di civilità; valore del lavoro e del sapere; centralità dell’ambiente; laicità dello Stato; critica dei modelli patriarcali maschilisti.

Il soggetto della sinistra e degli ecologisti oggi parte. Crescerà attraveso un processo popolare, democratico e partecipato, aperto alle adesioni collettive e singole, per radicarsi nella storia del Paese. L’ambizione è quella di costituire non una forza minoritaria, ma una forza grande ad autonoma, capace di competere per l’egemonia, influente nella vita della società e dello Stato, che pesi nella realtà politico-sociale del centorsinistra.

Un soggetto capace di contrastare le derive populiste e plebiscitarie, figlie di una politica debole e della separazione tra potere e cittadini. Un protagonista in Italia, interno ai movimenti, collegato ai grupi e ai partiti più importanti della sinistra e dell’ambientalismo in Europa.

La sinistra/l’arcobaleno che vogliamo è del lavoro e dell’ambiente. La globalizzazione liberista si è retta su una doppia svalorizzazione: del lavoro umano e delle risorse naturali. La riduzione a merce provoca la doppia rottura degli equilibri sociali e degli equilibri ambientali. Intollerabile crescita delle diseguaglianze e insostenibili cambiamenti climatici hanno una comune origine e portano alla stessa risposta: un altro mondo è possibile.

Mettere in valore l’ambiente e il lavoro (in tutte le sue forme, da quelle oggi più ripetitive alle più creative) è il cuore di un pensiero nuovo, che non rinuncia a coltivare in questo mondo la speranza umana. In Occidente, ciò comporta innanzitutto alzare la qualità del lavoro, combattere il precariato, modificare gli stili di vita, contrastare la discriminaizone verso le donne.

Comporta la difesa e il rinnovamento dello Stato sociale, e la progettazione di una riforma più grande di quella che portò allo Stato sociale: una società non consumista, un’economia non dissipativa ed ecologica, una tecnologia più evoluta. Un nuovo inventario dei beni comuni dell’umanità: acqua, cibo, salute, conoscenza.

La conoscenza deve crescere ed essere distribuita: impossibile, senza la libertà della cultura, dell’informaizone, della scienza e della ricerca, e senza la lotta conseguente contro le regressioni tribali, etniche, nazionaliste, fondamentaliste. Il dialogo tra culture e civiltà diverse, aperto a nuove scritture universalistiche dei diritti sociali e dei principi di libertà, è tanto più essenziale nell’epoca delle grandi migrazioni, del web e della comunicazione globale.

La sinistra/l’arcobaleno che vogliamo è della pace. Lo spirito della guerra minaccia l’umanità. Ecco di nuovo la corsa al riarmo: cresce vertiginosamente la spesa per armamenti convenzionali, chimici, batteriologici, nucleari. Saltano le firme sui Trattati di riduzione e controllo degli armamenti. L’Europa è uno degli epicentri della corsa. Ora, è il momento di fermarla. La pace, che ha visto scendere in campo il più grande movimento di massa del dopoguerra, particolarmente in occasione della guerra irachena, è la carta vincente. La pace è possibile in un mondo multipolare. I fatti hanno già dimostrato che il mondo non è governabile da un unico centro di comando. Anche per questo c’è bisogno di un’Europa più forte ed autonoma.

La sinistra/l’arcobaleno che vogliamo è delle libertà individuali e collettive. Le libertà possono crescere solo in uno Stato laico. Per questo la laicità dello Stato è un bene non negoziabile. Uno Stato laico riconosce le forme di vita e le scelte sessuali di tutte e di tutti. Si regge sul rispetto di tutti i sistemi di idee, di tutte le concezioni religiose, di tutte le visioni del mondo. Combatte l’omofobia e il maschilismo. Assume dal femminismo la critica delle strutture patriarcali e il principio della democrazia di genere. Crea le condizioni sociali ed istituzionali per rendere effettivi i diritti e le scelte libere di tutte e di tutti.

La sinsitra/l’arcobaleno che vogliamo guarda ad una nuova stagione della democrazia italiana. Pronta ad assumersi, oggi e in futuro, responsabilità di governo, od esercitare la sua funzione dall’opposizione. I temi all’ordine del giorno sembrano “autorità, governabilità, decisione”, non si vede che quelli veri sono l’autorevolezza e la legittimazione, una nuova capacità di rappresentanza politica, in un rapporto dialettico con l’autonomia della rappresentanza sociale, a partire dai grandi sindacati di categoria e confederali.

La sinistra/l’arcobaleno contribuirà a rinnovare il sistema politico e le forme della partecipazione democratica, contrasterà l’antico trasformismo. Se c’è declino italiano, esso dipende dal corporativismo, dal dilagare del privilegio e dell’ineguaglianza; dalla debole innovazione, dalla perdita di coesione, dalla diffusa illegalità; dalla pèerdita della capacità di indignarsi verso quello stato di violenza assoluta che si chiama mafia, ‘ndrangheta, camorra; dall’oblio della questione morale. Riformare la democrazia e la politica vuol dire nutrire di valori un progetto di società.

Noi, partecipanti all’Assemblea generale della sinistra e degli eoclogisti, ci rivolgiamo alle forze politiche, ai gruppi organizzati, ai movimenti, al popolo della sinsitra, a tutte le singole persone che vogliono partecipare ativametne alla costruzione el nuovo soggetto federativo. In una discussione aperta e libera sulle idee, gli obiettivi, i programmi, le forme di organizzazione e di rappresentanza.

Venite, diventate parte di un progetto che può cambiare profondamente la situaizone italiana e influenzare la politica europea.

Assemblea generale della sinistra e degli ecologisti

Roma, 8/9 dicembre 2007

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Ricevo e posto.

Una mozione d’ordine agli Stati Generali della Sinistra dell’8 e il 9 dicembre.

L’esperienza di Governo delle componenti della Sinistra italiana, dopo neanche un anno e mezzo di legislatura, si è rivelata un fallimento. Il programma dell’Unione non è stato neppure attuato lontanamente, mentre leggi importanti giacciono dormienti. Il Governo ha governato, è la Sinistra che ha abdicato.

E’ stato dilapidato il consenso elettorale, almeno del 50%. Più in generale, la credibilità si è indebolita: in effetti, si è intaccato il capitale di adesioni a un progetto politico, che vedeva la Sinistra alleata al Governo Prodi.

Ce n’è quanto basta per chiedere le dimissioni in blocco del “consiglio di amministrazione”della Sinistra di Governo.

Ce n’è quanto basta per rivendicare la revoca delle deleghe ai parlamentari e ai membri del Governo da parte degli azionisti della Sinistra, cioè dei militanti e degli elettori.

