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“Vortica nell’aria nostra una sorta di peronismo alla amatriciana, occorre dunque vivisezionare quanto ci dicono i soliti apprendisti stregoni che invocano «legge e ordine».” Ovvero: un popolo spaventato si governa meglio.

di IGOR MAN da lastampa.it 

Un italiano su 4 non si sente sicuro quando esce di casa. Aumentano le rapine, dilaga il traffico di stupefacenti. Risulta dal Rapporto annuale sulla criminalità in Italia. È di 500 pagine e porta la data del 22 giugno 2007. L’allora ministro dell’Interno, Giuliano Amato, definì «impressionanti» i dati sui reati contro le donne. Il 31% delle italiane ha subìto almeno una violenza. Di più: il 62,4% di tutte le violenze sulle donne è stato commesso dal partner (amante o marito) e la percentuale sale al 68,3% per le violenze sessuali e al 69,7% per gli stupri. Con tanti saluti alla famiglia «fiore all’occhiello della società italiana». Oggi non sono disponibili dati «aggiornati» sull’ordine pubblico.

Ma chi di dovere può anticipare che se uscisse, in questo dannato momento, il Rapporto (aggiornato) sulla criminalità, ci sarebbe da preoccuparsi. E questo perché il Rapporto dice che la famiglia è in crisi. Non da oggi. Paradossalmente a mano a mano che il benessere s’allargava cresceva la domanda non già di rapporti intimi gratificati dallo scambio di «affettuosità», cresceva la domanda di beni. Beni banali utili per figurare diversi, cioè «più ricchi» e quindi «più importanti». Oltre il 74,7% degli italiani confonde il consumismo col successo, vede negli status symbol l’imprimatur della promozione sociale.

Negli anni (felici?) dell’immediato dopoguerra, trionfava la modestia, il risparmio (anche feroce) era costume di vita, garanzia di sicurezza. I valori erano valori, la famiglia faceva blocco, ci si aiutava tra parenti e anche amici. Non esisteva l’attuale filosofia perversa che papa Ratzinger denunziò, quand’era cardinale, vale a dire il Relativismo. Epperò, a dispetto delle apparenze, dati certi ancorché non ufficiali smentiscono il presunto crescendo della violenza: il delitto comune è in ribasso. Ma se la violenza reale in fatto è diminuita come si spiega che venga percepita in aumento, che un po’ tutti ci si senta immersi nel pericolo permanente: rapine, omicidi, stupri? La risposta l’affidiamo a un giornalista-umanista, Marco d’Eramo. Ci spiega che la percezione della violenza è aumentata anche con la diffusione di «fattacci» via radio e tv. È il prezzo che esige la democrazia nel rispetto della libertà d’espressione. Sulla spinta dei media, il fattaccio più remoto (un delitto in un borgo lucano ovvero la strage in un college americano) gonfia le agenzie di stampa, rapidamente veicolato nei giornali. Il delitto entra nelle case. Creando allarme, paura.

Qui il Vecchio Cronista vorrebbe fermarsi sulla demagogia di chi cerca, scientemente, di attizzare quella che d’Eramo definisce «l’ansia securitate». È importante rifarsi alla Storia. Che ci dice come l’arma di chi pratica e predica «sicurezza», consista nel sobillare le peggiori paure del (vulnerabile) uomo della strada. Vortica nell’aria nostra una sorta di peronismo alla amatriciana, occorre dunque vivisezionare quanto ci dicono i soliti apprendisti stregoni che invocano «legge e ordine». E c’è un modo egregio di farlo: leggere, ascoltare, riflettere. Sceverare il grano dal loglio. Vedere se le parole corrispondano ai fatti, oppure cerchino di contrabbandare leggi all’apparenza benefiche ma in fatto repressive, lucide anticamere dello Stato autoritario. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Media e tecnologia

“La Corte di Strasburgo ha già detto no alla carcerazione per intercettazioni.”

di Pino Cabras – Megachip

L’Europa dei diritti dell’Uomo dice no al carcere per i giornalisti. Il governo italiano vorrebbe punire con la detenzione i cronisti che pubblicano le intercettazioni soggette a segreto. Ma un simile provvedimento sfiderebbe una sentenza della Corte di Strasburgo che ha già condannato analoghe sanzioni. Ne parla l’associazione internazionale per la libertà di stampa, Information Safety and Freedom (Isf). «La sentenza emessa a carico della Francia dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo il 7 giugno del 2007 sul caso Dupuis – precisa Isf – ha già chiarito che la pubblicazione di intercettazioni e atti secretati non viola l’articolo 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».

La vicenda richiamata è quella di due giornalisti francesi. Isf ricorda che nel loro paese furono condannati anche in secondo grado per aver divulgato in un libro alcune intercettazioni effettuate in modo illegale dal presidente François Mitterrand e soggette al segreto istruttorio.

«La Corte osserva che quel libro riguardava una questione di rilevante interesse politico per l’opinione pubblica e che si trattava di un affare di stato e osservava che l’articolo 10 della Convenzione “non lascia spazi a restrizioni della libertà di stampa nell’ambito di questioni politiche e di interesse generale”».

Le sentenze di questa Corte, pur non avendo lo stesso significato imperativo delle sentenze emesse dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (quella di Lussemburgo), sono tuttavia il più autorevole presidio dei diritti umani in Europa. Uno dei 47 stati membri del Consiglio d’Europa – putacaso l’Italia – che dovesse fronteggiare una valanga di denunce a Strasburgo – per esempio di giornalisti ed editori – si troverebbe in una situazione politicamente e alla fine giuridicamente difficile da sostenere. È bene che le organizzazioni categoriali si attivino subito in sede di giudizio per prevenire le violazioni della legalità europea poste a tutela della libertà di espressione. (Beh, buona giornata)

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Attualità Leggi e diritto

Il NYT:”L’Italia ritiene un avvocato colpevole di aver percepito tangenti per coprire il premier.”

«Un tribunale di Milano martedì ha emesso una sentenza che avrebbe fatto crollare il sistema politico di molti paesi. Ha giudicato l’avvocato britannico David Mills colpevole di avere intascato 600mila dollari in cambio della sua falsa testimonianza per proteggere il premier italiano Silvio Berlusconi. In Italia la sentenza non è stata neppure la prima notizia dei tg serali. Un onore che invece è toccato al principale avversario politico di Berlusconi, Walter Veltroni, che si è dimesso martedì dopo la sonora sconfitta alle elezioni amministrative in Sardegna, dove il Partito Democratico uscente ha perso contro il figlio del commercialista di Berlusconi. Così la notizia del giorno non è stata la corruzione di Berlusconi ma la sua esondante stretta di potere sull’Italia. Mills afferma di voler ricorrere in appello. “Sono innocente, ma questo è un caso eminentemente politico” ha affermato. Infatti Berlusconi era coimputato fino all’anno scorso, quando ha fatto spingere dal Parlamento una legge che garantisce ai vertici del Stato, ed in particolare a lui stesso, l’immunità dall’azione giudiziaria durante il loro mandato.

Tuttavia nella logica capovolta della politica italiana, la sentenza è sembrata più che una sconfitta per Mills, un’altra vittoria per Berlusconi, che nei 15 anni in cui ha dominato la vita politica italiana è riuscito a trasformare ogni grana giudiziaria capitalizzandola politicamente.

Miliardario e proprietario del più grande impero mediatico privato del paese, Berlusconi è stato ripetutamente condannato per corruzione, se solo si prendono in considerazione le accuse ribaltate in appello o decadute per sopraggiunti limiti di prescrizione. Si è sempre dichiarato innocente in tutti i casi. Più Berlusconi modella il sistema a suo vantaggio e più gli italiani sembrano ammirarlo.»(Beh, buona giornata).

Articolo di riferimento: Rachel Donadio, Italy Finds Lawyer Guilty of Taking a Bribe in Exchange for Protecting the Premier, «The New York Times», 17 febbraio 2009.
Link: http://www.nytimes.com/2009/02/18/world/europe/18italy.html?_r=1.
Traduzione a cura di Paolo Maccioni per Megachip.

