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La cultura fa più del calcio e della tv.

La situazione della cultura in Italia è stata fotografata dal quarto rapporto Federculture. I dati analizzati, quelli che riguardano il 2006, restituiscono l’immagine di un Paese ricco di stimoli culturali che tuttavia fatica a sostenere gli investimenti e a gestirli. Secondo il rapporto di Federculture, rispetto al 1998, le grandi città hanno ridotto in media la spesa culturale del 61 per cento, mentre in Finanziaria è stato destinato al ministero dei Beni culturali lo 0,29 per cento del bilancio statale (nel 2002 era lo 0,35 per cento).

La cosa è totale in controtendenza, invece ,con la propensione alla spesa culturale delle famiglie: nel primo semestre del 2006, mentre i consumi in generale aumentavano dell’1,4 per cento, la voce cultura del bilancio familiare faceva un balzo avanti del 6,5 per cento. Su questo versante, straordinari i risultati del teatro: 14,5 per cento di presenze in più, con un aumento di spesa pari a un più 29,1 per cento. Non solo: le attività teatrali hanno superato quelle sportive. Sia per presenze (13.462.370 contro 12.695.538) sia per la spesa (più di 174 milioni di euro per il teatro contro più di 147 milioni per il calcio). Cresce anche il cinema (14,2 per cento), mentre sono in flessione concerti e balletti (rispettivamente -5,4 e -5,8 per cento).

I giovani tra i 14 e i 29 anni non solo fruitori, ma anche “creatori” di cultura. Secondo il rapporto di Federcultura, i ragazzi fanno incetta di mostre come di danza, di cinema, teatro o concerti. Ma si lamentano dei prezzi: secondo l’86,7 per cento una diminuzione del prezzo di biglietti sarebbe salutata con un’ulteriore crescita.

Nel 2006, periodo preso in esame dal Rapporto, si è registrato un incremento del turismo culturale: 22 milioni di stranieri hanno visitato l’Italia, con un aumento del 7 per cento rispetto all’anno precedente. “Regina” delle città d’arte resta Roma, che si aggiudica un primato da 18 milioni di visitatori e batte, per esempio la Berlino dei Mondiali.

Infine, la classifica degli eventi culturali che nel 2006 sono stati più apprezzati e seguiti: le Olimpiadi della Cultura di Torino (10-19 marzo) che hanno registrato quasi mezzo milione di presenze, la Fiera internazionale del libro con 300mila visitatori (sempre all’ombra della Mole, 4-8 maggio), il Festival della scienza di Genova e la Festa del cinema di Roma. Sul podio delle mostre più amate, “Gauguin e Van Gogh” a Brescia, “Antonello da Messina” a Roma, “Caravaggio e l’Europa” a Milano.

Sono brutte notizie per chi ha sempre creduto che agli italiani interessassero solo calcio e tv. Ne dovrebbero tener conto tutti: giornali, tv, politici. E forse anche chi fa la pubblicità. Magari, si potrebbero evitare figure da somari al Festival di Cannes. Beh, buona giornata.

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L’era dell’aria fritta.

Lanciata a Milano lo scorso anno da Lele Panzeri, affermato creativo pubblicitario, pare torni in voga Air Guitar, cioè il far finta di suonare la chitarra, simulando le performance di un chitarrista, muovendosi a suon di musica sul palco, di fronte a una folla di finti fan. Apparentemente un esercizio goliardico. In realtà, Air Guitar è una vera e propria metafora del nostro vivere odierno.

La politica è finzione. Si fingono scontri politici, per poi mettersi d’accordo. Si fingono grande aggregazioni, coinvolgendo la “società civile”, che tanto decidono i soliti. Recentemente, la finzione della politica ha coinvolto la più alta carica dello Stato: una delegazione guidata dal Cavaliere è salita al Quirinale. Ma era una finta, perché niente c’era da chiedere al Presidente, e niente che il Presidente potesse rispondere, se non onorare una cortesia istituzionale.

La guerra è una finzione. In Iraq e in Afghanistan gli Usa fanno una guerra finta, la guerra al terrorismo, nata dalla ricerca di finte armi di distruzione di massa. Mica la vogliono vincere, gli serve per mettere sotto scacco l’opinione pubblica. Si dirà: caspita!, ma i morti sono veri. Si, ma solo quelli della coalizione occidentale, gli altri non contano, sono finti, come le immagini della tv.

La famiglia è una finzione. Si sono evocati toni apocalittici sulla difesa della famiglia, con tanto di coinvolgimento delle alte gerarchie vaticane. Ma i valori tanto sottolineati appaiono finti: i leader politici del centro-destra sono tutti chi divorziati, chi separati, chi addirittura separandi, magari per via di qualche possibile coinvolgimento in qualche vicenda giudiziaria.

La finanza è una finzione. Tra bolle speculative, furbetti e scatole cinesi, il danaro si fa e si sperpera, il valore si crea e si distrugge nello spazio di click sul pc.

La sicurezza dei cittadini è una finzione. Si costruiscono mostri e mostriciattoli, da Cogne a Erba, passando per Rignano. Non che non ci siano vittime e carnefici, ma è tutto fasullo, suggestivo, spettacolare. E quando si spengono i riflettori, passa la paura del buio del nostro inconscio.

Il cinema, il teatro, la letteratura, la poesia, la cultura in genere è stata espropriata dalla finzione. La finzione era la metafora del vero. Oggi che il vero è la metafora del finto, che la realtà è reality, che discutere è fare talk-show, che il “sentito dire” fa intendere di essere informati, viviamo in una dimensione parallela, che sa di poco di buono.

La pubblicità è una finzione. Presa sul serio dai poco seri, presa dai poco seri sul serio. Con i risultati che vediamo: le idee sono poca cosa, contano poco, niente.

La recitazione ha preso il posto dell’esistere. Consoliamoci con l’Air Guitar. Beh, buona giornata.

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Abbiamo sfondato il fondo del barile.

Giunge da Cannes, dove si tiene Lions 2007, il Festival mondiale della pubblicità, la notizia che solo due spot italiani sono entrati in short list. I film iscritti erano 149. E’ il peggior risultato di tutti i tempi per la pubblicità italiana, che con Sipra è uno dei fondatori del festival.

E’ un paradosso: l’Italia è il paese occidentale nel quale la tv fa la parte del leone nella comunicazione commerciale, togliendo spazi alla stampa, e ostacolando di fatto la diversificazione dei canali di comunicazione commerciale su altri media. Per quanto, spinta dal trend globale Internet è in crescita anche in Italia, ma rimaniamo comunque fra gli ultimi in Europa.

La sostanza del problema è che a tanti spot corrisponde una tale infima qualità, che la nostra creatività viene bocciata di fronte all’assise più importante. Che la nostra pubblicità goda di cattiva fama è una pessima notizia per i creativi italiani. Ma lo è ancora di più per la nostra tv, che trasmette migliaia di ore di pubblicità di scarsa qualità.

La pubblicità è uno degli indicatori della crescita economica di un paese. Secondo le stime fornite durante il Festival di Cannes dallo IAA, l’International Advertising Association, la Cina e l’India viaggiano a incrementi di fatturati pubblicitari intorno al 20 per cento. Gli Usa al 5%. L’Europa al 3,4%. L’Italia si aggrappa a un poco lusinghiero 1,4%. Dunque l’Italia è indietro, molto indietro.

