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Attualità Popoli e politiche

Piombo Fuso: “Questa è la distorta realtà che Obama erediterà la prossima settimana, e che brutta eredità è.”

L’assedio israeliano a Washington – Obama davanti ai fatti compiuti

di Rami G. Khouri – «Daily Star», Beirut (da megachip.info)

Se l’attacco israeliano a Gaza iniziato 18 giorni fa aveva in parte lo scopo di mandare un messaggio al prossimo presidente degli USA Barack Obama, il Congresso USA nell’ultima settimana sembra essersi unito allo sforzo di mettere i cappi al nuovo presidente e ipotecare per lui la futura legislazione, ancora prima che entri in carica.

Obama ha cercato di mantenere le distanze e rimanere fuori dalla battaglia politica su Gaza astenendosi dal fare dichiarazioni impegnative. Israele e i suoi molti sostenitori a Washington hanno per lui piani diversi. Lui è rimasto fuori dalla guerra, ma loro l’hanno combattuta per lui — facendogli ingoiare come prima lezione pre-incarico come i presidenti americani si comportano quando Israele rende noti i suoi desideri, se vogliono rimanere al potere.

La Camera dei Rappresentanti ha votato lo scorso venerdì con 390 voti a favore e 5 contro una risoluzione che appoggia completamente Israele nel suo attacco a Gaza, proclamando specificamente “il diritto di Israele a difendere se stesso dagli attacchi di Gaza”. Il giorno prima, il Senato sosteneva a spada tratta Israele e il suo diritto di difendersi contro il terrorismo.

Una simile straordinaria unilateralità dell’appoggio a Israele da parte degli Stati Uniti rispecchia la stessa posizione dell’amministrazione. Sia il Presidente George W. Bush che il Segretario di Stato Condoleeza Rice hanno detto durante incontri con la stampa che Hamas era da biasimare per la guerra attuale e per le sofferenze dei palestinesi di Gaza, e che ogni cessate il fuoco doveva assicurare che Hamas non avrebbe più attaccato Israele. Sembravano incomprensibilmente ciechi alla combinazione dello strangolamento e dell’aggressione su Gaza da parte di Israele. (E per quanto ne sa la stampa, ecco la storia delle vanterie del Primo Ministro Ehud Olmert che avrebbe costretto George Bush e Condi Rice ad astenersi nel voto per una richiesta delle Nazioni Unite di un cessate il fuoco che pure la Rice aveva aiutato a scrivere).

Questo sostegno quasi irrazionale per Israele sia nel potere esecutivo che nel potere legislativo del governo USA ha luogo mentre un coro di condanna internazionale per l’uso sproporzionato della forza include inviti di alcuni funzionari delle Nazioni Unite e rispettabili organizzazioni non- governative a indagare se Israele ha commesso “crimini di guerra”.

Israele sta facendo uso dei due arsenali con cui si sente più a suo agio — la forza militare per uccidere, ferire, terrorizzare e costringere alla fuga migliaia di civili palestinesi, e l’equivalente scempio politico di manganellare l’establishment politico americano fino alla totale sottomissione.

Dopo sei decenni di tentativi, Israele non è riuscito a trasformare i palestinesi in vassalli e schiavi ossequiosi — ma ha avuto successo nel trasformare un sistema politico, altrimenti impressionante, in un gregge di bestiame castrato che si accuccia di fronte alle minaccia che i boia e i pistoleri d’Israele tengono sospesi su di esso.
Gaza avrà presto il suo cessate il fuoco, ma Washington troverà mai sollievo dall’asfissiante stretta politica dei tagliagole di Israele?

Questi voti del Congresso negli ultimi giorni non sono un evento insolito, purtroppo, ma una riaffermazione di routine della stretta asfissiante che Israele mantiene sui rappresentanti eletti di un’altrimenti sana democrazia. Ad esempio, due anni fa, quando Israele attaccò il Libano con un simile ferocia, la Camera dei Rappresentanti USA votò per 410 a 8 il suo appoggio all’aggressione israeliana, e per condannare Hamas e Hezbollah per “gli attacchi non provocati e riprovevoli contro Israele”.