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Attualità Leggi e diritto Media e tecnologia Società e costume

Processo Mills: “la sede di Milano della Rai non ha neppure mandato una troupe al tribunale per fare un servizio.”

di  ALEXANDER STILLE da repubblica.it

ALLORA, fammi capire – mi ha scritto un mio collega giornalista americano – viene condannato per corruzione il coimputato del primo ministro ma si dimette il capo dell’ opposizione. Che strano Paese, l’ Italia». Poi, mi chiama più tardi un’ altra collega americana che chiede, «ma è possibile che non avrà conseguenze gravi la condanna di David Mills?». «DOPO tutto – aggiunge – se Berlusconi non avesse fatto passare il Lodo Alfano sarebbe stato condannato anche lui? Come spieghi il fatto che cose di questa gravità passano come se nulla fosse?».

Prima, ricapitoliamo i fatti principali. Nel febbraio 2004, David Mills, l’ avvocato britannico di Berlusconi che si occupava dei conti “off-shore” della Mediaset, i conti cosidetti “very discreet,” per operazioni finanziarie segrete e forse illegali, mette penna su carta. Impaurito dalla possibilità di essere colto in fallo con un pagamento di 600.000 dollari non dichiarato al fisco inglese, decide di spiegarne l’ origine al suo fiscalista. Spiega che i soldi erano un regalo o un prestito a lungo termine per il silenzio nei vari processi di Berlusconi che chiama sempre B.o Mr. B. Il fiscalista, per non essere complice di un reato, passa la lettera alle autorità britanniche, le quali a loro volta, informano la magistratura italiana.

Quindi, il processo nasce non da una caccia alle streghe dei giudici italiani ma da una comunicazione di un reato denunciata nel Regno Unito alla quale la magistratura ha dovuto rispondere. Mills conferma ai magistrati italiani il contenuto della sua lettera. Solo in un momento successivo, quando si accorge forse di essere in guai ancora più gravi, ritratta le sue dichiarazioni e dice di aver avuto i soldi da un’ altra parte. Evidentemente il tribunale di Milano ha trovato più convincente la prima versione e l’ ha condannato.

Nel processo originario, Berlusconi era coimputato con Mills e con buona probabilità, dato l’ esito del processo, sarebbe stato condannato anche lui se il suo governo, con grande tempestività, non avesse varato il Lodo Alfano che protegge il primo ministro da qualsiasi processo penale durante il suo mandato.

Che un caso così grave (un primo ministro che rischia la condanna per aver corrotto un testimone al fine di evitare, forse, altre condanne – falsando completamente il sistema giudiziario – e poi si toglie dai guai usando il Parlamento per farsi leggi ad personam) passi quasi inosservato, desta stupore e incredulità nel pubblico americano. Dopotutto, quando il governatore democratico dell’ Illinois viene scoperto a promettere favori in cambio di denaro, viene espulso dall’ assemblea sia dai democratici che dai repubblicani.

Quando l’ uomo scelto da Barack Obama per riformare la sanità americana, Tom Daschle, viene scoperto nei guai con il fisco, il presidente è costretto ad allontanarlo.

Allora, come si spiega la mancanza di risposta in Italia? In parte, bisogna partire da lontano; con l’ unità d’ Italia, lo Stato visto come un’ imposizione; l’ abitudine di guardare la legge con sospetto come strumento di potere, evitata dai potenti, interpretata per gli amici e applicata ai nemici. Ma questo è solo lo sfondo, non spiega tutto.

Ricordiamoci, l’ opinione pubblica era massicciamente a favore della magistratura ai tempi dell’ inchiesta Mani Pulite quando Berlusconi è sceso in campo. Ma in un paese normale, non avrebbe mai potuto farlo essendo ancora proprietario di tre grandi reti televisive. Sarebbe stato messo fuori gioco dai soldi a Craxi, dalle tangenti alla Guardia di Finanza, anche se i processi non hanno portato a condanne. O dal caso Previti: per conto di chi l’ avvocato Previti ha corrotto il magistrato Renato Squillante? O dal caso Dell’ Utri: per chi ha lavorato Marcello Dell’ Utri in tutti gli anni in cui ha intrattenuto rapporti con esponenti importanti della mafia? Si potrebbe andare avanti per molti paragrafi. Ma ovviamente, la risposta è più complessa. Una delle più grandi prestazioni di Berlusconi (se le possiamo chiamare cosi) è di aver sistematicamente smantellato Mani Pulite.

Per ogni guaio giudiziario del Cavaliere e della Mediaset, partiva un attacco feroce contro i giudici. Venivano fatte sistematicamente delle accuse gravissime – che andavano dalla corruzione all’ assassinio, contro Di Pietro, Borrelli, Caselli, contro altri magistrati di punta come Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo. E poi i vari casi Mitrokhin e Telekom con le accuse di megatangenti a Romano Prodi e Piero Fassino. Il fatto che queste accuse siano tutte crollate non importa. Creava l’ apparenza, falsa, di un’ equivalenza morale. Così fan tutti. La raffica di accuse e contro-accuse crea una tale confusione che l’ elettore medio ha deciso di non tenere conto delle questioni giudiziarie e morali.

La retorica antipolitica di Berlusconi ha aggravato il già diffuso cinismo degli italiani da cui trae beneficio politico. Con abilità brillante, riesce a governare il paese per anni in una fase di netto declino ma riesce a presentarsi come l’ uomo dell’ opposizione alla politica. Peggio va, meglio è per lui, un sistema perfetto – per ora. In tutto questo ha un ruolo estremamente pesante il mondo dell’ informazione. Appariva in prima pagina e all’ inizio dei telegiornali la conferenza stampa in cui Berlusconi ha dichiarato, cimice in mano, di essere stato spiato – il delitto politico più grave dopo il Watergate. Ma la notizia che era tutta una bufala è stata riportata come una notizietta.

Ho suggerito un piccolo esame alla mia collega americana che chiedeva perché il caso Mills non avrebbe inciso nel dibattito italiano: vediamo se il Tg1 o il Tg2 riportano o citano la lettera di David Mills, la pistola fumante del processo. Qualsiasi resoconto del processo avrebbe l’ obbligo di spiegare su quale base un tribunale della Repubblica ha condannato qualcuno di un reato molto grave. Se c’ è un’ informazione libera in Italia i tg menzioneranno almeno l’ esistenza della lettera. Ma i due grandi Tg della Rai hanno sepolto la notizia con dei brevi servizi in mezzo al programma e nessuno ha spiegato sulla base di quali prove è stato condannato l’ avvocato Mediaset.

Ho saputo che il servizio ha rischiato addirittura di non esserci. La sede di Milano della Rai non ha neppure mandato una troupe al tribunale per fare un servizio. Hanno spiegato i dirigenti che senza Berlusconi come imputato non aveva nessuna importanza nazionale, aggiungendo figuriamoci dopo i risultati in Sardegna. Solo dopo la protesta dei giornalisti e il loro sindacato – e per evitare uno scandalo – si è fatto qualcosa, ma a quell’ ora la Rai ha dovuto comprare il filmato da una troupe privata.

Ormai i giornalisti dei tg sono talmente condizionati che diventa prassi normale tacere su notizie imbarazzanti o sgradevoli. Berlusconi ha detto un giorno a Marcello Dell’ Utri: “Non capisci che se qualcosa non passa in televisione non esiste? E questo vale per i prodotti, i politici e le idee.” E’ anche per questo che in Italia il caso Mills non esiste o quasi. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

La crisi pensa più velocemente di tutti quelli che vorrebbero spiegarcela.

Ancora un dato pesantissimo per l’industria italiana. L’Istat ha reso noto che a dicembre il fatturato è diminuito del 3,8% congiunturale e del 10,3% su base annua mentre gli ordinativi sono calati del 2% rispetto al mese precedente e del 15,4% rispetto a un anno prima. Dall’analisi dei settori di produzione emerge una situazione di generale crollo, con l’unica eccezione dei beni di primissima necessità: segno più, infatti, e a due cifre, per le industrie alimentari, delle bevande e del tabacco.

Nell’intero 2008 il fatturato dell’industria italiana ha registrato una lieve flessione dello 0,3%, mentre gli ordinativi sono diminuiti del 3,2%. Ma a incidere sulla flessione è stato soprattutto l’ultimo trimestre dell’anno: negli ultimi tre mesi 2008 il fatturato è infatti diminuito dell’8,3% e gli ordinativi del 18%.

Tra i vari settori, va particolarmente male quello automobilistico. Infatti a dicembre il fatturato del settore autoveicoli è crollato del 29,6% rispetto a dicembre 2007 e gli ordinativi sono andati a picco del 33,3%. Se si considera la media del 2008, gli autoveicoli hanno registrato un calo del 7,6%, la diminuzione maggiore dal ’93. Gli ordinativi sono diminuiti nel corso dell’anno dell’11,4%, la contrazione più significativa dal ’92.