Siamo evidentemente molto lontani dalla comprensione dell’evoluzione dei mercati, che oggi in tutto il mondo vanno verso la proliferazione di nuovi mezzi d comunicazione di massa, e comprendono la necessità di migliorare i contenuti e adattarli ai nuovi mezzi.

Paolo Duranti, direttore generale di Neilsen Madia Resarch del Sud Europa ha detto a Cannes: “In tale contesto, il lavoro di chi opera nel settore dei media è profondamente mutato e impone scelte rapide, complesse e spesso coraggiose da parte di chi vende, chi pianifica, chi crea la pubblicità e, da ultimo, di chi la misura.”

Tutto il contrario di quello che stiamo facendo nel nostro Paese. Abbiamo un sistema dei media bloccato, arrugginito, pieno di superstizioni di un passato che fu, zeppo di alchimie nefaste, intriso di interessi politici. Duopolio delle tv, conflitti di interesse sia politici che economico-finanziari, scontri tra maggioranze e minoranze parlamentari in materia di riordino del sistema e di riforma della tv: l’elenco delle ragioni del nostro arretramento sul fronte dei media e della creatività sono lunghe e da tutti conosciute.

Ma per quanto se ne voglia fare oggetto di dibattiti, di saggi, di convegni, e di polemiche giornalistiche, il problema rimane e rimanendo si aggrava. Il risultato della partecipazione italiana al Festival di Cannes è uno scandalo. Anche se, come spesso succede da noi, alla fine gli scandali non sono fatti, ma semplici opinioni.
Beh, buona giornata.

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La cattiva maestra e la maestra cattiva.

Il segno più evidente di una calo di popolarità da parte della televisione e dei programmi televisivi viene da Lion 2007, il festival mondiale della pubblicità che si sta svolgendo in questi giorni a Cannes. Quest’anno i film pubblicitari iscritti al festival sono diminuiti dell’8%, segno dello spostamento della comunicazione commerciale su altri canali, prima fra tutti su Internet.

La tv così come è stata concepita con l’ingresso nell’etere dei network privati perde colpi, perde pubblico e dunque perde ascolti. E di conseguenza sta perdendo investimenti. La supremazia dell’idea di uno strumento completamente piegato alle logiche di tipo commerciale, dunque, perde colpi, perde pezzi. L’exploit del reality –show si va sgonfiando. Un campanello d’allarme che arriva proprio dalla pubblicità dovrebbe far riflettere sia i network pubblici che quelli privati. Ma un’altra conferma della cattiva fama che la tv si è andata conquistando in questi anni, arriva da Berlino.

Bambini con sguardi seri, tristi, un viso paralizzato e il corpo senza vita come quello di una bambola sono i protagonisti delle foto del fotografo tedesco Wolfram Hahn, esposte al centro di fotografia `C/Ò nell’ex Posta centrale di Berlino. Gli sguardi dei bambini sono rivolti verso un punto che non è l’obiettivo del fotografo, ma uno schermo televisivo: i tredici ritratti della serie
«una cameretta per bambini stregata» mostrano l’effetto della “cattiva maestra televisione” su bambini di tre, sei e dieci anni. I più grandi, pur sempre paralizzati davanti allo schermo, sembrano più disillusi rispetto ai più piccoli. Il fotografo Hahn fa riferimento agli studi del 1982 di Daniel Klemm sugli effetti distorcenti della Tv sulla percezione infantile e sulle conseguenze negative per lo sviluppo verso l’età adulta ripresi anche dal filosofo Karl Popper nel 1994 in «Cattiva Maestra Televisione».

Non è un caso che qui abbiamo messo a confronto due episodi critici verso la tv: uno di tipo puramente economico, come quello del festival di Cannes e l’altro di tipo artistico, come la mostra di Berlino. Essi non sono affatto lontani dalla realtà. Chi è lontano dalla realtà è, invece, il nostro sistema televisivo, sia pubblico che privato. Mentre il senso comune a anche gli interessi economici dovrebbero spingere il nostro mercato a soluzioni migliorative del rapporto tra tv e spettatori, ivi compresi i più piccoli, in Italia è come se vivessimo in un clima sospeso, in un vuoto pneumatico.

Ciò che avrebbe potuto rendere la situazione almeno un poco più dinamica, vale e dire la nuova legge sulle tv, la cosiddetta Gentiloni da un lato, e la legge sul nuovo assetto della tv pubblica dall’altro, è incredibilmente in una situazione di stallo: entrambi i provvedimenti sono incagliati nello scontro politico in Parlamento. Sul dibattito pesano rendite di posizione, arroccamenti, veti incrociati. Ignara dei ritardi che colpiscono i cittadini, cui si nega la possibilità di scegliere programmi di qualità, ma che colpiscono anche il mercato, a cui si nega l’ingresso di nuovi soggetti, la politica appare del tutto incapace di prefigurare soluzioni positive.

Così se da un lato la tv continua a fare la cattiva maestra, contemporaneamente la politica conferma di essere una maestra cattiva. Beh, buona giornata.

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C’è un cielo sopra la testa degli europei.

I trattati economici non hanno costruito l’Europa. La moneta unica non ha costruito l’Europa. La libra circolazione delle merci non ha costruito l’Europa. Neanche il passaporto europeo ha costruito l’Europa. L’Europa si è allargata a 25 ma è spaesata, divisa, diffidente.

La nuova costituzione o è passata inosservata o è stata bocciata. L’Europa è guardinga nei confronti di Cina e India, allo stesso tempo supina nei confronti degli Usa, dipendente dall’energia fornita della Russia.
La guerra al terrorismo, ha spaccato l’Europa: ha tirato dentro i teatri di guerra eserciti nazionali europei, tra la poca convinzione dei governi e l’opposizione delle opinioni pubbliche, opposizione ignorata e brutalizzata dalla più sfacciata propaganda guerrafondaia..

Nell’ ultimo viaggio, con l’arroganza che contraddistingue l’Amministrazione Bush, gli Usa hanno vanificato il G8, con la stessa facilità con la quale hanno imposto agli europei lo Scudo Spaziale, col rischio sempre più concreto di trascinare l’Ue in una nuova Guerra Fredda contro la Russia di Putin.

L’Europa è divisa, scontenta, frastornata, confusa: sorride debolmente al digrignare dei denti di Bush e Putin, sperando in una qualche benevolenza, ma è cattiva e intollerante con i migranti. L’Europa è in pieno delirio di impotenza. Se ne accorto Wim Wenders, con la lucidità tipica di chi sa cos’è la cultura e quanto la cultura può fare per i popoli, le nazioni, dunque per i continenti: «L’Europa non ha bisogno di un’anima, né di altri strumenti di unificazione economica, l’Europa ha bisogno di nuove immagini», ha affermato il regista tedesco, secondo quanto pubblica il quotidiano tedesco Frankfurter Rundschau. «Per trasmettere l’idea del progetto europeo – secondo Wenders – la Commissaria Ue alla Comunicazione, Margot Wallstroem, dovrebbe usare la lingua delle fotografie, dei nuovi film, quella lingua europea che tutti possono capire al di là delle differenti parlate».

Il regista tedesco era pochi giorni fa ad Heiligendamm, dove si è svolto il vertice annuale G8, per girare il suo cortometraggio per il progetto «8» (otto corti per gli otto obiettivi contro la povertà da raggiungere entro il 2015). «Nei campi dei manifestanti contro il G8, i clown spagnoli, i critici francesi della globalizzazione smarriti tra i boschi e il reporter bavarese che cercava di correggere le bandiere della pace italiane, pensando che ci fosse un errore sulla parola `peacè (straordinaria lezione all’esterofilia tutta italiota, n.d.R.): quella per me era Europa, gente sotto uno stesso cielo» ha detto Wenders.