Invece, “la federazione governativa” della Sinistra ha già deciso tutto: simbolo, nome, nomi, cariche e ha già deciso di avere una gran voglia di far parte del tavolo delle riforme elettorali, una gran voglia giocare la carta del ricatto della governabilità. Ha anche deciso le “quote” da lasciare ai “movimenti”. Sono questi i temi degli Stati Generali dell’8 e del 9?

Siamo all’auto-valorizzazione del sé partitico, alla soggettività dei soggetti dirigenti, all’egemonia dei rappresentanti sui rappresentati.

Perché gli Stati Generali siano stati generali della sinistra politica e sociale e non la Convention della conventicola dei gruppi dirigenti in cerca di leggittimazione, bisognerebbe adottare il seguente ordine del giorno:

1) Il Governo Prodi non deve cadere. Abbiamo bisogno di tempo per riorganizzare la presenza politica della Sinistra nella società: dobbiamo organizzare da subito la ritirata strategica dai palazzi della politica, per riprendere il cammino tra le contraddizioni sociali. Bisogna capovolgere il paradigma che ci ha portati al collasso: la strategia è stare immersi nelle contraddizioni sociali, stare al Governo è solo una tattica. Bisogna tenere a bada la destra.

2) Solo e soltanto in questa visione è possibile affrontare gli scenari possibili dalle proposte di nuova legge elettorale: l’unione, ma anche la semplice federazione delle forze politiche di sinistra che nascesse per garantirsi dagli sbarramenti elettorali avrebbe il sapore di una beffa ai danni delle grandi potenzialità che le contraddizioni sociali esprimono in Italia;

3) Si dia mandato vincolante ai membri della Sinistra nel Governo, ai membri dei due rami del Parlamento di mediare soluzioni il meno punitive possibile nei confronti della democrazia elettorale: la parola d’ordine è “Prendere tempo, per dare tempo alla riorganizzazione nel sociale”.

4) Le regole che prevedono il settanta per cento di rappresentanza ai partiti e una quota del trenta per cento ai movimenti siano azzerate. La rappresentanza parlamentare è messa fortemente in discussione dalla perdita progressiva di consenso elettorale.

5) Si dia vita subito al comitato promotore del Comitato nazionale delle lotte sociali: si convochi la Convenzione Nazionale delle Lotte Sociali nella seconda metà del prossimo mese di Gennaio, cui si chieda l’adesione di tutte le realtà del Paese. In questa sede si eleggano i rappresentati del Comitato Nazionale; in questa sede si decidano le quote di rappresentanza nel nuovo Soggetto. Indichiamo nei promotori della manifestazione del 20 Ottobre i soggetti legittimati a convocare la Convenzione Nazionale delle Lotte sociali.

6) Nessuno chiede a nessuno di sciogliersi. Non basterebbe. Chi sta in Parlamento non vale di più di chi sta in un comitato territoriale; chi sta al Governo non vale di meno di chi sta in un movimento. Ciò che si chiede a tutti è la piena consapevolezza del compito che abbiamo di fronte;

7) Esso non è la riduzione del danno della perdita di credibilità, non è la riduzione del danno della perdita del consenso, non è neppure la riduzione del danno della debolezza della Sinistra in Italia;

8) Il danno è l’idea stessa della riduzione del danno. Al vantaggio competitivo che il Capitale sta avendo sul Lavoro, che le libertà economiche stanno avendo sui principi di uguaglianza, che la Guerra sta avendo sulla Pace, che lo Sviluppo sta avendo sull’Ambiente, che il Consumo sta avendo sul Bisogno, che la crescita economica sta avendo sulla composizione sociale non ci sono scorciatoie meno dolorose. Siamo alle porte di una nuova fase economica di stagnazione e non abbiamo ancora goduto dei benefici della “ripresa” economica del periodo precedente: non c’è stata ancora rivincita sulla precarietà, sulla miseria salariale, sull’arroganza tariffaria, nessun risarcimento sulla demolizione sistematica che il neo-liberismo ha imposto al Welfare, a tutti i livelli..

9) Le idee nascono dove sorgono le contraddizioni, non nei talk-show di mezza sera. Stare fra le contraddizioni fa venire nuove idee. Bisogna dire basta: basta perdere tempo nel tentativo di dare delle spiegazioni teoriche, di immaginare sintesi astratte dalla realtà e soluzioni organizzative che hanno la vita breve.

10) Rendite di posizioni, presunti diritti acquisiti, supremazie di ruolo, quote di rappresentanza non sono la soluzione, ma una parte del problema. Strategie di fiato breve su piccole tattiche parlamentari, legate alle alchimie tra partiti di Governo e di opposizione, che diano centralità alla presenza nel Governo Prodi dei quattro partiti della Sinistra sono solo un accessorio della grande questione del ruolo della Sinistra nell’Italia di oggi.

Per favorire un confronto aperto e utile al futuro della Sinistra, bisognerebbe che i partecipanti ai workshop votino da subito la convocazione dell’assemblea generale. E che l’Assemblea discuta, decida e agisca, invece che ratificare decisione già prese altrove. A meno di non voler trasformare gli Stati Generali in un convegno tra caporali.

Roma, 7 Dicembre 2007

Le compagne e i compagni di Associa!

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La miopia della demagogia.

Se dovessimo prendere per buone le tesi di un leader di un partito di destra, alleato dello schieramento di centro-destra, che ha chiesto l’espulsione dall’Italia di tutti i cittadini, concittadini dell’assassino di Giovanna, morta ammazzata a Tor di Quinto a Roma, dovremmo sostenere che tutti gli americani, i congolesi e i pugliesi, cioè le appartenenze geografiche dei tre accusati del delitto di Perugia, dovrebbero essere espulsi coattivamente dalla città in cui è stata ammazzata Meredith.

Dovremmo sostenere, cioè, il principio che i conterranei di un assassino sono complici e quindi passibili di ritorsioni. Come principio sarebbe la fine di ogni principio di legalità.

La demagogia è un pessimo prodotto della spasmodica ricerca di un consenso, appeso al filo del telefono, strumento con cui si fanno le rilevazioni statiche a campione, che danno questa o quella percentuale di gradimento di questo o quel leader, che servono a fare i sondaggi, che servono a simulare questa o quella forza a questa o quella forza politica. Anche in questo caso, il principio secondo il quale le azioni degli uomini politici sono decise da percentuali virtuali di un sondaggio è il principio della fine di ogni principio della politica.

Secondo i dato ufficiali in Italia sono in diminuzione tutti i reati contro le cose e le persone. Ma tra i reati contro le persone, c’è ne uno che è drammaticamente in ascesa: cresce la cifra dei reati contro le donne.

E infatti: Giovanna, una donna di 47 anni ha pagato con la vita la ribellione a uno scippo. E Meredith ha pagato con la vita la ribellione a un rapporto sessuale cui non voleva sottostare.

C’è un filo rosso di sangue che lega queste due vittime: aver reagito a un sopruso, nato nella testa di chi ha creduto di aver a che fare con esseri inferiori.