A dicembre è in maggiore sofferenza il fatturato nazionale (-11,4%), mentre quello estero cala del 7,6%. Nella media 2008 il fatturato nazionale cala dello 0,5% e quello estero dello 0,1%. Al contrario, gli ordinativi registrano un calo maggiore in ambito estero (-19,7% a dicembre e -6,6% nella media 2008), mentre in ambito nazionale la riduzione è più contenuta (-13,1% a dicembre gli ordinativi nazionali, -1,3% la media 2008; -19,7% il calo sugli ordinativi esteri a dicembre, -6,6% la media 2008).

Guardando invece ai settori, i beni di consumo a dicembre hanno registrato un significativo aumento per quanto riguarda il fatturato ( 3,2%, distinto in -11,4% per i beni durevoli, e -6,5% per i beni non durevoli), mentre scendono i beni strumentali (-10,2%), i beni intermedi (-16,3%) e l’energia (-28,8%). Speculare l’andamento della media 2008: -0,1% beni di consumo, -2,5% beni strumentali, -1,7% beni intermedi e però 13,5% energia.

Più in dettaglio, nella tabella dei settori di produzione ci sono pochissimi segni più. Riguardano, per il solo mese di dicembre, le industrie alimentari, delle bevande e del tabacco ( 11,4%, 6% per la media 2008) e l’industria della carta, stampa ed editoria ( 1,2%, ma -0,9% sull’anno). Per il resto a dicembre ci sono una serie di cali a due cifre: estrazione di minerali (-26,5%), raffinerie di petrolio (-28,2%), produzione di metallo e produzione di mezzi di trasporto (-17% in entrambi i casi), fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche (-18,1%). Cali più contenuti per le industrie tessili e dell’abbigliamento (-1,3%) e delle pelli e calzature (-8,5%). (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

Beppino Englaro aderisce alla manifestazione di sabato a Roma organizzata da Micromega.

“La legge sul testamento biologico che il Parlamento si appresta ad approvare è una vera e propria barbarie. Una legge assurda e incostituzionale contro la quale è assolutamente necessario che i cittadini facciano sentire la propria voce e scendano in piazza a manifestare”. Beppino Englaro dixit. Beh, buona giornata.

 

 

 

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Attualità Leggi e diritto

Un appello.

di Lorenza CARLASSARE, Andrea CAMILLERI, Furio COLOMBO, Umberto ECO, Paolo FLORES D’ARCAIS, Margherita HACK, Pancho PARDI, Stefano RODOTA’:

“La vita di ciascuno non appartiene al governo e non appartiene alla Chiesa. La vita appartiene solo a chi la vive. Il decreto legge di Berlusconi, trasformato in disegno di legge dopo che il presidente Napolitano, da custode della Costituzione, ha rifiutato di firmarlo, vuole sottrarre al cittadino il diritto sulla propria vita e consegnarlo alla volontà totalitaria dello Stato e della Chiesa. Rendendo coatta l’alimentazione e l’idratazione anche contro la volontà del paziente, impone per legge la tortura ad ogni malato terminale.

Pur di imporre questa legge khomeinista, Berlusconi ha dichiarato che intende sovvertire la Costituzione repubblicana. E’ arrivato ad oltraggiare una delle costituzioni più democratiche del mondo, la nostra, definendola “filosovietica”, mentre non perde occasioni per elogiare il suo “amico Putin”, ex-dirigente del Kgb. Al governo Berlusconi che ha ormai dichiarato guerra alla Costituzione repubblicana, è dovere democratico di ogni cittadino opporre un fermo “ora basta!”.

Per dire sì alla vita e no alla tortura, per dire sì alla Costituzione e no al progetto di dittatura oscurantista, per dire sì al Presidente che sostiene la Costituzione contro chi la viola, la svilisce, la insulta, chiediamo a tutti i democratici di auto-organizzarsi per una grande e pacifica manifestazione, senza bandiere di partito, solo con la passione e l’impegno civile di liberi cittadini, a Roma, a piazza Farnese, sabato 21 febbraio alle ore 15.

Passa parola, la democrazia dipende anche da te“. (Beh, buona giornata).

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“Le parole del Presidente del Consiglio sono state completamente stravolte e addirittura rovesciate quando era chiarissimo che egli stava sottolineando la brutalità dei ‘voli della morte’ messi in opera dalla dittatura argentina di quel tempo”.

da repubblica.it

Una ‘battuta’ sui desaparecidos pronunciata da Silvio Berlusconi durante la campagna elettorale in Sardegna rischia di creare un caso diplomatico: il governo argentino ha convocato l’ambasciatore italiano a Buenos Aires, Stefano Ronca, a cui ha espresso “preoccupazione e disagio” per le affermazioni sui dissidenti di Silvio Berlusconi riportate oggi dal quotidiano locale Clarin.Secondo il giornale, che in un articolo di mezza pagina richiamato in prima col titolo “Berlusconi macabro con i desaparecidos” cita un servizio de l’Unità di sabato scorso, in cui sono riportate le frasi pronunciate dal premier durante la campagna elettorale in Sardegna (GUARDA IL VIDEO), il presidente del Consiglio ha ironizzato sul dramma dei dissidenti lanciati in mare dagli aerei affermando: “Erano belle giornate, li facevano scendere dagli aerei..”. Il riferimento è al dramma dei ‘voli della morte’, tramite i quali i militari nell’ultima dittatura (1976-83) gettavano nelle acque del Rio de la Plata i sequestrati ancora vivi e addormentati.L’ambasciatore italiano si è impegnato a “verificare le frasi attribuite a Berlusconi e a informarne il governo argentino”. Tutto un equivoco, secondo Palazzo Chigi, che in serata ha diramato un comunicato in cui definisce l’episodio un “attacco calunnioso e assolutamente ingiustificato, che provoca indignazione” e parla di polemiche gonfiate su un finto caso Argentina. “Le parole del Presidente del Consiglio sono state, infatti, completamente stravolte e addirittura rovesciate quando era chiarissimo che egli stava sottolineando la brutalità dei ‘voli della morte’ messi in opera dalla dittatura argentina di quel tempo”.


Dal Clarin le dichiarazioni di Berlusconi sono rimbalzate su televisioni e siti online provocando accese reazioni: a Buenos Aires la presidente delle Nonne di Plaza de Mayo, Estela de Carlotto, ha detto di “sentirsi offesa” dopo aver letto quanto riferito dal quotidiano. “Nei confronti degli argentini – ha ricordato – c’è sempre stata grande solidarietà, sia dai precedenti governi italiani sia da parte della giustizia”. Dello stesso umore anche Angela “Lita” Boitano e Vera Jarach, cittadine italiane, madri di desaparecidos, che hanno chiesto di incontrare l’ambasciatore Ronca: “Scherzare sui desaparecidos e i ‘voli della morte’ non è ammissibile”, ha detto Jarach, ricordando che si tratta di “delitti di lesa umanità commessi dal terrorismo di Stato” durante l’ultima dittatura argentina.

Anche in Italia i commenti non si sono fatti attendere. “Una gaffe indecente, che suona gravissima offesa alle migliaia di ragazze e ragazzi rapiti, torturati e uccisi negli anni di una delle più sanguinose dittature dell’America Latina”: così Piero Fassino definisce l’uscita berlusconiana, e aggiunge: “Voglio sperare che Berlusconi abbia la sensibilità di scusarsi con il governo argentino e con le famiglie di quelle povere vittime, evitando nel futuro di procurare ulteriori pessime figure al popolo italiano”.

Analoga richiesta arriva anche dall’Italia dei Valori: “Le continue pagliacciate di Berlusconi sulla scena internazionale hanno screditato l`immagine del nostro paese nel corso degli anni. Stavolta è davvero troppo. Scherzare sull`orribile fine dei desaparecidos in Argentina, tra cui anche nostri connazionali, è imperdonabile. Bene ha fatto il governo di Buenos Aires a convocare il nostro ambasciatore. E`dovere di Berlusconi scusarsi e del ministro Frattini venire immediatamente a riferire in aula”, ha dichiarato Fabio Evangelisti, capogruppo vicario dell’Idv alla Camera.

da Clarin (repubblica.it)

SEGUN LA PRENSA ITALIANA, LO HIZO DURANTE UN DISCURSO ELECTORAL EN CERDEÑA, EL PASADO FIN DE SEMANA

Berlusconi: escándalo por un chiste sobre los desaparecidos argentinos

Se burló de los vuelos de la muerte y del destino de los secuestrados.