Bisognerebbe dargli retta e farlo in fretta: perché il cielo sopra Berlino è lo stesso cielo sopra Roma, Madrid, Parigi, Londra. Ed lo stesso cielo del sud Italia, dell’est Europa, del Mare del Nord. Se invece che ficcare la testa dentro la sabbia delle nostre piccole miserie politiche, alzassimo il naso al cielo ci riempiremmo gli occhi di quelle immagini ci cui parla Wenders.

E scacceremmo per sempre dalla nostra testa l’idea che ci possiamo permettere di lasciare guidare le nostre esistenze da chi fa del cielo corridoi militari e prepara guerre stellari. Beh, buona giornata.

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Il fascino indiscreto dell’immondizia.

Vi ricordate le perfomance di Giuliano Ferrara, che quando faceva tv sulle reti Fininvest (Mediaset ancora non si chiamava così, né il Foglio era ancora in edicola) girava il promo facendosi riprendere mentre mangiava immondizie da un cassonetto?

Per lui era un provocazione contro l’accusa di fare la tv trash. L’immondizia è anche apparsa nell’ultima versione del Grande Fratello: una parte dei partecipanti era alloggiata nella “discarica”.

Il fascino indiscreto dell’immondizia è sempre in agguato, è stato il cavallo di battaglia di tutti i critici della tv del nostro mondo attuale, “tv trash” è stato l’epiteto, il giudizio drastico e definitivo con il quale si bollavano certi programmi, si stroncavano certi conduttori, si esorcizzavano certi dati sull’ascolto.

Ma il peggio doveva ancora venire. E come tutte le cose che prima o poi dovevano succedere, ecco un reality ambientato nel mondo della spazzatura: in Gran Bretagna Channel Four lavora a questo progetto e cerca 10 volontari.

Secondo gli autori, i concorrenti dovranno ‘sopravvivere’ per un mese in un’enorme discarica a Croydon, un quartiere sud di Londra. Questo reality show si chiama ‘Eco Challenge’ (sfida ecologica), secondo il network vorrebbe sensibilizzare i telespettatori sull’enorme massa di rifiuti generati dalla sprecona società ‘usa e getta’. Non si sa mai, in questi casi se è peggio il programma o la pretesa “socio-culturale” con la quale il programma viene lanciato sui media. Fatto sta che il nuovo telereality sarà mandato in onda nel corso del prossimo autunno. Non c’è dubbio che potrebbe essere presto esportato fuori dalla Gran Bretagna.

Noi, in Italia, per esempio, la materia prima ce l’avremmo, basta cercare una location in Campania, tra i rifiuti abbandonati nei vicoli, nei campi, nelle piazze.

Né ci mancherebbero i volontari, basterebbe scritturare gli abitanti stessi delle città e dei paesi che vivono in quella consuetudine che si chiama “emergenza rifiuti”.

Forse, almeno per una volta sarebbe un reality talmente vero che sembrerebbe un reportage, una visione vera della realtà: quella che supera la fantasia. Beh, buona giornata.

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Aridatece er dejà vu.

Il dejà-vu nascerebbe da una ‘interferenza’ tra alcuni neuroni deputati a rievocare luoghi e esperienze somiglianti, ma diverse tra loro. Tale meccanismo è stato scoperto in uno studio diretto dal Nobel per la Medicina 1987 Susumu Tonegawa del Massachusetts Institute of Technology a Boston. Secondo la ricerca in una regione dell’ippocampo si crea una sorta di ‘stampa fotografica’ di ogni luogo visitato, utile per riconoscere differenze tra luoghi simili. Sarà.

Questo però non spiega perché uno vorrebbe che lo cose fossero diverse, ma invece appaiono sempre uguali. Nelle ultime 48 ore avremmo voluto le cose fossero leggermente diverse, e invece: il G8 non ha deciso niente di nuovo, Bush a Roma ha fatto le solite gaffes, Prodi non detto niente di niente, le rispettive signore hanno circolato del più e del meno, che le donne si sa devono stare al posto loro, Berlusconi ha preso solo un caffè e la ha raccontato in tv ( e dove, se no?!), quattro gatti a Piazza del Popolo, più una volpe al bar, Cossiga. Più poliziotti che manifestanti tra piazza Esedra a Piazza Navona, con la pantomima finale di scontri, tipo comiche finali dei film alla ridolini. Roma blindata: lo spiegamento di forze è riuscito a fare ingorghi di 8 vetture e sei- sette motorini nelle vie laterali, che quelle principali erano piene di poliziotti, come in una fantascientifica ora di punta.

Magari avessimo avuto un bel dejà-vu. Manco quello. Beh, buona giornata.

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Siamo un paese normale? No, Speciale.

Il Tar del Lazio ha dato torto al Ministero dell’Economia e ha confermato la sospensiva chiesta dal consigliere Rai Angelo Maria Petroni contro la sua revoca da parte dell’azionista ministero dell’Economia. Con questa decisione i giudici hanno di fatto confermato la sospensiva delle procedure di esclusione di Petroni dal Cda.

Come è noto, Il 29 maggio scorso venne sospesa la convocazione dell’assemblea generale della Rai fissata per i giorni 4 e 5 giugno nel corso della quale dovevano essere sancita la fuoriuscita di Petroni. La conseguenza della decisione di oggi sarà l’annullamento della nuova assemblea generale della Rai che è in programma per l’11 giugno prossimo. Dunque, la governance della Rai registra un altro brutto colpo. A meno di non assumere la decisione di azzerare il Cda, la situazione di stallo, per non dire di paralisi del servizio pubblico radiotelevisivo continua.

Però, almeno, le motivazione della sentenza del Tar, che come noto non entrano nel merito, accendono un luce, che illumina esattamente la situazione. “Rilevato che nel caso di specie – è detto nel provvedimento – la sostituzione del ricorrente trae origine in ragioni palesemente extragiuridiche, che oltretutto costituiscono un ‘continuum’ con quelle di eguale natura asserenti al metodo di scelta dei componenti del Consiglio di amministrazione della Rai, nelle quali il ministro, nella lucida analisi svolta innanzi alla commissione parlamentare, ha individuato la causa delle persistenti disfunzioni dell’organo collegiale, e non in fatti o comportamenti in una qualsiasi misura imputabili al ricorrente”.

Come a dire: non è colpa di Petroni se il Cda non funziona, se la maggioranza del Cda è tutta schierata contro l’azionista, cioè il ministro dell’Economia, cioè il Governo. E’ vero, ma è un’arma a doppio taglio: perché se da un lato si dà torto all’azionista, dall’altro si riconosce che la situazione di ingovernabilità ha precise responsabilità politiche.

Il governo ha cercato la via morbida, ha presentato due disegni di legge, una sul riordino dell’intero sistema, l’altra sulla riforma della Rai, entrambi a firma del competente ministro Gentiloni. Fatto sta che nessuna delle due iniziative legislative è gradita alla Cdl. Che crede e pratica la rissa, come risposta alle offerte di dialogo da parte della maggioranza.