E allora è inutile, oltre che dannoso, per non dire disgustoso, cercare ritorsioni indiscriminate. Se è vero che la responsabilità penale è personale, che si tratti di un rumeno, di una americana, di un congolese o di un pugliese, è altrettanto vero che abbiamo responsabilità collettive, perché è vero che nel nostro Paese la violenza sulle donne è in costante aumento.

E a nulla valgono escamotage xenofobi o persecutori su scala razziale. Questa è la miopia della demagogia. Perché la verità di come sono state assassinate Giovanna e Meredith si formerà nelle aule di giustizia, e non nei comizi, né nelle azioni squadristiche.

Ciò che invece dovemmo ascoltare molto attentamente sono le parole del marito di Giovanna e dei genitori di Meredith. Le persone per bene parlano a bassa voce, sanno gestire il loro terribile dolore con la dignità di un ragionamento. Nonostante il frastuono verboso dei demagoghi, che alzano la voce, sperando di alzare di qualche millimetro lo spessore del proprio ego, di qualche decimale la percentuale di un nuovo sondaggio. Beh, buona giornata.

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Due buone notizie.

Doris Lessing ha vinto il Nobel per la Letteratura 2007. E’ un notizia che mi riempie di gioia. Chi non ha ancora in casa almeno uno dei suoi libri, si affretti a dotarne la propria biblioteca. Se poi magari lo legge pure, si accorgerà di che dono è la buona scrittura. Questo Nobel dimostra concretamente che il premio intitolato all’inventore della dinamite continua a essere esplosivo, e autorevole, e serio, come ormai nessun altro premio riesce più ad essere.

L’Accademia delle Scienze di Stoccolma ha la capacità di prenderci, sempre. E anche questa è una buona notizia.

Doris Lessing è una donna, è una “vecchia” signora di 88 anni, che ha avuto modo di dire: “L’invecchiamento è una questione di aspettative degli altri nei nostri confronti. In Pakistan nel 1986 ho incontrato donne che potevano essere mie figlie e che avevano l’aspetto di trisavole perché la società si aspettava questo. Ora ci si aspetta che non si invecchi mai. Il vero momento in cui si invecchia è quando si tirano i remi in barca”.

Vecchio, ha detto, significa “stupido e incapace. C’e sempre qualcuno da condannare o da ghettizzare.”
Come sapete, recentemente qualcuno ha voluto insultare una “vecchia” signora italiana, anch’ella premio Nobel, Senatrice della Repubblica. Viva i vecchi, abbasso gli stupidi.

La seconda buona notizia è il premio Nobel per la Pace ad Al Gore e all ‘Ipcc, Intergovernmental panel on climate change, che è il comitato scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, la World Meteorological Organization (Wmo) e l’United Nations Environment Programme (Unep) allo scopo di studiare il riscaldamento globale “per i loro sforzi per costruire e diffondere una conoscenza maggiore sui cambiamenti climatici provocati dall’uomo e per porre le basi per le misure necessarie a contrastare tali cambiamenti.”

Questa seconda buona notizia è stata così eclatante che in Italia è venuto giù un pezzo di montagna. Come se Madre Natura, un’altra vecchia signora, avesse voluto dire: “Finalmente ve ne siete accorti che la Terra sta male.”

Queste sono due buone notizie perché dimostrano che non è ancora finito il tempo in cui avere buone idee è giusto, bello e possibile. Beh, buona giornata.

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Un Caravaggio dei nostri tempi? (Quasi un lettera aperta ai creativi pubblicitari italiani.)

Facciamo finta che Giampietro Vigorelli abbia ragione, quando dice su advexpress.it dell’ 11 Ottobre che Toscani “è un Caravaggio dei nostri tempi”.

Certo, a Toscani farebbe più piacere essere considerato “il” e non “un” Caravaggio. Fa niente, dai!, abbiamo appena detto che facevamo finta che Giampietro avesse ragione.

Certo quella di Vigorelli è una posizione molto più simpatica, per non dire accettabile di tutti quei piccoli soloni, in odor di satrapia, che si scagliano sempre e comunque contro Toscani. C’è come la sensazione che, avendo per tutta la vita fatto finta di essere “grandi esperti” di pubblicità, magari per via di qualche poltroncina che occupano da anni, i nostri censori più che attaccare Toscani difendano se stessi, le proprie rendite di posizione.

Insomma, quello contro Oliviero Toscani è un millantato discredito.

Com’è, come non è, comunque Toscani fa discutere, incazzare, schierare: sembra il “nominato” della penisola dei famosi, o sarebbe meglio “fumosi” come direbbe D’Agostino, quello di dagospia.com.: comunque, però Toscani arriva sempre in finale.

Tuttavia, con il dovuto rispetto al problema e alla persona, della foto dell’anoressica, perché di una foto si tratta, e non di una campagna, mi sembra inutile disquisire: voleva stupire e ha stupito. Comunicare è un’ altra faccenda.

Infatti, l’asino casca quando Toscani cerca di fare pubblicità: pane, amore e sanità è pubblicità? Fa solo rima, ma è anche alquanto puerile. E allora, Giampietro, per favore, lasciamo stare Caravaggio.

Perché c’è qualcosa da fare, che non facciamo da tempo. E’ riempire di belle campagne quel vuoto lasciato dal nostro lavoro, che qualcuno riempie con le sue foto, non riuscendoci con buone idee.

Mi spiego. I giornali, le riviste, la televisione stanno pompando a pieno ritmo feroce critica all’establishment. I siti web fanno il pieno di letture uniche ogni volta che un potente viene messo alla berlina. Non credo sia una moda passeggera, né riguarda solo la politica, ma il ritorno, o, per meglio dire, il superamento di quel minimo comune denominatore che fa dell’informazione qualcosa di non addomesticabile, di interessante, che gli restituisce il ruolo di portavoce dell’opinione pubblica, che giudica, e a volte si incazza nei confronti dei piccoli e grandi poteri costituiti. Pare sia il sale della democrazia, cioè di quel luogo virtuale, e perché no?!, virtuoso, in cui le opinioni si confrontano, si scontrano e si verificano per dare vita, appunto, a una precisa opinione sui fatti e sulle persone che determinano i fatti.

Quel luogo ideale che è la democrazia è anche quel luogo nel quale è nata e si è sviluppata la pubblicità. Non solo perché la pubblicità muove i suoi passi all’interno dei mezzi di comunicazione di massa, quali i giornali, la tv, il web. Ma anche perché la democrazia è il luogo ideale ai consumi, dunque è il posto migliore in cui la pubblicità possa vivere. Come per i mass media, anche la pubblicità dovrebbe riprendersi lo spazio della sua indipendenza creativa.