Por: Julio Algañaraz
Fuente: ROMA. CORRESPONSAL

LARGA LISTA DE DERRAPES. BERLUSCONI SUELE NEGAR SUS DECLARACIONES POLEMICAS. TODAVIA NO SE PRONUNCIO.

Parece inaudito y no es imposible que, como hace siempre, Silvio Berlusconi niegue haber dicho lo que dijo. Pero esta vez se pasó de la raya con un chiste que ofende la memoria de los desaparecidos y “alivia” la mano de sus asesinos. En Cagliari, la capital de Cerdeña, dedicó una parte de su discurso en un mitin de la campaña electoral, el sábado pasado, a su plato fuerte: los chistes, o como dicen los italianos le barzellette.

Inesperadamente le llegó un nuevo tema sobre el que nunca había hablado, ni siquiera en serio. Los miles de desaparecidos durante la dictadura militar argentina. Muchos fueron arrojados de los aviones. “Eran bellas jornadas, los hacían descender de los aéreos”.

No fue clara la razón para haber dicho semejante cosa. Pero el enviado del diario L’Unita, Marco Bucciantini, informó en una crónica de la frase infame.

De aquel discurso debe haber una versión grabada. Si Berlusconi no hizo otro de sus chistes terribles, el gobierno argentino no deberá pedir explicaciones y protestar tras investigar el caso.

Puede ser que haya querido Berlusconi burlarse del tema desaparecidos. La justicia italiana estudia la extradición del almirante Emilio Massera, represor que dirigía a los verdugos de la “Fuerza de Tareas” de la Escuela de Mecánica de la Armada. Por las mazmorras de ese campo de exterminio pasaron 5.000 detenidos y la mayoría desaparecieron tras sufrir tormentos y “traslados”. Entre ellos, la sobrina de este corresponsal, Patricia Villa Algañaraz, de la agencia Interpress Service, arrojada de un avión.

Massera era como Berlusconi miembro de la logia masónica Propaganda Dos, P2, dirigida por el Maestro Venerable Licio Gelli, que fue disuelta por el Parlamento italiano tras contaminar la vida del país más que ninguna otra organización. Esa adhesión a la P2, que al principio Berlusconi negó hasta que la justicia le probó lo contrario, era tal vez otro de sus chistes.

La colección de gaffes y metidas de pata es enorme porque “il Cavalliere” no puede con su genio. Una de las últimas fue llamar “bronceado” (que en Estados Unidos es un insulto racial) al presidente Barack Obama. Por supuesto dijo, guiñando un ojo con su vasta sonrisa, que era un cariñoso adjetivo.

Otra vez, a un periodista inglés, que es actualmente el alcalde conservador de Londres, le dijo que la única represión de Mussolini había consistido en mandar de vacaciones a los opositores a varias islas. Se refería a los confinamientos. Después lo negó, pero sus amigos ingleses insistieron en que lo había dicho.

Durante la campaña electoral de 2006 se hizo el gracioso con los chinos. Pidió a la multitud que leyeran el libro rojo del comunismo. “Descubrirán que Mao no se comía a los chicos crudos pero los había hervido para fertilizar los campos”, dijo. El gobierno de China no lo apreció.

La mayoría de los italianos le perdonan todo, ríen con él. También en 2006 dijo que confiaba en la inteligencia de los italianos cuando fueran a las urnas y esperaba “que no haya boludos capaces de votar contra sus intereses”. La izquierda protestó inútilmente, cada día cosecha menos votos.

A veces hace líos en las citas, pero esto aumenta su popularidad. “Los fundadores de Roma fueron Rómulo y Rémolo”, dijo en otra ocasión causando hilaridad por su retorsión histórica contra el pobre Remo. Las mujeres son su especialidad y le costaron una pública crisis matrimonial cuando su esposa Verónica le exigió en una carta abierta un público pedido de excusas, después de que en una fiesta de sus redes de televisión dijo a una actriz que hoy es ministro: “Si no estuviera ya casado te pediría de esposarme”.

El primer ministro Berlusconi manifestó también que había “seducido” a la presidente de Finlandia, una señora que quedó estupefacta, para obtener el voto de Helsinski en favor de Parma como capital de un centro de agricultura europeo. El gobierno finlandés protestó oficialmente.

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Attualità Leggi e diritto

Presi i violentatori del parco della Caffarella. Decisiva per tutta l’operazione la collaborazione dei poliziotti romeni.

Sono stati arrestati i due cittadini romeni, responsabili della rapina e della violenza carnale nei confronti della fanciulla di quattordici anni il 15 febbraio scorso nel parco della Caffarella a Roma.

Alle indagini hanno partecipato agenti della polizia romena che nei giorni scorsi sono venuti a Roma. Nonostante i tagli alle forze dell’ordine, decisi per esigenze di bilancio dal governo, la polizia italiana dimostra di saper condurre indagini e assicurare i colpevoli alla giustizia. Nonostante la vandea anti-romena, decisa dalla propaganda della “rassicurazione”, che come dice Pier Camillo Davigo non ha niente a che vedere con la sicurezza, la collaborazione tra la polizia romena e quella italiana ha portato a buon fine il caso.

Non sono serviti, se non a creare ulteriori lacerazioni, inutili ai fini delle indagini, dannose ai fini delle convivenza civile, allarmi anti immigrati, squadracce fasciste e fascistoidi, ronde e blitz contro i campi nomadi. Né l’impiego dei militari per il controllo del territorio.

Investigazione e intelligence, collaborazione operativa tra le forze di polizia dei governi i cui cittadini, presenti nel nostro paese commettono reati sono la chiave di volta della sicurezza. Tutto il resto fa parte della sguaiata propaganda, che crea più danni che risultati. Il baccano può far comodo per avere qualche voto in più. Il lavoro silenzioso, professionale, meticoloso della polizia investigativa è efficace proprio perché non ha bisogno di riflettori.

Assicurati alla giustizia i responsabili, adesso la giovanissima vittima dello stupro può avviarsi verso l’elaborazione del danno che ha subito. E di questo può lei e dobbiamo noi esserne grati a chi ha svolto con perizia il lavoro investigativo: la polizia italiana, la polizia romena, i magistrati responsabili dell’inchiesta.

La sicurezza si fonda sulla fiducia che sia fatta giustizia, sulla certezza della pena che colpirà i rei di ogni delitto commesso. Frustrare la polizia tagliandogli i fondi, insultare i magistrati, scatenandogli addosso l’opinione pubblica crea insicurezza e sfiducia nella giustizia. I governanti che lo fanno, fanno male. A tutti. Soprattutto alle vittime. Beh, buona giornata.

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Attualità

Il famoso «ma anche» di Veltroni non è stato un suo vezzo ma esattamente una linea politica.

di RICCARDO BARENGHI da lastampa.it
Il fallimento di Walter Veltroni come leader del Partito democratico non può essere spiegato solo con i suoi limiti personali e politici, che pure non sono mancati. Sarebbe miope se i dirigenti del Pd pensassero che morto un Papa se ne fa un altro e così la nave va a gonfie vele. Non è così perché il fallimento non si chiama Veltroni ma appunto Partito democratico. Quel Partito di cui il leader dimissionario è stato l’interprete più fedele, e che non poteva essere molto diverso da quello che è stato e che, infatti, Veltroni ha perfettamente incarnato. Un Partito sarebbe una associazione di persone che hanno più o meno le stesse idee sul mondo, e questo il Pd non lo è mai diventato. Perché quelli che lo dirigono, quelli che lo sostengono e quelli che lo votano hanno opinioni molto diverse, spesso anche opposte, su ogni singola questione. Dall’economia al lavoro, dalla giustizia alla bioetica, dalle alleanze fino al tipo di opposizione da fare. Negli scorsi anni, e ancora oggi, ci hanno spiegato che il Pd è nato per unire i riformisti, quindi che si tratta del più grande Partito riformista presente in Europa, un esperimento unico nel suo genere che mette insieme le due grandi culture uscite dal Novecento. Peccato però che queste due grandi culture (insieme alle mille culturine che si sono manifestate via via) abbiano dimostrato la loro incapacità di stare insieme. Un tempo i riformisti si contrapponevano ai rivoluzionari, loro sostenevano un cambiamento graduale e progressivo della società, gli altri la presa del Palazzo d’Inverno, un atto violento che rovesciasse il regime. Ma i rivoluzionari si sono estinti da tempo, mentre i riformisti continuano a chiamarsi così rivendicando un concetto che però suona vuoto, tanto vuoto che ognuno è libero di interpretarlo a modo suo.