Gli interessi economici del capo dell’opposizione sono pericolosamente in gioco, se l’Italia si dota di norme di ispirazione europea. La rendita di posizione, politica ed economica di Mediaset sembra essere la linea Maginot della Casa delle Libertà. Lo dimostra direttamente il continuo boicottaggio alla discussione sui provvedimenti Gentiloni da parte della Cdl nelle commissioni parlamentari, lo dimostrano indirettamente il susseguirsi di tentativi di “spallata”, anche ricorrendo alla doppia debraiata, tra il populismo elettorale e forsennati attacchi mediatici al Governo, con tanto della calunnia organizzata, di cui il caso Speciale è stato in ordine di tempo il fatto più eclatante.

Il gioco è al massacro, e tutti i mezzi sono buoni, soprattutto quelli cattivi. Stretta in mezzo tra la tracotanza di chi non ha rispettato le regole quando era al governo, figuriamoci ora che è all’opposizione, da un lato, e la debolezza di chi si sente sempre sotto minaccia, invece che al governo del Paese, che è l’atteggiamento politico e psicologico del governo Prodi, la Rai patisce e subisce non solo la concorrenza sempre più che sleale del concorrente sul mercato, ma un vero e proprio assedio, dentro e fuori le sue strutture, alcune delle quali senza direzione da mesi.

Un consiglio di amministrazione che lavora contro, e dunque oggettivamente a favore della concorrenza, accanto a un membro palesemente non gradito dall’azionista i cui interessi dovrebbe rappresentare non è un consiglio di amministrazione, è qualcosa di molto simile alla famosa Quinta colonna.

Questo basterebbe a scioglierlo immediatamente, in qualsiasi paese del mondo. Ma ormai, lo sappiamo che non siamo un paese normale. Il nostro è un paese Speciale. Beh, buona giornata.

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Società e costume

La creatività salva la vita.

Quante volte avete visto filmati in tv che ritraggono motociclisti senza casco? Quante volte avete li avete visti sfrecciare davanti alla polizia municipale, senza che quelli manco se ne accorgono. Succede quasi tutti i giorni: nei servizi giornalistici che ritraggono scene di vita a Napoli, quello che colpisce è che si va in giro senza casco, senza problemi.

La legalità è fatta di cose piccole, infatti quando le cose piccole non vengono rispettate, né perseguite è il segnale che neppure le cose grandi vengono fatte rispettare. Questa è la storia di un napoletano che ha inventato un rimedio all’incuria e alla noncuranza: ha inventato un congegno che non fa partire il motorino se chi lo guida non ha il casco.
L’idea, geniale, si chiama Simotronic ed è grande come un pacchetto di sigarette. Una volta montato sul ciclomotore è impossibile mettere in moto il mezzo senza avere prima infilato il casco.

Il sistema di funzionamento è semplice: una volta indossato il casco, un sensore trasmette un segnale radio a una ricevente montata sul ciclomotore, che riconosciuto il codice consente l’accensione del motore.

“Il congegno – spiega Patrizio Loffredo, l’inventore – può essere utilizzato su qualsiasi mezzo a due ruote. Indirettamente serve anche da antifurto, dal momento che senza il casco del proprietario non è possibile avviare il motore”.

E’ una bella idea, perché è intelligente e socialmente utile. Adesso bisognerebbe si trovasse un sensore che quando un ragazzino viaggia senza casco fa licenziare il vigile che non lo ferma, e fa passare un brutto quarto d’ora ai genitori che non gli impediscono di avere comportamenti rischiosi per sé e per gli altri. Forse sarebbe meglio che poi piangere sul latte versato, strappandosi i capelli per il dolore di un figlio sul letto d’ospedale. Per non dire peggio.

La creatività è un bene prezioso. Se ne ricordino quelli che tanto la sottostimano, la sottopagano, la sottovalutano. E poi piangono sul latte versato dei loro insuccessi.

Forse bisognerebbe installare il dispositivo elettronico inventato da Patrizio Loffredo anche alle Agenzie di pubblicità: quando un cliente non si mette in testa che ci vuole una buona campagna, l’azienda si spegne. E non riparte fino a che non ammette che l’idea era buona. Beh, buona giornata.

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Parole sante.

“Il mondo discute dell’emergenza climatica, America e Russia sembrano tornare alla guerra fredda e noi celebriamo in Senato il referendum sul generale Speciale. Direi che nella politica italiana sta trionfando il provincialismo”, ha detto Marco Follini, leader dell’Italia di Mezzo. Parole sante (con rispetto parlando).

Beh, buona giornata.

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La trave nell’occhio del presidente della Rai.

La Commissione Lavori Pubblici del Senato ha bloccato l’iter parlamentare del ddl Gentiloni sulla riforma della Rai. Se ne accorto il presidente della Rai?

“Riscontro un atteggiamento non giustificato, non motivato rispetto al comportamento dell’azienda e anche dannoso. Investirò la Commissione di vigilanza di questo problema con una lettera al presidente Landolfi perché, se lo vuole, possa discutere della questione”. Sta parlando del ddl Gentiloni? Ma no, che scherziamo.
Il presidente della Rai ha usato queste “ferme” parole in relazione al presidio, in atto ormai da cinque giorni, da parte di un gruppo di parlamentari e rappresentanti del Partito radicale all’interno dell’azienda di viale Mazzini per sollecitare una maggiore informazione Rai sulla moratoria per la pena di morte.
Petruccioli alla Rai? La morte sua, come si dice a Roma, parlando del pollo coi peperoni. Beh, buona giornata.

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Il nostro è un altro mondo possibile.

Jeremy Rifkin ha cercato di spiegare ai politici italiani che l’economia basata sul petrolio è al tramonto e che il futuro sta nell’idrogeno. Lo ha fatto alla Fondazione Camera dei deputati, il cui presidente è Pier Ferdinando Casini. Il quale, come gran parte dei politici italiani capisce poco e niente, non solo di energia ma più in generale proprio di niente.

Infatti Casini ha detto: “È necessario adeguare le nostre politiche energetiche ai cambiamenti climatici ambientali. Per queste ragioni abbiamo invitato il professor Rifkin” ha concluso Casini. Non capire niente non è un epiteto, ma il semplice fatto che il ragionamento di Rifkin non è semplicemente rivolto alla salvaguardia del pianeta, bensì alla prospettiva di un nuovo modello di sviluppo, ecologicamente e socialmente compatibile. Troppo difficile per Casini: significherebbe ammettere che la sua funzione politica è finita.

Ma che ha detto Rifkin? Niente di più di quanto non abbia sostenuto in un suo famoso libro, “L’economia all’idrogeno”, che Casini certamente non ha letto, perché troppo occupato a fare e pensare tutto il contrario. Lo conferma quest’altra perla dell’armamentario retorico del nostro Periferdi, che ha aggiunto: «I parlamentari devono farsi carico di questioni vere, concrete, anticipare i tempi, piuttosto che perdersi in discussioni prive di collegamenti con la realtà». Da che pulpito?

Ma adesso parliamo di cose serie. Cioè, ecco le tesi di Rifkin: ormai secondo tutti gli scienziati, anche i più ottimisti, abbiamo non più di 30 anni a disposizione per recuperare il tempo perduto e cambiare strada.

Rifkin ricorda che tutti noi saremo ricordati come gli uomini dell’età del petrolio, un’era, spiega, che è «ormai al tramonto». Ormai siamo di fronte alla terza rivoluzione industriale, basata sulla produzione di energie rinnovabili, stoccate grazie all’idrogeno e diffuse da reti intelligenti.