E allora, perché se i giornali italiani ribollono di indignazione e di disapprovazione, di aperta critica, la nostra pubblicità è così tiepidina, supina, edificante, è diventata gustosa come un insipida minestrina riscaldata?

Vogliamo, una buona volta, accendere i fornelli, mettere su l’acqua e portare a ebollizione anche il nostro advertising? Vogliamo calare nell’acqua bollente, per esempio il meccanismo di rovesciamento, l’iperbole pepata, vogliamo servire sul piatto dei nostri clienti tanti succulenti “negative approach”, speziati, gustosi, caldi caldi, a scotta-dito? Quelli che fanno la differenza tra la nostra pubblicità e quella che ci vediamo davanti ogni volta che andiamo a un festival internazionale, per poi tornare a casa con le pive nel sacco, un sacco pieno di sì, certo, vabbè, però, insomma. Siamo diventati più bravi nel crearci alibi che nel creare buone campagne pubblicitarie.

La buona pubblicità in questo momento è proprio quella che manca ai giornali, alla televisione, ai siti web. Diciamoci la verità: è proprio quello che manca a noi e ai nostri clienti. Per non parlare dei destinatari dei nostri messaggi.

Toscani è un eccellente fotografo, anche se sembra fare l’autoscatto al proprio ego. Buon per lui. Noi, però, non siamo nati né siamo stati programmati per far da spettatori, men che meno del lavoro degli altri.

Facciamo questo mestiere sempre più complicato, spesso complicato proprio da noi stessi, per creare idee, che creano campagne, che creano reputazione, che creano valore, che creano successo e, perché no, tanta soddisfazione.

E allora, caro Giampietro, forse tocca a noi essere 10, 100,1000 Caravaggio. Toscani fa da sempre quello che gli riesce meglio, noi da quanto tempo ormai abbiamo rinunciato a fare molto meglio? Beh, buona giornata.

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Scoppiare di salute.

Correre, fare moto, praticare lo jogging fa bene? No. Alla Maratona di Chicago c’è stato un morto, 350 ricoverati, oltre 10 mila concorrenti si sono ritirati.

Il combinato disposto tra l’inquinamento atmosferico e l’ondata di caldo, con umidità all’85% è calato come una mannaia su i 35 mila partecipanti alla maratona.

Pare che la stessa polizia della “città del vento”, come gli americani chiamano Chicago abbia tentato di sospendere “in corsa” la corsa. Ma non si è fermato nessuno, tranne il defunto, i 350 ricoverati e 10 mila ritirati.

E la festa dello sport popolare e di massa, assurto al simbolo della salute, della ragione per cui è giusto e accettabile il blocco della circolazione delle auto; lo sport più semplice e allegro del mondo, pacifico e non competitivo, se non per i professionisti della corsa, che però partono e corrono mescolati tra la folla; insomma la corsa, il simbolo dell’ecologia, equa e solidale, che consiste nel correre insieme e spensierati, vecchi e bambini, donne e uomini, ricchi e poveri si è trasformata in una ecatombe, in una folle corsa verso un disastro.

Il nome del keniano che ha tagliato il traguardo fa meno notizia del malore mortale dell’americano che si è accasciato sul rovente asfalto della città di Chicago.
La maratona di Chicago è una tragica metafora dei nostri giorni: stiamo correndo a perdi fiato sulle strade di un pianeta che stiamo distruggendo.

Vogliamo fermarci un attimo, non solo per riprendere fiato, magari anche per capire che i primi a pagare il conto di quello che stiamo combinando al clima del nostro pianeta siamo proprio noi esseri umani?

E, come proprio la legge del contrappasso vuole, il conto è arrivato proprio di domenica, mentre in calzoncini e scarpe da ginnastica, sudati e felici, stavano correndo tutti insieme verso il baratro.
Beh, buona giornata.

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Cose così.

In Nuova Zelanda, una turista inglese è stata allontanata da un casinò. Sembra avesse un seno troppo grande. Infatti, Helen Simpson è stata costretta a lasciare la sala da gioco di Christchurch. ”Mi hanno detto: o si copre o se ne va” . Ora, a parte il fatto che Christchurch significa “chiesa di Cristo” e quindi non si capisce come sia possibile che in codesta località si trovi un casinò, che non è esattamente un luogo pio, la cosa stupefacente è soprattutto il fatto che uno si immagina che non il seno grosso, semmai un gran culo potrebbe infastidire i giocatori d’azzardo di un casinò.

A un convegno nazionale dei Vigili urbani, che si è tenuto di recente a Riccione, un invitato a una tavola rotonda, durante il suo intervento, teso a dimostrare l’importanza della comunicazione per cambiare la cattiva opinione che i cittadini hanno dei vigili, ha raccontato di essere stato multato perché il suo furgone, che serviva alle riprese televisive di un documentario a favore di un comune del Veneto, era stato parcheggiato in un posto riservato ai portatori di handicap. Il relatore pretendeva di avere ragione, esattamente come tutti quelli che vengono multati per una infrazione al codice della strada. I vigili in sala sono sembrati alquanto perplessi sulla necessità di comunicare l’importanza del loro ruolo.

Una mia amica ha avuto un incidente stradale. Un Suv l’ha urtata e lei è caduta col motorino. Quello è scappato e lei si è fratturata un gomito. Durante la gessatura del suo braccio, al pronto soccorso ha sentito un gran dolore. E, per reazione, ha tirato un pugno in piena faccia al medico che la stava curando. Oggi mi ha inviato un sms lamentandosi della malasanità degli ospedali di Roma. Chissà che ne pensa quel poveretto che ancora si accarezza la mascella.

Ieri, mentre prendevo un aperitivo in un bar del centro, uno mi si avvicina e mi dice:” Ma guarda la combinazione, come diceva Arsenio Lupin.” Ed è scoppiato a ridere da solo. Ho guardato il barman, come a chiedere conferma che il tizio fosse ubriaco. Quello ha allargato le braccia e mi ha detto: “Abbia pazienza, dottò, quello è astemio.”

Di questi tempi, il mondo non sta troppo bene. Beh, buona giornata.

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Quanto ci mancherà il genio del silenzio.

Domenica è morto Marcel Marceau. Aveva 84 anni, spesi bene. Non si chiamava così. Il suo cognome divenne un nome d’arte, per via dell’ arte di sopravvivere alla persecuzione degli ebrei.

Marceau era nato a Strasburgo il 22 marzo del 1923, ma era cresciuto a Lilla. Nel 1944 si era unito alla Resistenza. Nonostante tutto, iniziò a studiare recitazione nel 1946 con Charles Dullin e il grande mimo Etienne Decroux.

Charles Chaplin e Buster Keaton furono i grandi geni del film muto. Invece Marceau continuò a usare il silenzio come potente strumento di comunicazione. Fino a domenica scorsa.

Marceau è stato scrittore, poeta, pittore, illustratore, celebre in tutto il mondo.