E’ più riformista stare con la Cgil che sciopera o con la Cisl che firma il contratto di Berlusconi? E’ più riformista una legge sul testamento biologico come la vuole Ignazio Marino o come la vogliono Rutelli e la Binetti? Chi è il vero riformista, quello che sta con Di Pietro, quello che sta con Casini o quello che riscopre Bertinotti? E in Europa, con quali riformisti finiranno i riformisti del Pd, con i socialisti, con qualcun altro o da soli? La storia del Pd, per quanto breve, è stracolma di esempi che dimostrano come la scelta (che della politica è l’essenza) sia diventata una non scelta. Il famoso «ma anche» di Veltroni non è un suo vezzo ma esattamente una linea: stiamo con gli operai ma anche con i padroni, vogliamo il dialogo con Berlusconi ma anche salvare l’Italia da Berlusconi, siamo alleati di Di Pietro ma anche contro di lui, stiamo con i magistrati ma anche contro di loro, vogliamo costruire il partito del nord ma anche quello del sud… La colpa di tutto questo non è solo dell’ex segretario. Certo, lui ci ha messo la sua natura, il suo essere buonista, diciamo anche troppo ecumenico, amplificando a dismisura questa tendenza a tenere insieme tutto e il contrario di tutto. Ma oggi che lui lascia, sarebbe forse il caso di riflettere su quello che resta.

E, soprattutto, se conviene farlo restare. In poche e brutali parole: non sarebbe meglio che le due grandi culture presenti nel Pd, quella laica e socialista da un lato e quella cattolico-democratica dall’altro, si separassero per poi allearsi quando serve, le elezioni politiche e l’eventuale governo del Paese? Dicono di no, dicono che non si può tornare a Ds e Margherita, che sarebbe un fallimento epocale, D’Alema e Veltroni hanno definito quest’ipotesi una «fesseria». Una fesseria di cui però si parla ormai da molti mesi e che quindi tanto fessa non deve essere.

E infatti non lo è. Soprattutto guardando il bilancio di questo Partito che doveva essere la grande novità politica del nostro Paese e che invece si è rivelato molto al di sotto della sua scommessa. E non perché l’idea non fosse suggestiva ma proprio perché la pratica non ha funzionato, le idee non si sono accordate, le ambizioni personali hanno prevalso, le incapacità di direzione sono risultate evidenti e l’impossibilità di scegliere è stata la bussola che ha «guidato» il Pd. Forse, chissà, due barche più piccole invece di una grande ma sgangherata, due equipaggi coesi invece di una ciurma ingovernabile, due timonieri che sanno navigare e che magari riescono anche a raccogliere qualche naufrago alla deriva, potrebbero anche riportare il centrosinistra italiano in porto. Ovviamente dopo una lunga e burrascosa traversata. (Beh, buona giornata).

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Attualità

“Il problema vero è che non c’è stato un altro pensiero in campo oltre a quello della destra, un pensiero lungo, riformista, moderno, occidentale, di una sinistra risolta che con spirito nazionale e costituzionale sappia parlare all’intero Paese, cambiandolo.”

di EZIO MAURO da repubblica.it

 Il Partito democratico è senza un Capo, nel momento in cui Berlusconi si riconferma leader incontrastato della destra, anzi padrone del Paese, che tiene ormai in mano come una “cosa” di sua proprietà, tra gli applausi degli italiani. Il risultato della Sardegna era atteso come un test nazionale e ha funzionato proprio in questo senso, rivelando la presa sul Paese di questa destra, che vince anche mentre attacca il Capo dello Stato, rinnega la Costituzione, offre un patto al ribasso alla Chiesa e non riesce ad affrontare la crisi economica. L’Italia sta con Berlusconi. E come conseguenza, il Pd va in frantumi.

L’uscita di scena di Walter Veltroni mentre tutti i capipartito ieri gli chiedevano di restare è un gesto inusuale in un Paese di finti abbandoni, di dimissioni annunciate, di mandati “messi a disposizione”: talmente inusuale che può persino essere seme di una nuova politica, dove finiscono le tutele, gli scambi, le garanzie reciproche di una “classe eterna” che si autoperpetua. Ma quelle dimissioni erano ormai obbligatorie. Il Pd trascinava se stesso nel deserto della sinistra giocando di rimessa in un’agenda politica imposta da Berlusconi, prigioniero di un senso comune altrui che non riusciva a spezzare. Il segretario – il primo segretario di un nuovo partito, dunque in qualche modo il fondatore – ha detto in questi mesi cose anche ragionevoli e giuste. Ma non è mai riuscito a spezzare l’onda alta del pensiero dominante, anche quando le idee della destra arrancavano davanti alla realtà, diventavano inadeguate, non riuscivano a mordere la crisi economica.


Il problema vero è che non c’è stato un altro pensiero in campo oltre a quello della destra, un pensiero lungo, riformista, moderno, occidentale, di una sinistra risolta che con spirito nazionale e costituzionale sappia parlare all’intero Paese, cambiandolo.

Di questa insufficienza, la responsabilità è certo di Veltroni, ma la colpa è dell’intero gruppo dirigente che oggi si trova nudo ed esposto dalle dimissioni del segretario, e palesemente non sa che pesci pigliare. Dev’essere ben chiaro, infatti, che se Veltroni paga, com’è giusto, nessuno tra i molti sedicenti leader del Pd può considerarsi assolto, per due ragioni ben evidenti a tutti gli elettori.

La prima, è nel gioco continuo di delegittimazione e di interdizione nei confronti di Veltroni, come se il Pd fosse riuscito nel miracolo di importare al suo interno tutti i veleni intestini e i cannibalismi con cui la destra di Dini e Mastella da un lato e la sinistra di Bertinotti e Pecoraro dall’altro avevano prima logorato e poi ucciso il governo Prodi. Con Berlusconi non solo leader ma egemone di una destra ridotta a pensiero unico, i Democratici hanno parlato sempre con mille voci che volevano via via affermare vecchie autorità declinanti e nuove identità incerte, e finivano soltanto per confondersi, imprigionando il leader e impaurendolo.

La sintesi paralizzante di tutto questo è la guerra tra Veltroni e D’Alema, che nel disinteresse totale degli elettori litigano da quattro partiti (pci, pds, ds e pd), mentre nel frattempo il mondo ha fatto un giro, è nato Google, ci sono stati cinque presidenti americani e l’Inter è tornata a vincere lo scudetto.

La seconda ragione è nell’incapacità del gruppo dirigente nel suo insieme di produrre una chiara cultura politica di riferimento per gli elettori, la struttura di idee di una moderna forza di progresso, la definizione di che cosa deve essere il riformismo italiano oggi. Il deficit culturale è direttamente un deficit politico. Perché come dimostra il caso Englaro le idee oggi predeterminano le scelte politiche, soprattutto in partiti che sono nati appena ieri, e dunque non hanno un portato storico, una cultura di riferimento elaborata negli anni, una struttura di pensiero a cui potersi appoggiare. Ridotto a prassi, il Pd non poteva che appiccicare le sue figurine casuali nell’album di Berlusconi, dove la prassi sostituisce la politica, l’energia prende il posto della cultura, la figura stessa del leader è il messaggio e persino il suo contesto.

Ecco perché il deficit culturale diventa oggi deficit di leadership. Il progetto del Pd è rimasto un grande orizzonte annunciato: il superamento del Novecento, la fine della stagione grigia e troppo lunga del post-comunismo, l’approdo costituente e definitivo della cultura popolare irriducibile al berlusconismo, anche dopo la crisi evidente del cattolicesimo democratico, la speranza di crescita di una sinistra di governo, che coniughi finalmente davanti al Paese la rappresentanza e la responsabilità, la difesa della Costituzione e dello Stato di diritto e il cambiamento di un Paese immobile, la rottura delle sue incrostazioni e delle troppe rendite di posizione.