Due anni prima, nel 2004, la Camera votò per 407 a 9 il suo appoggio alla posizione del Presidente Bush secondo cui era “irrealistico” che Israele tornasse completamente alle sue frontiere del giugno 1967.
Su nessun’altra questione di politica estera il Congresso USA mette collettivamente la testa sotto la sabbia, spegne la sua capacità di giudizio indipendente, e dimentica l’impatto delle sue decisioni sull’immagine degli USA nel resto del mondo. Riguardo a nessun’altra parte del mondo il Congresso USA vota secondo gli interessi di un paese straniero e non secondo l’interesse nazionale USA. Questo cieco e irriflesso tuffo nel fanatismo e nel tifo filoisraeliano riflette precisamente la forza della lobby filo-israeliana, e la debolezza delle voci ragionevoli, dell’equilibrio della giustizia come guide della politica estera americana.

Questa è la distorta realtà che Obama erediterà la prossima settimana, e che brutta eredità è. Cattura il peggio di molti mondi e lo fonde in un unico mondo — la perversione, la forza isterica della lobby pro-Israele negli Stati Uniti che compra e atterrisce politici con la stessa facilità con cui si compra un sacchetto di noccioline al circo; i governi arabi, anemici, sconsiderati, senza spina dorsale, che rimangono nudi davanti a Israele e agli USA, e svergognati davanti alla loro gente; e il sistema politico americano, che su questa questione, con l’eccezione di poche persone decenti e coraggiose, si comporta in modo assai poco americano di fronte alle onniscienti forze filoisraeliane che decidono della vita e della morte politica di ognuno.
Qui non c’è niente di nuovo. Mi stupisce solo che gli Americani si aspettino da noi che li prendiamo sul serio e che non ci mettiamo a ridere — o a vomitare — quando ci tengono lezioni sull’esportazione della democrazia. (Beh, buona giornata).

Tradotto da Gianluca Bifolchi, achtungbanditen.splinder.com: [QUI]

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Attualità

Perché la destra italiana sventola la bandiera d’Israele.

“Vogliono fare del rapporto con Israele la testimonianza del loro aver cambiato pelle, perché vengono da una tradizione fascista e antisemita. Quando leggo certi commenti, in cui si polemizza con l’Onu, persino con il Papa, sostenendo che non si può dire che la violenza di Israele sia sproporzionata, trovo in questo un grande cinismo.” D’Alema dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità

Annunziata vs Santoro: chi va per certi mari, certi pesci piglia.

“Non ho visto la trasmissione: diciamo che Lucia Annunziata ha fatto buon uso di un precedente episodio che mi aveva visto protagonista”. Berlusconi dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità Pubblicità e mass media Società e costume

Gratuita la censura, gratuita la polemica.

 E’ stata rifiutata la campagna pubblicitaria dell’Unione degli atei, agnostici, razionalisti su due (!?) autobus urbani di Genova. La concessionaria  ha deciso di non concedere gli spazi comunali per lo slogan “La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno”.

 

Apriti cielo: quelli dell’Unione si sono indiavolati e per tutta risposta hanno chiesto che il Comune di Genova revocasse la concessione alla concessionaria.

E’ vero che campagne simili sono state lanciate a Londra, a Barcellona, a Washington. E’ vero anche che ovunque hanno scatenato polemiche. Poiché  la polemica era appunto l’oggetto della comunicazione della campagna, Unione degli atei ha ottenuto l’effetto desiderato.

 

Con la variante molto più furba di quanto successo a Londra, a Barcellona o a Washington, perché questa è una polemica gratis, ottenuta senza neanche spendere una lira, pardon un euro, per acquistare gli spazi.