Marcel Marceau è stato un grande creativo, in un epoca in cui il fracasso, le urla, la bagarre, il cicaleggio, il bla-bla hanno via via preso il sopravvento.

Oggi che parliamo tutti troppo, cioè spesso a vanvera, Marceau ci mancherà, come ci mancano quei momenti di riflessione, di pausa, di introspezione che sono l’anticamera mentale dell’intuizione, quei momenti magici in cui si prefigura un’ idea, un approccio, nei quali prende forma la visione di un modo di agire.

Quel silenzio che segue il filo dei pensieri, che ci porta a sapere prima di tutti gli altri la cosa migliore da fare, che è sempre la più bella, interessante, spiazzante, innovativa, irrazionale, quindi poetica, promettente.

Finché il pandemonio del presente non riprende il comando della nostra mente, e il frastuono della mediocrità cerca di rendere arido ciò che il silenzio avrebbe reso fertile.

Seppe misurasi anche con la pubblicità, quando la creatività pubblicitaria era ben accolta tra chi ne voleva sperimentare il linguaggio fresco e disincantato, popolare e snob. Oggi si preferirebbe una calciatore o il “lato b” di una velina.

Una volta Marceau partecipò a“Silent Movie”di Mel Brooks, buffo film muto in cui lui fu l’unico a parlare. Pronunciò una sola parola: “No”.

Che è un’altra cosa che dovremmo imparare a dire più spesso. Adieu, monsieur Bip. Beh, buona giornata.

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Abbiamo di nuovo sfondato il fondo del barile?

Se fosse vero, e sottolineo se, come nella famosa canzone di Mina, se fosse vero, dunque, che una importante agenzia italiana, filiale di un’altrettanto importante network che reca il nome di un celeberrimo pubblicitario, e che fa parte di un’enorme holding quotata nella principale Borsa europea, se fosse vero, insomma, che l’importante agenzia in questione ha vinto una gara pubblica, per un ente di primaria importanza per i cittadini italiani, rilanciando, fuori tempo massimo, una commissione pari a un zero virgola qualcosa, la notizia sarebbe più sensazionale dello storico flop che la pubblicità italiana ha ricavato durante l’ultima edizione del Festival di Cannes, in occasione della quale ebbi a scrivere che avevamo sfondato il fondo del barile.

Se fosse vero, e sottolineo se, significherebbe che forza di fare dumping, stiamo facendo profondi buchi, fin nel sottosuolo della professione, fin nelle viscere del terra-terra, stiamo scavando caverne buie e senza uscita al comune senso del pudore nel gestire new -business, creatività, relazione con i clienti.

Sarebbe una sorta di tragi-comica sindrome cinese, capace di bucare da parte a parte ogni considerazione che i committenti dovrebbero avere del nostro lavoro, del nostro talento, del nostro ruolo nella comunicazione commerciale. Se fosse vero, e sottolineo se. Beh, buona giornata.

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L’incoscienza di Zeno.

Un pupazzetto dalla faccia espressiva, capace di riconoscere alcune fisionomie e di reagire alla loro presenza. E’ il figlio-robot, inventato in Texas da David Hanson, 37 anni, ingegnere responsabile alla Hanson Robotic.

La piccola creatura meccanica non sa ancora camminare e parlare, ma “impara” e questo è il grande vantaggio illustrato dal suo creatore. Il bambolotto intelligente pesa tre chili ed è alto 43 centimetri, e si è anche pensato a dotarlo di un vestitino per farne un «compagno interattivo».

Il suo cervello non è dentro il pupazzo ma fuori, attivato da un complicatissimo programma software su un apposito computer che sa imparare.

E’ l’ultima frontiera in fatto di intelligenza artificiale, perchè è la realizzazione più avanzata di quella che il suo creatore definisce «compagnia sintetica». A suo avviso potrebbe diventare un nuovo settore di mercato «dalle incredibili possibilità di espansione».

Vuoi che tuo figlio ti obbedisca? Che faccia quello che vuoi tu? Che non si metta grilli in testa, che non frequenti cattive compagnie? Temi che prima o poi si metta a ragionare con la sua testa, e si metta a criticate te, il tuo stile di vita, il modo in cui ti guadagni da vivere? Comprati un figlio robot.

Il bambolotto tecnologico si chiama Zeno, come il figlio piccolo del suo inventore. Beata incoscienza. L’incoscienza di Zeno. Beh, buona giornata.

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Una legge anti-pirla.

A un maestro violento della scuola elementare “Buon fanciullo” di Siracusa è stata confermata la condanna in Cassazione.

Secondo la sentenza i metodi di educazione rigidi e autoritari sono pericolosi, ma anche dannosi per la salute psichica degli allievi. Specie se si tratta di bambini piccoli, per i quali sembrerebbe ormai assodato che metodi che “utilizzino comportamenti punitivi, violenti o costrittivi” siano dannosi.

A una prima parziale lettura, appare una buona notizia per tutti, forse un po’ meno per il maestro di Siracusa, della cui vicenda allo stato non mi è dato di sapere niente altro che la notizia di questa sentenza.

Però, siccome sappiamo che il mobbing nei luoghi di lavoro attende ancora una legge che punisca il capo sadico, viene da pensare che ci sia qualcosa che non funziona: a scuola i guanti bianchi, poi vai a lavorare e allora calci nel sedere, o magari lo sguardo indiscreto, la “mano morta” sul didietro, la proposta indecente, la vessazione, l’accanimento gerarchico.

Ho forte l’impressione che metodi che “utilizzino comportamenti punitivi, violenti o costrittivi” siano dannosi a tutte le età. La tolleranza nei confronti di questi comportamenti sfocia spesso nell’auto-esaltazione: un capo terribile si sente un figo, un vero eroe, un pilastro dell’azienda. Essere temuti appare come un modo virile di fare il proprio dovere, tanto addirittura da vantarsene.

Non so se una legge sia il metodo più adatto a modificare comportamenti da piccolo satrapo, ma credo che da qualche parte bisognerebbe pur cominciare. Fare il forte coi deboli e il debole coi forti non è essere cazzuto, è semplicemente essere pirla. Per legge. Beh, buona giornata.

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In memoria della headline.

Nella cronaca di Roma di ieri del quotidiano la Repubblica, si può leggere un titolo sublime: “baby prostitute, in cella coi clienti”. Straordinario: a prenderlo alla lettera, ci sarebbe la fila.

Non pago, non la baby prostituta, ma il quotidiano medesimo scrive in didascalia della foto della sottosegretario al Ministero dell’Interno, una dichiarazione della sottosegretario medesima, che invoca “pene severe”. E’ l’apoteosi del doppio senso.