Per fare questo serviva un partito forte ma disarmato, nuovo in quanto scalabile, aperto perché contendibile, e tuttavia presente sul territorio, nell’Italia dei comuni, in mezzo ai cittadini. Un partito forte della serenità delle sue scelte. Ci vuol tanto a spiegare che la sinistra è in ritardo nella percezione dell’insicurezza, e tuttavia è una mistificazione sostenere che questa è la prima emergenza del Paese, una mistificazione che mette in gioco la civiltà italiana dei nostri padri e delle nostre madri? È davvero così difficile sostenere che credenti e non credenti hanno a pari titolo la loro casa nel Pd, ma il partito ha tra le sue regole di fondo la separazione tra Stato e Chiesa, tra la legge del Creatore e la legge delle creature? Soprattutto, è un tabù pronunciare la parola sinistra nel Partito democratico, pur sapendo bene che socio fondatore è la Margherita, con la sua storia? Quando ciò che è al governo è “destra realizzata”, anzi destra al cubo, con tre partiti tutti post-costituzionali e l’espulsione dell’anima cattolica dell’Udc, come può ciò che si oppone a tutto questo non definirsi sinistra, naturalmente del nuovo secolo, risolta, europea e riformista?

Molte volte il Pd non sa cosa dire perché non sa cos’è. È stato certo una speranza, per i milioni delle primarie, per quel 33,4 per cento che l’ha votato alle politiche, segnando nelle sconfitta con Berlusconi il risultato più alto nella storia del riformismo italiano. Oggi quella speranza è in buona parte delusa e prende la via di una secessione silenziosa, cittadini che si disconnettono dal discorso pubblico, attraversano una linea che li porta in qualche modo nella clandestinità politica, convinti di poter conservare individualmente una loro identità di sinistra fuori dal “campo”, pensando così di punire un intero gruppo dirigente che giudicano colpevole di aver risuscitato qualche illusione, e poi di averla tradita. Ma come dimostra il risultato di Soru, il migliore tra i possibili candidati in Sardegna, senza l’acqua della politica non si galleggia.
Non è il momento della secessione individuale, della solitudine di sinistra. Berlusconi dopo il trionfo personale in Sardegna può permettersi di aggiornare la sua strategia, rinviando la scalata al Quirinale, che farà, ma più tardi. Oggi può provare a prendere ciò che gli manca dell’Italia. Napoli, la Campania. Poi portare la sfida direttamente nel cuore della sinistra del Novecento, a Bologna. Quindi pensare a Torino, magari a Firenze. Chiudere il cerchio. Per poi finalmente pensare ai giornali.

Il Pd in questi mesi si è certamente opposto al governo Berlusconi, e anche a suoi singoli provvedimenti. Ma a me ha dato l’impressione di non avere l’esatta percezione della posta in gioco, che non si contende, oggi, con il normale contrasto parlamentare e televisivo di una destra normale. Qui c’è in campo qualcosa di particolare, l’esperimento di un moderno populismo europeo che coltiva in pubblico la sua anomalia sottraendosi alle leggi, sfidando le istituzioni di controllo, proponendosi come sovraordinato rispetto agli altri poteri dello Stato in nome di un rapporto mistico e sacro con gli elettori. Un’anomalia vittoriosa, che ha saputo conquistarsi il consenso di quasi tutti i media, che ha indotto un riflesso di “sazietà democratica” anche a sinistra (“il conflitto di interessi esiste ma basta, non ne posso più”) che ha reso la sinistra e il Pd incapace di pronunciare il suo nome mentre non sa pronunciare il nome del suo leader: e che quindi proprio oggi, per tutte queste ragioni, può chiedere apertamente di essere “costituzionalizzata”, proponendo di fatto all’intero sistema politico, istituzionale e costituzionale italiano di farsi berlusconiano.

Se questa è la partita – e con ogni evidenza lo è – dovrebbero discendere comportamenti politici e scelte all’altezza della sfida. E persino del pericolo, per una sinistra di governo. Dunque il Pd, se vuole continuare ad esistere – cominciare davvero ad esistere: il partito non ha nemmeno ancora un tesseramento – deve capitalizzare le dimissioni di Veltroni, come la spia di un punto d’allarme a cui è giunto il partito, ma anche come un investimento di generosità. Deve restituire infine un nome alle cose, leggendo Berlusconi per ciò che è, un potere anomalo e vincente, che tuttavia può essere battuto, come ha fatto per due volte Prodi.

La situazione è eccezionale, non fosse altro per la crisi gravissima della sinistra davanti al trionfo della destra. Si adottino misure d’eccezione. Capisco che è più comodo prendere tempo, studiarsi, far decantare le cose, misurare i pericoli di scissione, cercare una soluzione di transizione. Ma io penso che serva subito una soluzione forte e vera, la scelta di un leader per oggi e per domani o attraverso un congresso anticipato o attraverso le primarie. È in gioco la stessa idea del Partito democratico. Ci si confronti su programmi alternativi, idee diverse di partito, schemi di alleanza chiari, qualcosa di riconoscibile, che si tocca con mano, in modo che il cittadino si veda restituita una capacità reale di scelta. Quei leader che oggi dovrebbero sentirsi tutti spodestati e dimissionari, per l’incapacità dimostrata di costruire una leadership collettiva, facciano un patto pubblico di responsabilità, pronti ad accettare l’autorità del segretario e l’interesse del partito – per una volta – , invece di minacciare scissioni striscianti, veti feudali. Solo così ritroveranno quel popolo disperso che conserva comunque una certa idea dell’Italia alternativa a quella berlusconiana: e chiede per l’ultima volta di essere rappresentato. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

In tempi di crisi siamo tutti sulla stessa barca. Anche se è uno yacht.

 La crisi colpisce anche il mercato del superlusso: il leader mondiale degli yacht di lusso, Rodriguez, ha subito un pauroso crollo nelle vendite che nel primo trimestre dell’esercizio 2008-2009, da ottobre a dicembre scorso, si sono praticamente dimezzate: da 84,6 milioni di euro l’anno prima, a 41,7 milioni. Ma il futuro si preannuncia altrettanto oscuro: tra febbraio 2008 e 2009 gli ordini sono scesi del 41%, il titolo in Borsa ha perso nel 2008 oltre il 90% del suo valore, dai 50 euro nel 2006 il titolo è oggi a tre euro. Rodriguez, che ha perso 47 milioni di euro nel 2007-2008, ha annunciato in dicembre che non rispetterà più gli impegni con le banche, con le quali discute da due mesi per ristrutturare il suo debito di 150 milioni di euro. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Chi paga la crisi economica.

Nel 2009 ci sono circa 3,5 milioni di posti di lavoro a rischio in Europa. Sono le ultime previsioni della Commissione Ue, in base alle quali è attesa quest’anno una contrazione complessiva dell’occupazione pari all’1,6%. «L’ulteriore deterioramento della situazione del mercato del lavoro prevista nei prossimi mesi riflette il forte crollo della fiducia di consumatori e imprese registrato in dicembre e confermato nel mese di gennaio». Tra i settori più colpiti quello dell’auto, quello dei servizi finanziari, quello meccanico e quello dei trasporti, con una annunciata perdita netta di oltre 100.000 posti di lavoro da ottobre 2008 a gennaio 2009. Beh, buona giornata.

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Attualità

La crisi del Pd:”la crisi economica comincia a mordere il Paese. Il paradosso è che le responsabilità non si scaricano sul governo, ma sui suoi avversari.”

di Massimo Franco  da corriere.it

 

 

Dire che è un risultato locale suona scontato e, insieme, molto riduttivo. La tesi sarebbe convincente se la sconfitta del Pd in Sardegna arrivasse come una parentesi inaspettata ed isolata. Ma segue di nemmeno un anno le elezioni politiche; di due mesi la disfatta in Abruzzo; e arriva in coincidenza con le primarie fiorentine, nelle quali è stato scelto come candidato sindaco del centrosinistra l’esponente che si opponeva al vertice nazionale del partito.

I fattori regionali c’entrano poco, dunque. E pesa molto, invece, l’onda lunga del voto dell’aprile scorso. È la conferma che quel risultato non ha rappresentato solo una vittoria, ma uno spartiacque nel Paese. Il «domino» che sta travolgendo ad una ad una le roccheforti dell’opposizione appare una conseguenza di quanto è accaduto allora; e dell’incapacità degli avversari di Silvio Berlusconi di capirlo e di affrontare una stagione nuova. Per questo lo schiaffo sardo ha un’eco dolorosamente nazionale, per Walter Veltroni. E porta a chiedersi se non abbia funzionato «l’effetto Soru»; oppure se il governatore uscente della Sardegna sia vittima della maledizione di un Pd ormai incapace di leggere le pulsioni più profonde dell’Italia. Gli indizi mostrano un elettorato d’opposizione in lenta erosione; e avviato ad un voto europeo che si profila ogni giorno di più come una disfatta.