 

Ironia della sorte, il tutto è avvenuto a Genova, che lo stereotipo dice essere città abitata da persone parsimoniose (chiedo scusa agli amici genovesi, ma l’occasione era ghiotta, ancorché innocua).  

 

Comunque, questa mi pare proprio la morale della favola: gratuita la censura, gratuita la polemica. Per cui, parafrasando lo slogan, potremmo concludere: “la cattiva notizia è che la campagna non esiste, la buona è che non ne hai più bisogno”. Beh, buona giornata.

 

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

La pubblicità italiana e la carta stampata.

 La notizia è che Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente dell’Upa, l’associazione degli investitori di pubblicità, riferendosi all’analisi proposta da Giovanni Valentini ne “Il sabato del villaggio”, su Repubblica del 10 Gennaio, ha scritto: “Agli editori non posso che prospettare di utilizzare al massimo le loro potenzialità, accelerando la sinergia con la rete e continuando nel buon lavoro fatto fino a ora nell’innovazione dei loro prodotti.” E’ una notizia perché in passato Upa è sembrata essere sempre molto più attenta alla tv che alla stampa.

Fatto sta che è un bene che si torni a parlare di pubblicità e carta stampata. Lo si è fatto recentemente in un convegno a Milano, lo si è letto in questi giorni sui giornali, appunto. E’ un bene perché si mette in discussione, finalmente, un pregiudizio che si è presto trasformato in un preconcetto contro i giornali: l’intrattenimento attira pubblicità più dell’informazione.

E’stato un modo di pensare, da parte del mondo della pubblicità italiana, che ha penalizzato la carta stampata, che non permesso finora un vero sviluppo del web, ma che ha rimpinzato, fino a quasi farla scoppiare la tv. Quando dico scoppiare mi riferisco all’efficacia, o sarebbe meglio dire l’inefficacia del mezzo televisivo, che mostra la corda proprio in tempo di crisi: i consumi crollano nonostante la enorme pressione pubblicitaria televisiva.

La necessità di ampliare a tutta la filiera dei mezzi di comunicazione i messaggi pubblicitari, alleggerendo la pressione sulla tv è una “conditio sine qua non” del ruolo della pubblicità italiana, sul modello di quanto avviene in tutti i mercati occidentali. Bisogna aggiungere che se l’intrattenimento è un “bene voluttuario”, l’informazione è “un bene comune”, un fondamentale della nostra democrazia. La mediazione che i giornali forniscono tutti i giorni tra gli avvenimenti e i significati, vale a dire tra ciò che è successo e ciò che significa, è il ruolo irrinunciabile di ogni paese democratico, che ha il dovere di alimentare l’informazione, corretta e puntuale, perché la democrazia è tale se i cittadini sono consapevoli, aggiornati e partecipati della vita pubblica. Questo dovere e il relativo vantaggio valgono anche per le aziende che spendono soldi in comunicazione commerciale, per informare correttamente i propri clienti attuali e potenziali.

I lettori dei giornali, nonostante ricevano almeno tre copie gratuite di free press e abbiano la possibilità di trovare notizie aggiornate in internet, al cellulare o nei tg televisivi, rinnovano il rito dell’acquisto del quotidiano in edicola“, ha detto recentemente  Ferrucio De Bortoli, direttore de Il Sole 24 ore. A cui ha fatto eco Emanuele Pirella: “I giornali territoriali posseggono autorevolezza e la capacità di essere sulle notizie locali di rilievo per i lettori e di trasformarsi in abili strumenti per la comprensione del mondo. Credo che i quotidiani dovrebbero scimmiottare meno i linguaggi e i modi del web e tornare alla notizia pura, approfondita e autorevole“. Osservazioni pertinenti col problema del rapporto tra la stampa e la pubblicità.