Grazie a questa che ormai è una realtà il mondo, e in particolare l’Europa, cioè la seconda superpotenza industriale, potrà raggiungere l’autosufficienza energetica senza distruggere il pianeta. In questo scenario, secondo Rifkin, il nostro paese può assumere un ruolo fondamentale: «Da voi – spiega a una platea attentissima – è nato nel Rinascimento il capitalismo industriale. Grazie alla vostra creatività s’è sviluppata l’era tecnologica, penso alle grandi invenzioni dalla radio al telefono. Oggi, per la vostra particolarissima posizione geografica, l’Italia potrà diventare il portale del flusso energetico dall’Europa all’Africa».

«La terza rivoluzione industriale, quella dell’idrogeno, porterà grandi cambiamenti anche politici. Sinora –spiega Rifkin – abbiamo sfruttato il petrolio, il carbone, l’uranio, risorse presenti solo in alcuni paesi, fonti d’energie che definisco ‘d’elitè. Con l’idrogeno, invece, creeremo delle celle di combustione personali disponibili a tutti. Sarà veramente – conclude – ‘power to the peoplè, una trasformazione radicale della coscienza umana».

Se tiriamo le conclusioni di questo ragionamento possiamo sottolineare almeno quattro cose fondamentali:
1) Tutto l’apparato burocratico della Stato, in questa prospettiva, può tranquillamente tramontare col tramonto della seconda rivoluzione industriale. L’avvio delle terza rivoluzione non avrà bisogno di eserciti, apparati, dell’esercizio del dominio. Se ciascun individuo potrà produrre l’energia necessaria per vivere, produrre, progredire, cambierà l’idea stessa del benessere.
2) Le guerre di conquista delle fonti di approvvigionamento energetico, le guerre di rapina delle fonti energetiche dislocate in altri luoghi del pianeta cadranno drasticamente in disuso. E con loro gli eserciti, gli apparati commerciali, le diplomazie, l’idea stessa di conquista, di guerra, di supremazia razziale, etnica, religiosa.
3) Finirà la lotta fratricida per il possesso feroce dei mezzi di produzione: la possibilità di socializzare la fonte di approvvigionamento energetico darà un svolta storica all’idea di ricchezza delle nazioni, delle classi, dei ceti. Produrre l’energia che mi serve significa decidere direttamente di produrre quello che mi serve: ciò elimina il problema dello sfruttamento non solo delle risorse naturali, ma dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, causa prima dello sfruttamento dissennato delle risorse naturali, oltre che delle tensioni sociali nei paesi occidentali e della distruzione delle persone nei paesi cosiddetti sottosviluppati.
4) Ciascheduno, da solo o organizzato in piccole comunità potrà produrre energia disponibile per se e per gli altri: questo cambia l’idea stessa della produzione del reddito, oggi derivante dal lavoro. Dunque cambieranno i rapporti di forza tra i redditi diseguali, e dunque il ruolo della politica, intesa come intermediazione tra i rapporti di forza pre-esistenti. Se la tecnologia ci ha via via liberati dalla fatica fisica del lavoro, l’energia all’idrogeno ci libererà dalla schiavitù del lavoro. Nuove tecnologie alimentate con la nuova fonte energetica, entrambe alla portata di tutti, ristabiliranno la giusta proporzione tra libertà individuali ed eguaglianza collettiva.

“L’Italia è l’Arabia Saudita delle fonti rinnovabili. Siete seduti su un tesoro, parlo del vostro sole, il vostro vento, la vostra neve delle Alpi». Parola di Jeremy Rifkin.

I politici italiani hanno ben altro a cui pensare. Ma noi no, questa prospettiva la vogliamo cogliere. Non ci sono alternative, né nella Politica, né nella Fede, né nei Consumi.
La Terra è un pianeta intelligente: forse proprio per questo non ci sopporterà a lungo. Beh, buona giornata.

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Lettera da una amica di Milano.

Roberta, una mia amica di Milano, mi scrive queste righe, proprio su Milano.

Luce rara e luminosa, esco più o meno alla solita ora ma oggi è domenica. Il caffè al bar di periferia dove trovi appesi sotto le brioche Il Corriere della Sera, La Repubblica e Il Sole 24 Ore non come nei locali del centro dove trovi solo Il Giornale e Libero.

Vorrei una Milano un po’ più de sinistra (come si dice in milanese?). Via Spartaco solare, tranquilla quasi fisicamente splendente, ah se fosse sempre così. Il sogno infranto dal clacson gratuito sprigionato da una delle tante auto supervitaminizzata parcheggiata in seconda fila anche se ci sono posti liberi per il parcheggio lungo tutta la via. Salgo un Jumbo verde che puzza più del dovuto benché vuoto. Passo davanti allo scempio dei cartelloni pubblicitari che sovrastano le antiche mura di Porta Romana. Vorrei incontrare tutti i giorni visi meno imbronciati e più sorridente; nel Nord (Europa) ti sorridono tutti mentre qui ti mandano a cagare con lo sguardo.

Sono sul 9 diretta a Porta Genova, scrivo, alzo lo sguardo e leggo un piccolo manifesto attaccato a un edificio “Questo luogo è sacro”. Non è vero, sacro per me significa rispetto ed educazione, qui è tutto maleducazione e prospettiva macista. Gli scooter viaggiano a 30 all’ora sul marciapiede facendo finta di essere pedoni, la gente per farsi sentire parla solo ad alta voce e le femmine fanno le leziose per attirare attenzioni maniacali e sessuali.

Porta Ticinese è bella stamattina, qualcuno sale con i sacchetti del supermercato, il tempo è prezioso e la spesa va fatta alle 9.05 di una domenica mattina. La scultura a forma di Mucca sotto la Porta si è salvata dai vandali milanisti, fortunata è bianca e verde. Il Naviglio di Leonardo Da Vinci è brutto e sporco da quando me ne ricordo. Una grande foto lo ricorda negli anni 60/70 quando era bello e romantico. Ma cosa ci vuole per tornare indietro di trent’anni?

Una signora mi chiede un’indicazione e mi ringrazia, è straniera. Apro il giornale e leggo “il comune boccia il festival gay”, Moratti toglie il patrocinio della rassegna, ma la giunta si divide (non ci credo!). Ora sono sul treno diretta a Vigevano. Un simpatico signore da della pettegola alla sua piccola cagnolina educata e silenziosa. Leggo: Interisti bastardi , Morte.

Già morte, in questa città non se ne parla mai, è come se non esistesse, il mio paesino di origine si anima solo in occasione di funerali, qui neanche per quello. Mercedes lunghe e scure sfrecciano sulla preferenziale della circonvallazione, il funerale a Milano è così; un veloce viaggio sull’autopista che gira intorno alla città. Milan l’è semper Milan dicevano i nonni in una lingua che si è persa, come Milano.

Abbiategrasso, leggo su un palo Aperitivo con il Sindaco, Moratti quando ci offrirai qualcosa? Vedo Fiat Ritmo e 127 e sento una bella signora che dice Te si è propri un bel fiulot. Sono arrivata.

(Beh, buona giornata.)

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Soprusi d’autore.

Incuranti delle battaglie a favore del copyleft, contro la schiavitù del diritto d’autore, anche i graffitari di New York, tra i più famosi e i più apprezzati al mondo, vogliono riconosciuto il copyright: secondo loro, chi fotografa i loro capolavori e soprattutto li pubblica in un libro deve pagare i diritti d’autore.