Ora, lo sappiamo tutti che i titoli dei giornali, per via della ricerca dell’effetto sull’attenzione del lettore, si espongono spesso a esilaranti interpretazioni. C’è chi ha scritto più di un libricino che ne raccoglie antologie. Ricordo un titolo dell’Eco di Bergamo che urlava a caratteri cubitali: “In 600 contro un albero, tutti morti.” ( La 600 era una vettura molto in voga a quei tempi).

Il fatto è, però, che il doppio senso giocoso, il rovesciamento dei significati, che rimandavano ad altri beffardi significanti, erano il pane quotidiano del titolo pubblicitario, spesso il talento del copy writer, il brodo primordiale della head- line.

Ma in tempi di ottundimento delle menti, alla pubblicità e al pubblicitario viene chiesto, imposto, subornato di scrivere righe notarili. Che ne no la gente non capisce.

Mentre, per fortuna, può ancora succedere di leggere titoli sbarazzini sulle pagine dei quotidiani, meglio se pagine meno sottocontrollo, tipo quelle della cronaca cittadina.

Il che è un invito a leggerli i giornali, soprattutto da parte di chi vorrebbe fare il creativo pubblicitario. Beh, buona giornata.

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Lavoro

Dal welfare allo Stato asociale. Come contrastare le politiche neoliberiste del governo Prodi. Di Fabrizio Tomaselli.

Ospito su questo blog un intervento di Fabrizio Tomaselli, coordinatore nazionale di Sdl, sindacato dei lavoratori. I temi trattati, il welfare e i diritti dei lavoratori sono di grande attualità.

Sdl è un sindacato di base e come tale ha grande difficoltà ad accedere ai media.

Dunque, più che aderire alla proposta di un Referendum che ripristini i contenuti delle Stato sociale, aderisco all’idea che le opinioni di Tomaselli e di Sdl debbano essere conosciute, magari anche solo per confutarle. Beh, buona giornata.

Dal welfare allo Stato asociale. Come contrastare le politiche neoliberiste del governo Prodi.
Di Fabrizio Tomaselli.

L’accordo del 23 luglio scorso tra Governo e sindacato confederale non ha fatto altro che evidenziare, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che la deriva liberista che in questi anni ha travolto l’Europa, non ha ancora dispiegato tutti i suoi nefasti effetti.
Nonostante le privatizzazioni e le liberalizzazioni non abbiano di fatto avuto alcun effetto benefico nei confronti dello sviluppo economico, come anche delle tasche e delle condizioni di vita del cittadino, abbiamo assistito e vissuto una “sbornia da mercato” alimentata in modo artificioso da una valanga di informazioni false che hanno a loro volta foraggiato aspettative ancor più distorte.
Il falso mito del “mercato che tutto risolve al suo interno, che si autoregola e che assicura sviluppo infinito” si è infranto contro una realtà che sbatte violentemente in faccia a tutti, da una parte la contraddizione di uno sviluppo infinitesimale del continente europeo e dell’Italia rispetto a Paesi come Cina ed India che stanno rapidamente sconvolgendo ogni “regola” commerciale imposta dal club dei “ricchi” paesi occidentali e dall’altro la distruzione dell’ambiente, il rapido ed incontrollato aumento del disagio sociale, della precarietà, dell’abbandono di ogni riferimento al welfare quale elemento di emancipazione e giustizia sociale.

Il mondo della politica e quello sindacale sono sempre più lontani dal ruolo che dovrebbero svolgere: la massima e spesso unica preoccupazione, oltre a quella di perpetuare se stessi ed il proprio ruolo, diventa il tentativo di convincere il cittadino ed il lavoratore dell’ineluttabilità dei processi sociali ed economici che lo coinvolgono e lo travolgono.
Senza più indicare valori alternativi, senza individuare alcuna via di uscita da un meccanismo che tutto comprime, senza esprimere e sollecitare alcuna pulsione che vada quanto meno verso una ricerca collettiva di ipotesi diverse.

A questo punto, per superare la “sbornia da mercato” e tentare una analisi sobria che possa però rappresentare una iniezione di entusiasmo, di valori ed obiettivi concreti e condivisi, si deve necessariamente operare una semplificazione ed una sintesi.

Le privatizzazioni non hanno prodotto benefici rilevanti alle casse dello Stato, hanno distrutto interi settori industriali, hanno creato disoccupazione e dilapidato un patrimonio di professionalità acquisite, spesso hanno consegnato ad avventurieri della finanza le chiavi di parti importanti dell’economia nazionale che hanno semplicemente applicato la regola per nulla industriale del “prendi i soldi e scappa”.

Le liberalizzazioni, sbandierate anche in quest’ultimo anno come la panacea per tutti i mali della società, hanno di fatto relegato il cittadino a spettatore inerme di giochi che avevano tutt’altro scopo che quello di tutelarli. I costi dei prodotti e dei servizi, salvo poche eccezioni pagate però in altro modo, non sono diminuiti e l’unica cosa che ha registrato un reale calo è stata la qualità e l’efficienza dei servizi, a cominciare da quelli relativi alla salute, all’istruzione, ai trasporti, ecc.

I salari sono diminuiti sia in termini diretti, cioè il valore reale della busta paga, sia indiretti, cioè per tutti quei servizi che sino a ieri, proprio perché vissuti e gestiti come valore sociale, rappresentavano un concreto valore aggiunto al 27 di ogni mese.

Le pensioni sono state falcidiate e rese “complementari” alla rendita attraverso i fondi pensione, il lavoratore obbligatoriamente dovrebbe assicurarsi la vecchiaia giocando in borsa parte della busta paga.

La precarietà, infine, sta subendo una mutazione genetica, assumendo sempre più le sembianze della normalità, piuttosto che della straordinarietà. Vecchi giovani che devono convivere ormai stabilmente con uno stato di disagio complessivo ed economico che porta al degrado morale, alla desolazione sociale e distrugge spesso gli stimoli al cambiamento.

Per fare tutto ciò si è spinto l’acceleratore non soltanto dal punto di vista della forzatura legislativa ed economica, non soltanto agendo su rapporti di forza sociali sempre meno equilibrati, ma anche e soprattutto imprimendo una svolta “culturale” che ha investito in modo violento ed avvolgente l’intero corpo sociale del Paese.

E così, ad esempio, nessuno si stupisce più quando si afferma che “aumentare l’età pensionabile favorisce l’occupazione dei giovani” ! Ma come è possibile ? Il buon senso e la matematica ci dicono l’esatto contrario e cioè che se un anziano va in pensione il suo posto deve essere preso da un giovane e se invece rimane al lavoro per più tempo avremo più disoccupati e più precarietà !

Nessuno registra in modo critico che le liberalizzazioni non hanno prodotto alcun beneficio al cittadino, neanche alle sue tasche, ma si continua a credere alla favola della ineluttabilità di questo processo economico che invece è finalizzato alla destrutturazione dei rapporti di lavoro, all’aumento della precarietà e alla riduzione del costo del lavoro, a tutto beneficio del profitto di pochi.