Non ci si può nascondere, tuttavia, quanta diffidenza ci sia su questo punto: i giornalisti non amano la pubblicità, perché la vivono intrusiva del loro lavoro, invadente gli spazi fisici del giornale. Se fanno buon viso a cattivo gioco è solo perché la pubblicità aiuta il giornale a vivere. Insomma, giornalisti e pubblicitari non si amano, va bene se al limite si sopportano. Ha scritto  Giovanni Valentini: “I giornali e i giornalisti sono chiamati a fare la loro parte in questa congiuntura, se vogliono contribuire a salvaguardare i bilanci delle aziende editoriali e insieme la propria professionalità. La svolta del New York Times insegna. Nuove sezioni specializzate, nuovi inserti e supplementi, nuove formule e formati pubblicitari, più in sintonia con le esigenze degli inserzionisti, vanno ideati e proposti al mercato per attrarre maggiori investimenti: oltre alla vendita di uno spazio, insomma, occorre incrementare l’ offerta di un servizio.”

I pubblicitari, dal canto loro hanno a lungo rincorso la tv e attualmente quasi si sentono diminuiti a prendere in mano penna e matita e fare una bella campagna su un quotidiano. Lo diceva recentemente anche Pirella, sottolineando quanto questo atteggiamento sia sbagliato e un poco patetico: “In passato era l’immagine, l’idea, il messaggio scelti dal creativo a fare la differenza in una campagna. Oggi sono i budget, che consentono il ricorso a effetti speciali, a registi famosi ...”.

Quanto ai clienti, cioè agli inserzionisti, essi continuano ad essere persuasi che più spot meno stop alle vendite. “La televisione emoziona, la stampa approfondisce, il web è una opportunità per tutti”, ha scritto Lorenzo Sassoli de Bianchi. Dal quale ci si può permettere di dissentire, non tanto per amor di polemica, quanto per il semplice fatto che è arbitrario attribuire cifre stilistiche ai media. “E’ un fatto assodato che la gente  non legge (o guarda, ndr) la pubblicità, la gente legge (e guarda, ndr) solo quello che le interessa. Qualche volta si tratta di un annuncio pubblicitario”, ha detto una volta Howard Luck Gossage, grande copy writer.

In altri termini, l’esperienza, nonché la pratica ci dice che il consumatore moderno passa senza soluzione di continuità, nell’ arco temporale di una giornata-tipo, dalla tv (la mattina a casa), alla radio (in auto per andare al lavoro), dalle affissioni (che incontra movendosi in città, compresi i mega schermi che cominciano ad essere sempre più numerosi sugli  edifici), ai free press (ai semafori o in metro), dal giornale (che vede la bar durante il caffè, che compra all’edicola, che trova in ufficio), a internet (che ha in ufficio sulla scrivania), da i monitor che sono stati piazzati nelle stazioni ferroviarie e negli aeropori, fino alle news che trova sul telefonino a ogni ora del giorno, fino di nuovo alla tv che ritroverà a casa la sera, rifacendo a ritroso il percorso-tipo, scandito dagli appuntamenti informativi e pubblicitari che ho appena descritto. In questo contesto,  il messaggio pubblicitario non può che essere “neutro” rispetto al mezzo che lo contiene e lo veicola, capace di adattarsi di più alle esigenze di chi il messaggio lo fruisce.

Bisogna essere invece molto d’accordo con Sassoli de Bianchi quando dice: “Noi dell’Upa riteniamo che sia un errore per le aziende sane privarsi di una spinta che ha un obiettivo molto ambizioso: tenere desta la fiducia.” Ma soprattutto, si deve sottoscrivere in pieno quanto aggiunge poco dopo: “E’ vero: i consumi ristagnano e gli investimenti in comunicazione arrancano, ma le aziende sane e le marche hanno il dovere di andare controcorrente.” Sembrerebbe davvero un buon viatico per attraversare la crisi, e uscirne tutti migliori di prima. 

Ridare forza attrattiva alla stampa per la pubblicità significa riscoprire un principio basilare: l’autorevolezza di una testata attribuisce credibilità al messaggio pubblicitario, dunque ristabilisce i fili della fiducia tra marca e consumatore. Contemporaneamente, obbliga il marketing e il creativo a essere all’altezza della reputazione della testata e della sua autorevolezza presso i lettori.