Secondo il New York Times, che dedica all’argomento un lungo articolo dedicato alla vicenda , gli esponenti del gruppo ‘Tats Crù, tra i più famosi graffitari professionisti della Grande Mela si sono rivolti a un noto avvocato quando si sono accorti che un fotografo che li segue da anni, Peter Rosenstein, ha pubblicato un libro di foto delle loro opere senza versare loro una sola lira di copyright. Dopo le loro proteste, l’editore, la University Press del Mississippi, ha deciso addirittura di ritirare dal mercato il libro, intitolato ‘Tattoed Walls’, cioè i muri tatuati, per non avere troppe noie.

Il fotografo Rosenstein è apparso molto stupito dalla reazione dei ‘Tats Crù, perché uno dei suoi obiettivi -sostiene- era di far conoscere al mondo questi artisti spesso non apprezzati al loro giusto valore. “Volevo diventare il loro amico -spiega il fotografo- perché mi piace davvero molto quello che fanno”. Non la pensa assolutamente allo stesso modo il legale che rappresenta ora molti dei graffitari newyorchesi, Stacey Richman.

La Richman ha detto al Nyt: “molti di questi fotografi ragionano come fossero esploratori che hanno scoperto questi artisti tra i meandri delle città, e promettono loro che li tireranno fuori dal ghetto. Ma non è affatto così: molti di loro sono già famosi di per sé, anche a livello mondiale”E ha aggiunto:” il fatto che i murales si trovino in luoghi pubblici non cambia affatto la situazione: non possono essere considerati di dominio pubblico”.

Ecco il punto: secondo l’avvocato, un murales non può essere di dominio pubblico. Della perfidia degli avvocati americani sono piene le cronache e le barzellette.

Però, sostenere che io che passo davanti a un muro dipinto per strada debba pagare per fotografarlo ricorda tanto Totò la famosa vendita della Fontana di Trevi. Beh, buona giornata.

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Save Private Prodi.

L’attacco al governo Prodi è concentrico. I primi a volerlo morto sono i suoi, perché la mediocrità è al giorno d’oggi un’arma letale. I suoi dicono di volere il Partito democratico, ma siccome è una novità, tutti hanno paura del nuovo: per il semplice motivo che il nuovo costringe a ragionare e a mettersi in discussione. Le due cose messe insieme sono molto pericolose per chi si crede l’unico gallo del pollaio.

I secondi a volerlo morto sono i partitini della sinistra, che sopravvivone solo perché possono fare quelli più a sinistra, infatti si autodefiniscono “sinistra radicale”, il che presuppone ci sia un contraltare, cui specchiare il proprio essere più puri. Poi vanno alle elezioni locali e prendono una bagno. Ma non si interrogano sulla loro scarso radicamento: alla fine il risultato è che la sinistra non è né radicale né radicata.

Poi ci sono i nemici veri del governo Prodi. Berlusconi e Forza Italia che temono, fortissimamente temono che il pragmatismo di Prodi risvegli il loro elettorato, e di conseguenza i ceti sociali che lo hanno eletto a loro campione: Berlusconi fa come il polpo che emette inchiostro, fa tutto nero per confondere le acque del suo fallimento.

E, a proposito di nero, ecco Fini, ormai tornato missino: è la cosa migliore che sa fare, compresa quella di appoggiare a spada tratta i ranghi delle forze armate. Un ambiente che ha frequentato con sapienza, tra una fellonia e l’altra, tra un complotto e l’altro. Fini è a sua agio in una novella strategia della tensione nei confronti del governo Prodi. A chi sperava in un paese normale, ecco il caso Speciale.

Mentre Casini chiacchiera e Bossi sbraita, il ceto politico di centro-destra trova la sua coesione nella maldicenza organizzata, magari illegalmente, contro Prodi.

All’ allegra combriccola anti-governativa si sono aggregati, a vario titolo, Montezemolo per gli industriali e Bagnasco per il Vaticano. Cercando, ognuno a concionare per le rispettive schiere, uno spazio credibile per candidarsi alla guida di una armata brancaleone, che cerca la difesa delle precedenti rendite di posizione.

Il Paese attende il risanamento dei conti, una nuova legge sul lavoro, una buona legge sulla tv, la riforma della Rai, una legge che dia impulso al cinema italiano. Tutte cose che qualcuno proprio non vuole.

Il Paese attende un aggancio alla ripresa economica, che sappia rilanciare le imprese, ivi comprese quelle aziende che fanno cultura, risorsa irrinunciabile per la collocazione dell’Italia in Europa. Altre cose che i soliti noti proprio osteggiano.

Prodi è circondato di nemici. L’impressione è che i suoi nemici siano i nemici di sempre. Non fosse altro che per l’attitudine ad andare controcorrente, bisognerebbe avere il coraggio di confessare a noi stessi il compito che abbiamo in questa fase. E’ racchiuso in una frase: salviamo il soldato Prodi.

Qualsiasi cosa pensiate, ovunque le vostre menti siano rivolte, qualunque siano i vostri desideri, in questi momenti è la cosa migliore da fare. Beh, buona giornata.

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Il fronte interno.

Il presidente della Camera Fausto Bertinotti è intervenuto a Milano a un incontro con i comitati di quartiere, formati da cittadini che lottano contro la speculazione edilizia.

A chi gli chiedeva del distacco tra la politica, le istituzioni e i cittadini, Bertinotti ha replicato: “in alto c’è il problema della riforma della politica e delle istituzioni, degli interventi sui costi della politica, ma in basso, fondamentale, c’è da costruire un nuovo rapporto tra la politica e i cittadini, la gente comune”.

A Genova per la campagna elettorale, Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera, il predecessore di Bertinotti alla terza carica dello Stato, ha parlato a lungo del ruolo della Chiesa nella storia del nostro Paese. “Oggi osserviamo il fenomeno che la politica è afona e la Chiesa parla agli italiani, è importante”. E conclude:”il Family day ha parlato linguaggio della grande maggioranza degli italiani.”

Il rituale della politica “in ascolto” è diventato il leit-motive dei discorsi della politica, ne scandisce l’impotenza, svela il trucco dell’escamotage retorico, soprattutto in periodi di campagna elettorale. Gli eletti trattano gli elettori come la pubblicità italiana tratta i consumatori: come bambini.

Fatto sta, che i “bambini” soffrono. Nel 2006 in Italia ci sono state 1280 morti sui luoghi di lavoro. Dall’inizio del 2007, in Italia ci sono stati: 407 morti, 407.606 infortuni, 10.190 invalidi. Centinaia di migliaia sono i precari, decine di migliaia i lavoratori in nero. Le famiglie cosiddette monoreddito hanno varcato la soglia della povertà, e non hanno, allo stato, chance di tornare su livelli accettabili di vita.

E’ il fronte interno delle politiche neoliberiste, è la guerra civile tra il Mercato e lo Stato sociale.

Allora, bisogna chiamare le cose come stanno: non è vero che si deve essere in ascolto, come dice Bertinotti. La politica ascolta chi gli favorisce convenienze, con la tacita promessa di restituirle.

Non è neanche vero che la politica è afona, come dice Casini. La politica parla ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. E così facendo, toglie prepotentemente la parola alle rivendicazioni sociali.

In realtà, la politica urla e non ascolta affatto.