La crisi economica comincia a mordere il Paese. Il paradosso è che le responsabilità non si scaricano sul governo, ma sui suoi avversari. Merito, senz’altro, di un presidente del Consiglio che continua a macinare consensi, nonostante tutto; e che sulla Sardegna ha investito con una campagna martellante quanto invadente. Ma anche demerito del centrosinistra, che non è stato capace di opporre alla «politicizzazione» del voto regionale un antidoto credibile. Si possono evocare come scusante la guerra di logoramento all’interno del Pd; e le voci velenose su un Soru futuro leader nazionale. Tanto che all’inizio, mentre i dati affluivano con lentezza esasperante, lunare per un Paese occidentale, veniva accarezzata l’illusione di una sua vittoria. Tutto questo, però, non basta a cancellare il sospetto di un’implosione che coinvolge la nomenklatura del centrosinistra e la sua cultura politica.

Ormai non serve sottolineare neppure l’inutilità di un antiberlusconismo che mobilita porzioni sempre più minoritarie. Il problema del Pd e dei suoi alleati è la mancanza di un’analisi seria della vittoria berlusconiana del 13 e 14 aprile del 2008. La domanda da porsi è se il centrosinistra non abbia avuto il coraggio di farla; o se più banalmente non ne sia stato capace. Qualunque sia la risposta, viene da pensare che sia stato sciupato quasi un anno. E la lotta per la successione a Veltroni, che già si intravede, non promette recuperi miracolosi. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Le dimissioni di Veltroni: “un congresso straordinario oggi è una scelta irrinunciabile, per ridefinire il progetto e scegliere un nuovo leader, finalmente in una competizione a viso aperto e a tutto campo.”

di MASSIMO GIANNINI da repubblica.it

La scelta di Walter Veltroni è dolorosa, ma anche doverosa. Da troppi mesi il Pd si dibatte in una crisi tormentata e complessa, che investe il suo profilo politico, i contenuti della sua piattaforma programmatica, la forza della sua leadership, e soprattutto il suo rapporto con l’opinione pubblica.

Il voto di ieri, e le dimissioni del segretario, sono solo l’epilogo di una crisi d’identità che era già contenuta nel risultato delle elezioni del 13 aprile di un anno fa, e che si è ulteriormente aggravata prima con la sconfitta in Abruzzo, ora con la disfatta in Sardegna.

Prima che la casa bruci, e che del Pd non restino altro che macerie, Veltroni ha fatto la cosa giusta: si è fatto da parte, con una mossa che tuttavia chiama in causa, per un’assunzione di responsabilità collettiva, l’intero gruppo dirigente che in questi mesi ha gestito il partito insieme a lui, o lo ha sabotato nei corridoi.

Anche per questo, un congresso straordinario oggi è una scelta irrinunciabile, per ridefinire il progetto e scegliere un nuovo leader, finalmente in una competizione a viso aperto e a tutto campo. Altre vie d’uscita da questo vicolo cieco non ce ne sono.

L’errore più drammatico, per il Pd, sarebbe quello di tirare a campare all’insegna, ancora una volta, di un falso unanimismo. O peggio ancora, quello di tornare indietro, di rinunciare all’idea del partito unico e di tornare alla vecchia distinzione Ds-Margherita.

Sarebbe un dramma, non solo per i destini del centrosinistra ma per il futuro del bipolarismo italiano. (Beh, buona giornata).

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La direttrice de L’unità: “Soru è rimasto vittima anche del suo stesso partito.”

di CONCITA DE GREGORIO  da unita.it

I due giorni che abbiamo appena trascorso sono stati i più bui nella breve storia del Partito democratico. Delle sue oligarchie, per l’esattezza: punite con severità assoluta da un elettorato stanco di lotte intestine e clandestine, dei giochi di potere sotterranei eppure così visibili, di mezze frasi dovute alla stampa e sorrisi di fratellanza esibiti ai fotografi da un residuo e sempre meno convinto obbligo di decenza. Dalla necessità di nascondere una lotta fratricida fatta di colpi bassi e bassissimi: una guerra che mai si cura del bene comune, dell’alleanza politica, dell’interesse pubblico, delle città e delle Regioni, delle persone che ci vivono, del Paese. Una politica dimentica di essere al servizio del Paese e dei cittadini, convinta che i cittadini siano al suo servizio: serbatoio di voti da usare alla bisogna come merce inerte. Gli oligarchi hanno ancora una volta giocato la loro partita a scacchi, fieri di escogitare ogni giorno nuovi trucchi, inedite strategie di offensiva reciproca. Gli elettori li hanno puniti: esausti, esasperati, nauseati fino al punto di farsi del male, pratica che del resto nel centrosinistra è consueta.

La bella e netta vittoria di Matteo Renzi alle primarie fiorentine segna il punto più basso della storia del partito che da solo fino all’altro ieri ha governato la città, che l’ha retta per decenni con maggioranze assolute e spesso “bulgare”, si diceva una volta. Gli eredi dei Ds hanno giocato ad ostacolarsi a vicenda in una trama che coinvolge ora anche gli epigoni della tradizione democristiana e che dunque vede sconfitto il cattolico Pistelli (candidato della segreteria), duramente sconfitto Michele Ventura (messo in campo all’ultimo minuto contro di lui dall’ala rivale), dignitosamente sconfitta l’unica donna che pure ha scontato l’impopolarità di un partito che il sindaco uscente ha più d’una volta apertamente criticato, per tacere del massacro che è stata la vicenda Cioni. Onore dunque alla vittoria di Renzi, trentenne presidente della Provincia gradito anche da un elettorato moderato e moderatissimo. Vince un giovane che si presenta come estraneo agli apparati, sebbene non esista Alice in un paese che ha perso ogni meraviglia. Renzi è il metro esatto della saturazione dei cittadini: un segnale definitivo di voglia di cambiare, l’ultimo.

Il tracollo catastrofico del centrosinistra sardo dentro il quale Renato Soru ha avuto successo personale molto alto (di 4 punti la sua distanza da Cappellacci, di 14 quella fra gli schieramenti nei dati provvisori della sera) racconta di un Pd che ha scelto di uccidersi piuttosto che provare a esistere. Soru è stato battuto dallo strapotere mediatico ed economico del premier, certo: un’offensiva senza precedenti che affonda nel burro di un’Italia indebolita allo stremo dalla lusinga perpetua della prepotenza del denaro e del disprezzo delle regole. Ma è rimasto vittima, Soru, anche della trappola del suo stesso partito. Quello che aveva apertamente sfidato e che nelle province rosse è arrivato ad esercitare il voto disgiunto contro di lui. Una vendetta. Uno sfregio che chi poteva non ha voluto o saputo evitare. Basta, ha detto il voto. A una sola cosa serve toccare il fondo quando non uccide. A risalire leggeri, sulla terra leggeri. (Beh, buona giornata).

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Attualità

“C’ho messo la faccia”, quella dell’avvocato Mills.

da repubblica.it

L’avvocato inglese David Mills è stato condannato a quattro anni e sei mesi per corruzione in atti giudiziari dal Tribunale di Milano. Il legale nel luglio del 2004 aveva raccontato ai pm Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo di aver ricevuto 600mila dollari dal gruppo Fininvest per dire il falso nei processi in cui era coinvolto Silvio Berlusconi.

Successivamente, nel corso del dibattimento, Mills aveva poi parzialmente ritrattato quella versione cercando di discolpare il presidente del Consiglio. Il premier era in un primo momento imputato insieme all’avvocato, ma la sua posizione è stata stralciata in seguito all’approvazione del “Lodo Alfano” sull’impunità delle massime cariche dello Stato da parte del Parlamento, norma attualmente al vaglio della Corte Costituzionale. Mills è stato condannato a risarcire anche 250 mila euro alla parte civile Presidenza del Consiglio (paradossalmente al suo coimputato). I giudici hanno inoltre disposto la trasmissione degli atti alla Procura perché valuti la testimonianza di Benjamin Marrache, uno dei testimoni nel processo.

Anche se Berlusconi è al momento fuori dal processo, la sentenza di oggi getta comunque un’ombra pesante anche sul suo comportamento. Secondo il Tribunale, i 600mila dollari bonificati a Mills dalla Fininvest del ’98 sono serviti infatti a corrompere il legale inglese per testimoniare il falso – così come sostenuto dalla Pubblica accusa – in due processi che vedevano imputato l’attuale presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (tangenti alla Guardia di finanza e All Iberian).