Occorre tuttavia superare vecchi preconcetti e vecchi tabù, anche per consentire alla carta stampata di reggere meglio la concorrenza sempre più aggressiva e invadente della tv che bombarda quotidianamente i telespettatori di spot, mini-spot, telepromozioni e televendite – ha scritto Giovanni Valentini, che aggiunge -Colpisce a questo proposito l’ immediato exploit della tv pubblica in Francia che lunedì scorso, nella sua prima serata senza spot in seguito alla riforma voluta da Sarkozy, ha registrato un boom di tre milioni e centomila spettatori in più.

Qui a quanto pare c’è  il punto della questione: come si fa concretamente a dare più spazio alla pubblicità sulla stampa? In altri termini, come si può passare dalle petizioni di principio ai fatti concreti? Siccome la crisi impone scelte decise,  ecco la headline: depotenziare la tv, riqualificare la stampa.  A tutto vantaggio del resto della filiera della comunicazione commerciale. Infatti, se gli investimenti nella tv rientrano nei parametri di spesa europei, ecco che si libererebbero risorse che andrebbero a tutto vantaggio dell’intera filiera della comunicazione commerciale: dal web al publishing, passando per tutti i veicoli sopra, sotto, accanto e oltre la linea della comunicazione commerciale.

Con il vantaggio che l’idea farebbe la differenza, che la strategia farebbe la differenza, che la qualità e la creatività del messaggio, e non tanto la quantità dei “passaggi tv” farebbero la differenza. Aggiungerei che facendo la differenza  si abbasserebbe di molto il tasso di diffidenza nei media, nelle marche, nei consumi, nella pubblicità. E se ne avvantaggerebbe anche la tv, non solo quella pubblica. Beh, buona giornata.

 

 

 

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Signore e signori, ecco a voi la crisi in tutto il suo splendore./2.

Il Pil italiano crollerà del 2% nel 2009 prima di risalire di appena lo 0,5% nel 2010. La previsione è della Banca d’Italia che segnala anche come “la dinamica del prodotto potrebbe essere ancora più negativa se prendessero corpo i rischi di un ulteriore indebolimento dell’economia mondiale”. Dal Bollettino economico di via Nazionale emerge un quadro a tinte fosche: la recessione è destinata ad approfondirsi e prolungarsi. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Società e costume

Social card: bidonati 200 mila nonni. Dal governo.

di ANTONELLO CAPORALE da repubblica.it

Si dice: morire di vergogna. “Avevo il Dixan in mano, anche una confezione di orzo e una scatola di tonno ma mi è venuto un presentimento: vuoi vedere che non funziona? Allora ho preso la tessera e ho chiesto alla commessa di digitare i numeri, io non vedo bene. Non era stata caricata. Avevo i soldi stretti nell’altra mano, già tutti contati, e glieli ho dati e così è finita. Non l’ho più usata”. Maria Pia, 67 anni, è fuggita via dal supermercato di Viareggio rossa in viso, e meno male che non c’era nessuno in fila. Comunque in quel supermercato non ci tornerà più.

La tessera di Tremonti è di un bel azzurro sereno. Come il cielo di Forza Italia, quello di una volta. Un tricolore ondulato la attraversa da sinistra a destra e sembra la scia delle mitiche frecce. “E’ anonima naturalmente per non creare imbarazzo”, commentò Silvio Berlusconi il giorno dell’inaugurazione della campagna dei 40 euro mensili ai bisognosi d’Italia.