E che cosa dire dell’altra “buona novella” delle privatizzazioni. Pur criticando tutti gli effetti che hanno avuto sulla quasi totalità delle aziende che hanno vissuto questo processo di trasformazione, si continua ad assorbire la logica per la quale “il pubblico non funziona e privato è meglio”.

A tutto ciò è necessario opporsi in modo concreto, oltre che teorico e culturale. Le contraddizioni della grande bugia del “dio mercato” sostenuta dai “grandi sacerdoti politici e finanziari” custodi della sua fede, sono ormai evidenti: non resta che renderle ancor più esplicite ed iniziare a proporre, uno dopo l’altro, una serie di elementi e di iniziative concrete che indichino la strada da seguire per uscire dal tunnel.

Per questi motivi il Sindacato dei Lavoratori avanza la proposta di un insieme omogeneo di QUESITI REFERENDARI che parta dalla PRECARIETA’ e dalla LIBERTÀ SINDACALE, che potrebbe interessare altri argomenti quali la previdenza, la salute, l’istruzione, i servizi pubblici, ecc., e che ponga all’attenzione dell’intera opinione pubblica e dei lavoratori, del mondo politico e sindacale, della società civile, l’estrema necessità di un cambiamento, di una svolta radicale che indichi un nuovo modello di sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale ed ecologico e che al tempo stesso spazzi via i falsi miti di questi ultimi anni.

IL Referendum diventerebbe quindi uno strumento:
1. per accendere i riflettori su un problema, su un processo sociale, su un sistema economico;
2. per far discutere il cittadino sulla sua condizione sociale, sul modello di vita al quale si raffronta ed al quale aspira, sulla sua busta paga, sulla sua pensione, sulla condizione di suo figlio precario;
3. per evidenziare che i servizi che non funzionano sono troppo spesso quelli che sono stati liberalizzati e privatizzati;
4. per capire tutti insieme che una strada diversa è possibile, oltre che auspicabile;
5. per provare a vincere una battaglia importante che coinvolge tutti.

Il problema da affrontare e risolvere non è tanto quello dei costi della politica e del sindacato di cui si parla in questi ultimi mesi, quanto quello della efficacia della politica e dell’azione sindacale, intesi come strumenti che devono ridiventare onesti e trasparenti, e che devono perseguire ed assicurare emancipazione, sviluppo e cambiamento, ma anche e soprattutto giustizia sociale.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

I furbetti del lay-out-tino.

La scorsa domenica, Eugenio Scalfari ha scritto che il problema del cinema italiano è la perdita di un linguaggio comune e condivisibile. L’affermazione ha la sua importanza, poiché cade durante il festival di Venezia. Ma il suo ragionamento è estendibile a altri settori della comunicazione, come si definiscono oggi tutte le discipline, i mestieri, le professioni che hanno a che fare col comunicare un idea, un pensiero, un punto di vista.

Non è una caso, che Eugenio Scalari citi il giornale di cui è stato il fondatore come un esempio di innovazione del linguaggio della carta stampata.

Le riflessioni di Scalfari hanno provocato un piccolo ragionamento sul linguaggio della pubblicità italiana. Il ragionamento è questo.

1) La pubblicità italiana è tra le più mediocri del mondo occidentale, dal punto di vista creativo: lo dicono tutti i più importanti appuntamenti di confronto tra le diverse culture della comunicazione commerciale;

2) la pubblicità italiana è tra le più eccellenti del mondo occidentale dal punto di vista economico, con particolare riferimento alla pubblicità televisiva: chi possiede un network televisivo fa e disfa a suo piacimento;

3) la pubblicità italiana è la più politica del mondo occidentale: il sistema televisivo, mezzo principe in Italia è regolato da alchimie di tipo politico, dunque anche l’accesso a budget di questa o quella azienda si muove rispetto a queste regole. Basti pensare all’equazione tra il maggiore partito rappresentato in Parlamento, sia pur attualmente all’opposizione e il maggiore network televisivo commerciale, attualmente maggioritario nella raccolta pubblicitaria;

4) la pubblicità italiana oggi non ha un linguaggio culturale, ma economicista, lobbysta, spartitorio, furbastro: basta leggere i comunicati stampa che si vantano di questa o quella acquisizione di budget pubblicitari, di cui sono pieni i news-magazine del settore, ogni giorno.

Non c’è un linguaggio unitario, condivisibile, formativo, innovatore della creatività italiana per il semplice motivo che le idee sono l’ultima ruota del carro, nella santa processione del business della pubblicità italiana.

A questo contribuiscono, in piena flagranza del reato di eccesso colposo di buona volontà molti creativi pubblicitari italiani. Tra loro c’è chi eccelle nel cinismo della loro mediocrità, professionale e culturale. Di quella umana, boh!

Sono coloro che furono allievi di grandi maestri dell’advertising italiano, ma che del loro maestro hanno creduto di imitare gli aspetti esteriori, non quelli intrinseci, che ne hanno fatto, giustamente, punti di riferimento professionali per più di una generazione di creativi. Anzi, candidandosi ad esserne epigoni, dicono in giro del loro disturbo psicanalitico: uccidi il padre è il loro leit-motive.

Ben presto dimentichi degli insegnamento più preziosi, tra cui l’onestà intellettuale che accompagna ogni minuto la creazione di una campagna pubblicitaria, per il semplice fatto che va sotto gli occhi di milioni di persone, i nostri furbetti del lay-out-ino inanellano sciocchezze: si vantano di una campagna scema e già vista, non distinguono il buono dal marcio, ascoltano il suono delle loro parolette e si credono di alta statura professionale, scambiando il sistema metrico decimale con lo spessore professionale.

Ai tempi dell’odiato Gavino Sanna, che li apostrofava con la dicitura “piscia-letto”, nascosti tra la piccola folla del popolo dei creativi fischiavano in platea i suoi successi.

Oggi che “il popolo dei creativi”, come Pirella definì la moltitudine di copy e art che negli Ottanta entrarono nel mondo della pubblicità italiana, attirati, appunto da quel linguaggio che oggi non sembra più esserci, ecco che i furbetti del lay-out-ino sono feroci come caporali napoleonici, al tempo di Sant’Elena.

I furbetti del lay-out-tino non rispettando i loro maestri, non rispettano il loro lavoro, quindi non sanno del rispetto verso i lettori, gli ascoltatori, i telespettatori.

In ultima analisi, essi non sanno nulla del rispetto che si deve al committente, alla disciplina umana e professionale che si deve a chi paga il conto della creatività. Li prendono in giro con la loro prosopopea e con l’altisonanza dei titoli sui biglietti da visita, magari, come bagarini, con la promessa di un posto comodo per godersi la partita.