“In un Paese normale – ha denunciato Antonio Di Pietro – il presidente del Consiglio avrebbe già rassegnato le sue dimissioni”. “Se Mills è stato condannato in quanto ‘corrotto’ – prosegue il leader dell’Idv – significa che abbiamo un corrotto, ma anche un corruttore. Ma si sa come vanno le cose in Italia rispetto agli altri paesi occidentali: in America, Obama ha mandato via i ministri che avevano avuto problemi con il fisco; in Italia, se corrompi un testimone, vai a fare il presidente del Consiglio”.

Commentando la condanna, la difesa dell’avvocato Mills ha lamentato che la presenza di Silvio Berlusconi
come coimputato nel processo milanese ha impedito al collegio di giudici presieduto da Nicoletta Gandus un’attenta valutazione dei fatti. “E’ un processo – ha commentato polemicamente l’avvocato Federico Cecconi – che senza l’ombra dell’altro soggetto coimputato sarebbe stato esaminato in modo più sereno”. L’imputato ha limitato invece a definirsi “molto deluso”.  (Beh, buona giornata).

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Attualità

Il nuovo inno del Partito democratico: “Bisogna saper perdere”, by The Rokers.

“Tu non devi odiarmi se lei vuole bene a me
capita ogni giorno quello che e’ successo a noi

bisogna saper perdere
bisogna saper perdere
non sempre si puo’ vincere
ed allora cosa vuoi

se tra noi due avesse scelto invece te
ora te lo giuro che in silenzio sparirei

bisogna saper perdere
bisogna saper perdere
non sempre si puo’ vincere
come vuoi e quando vuoi

quante volte lo sai si piange in amore
ma per tutti c’e’ sempre un giorno di sole
io non ti vorrei vedere piangere cosi’
non e’ mia la colpa se non vuole dirti si

bisogna saper perdere
bisogna saper perdere
non sempre si puo’ vincere
ogni volta che vuoi tu quante volte lo sai si piange in amore
ma per tutti c’e’ sempre un giorno di sole
tu non devi odiarmi se sorridere non sai
dammi la tua mano siamo amici piu’ che mai

bisogna saper perdere
bisogna saper perdere
non sempre si puo’ vincere
ed allora cosa vuoi
no non puoi sempre vincere

bisogna saper perdere
bisogna saper pe perdere
bisogna saper pe perdere
bisogna saper pe perdere
bisogna saper pe perdere
bisogna saper pe perdere”

La leadership di Walter Veltroni non ha portato fortuna né al Pd né al centrosinistra. L’annus horribilis ha fatto registrare per il Pd di Veltroni 5 sconfitte su 5 tornate elettorali. Ad aprile 2008 la sconfitta alle politiche: Pdl e Lega ottengono la maggioranza assoluta dei seggi sia alla Camera sia al Senato.

Sempre nell’aprile 2008 le elezioni regionali e amministrative danno la vittoria al centrodestra che strappa al centrosinistra la regione Friuli Venezia Giulia, la provincia di Foggia ed i comuni di Roma e Brescia (il centrosinistra strappa al centrodestra solo i comuni di Vicenza e Sondrio).

Nel giugno 2008 il centrodestra fa cappotto (8 a 0) alle provinciali siciliane (le province di Enna, Siracusa e Caltanissetta passano dal centrosinistra al centrodestra).

Nel dicembre 2008 la regione Abruzzo cambia colore politico: dalla Presidenza del Turco si passa ad una Presidenza Pdl. Infine ieri il risultato della Sardegna: Soru perde la Presidenza della regione a favore di Cappellacci.

Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Antitrust, tariffe e pubblicità: Telecom dice “di aver agito nel pieno rispetto della normativa vigente”.

(fonte: AGI)

Telecom italia ricorrera’ al Tar del Lazio contro la multa da 500 mila euro comminata dall’Antitrust a Tim. L’annuncio e’ contenuto in una nota del gruppo che sottolinea di ritenere “di aver agito nel pieno rispetto della normativa vigente”. L’azienda , prosegue il comunicato, “ha dato ampia e dettagliata comunicazione alla propria clientela sulla manovra di rimodulazione tariffaria, in particolare riguardo alle modalita’ per l’esercizio del diritto di recesso i cui tempi sono stati addirittura estesi a beneficio dei consumatori. Questo e’ avvenuto attraverso una reiterata campagna informativa che ha utilizzato diversi mezzi di comunicazione quali sms, annunci stampa ed internet al fine di garantirne la massima diffusione, e che proprio per questo”, conclude la nota, “non puo’ essere considerata ambigua ed omissiva”.

Non ci resta che aspettare la sentenza del Tar del Lazio. Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Antitrust, tariffe e pubblicità: continuiamo a farci del male.

L’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato ha multato Tim e Vodafone con una sanzione da 500.000 euro ciascuno “per modifica unilaterale e sistematica dei piani tariffari senza fornire adeguate informative al consumatore”. Ne da notizia l’associazione Altroconsumo, che aveva denunciato in agosto all’Authority i due operatori per pratiche commerciali scorrette sui rincari delle tariffe di telefonia mobile.

Secondo i rilievi di Altroconsumo, accolti dall’Antitrust, “la mancanza di informazione e trasparenza ha impedito agli utenti di conoscere le caratteristiche delle nuove tariffe”, e le modalità di attuazione della portabilità e di rimborso del credito residuo.

Finora, tra il crollo generalizzato dei consumi degli italiani, le uniche voci che si salvavano era le spese per informatica e telefonia mobile. Così facendo, le compagnie telefoniche coinvolte dalle sanzioni dell’Antitrust danno un brutto colpo a questo settore dei consumi. Non solo. Tra il crollo generalizzato della pubblicità, con le conseguenti ripercussioni sui bilanci dei giornali italiani, tenevano i budget pubblicitari sulle offerte telefoniche.

Le campagne pubblicitarie di questi mesi sono state, evidentemente, lanciate all’insegna della “ mancanza di informazione e trasparenza”, come recita la decisione dell’Antitrust. Il che è un altro brutto colpo alla credibilità della pubblicità italiana.

Se alla crisi economica si aggiunge la crisi di fiducia nelle compagnie telefoniche e di conseguenza alla pubblicità promossa dai gestori, tutto questo fa malissimo alla ripresa dei consumi. Diventa inutile chiedere ai cittadini e ai consumatori di mantenere i nervi saldi di fronte alle difficoltà economiche del Paese, quando alcuni comportamenti mettono in discussione la trasparenza delle aziende e la veridicità delle informazioni.

Queste mille piccole bolle speculative, che si scoprono di frequente sono  forse un danno calcolato, tanto da far venire il sospetto che le eventuali sanzioni comminate dall’Antitrust vengano messe in conto e portate comunque a profitto nei conti economici calcolati sugli aumenti tariffari poco trasparenti. Il che, sia detto con tutto il rispetto,  rischia anche di vanificare l’operato stesso dell’Authority , minarne l’efficacia, screditarne le funzioni agli occhi dei consumatori, diffondere un pericoloso senso di impotenza da parte di milioni di clienti.

Recentemente negli Usa una commissione parlamentare ha chiesto conto ai top manager delle banche dei loro comportamenti. Una cosa simile è successa in Gran Bretagna. E’ ora che anche in Italia si cominci seriamente a pensare come fermare e sanzionare pratiche commerciali scorrette.

La violazione delle norme antitrust non è solo un dolo, sanabile per via amministrativa. E’ un danno continuo e continuato, oltre che alla correttezza verso i consumatori, anche alla credibilità dei soggetti del mercato: in definitiva, al libero mercato stesso.

La cosa non è risolvibile  solo con l’introduzione della “class action”, cioè la possibilità di intentare cause civili collettive da parte dei cittadini lesi nei loro diritti, che pure il governo italiano ha prorogato di due anni, come stabilito nel decreto “mille proroghe”(!). 

Il punto è che non si tratta più  solo di introdurre deterrenti ai cattivi comportamenti. Si tratta di intervenire con tempestività e decisione, perché in Italia cambi profondamente il rapporto tra grandi compagnie e i loro clienti. Non lo imporrebbero semplicemente astratti principi di etica dell’impresa. E’ la crisi dei consumi che lo chiede: senza correttezza e trasparenza non c’è fiducia, senza fiducia non c’è nessuna luce possibile, in fondo al tunnel della peggiore congiuntura economica mai vissuta dai mercati globali. Beh, buona giornata.

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