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La morale della lezione.

Immagine di repertorio UNINT. La lezione è stata a distanza.

Alcuni giorni fa, sono stato invitato da Gabriele Qualizza a partecipare a una lezione del suo corso presso la UNINT di Roma. L’argomento verteva sul rapporto tra le idee di comunicazione e gli strumenti del comunicare, come McLuhan definì i media. La mia opinione è che il creativo è sempre un artigiano e ogni tentativo di rendere “industriale” la comunicazione ne avvilisca la portata, perché fa esclusivo affidamento alla tecnologia.

Quella dei campioni statistici, ai tempi dello strapotere di Auditel e dei suoi famigerati Grp’s, quella odierna dei social, con l’ossessione persecutoria dei cookies, sono l’anatema di Henry Ford, che si ostinava a voler sapere con esattezza come i suoi soldi potevano essere efficaci in pubblicità.

Oggi la profanazione dei desideri dei target è più sofisticata, ma non garantisce risultati oltre la capacità creativa di inventare messaggi che abbiano l’energia di venir ricordati, apprezzati, che rimangano nella mente dei lettori, degli spettatori, dei naviganti. Messaggi capaci di stimolare la facoltà di ciascuno di farsi un’opinione circa la validità di un servizio, di un prodotto, di una marca, di un’idea.

Ad un certo punto, Gabriele Qualizza mi ha chiesto di suggerire ai suoi studenti, oltre quaranta in collegamento, alcuni consigli per affrontare il mondo del lavoro. Ho suggerito loro di non smettere di studiare, anche dopo la laurea, di sentirsi sempre costantemente in auto-formazione, perché qualsiasi impiego troveranno dovranno essere persone capaci di cogliere i segnali che vengono dal mondo reale, segnali che attraversano la società, le istituzioni, le aziende. Dovranno essere in grado di coglierli velocemente e comprenderne il significato, ma anche il significante, le indicazioni intrinseche e il linguaggio.

Una volta, a una delle mie figlie, fu consigliato da un magistrato, che teneva i corsi propedeutici al concorso per la Magistratura, di leggere sempre anche molta narrativa, perché aiutava a scrivere le sentenze, che, essendo la dimostrazione pratica dell’astrazione del diritto, dovevano essere non solo tecnicamente argomentate ma formulate in modo che avessero il massimo grado di comprensione possibile. Sono molto d’accordo: leggere molto aiuta a parlare correttamente e a scrivere bene.

Bisogna stare sempre con le antenne ben orientate al nuovo, all’inaspettato.

Mentre i codici interpretativi si fondano sul già fatto e quindi spesso, per non dire sempre, non sono dialettici con la realtà, questa, con le sue contraddizioni, le sue modalità, sviluppa costantemente il divenire prodotto dalla storia.

Per esempio, non era prevedibile che il mercato dell’automotive o quello degli elettrodomestici potessero andare in crisi per via della penuria di microchip, la cui produzione è stata assorbita dall’aumento delle vendite di smartphone e tablet. Una richiesta poi imprevedibilmente aumentata in concomitanza dei lockdown imposti dalla pandemia.

E allora, ho mostrato una delle mie matite: ecco, non smettere di scrivere a mano ci aiuta ad andare oltre le eventuali défaillance della tecnologia.

Uno dei ragazzi mi ha chiesto perché ritenessi l’intervento di Fedez durante il Concerto del Primo Maggio alla stregua di un episodio di una campagna ego-riferita al suo ruolo di influencer. E se non ritenessi giusto che i ragazzi di oggi fossero d’accordo con lui e le sue idee di tolleranza di genere.

E qui si è toccato il punto: quando la comunicazione commerciale, ma anche istituzionale e politica, assume posizioni su questioni cosiddette “etiche” non lo fa perché il committente crede fermamente alle tesi della comunicazione esplicita, la fa perché sa di incontrare il favore del pubblico. Dunque, ho detto: ragazzi battetevi per le vostre idee, andate controcorrente, rifuggite la banalità, il conformismo cui spesso le gerarchie aziendali vi spingeranno.

Solo così le vostre idee potranno avere una chance di diventare comportamenti collettivi, che spingeranno anche il marketing ad assumerli come contenuti da comunicare.

E questo, ovviamente, vale per la politica, cioè quel luogo in cui i cambiamenti diventano fatti concreti di una società. Credo anche che non bisogna cadere nella trappola della specializzazione. Specializzarsi è una modalità che può essere utile a trovare un impiego soddisfacente, ma la nostra cultura deve essere rinascimentale, la più vasta possibile, per affinare le doti personali arricchendole di molti interessi.

Una visione ampia della realtà è utile, tra l’altro, anche a cambiare spesso mestiere, che è uno degli sport preferiti nella società capitalista, che, con la vocazione alla cosiddetta distruzione creativa, trasforma il lavoro, costringendoci di continuo ad adattarci a nuovi ruoli professionali.

La questione, del resto non riguarda solo gli studenti del corso cui sono stato invitato a partecipare, ma gran parte dei protagonisti a vario titolo del mondo dell’istruzione, della ricerca, della cultura. Beh, buona giornata.

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