Alla soglia della povertà del reddito delle famiglie, dei lavoratori e dei cittadini corrisponde, e si sovrappone la soglia della povertà delle idee della politica italiana. Che oggi appare il vero ostacolo alla ripresa di una dialettica sociale, in grado di ridimensionare i ceti forti che controllano la politica debole.

Una debolezza dissimulata dall’arroganza tipica dei predatori, che non si accontentano di sbranare la preda, ma ne distruggono l’habitat sociale, il tessuto connettivo, la cultura, le prospettive.

Sentono forte il pericolo dell’estinzione, quindi distruggono tutto ciò che sospettano possa sostituirli.

Nella vana speranza di rimandare l’evento della fine, sfiniscono le loro vittime. Una volta in questo modo si sono estinti i Dinosauri, che una leggenda vuole siano stati seppelliti da una grandinata di meteoriti.

La Chiesa e le chiese, il disagio sociale, il precariato, l’immigrazione, la sicurezza, l’inferno del lavoro subordinato, l’esaurimento delle fonti tradizionali di energia, le guerre, lo stato comatoso dell’Ambiente sono i meteoriti del Terzo Millennio.

Il meteorite più micidiale di tutti è la politica stessa. Si salvi chi può. Beh, buona giornata.

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Se non è zuppa è pan Bagnasco.

Il generale Bagnasco ha parlato: “E’ la società civile che si è espressa in maniera inequivocabile e che ora attende un’interlocuzione istituzionale commisurata alla gravità dei problemi segnalati”, ha detto oggi il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco, aprendo nel pomeriggio i lavori dell’Assemblea generale della Cei in Vaticano.

La manifestazione di San Giovanni, ha aggiunto il presule, è “stato un fatto molto importante” “consolante per noi vescovi”, e con “un’ottima riuscita”. Ma va? Con tutti i soldini dell’8 per mille che avete speso, ci mancherebbe. Ciò nondimeno, il generale Bagnano sa bene che poteva essere meglio, che anche le parrocchie non sono più quelle di una volta.

I vescovi italiani, ha aggiunto Bagnasco, non vogliono fare “da padroni”, “parlare dall’alto”, né attentare alla laicità della vita pubblica. Vale a dire: anche se non eravamo tanti, eravamo potenti.

Quanto alle questioni sociali il presidente della Cei è stato altrettanto netto. “La nostra esperienza diretta – ha detto – registra una progressiva crescita del disagio economico sia di una larga fascia di persone sole e pensionate, sia delle famiglie che fino a ieri si sarebbero catalogate nel ceto medio”.

“E proporzionalmente – ha aggiunto – c’è un ulteriore schiacciamento delle famiglie che avremmo definite povere”. Vero.

Dalle segnalazioni ricevute, ha spiegato il presidente della Cei, “la situazione attualmente più esposta sembra essere quella della famiglia monoreddito con più figli a carico”. “Spesso con difficoltà si arriva alla fine del mese. E’ da questa tipologia di famiglie che viene oggi alle nostre strutture una richiesta larga e crescente di aiuto- anche con i ‘pacchi viveri’ che parevano definitivamente superati per lo più mascherata e nascosta per dignità”. Verissimo, tanto per citare un programma fuffa del pomeriggio tv berlusconista.

La zuppa dello “stiamo tutti bene” di berlusconiana memoria, quel “ vedo tante barche”, come disse Berlusconi in Sardegna, però, continua nel nuovo corso del Governo.

Le forze politiche di centro-sinistra non conoscono la vita reale. Non sanno quanto guadagnano davvero le persone, non sanno quello a cui devono rinunciare. Non sanno quello che vorrebbero. Glielo deve ricordare Bagnasco. Ecco allora la verità, tra la pantomima del Tesoretto e quella di San Giovanni.

I partiti della coalizione di governo non sanno più che cosa sia l’inchiesta sociale. La guardano distrattamente in tv, grazie al talento di pochi: Biagi, Santoro, Floris, Gabbanelli. Ma quello è giornalismo, non impegno politico e sociale tra le persone che sempre più numerose popolano non solo la “classe operaia” e “le masse popolari”, ma anche i”ceti medi impoveriti” Tuttavia, il naso dentro le contraddizioni sociali non ce lo mettono più: nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nelle scuole e università. E’ troppo faticoso. Meglio far parte della “Casta”, tanto per citare un libro appena pubblicato da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella.

Peggio appaiono i partecipanti alla prossima avventura della Sinistra democratica, ma anche quelli che vorrebbero intrupparsi nella Sinistra Europea. Credono nell’ autoconservazione, nell’autoreferenzialità: tutti vicini-vicini, anzi a(PCI)ccati. Un bel salto nel passato, senza transitare per il “VIA”.

C’è una gran voglia di “società civile”. Per Bagnasco è l’espediente dell’integralismo cattolico, delle parrocchie-partito, mentre per i transfughi dal Partito Democratico la “società civile” è l’espediente di un voto utile alla sopravvivenza politica di una schiera di eletti in tutti i parlamentini disponibili: da quelli locali a quello europeo.

E’ stupefacente questa simmetria di intenti singoli, di finalità personali, di obiettivi di breve fiato. E così, mentre si distillano le alchimie di una sinistra sempre più lontana dalla vita sociale, mons. Bagnasco indica la via “sociale” all’integralismo.

Che tanto le parrocchie sono nei quartieri, mentre le sezioni territoriali delle organizzazioni della sinistra chiudono, una dopo l’altra. Dove sono finiti i militanti? Li trovi a casa, davanti alla tv, che aspettano che il leader gli dia la linea, dagli studi di Porta a Porta.

Siamo al tramonto della seconda Rivoluzione industriale, delle idee-forza dell’uguaglianza sociale, della sopravvivenza delle specie umana sul Pianeta. Però, tranquilli: “qualche minuto di pubblicità, non cambiate canale, rimanete con noi.” Beh, buona giornata.

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Quando fa comodo che l’America sia lontana.

Bruxelles auspica che venga “al più presto possibile designato un successore” a Wolfowitz, che assicuri continuità alla Banca Mondiale. La Commissione Ue ‘prende atto’ della decisione di Wolfowitz di dimettersi dalla presidenza il prossimo 30 giugno e chiede che venga garantita stabilita’ alla guida dell’istituto. Wolfowitz era stato accusato di nepotismo per aver fatto assumere la sua compagna come consulente alla Banca Mondiale.

Il nepotismo è una forma di conflitto di interessi, per questo motivo Wolfowitz ha dovuto rassegnare le sue dimissioni. Magari ha pensato che era un complotto per farlo fuori, però almeno non lo ha detto. Scoperto, si è dimesso.

Wolfowitz non è un campione di simpatia politica: esponente di spicco della corrente cosiddetta neo-cons, ha assunto posizioni da falco, contribuendo alla politica della difesa, quando era vice ministro nell’Amministrazione Bush, e ha contribuito alla decisione di muovere guerra in Afghanistan e in Iraq.

Promosso al prestigioso ruolo di capo della Banca Mondiale è incappato in un conflitto di interessi e si è dovuto dimettere, nonostante l’iniziale muro di sbarramento della Casa Bianca.

Wolfowitz non è neppure un campione di simpatia, almeno da quello che si capisce leggendo i suoi scritti. Ciò non di meno non si può non apprezzare il fatto che ha dovuto piegarsi alla logica che non consente di confondere parenti con le cariche di interesse pubblico e collettivo.