I furbetti del lay-out-ino sono come cavallette che distruggono, per via della loro ingordigia, dell’ansia di fama, del loro ego, magari di un bonus di fine anno, che distruggono reputazioni delle persone prima e delle marche poi, con il sorriso ammiccante dalla fotina che per piaggeria campeggia sull’articoletto del giornaletto di settore.

Ignari, o forse cinicamente noncuranti, addirittura consapevoli, che tanto di questa o quella testata non gliene frega un bel niente, gli si può raccontare ogni fandonia, che tanto quelli la pubblicano, che se no, magari, gli togliamo l’abbonamento. E così si chiude il circolo vizioso della mancanza di rispetto del lavoro degli altri.

Lo sappiamo tutti che la fretta (di apparire) passa, ma la merda (di certi comportamenti) rimane. Ma a loro che gliene importa. Sono i furbetti del lay-out-ino. Beh, buona giornata.

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Più Spazio alla politica.

Secondo il sito web News.ru.com, sarà Vladimir Gruzdev deputato al Parlamento russo, magnate della grande distribuzione, nonché ex ufficiale dei servizi segreti sovietici, il KGB, il primo riccastro russo a fare da passeggero in una missione spaziale.

Gruzdev avrebbe già firmato a Luglio il contratto per un addestramento di 13 mesi e avrebbe superato tutti i test medici per trascorrere una settimana in orbita, salendo a bordo di una stazione spaziale internazionale.

Mi pare una buona notizia: invece che fare inutili inchieste giornalistiche sui politici, tipo Casa nostra de l’Espresso; invece che inventare strampalati V Day, come avrebbe voluto fare Beppe Grillo; invece tediarci con le performance delle Iene sulle droghe, piuttosto che sull’ignoranza in Storia dei parlamentari italiani, facciamo anche noi qualcosa di molto moderno e tecnologico: spariamoli nello spazio.

Tredici settimane di addestramento alla forza di gravità, più una settimana fuori dalle nostre orbite, risolverebbero un sacco di problemi della politica, della tv, del giornalismo italiano, per non dire della pubblicità.

Come dire: meglio una stazione orbitante che il loro costo esorbitante. Dice: ma poi alla fine ritornano. Sì, ma almeno per tre mesi e mezzo non li vediamo né a Porta a Porta, né a Ballarò, né a Matrix, né da Fede. Né al Billionaire né all’ Hotel Flora.

Insomma, meglio che girino intorno alla Terra che ci facciano girare tutti i santi giorni i nostri due globi.

Beh, buona giornata.

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Il mondo non è più quello di una volta.

“Possiamo letteralmente vedere il disastro ambientale consumarsi sotto i nostri occhi. Temiamo che in un prossimo futuro paesaggi celebri spariranno per sempre”, ha detto Nick Ashworth, direttore dell’Atlante di Time 2007. “I contorni di certe regioni – ha aggiunto – cambiano. Per esempio in Bangladesh. Il livello del mare sale di 3 millimetri l’anno e ciò ha vari effetti sulle coste.

Gli effetti del riscaldamento globale sulle regioni costiere sono già visibili e implicano la necessità di modificare le carte geografiche. Lo affermano i cartografi di Time, che rappresentano un punto di riferimento mondiale in materia di Atlanti. I suoi autori hanno detto di essersi visti costretti a cambiare la linea delle coste in alcune zone rispetto alle ultime carte, fatte nel 2003.

Ci sono casi lampanti, come il fiume Giallo, in Cina, che non arriva più fino alla costa. In alcune aree, per esempio in Alaska, il mare avanza sulle coste basse di almeno tre metri l’anno. Non meno preoccupante è che grandi fiumi, dal Rio Grande al Colorado al Tigri, per la crescente siccità, perdono dei bracci, che in estate si seccano completamente.

La siccità dei fiumi modifica le coste. Speriamo modifichi anche le teste. Beh, buona giornata.

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Tristotto alla milanese.

Pare che i chicchi di riso abbiano le orecchie. Le piante di riso sono in grado di ‘udire’ la musica: è quanto afferma una equipe di scienziati della Corea del Sud.

I ricercatori hanno suonato in una risaia 14 pezzi di musica classica e hanno così scoperto che certe frequenze tra 125 e 250 hertz rendevano più attivi determinati geni.

In futuro, sostengono, gli agricoltori potrebbero utilizzare i suoni per attivare o disattivare determinati geni, un’alternativa più economica e ecologica all’uso di sostanze chimiche. Facciamo finta che sia vero, anche perché risaie e risate potrebbero anche non andare d’accordo.

C’è, infatti, da augurarsi che non si arrivi a scoprire che oltre che le orecchie magari i chicchi di riso possano anche avere i geni della vista.

Gli potrebbe succedere la sventura di vedere gli spot di una nota casa italiana, di cui un noto testimonial è omonimo.

Smetterebbero subito di fare riso. Diventerebbero tristi, come noi ogni volta che ci tocca vederlo passare in tv.

E invece che risotto, nel menu dei ristoranti si dovrà scrivere “tristotto alla milanese”. Beh, buona giornata.

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Gli extra-italiani.

Sempre più spesso nel sud d’Italia la laurea non basta per trovare lavoro. A tre anni dal titolo di studio, un laureato su quattro trova lavoro grazie alle conoscenze, cioè la politica, vale a dire la raccomandazione presso l’amministrazione pubblica.

Di cui all’apposito filmato della qualità democratica delle amministrazioni locali nel nostro meridione. Che tanto “la mafia non esiste”.

Non solo. l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez) dimostrerebbe in uno studio che la percentuale si dimezza per quei laureati meridionali che studiano al Nord e decidono di non tornare nella regione di appartenenza.

Infatti, il 40% dei laureati meridionali che a tre anni dal conseguimento del titolo di studio già ha un lavoro è stato costretto a emigrare al Nord. Esattamente come succedeva ai tempi delle grandi emigrazioni della forza lavoro verso le industrie del Nord.

Insomma, come ai tempi in cui sui portoni dei palazzi delle città del Nord c’era scritto: “non si affittano case ai meridionali.”

Sempre secondo lo Svimez, su 55 mila laureati residenti al Sud al momento dell’iscrizione all’Università trovano lavoro, dopo 3 anni, in 34.500.

Ma se in 20.700 hanno trovato impiego nelle regioni di appartenenza, sono circa 13.800 quelli che invece lavorano nelle regioni del Nord.

E, la ricerca non lo dice, ma vengono comunque trattati da “terùn”. Terroni.

A forza di avercela con gli “extra-comunitari” non ci accorgiamo che continuiamo a vivere in un paese pieno di “extra-italiani”. Cum laudem.

E’ stupefacente come le cose siano cambiate. Una volta “anche l’operaio voleva il figlio dottore”. Oggi anche un dottore ha un figlio precario. Beh, buona giornata.

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