Se questa logica fosse applicata nel nostro Paese, avremmo forse risolto il problema dello svecchiamento della nostra classe politica, avremmo risolto conflitti etici e di interesse che attraversano la stragrande maggioranza delle istituzioni centrali e periferiche dello Stato. Avremmo risolto, almeno in gran parte il cumulo della cariche, che grava sui costi della politica, che poi sono i quel mare di soldi che escono dalle tasche dei cittadini.

Di più, se questa logica fosse applicata anche da noi, avremmo risolto l’annosa problematica della trasparenza e della correttezza nella business community italiana, in tutti i campi, dalla finanza alla pubblicità.

Il fatto è che in Italia si è esterofili sono quando conviene a soliti nepotisti e configgenti negli interessi. Se uno non è coinvolto in un intreccio di affari, politica, famiglia, tinello e camera da letto, è fuori dal giro. E magari deve rivolgersi a qualcuno che è nel giro.

Così, quelli che prima facevano il tifo per il campione dei neo-cons, che osannavano l’America muscolare e neoliberista, oggi fanno spallucce, si girano da un’altra parte e aspettano la prossima occasione propizia per violare le regole. Tanto l’America è lontana. Beh, buona giornata.

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Il Governo stanzia 26 milioni di euro per la Pace.

I mezzi del nostro contingente italiano impegnato in Afghanistan “saranno potenziati per ampliare capacità di muoversi e di operare in sicurezza”.

Lo annuncia il ministro della Difesa Arturo Parisi davanti alle Commissioni Esteri e Difesa del Senato. L’invio è già stato deciso e tra pochi giorni nella regione di Herat saranno operativi cinque elicotteri Mangusta, 8 corazzati Dardo e 10 blindati Lince.

“E’ emersa l’esigenza – ha spiegato Parisi – di dotare il nostro contingente di mezzi che potessero ampliare la capacità di muoversi e di operare in sicurezza, grazie ad una combinazione di elevata velocità di reazione, elevata mobilità in ogni contesto orografico, elevata protezione, ampia disponibilità di sensori di sorveglianza e di identificazione, anche a larga distanza”.

Parisi ha precisato che i nuovi mezzi faranno aumentare di 145 uomini l’impiego dei soldati e che tutto ciò avrà un costo pari a 26 milioni di euro.

Bene. Adesso sì che è una missione di pace. Pace all’anima sua (quella dell’art. 11 della Costituzione della Repubblica italiana). Beh, buona giornata.

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Family Day, tra Stato e Chiesa.

Un paio di anni fa, il partito popolare spagnolo, con l’ausilio della Chiesa cattolica, portò in piazza centinaia di migliaia di persone contro il matrimonio tra gay. Anche allora, la parola d’ordine fu “difendiamo la famiglia”.

Gli organizzatori dichiararono il trionfo della manifestazione, cui, secondo loro, parteciparono un milione di persone. Siccome tutto il mondo è paese, le cifre dettate dalla “questura” di Madrid ridimensionarono il numero dei partecipanti.

Comunque, il vice primo ministro del governo Zapatero rilasciò una dichiarazione, il giorno dopo. Ella disse che il numero dei partecipanti alla manifestazione in difesa della famiglia e del matrimonio tra eterosessuali era sicuramente sproporzionato al numero dei cittadini aventi eventualmente diritto al matrimonio omosessuale. Cioè c’era stata più gente in piazza di quanti avrebbero potuto usufruire del diritto al matrimonio tra gay. Ma il vice-primo ministro aggiunse un’altra cosa, molto importante: anche se si fosse trattato di tutelare il diritto di un solo cittadino spagnolo, toglietevi dalla testa che il nostro governo non avrebbe fatto una legge giusta.

Ecco il punto della questione: chiunque voglia scendere in piazza per aderire al Family Day, sappia che esercita un diritto sancito dalla Costituzione della Repubblica italiana, che garantisce il diritto a tutti di manifestare liberamente il proprio pensiero. E se quel pensiero è appannaggio di una esigua minoranza, la nostra Costituzione lo deve tutelare. In sostanza: vuoi contrarre matrimonio? La legge te lo garantisce. Vuoi sposarti solo civilmente? Vuoi sposarti solo religiosamente? Vuoi fare tutte e due le cose? Non vuoi fare nessuna delle due? La legge te lo garantisce. Coppie di fatto (etero, gay, trans) o di coscienza (ex amanti, conviventi tra parenti) devono avere il diritto di veder rappresentate dalla legge i loro comportamenti. La convivenza sotto lo stesso tetto può anche non essere sessuale (basta pensare alle perpetue dei parroci).

Anche perché, se legalizzati, questi legami implicano doveri, cioè un impegno formale di fronte alla collettività. E’ giusto, è bello, è civile. Questo garantisce la Costituzione. Questo non è vietato dal Vangelo, né dai Vangeli. E quand’anche qualcuno volesse dargli una lettura restrittiva, la legge più estensiva sana le restrizioni precedenti. E quantunque uno non volesse aderire a una norma è libero di comportarsi da persona civile, senza che nessuno lo obblighi ad aderire o a rinnegare il proprio credo. Anche questo è nella nostra Costituzione.

Non è nella nostra Costituzione, invece, il diritto a trasgredire la Legge: le obiezioni di coscienza, cioè il venir meno all’obbligo di prestare cure a chi esercita il diritto di usufruirne è illegale. Interruzione della gravidanza e il divorzio sono tutelati dalla Legge italiana.

Quanto alla reale condizione economica e sociale della famiglia in Italia, bisognerebbe chiedere a Savino Pezzotta, ex sindacalista della Cisl, attualmente tedoforo del Family Day, se è riuscito, almeno, a fare i conti con la sua coscienza.

Come capo della Cisl sottoscrisse il “Patto con l’Italia” di Berlusconi, spaccando non solo l’unità sindacale, ma sottoscrivendo l’idea neoliberista che faceva del Wellfare carne da macello.

Perché le cose che riguardano i nuclei famigliari in Italia sono meno ideologiche e molto pratiche: i lavoratori dipendenti guadagnano poco, le donne sono sfruttate, i figli sono precari, le case costano molto, la spesa sociale non copre più né la sanità, né i trasporti, né gli asili nido, né l’assistenza agli anziani. Questo è la famiglia nell’epoca del neoliberismo, questo è la famiglia nell’era di “meno stato, più mercato”.

La presenza e l’adesione dei leader del centro-destra al Family Day è una beffa: sono loro e le loro politiche, al Governo fino all’anno scorso, che hanno fatto male alla famiglia, e a ciascuno dei membri di una famiglia italiana.

E’ successo spesso nella Storia che il nemico non è quello che hai davanti (i Dico) ma quello che hai a fianco (la Cdl).

C’è da spendere una parola per un paio di ministri del governo Prodi che smaniano all’idea di andare a San Giovanni. Entrambi sembrano arlecchini in cerca di due padroni: lo Stato e la Chisa.

La citazione non è soltanto obbligata dalle celebrazione del tricentenario della nascita di Carlo Goldoni. Ma dal fatto che molti membri di governo devono smetterla di fare “la commedia dell’arte” a fini elettorali. Tra Stato e Chiesa non c’è solo il Tevere.

La fede e la democrazia non sono conciliabili. La fede restringe, la democrazia estende. A tutti, senza distinzione di razza, credo, sesso e appartenenze geografiche, etniche e linguistiche.

Da questo punto di vista, lo Stato italiano deve fare molti passi avanti, lo Stato del Vaticano molti passi indietro. Urbi et Orbi. Beh, buona giornata.

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