Anonima. Infatti ieri, supermercato Sma di Roma, commessa indaffarata alla cassa, signore anziano in fila: “Ha per caso la social card?”. Il no è asciutto e risentito. “Scusi, ma era per capire come pagava”.
Lusy Montemarian non ha pagato, anzi è scoppiata in un pianto dirotto quando le hanno comunicato, come fa il medico alla famiglia del congiunto morente, che non ce l’aveva fatta. Un pianto raccolto da una microtelecamera di “Mi manda Raitre” e unito ad altri pietosi casi. Un mattone sull’altro, e un altro ancora. Alla fine si edifica questo incredibile muro della vergogna che attraversa la penisola e la trafigge senza colpa.

La Social Card, il circuito Mastercard. Protagonisti di una favola. Una strisciata e via. La pensionata indigente che alla cassa del panificio, come la donna chic di via Condotti, apre il borsello, non tocca i soldi sporchi, ma sfila la carta di credito. Un secondo magnetico. Se la carta è piena. Se è vuota – e lo sono un terzo delle circa 500 mila distribuite – la pensionata deve restituire il pane e ritirare l’umiliazione pubblica.

Era il 19 giugno, era estate, e il ministro Giulio Tremonti annunciava una vecchia novità: la carta di credito per i poveri. Vecchia perché l’aveva pensata Vincenzo Visco, nell’arcaico ’97: sconti sulla spesa, sugli affitti, sui beni di prima necessità. Vecchia perché l’aveva apprezzata Ermanno Gorrieri, comandate partigiano, fondatore del movimento Cristiano Sociali. Gorrieri è morto nel 2004. Nel 2008 è Tremonti a presenziare e presentare la svolta: una manovrina da 450 milioni di euro, 200 coperti dall’Eni, 50 dall’Enel, altri dalla Robin Tax. Togliere ai ricchi, dare ai poveri: 40 euro al mese, 80 euro accreditati ogni due mesi. Per un anno intero. Quattro mesi di annunci, di serrata organizzazione. Pronti. Si parte il primo dicembre. Attenzione: chi conserva 15 mila euro, in banca o alla posta, pensionato o disoccupato, non ha diritto alla carta di credito dello Stato.

Sono in 520 mila a dicembre a chiedere la social card, pensionati con reddito dai 6 mila euro agli 8 mila, coppie di anziani, famiglie con figli a carico, non oltre i tre anni però. Con una sola casa di proprietà, un’automobile e un’utenza elettrica attiva. In fila, per ore, davanti ai 9 mila uffici postali. Perché chi completava le pratiche entro il 31 dicembre, aveva diritto a 120 euro (ottobre, novembre e appunto dicembre) di partenza. Una corsa verso il nulla. Perché il 30 dicembre, con ottimismo natalizio, l’Inps – che doveva accertare il reddito – dichiarava di aver ricaricato 330 mila tessere. Le altre erano vuote.

Migliaia di italiani si sono ritrovati in mano una patacca. Una carta azzurra, di plastica, con il retro magnetico, il numero, il logo giallo e rosso della Mastercard. Belle, eccome. E di valore: si stima costi almeno 50 centesimi l’una, più 1 euro per la ricarica bimestrale, più il 2 per cento per le spese del circuito bancario. Uno scherzetto da 8 milioni e 500mila di euro, a pieno regime. Una lotteria per il mezzo milione di italiani che, soltanto alla cassa e davanti al commesso, saprà se la sua carta annonaria è buona oppure è uno scherzo del destino, se può permettere di fare la spese oppure di annunciare la propria povertà a tutti.

Duecentomila tessere vagano scoperte di tasca in tasca, sospese o respinte. Duecentomila italiani, forse di più, le possiedono senza poterle utilizzare. Alcuni (pochi) lo sanno. Altri, molti altri, che non sanno, vanno incontro alla sciagura.

Ci vuole del metodo per ideare una così lunga e inutile fatica. Prima fila: farsi certificare la povertà, la disgrazia assoluta. Seimila euro all’anno. In fila, naturalmente per vedersi attestata dal patronato la sospirata povertà. Poi l’Inps, le Poste, sempre in fila, sempre allo stesso modo. Infine, coraggio, andare al supermercato ed esibirla questa maledetta povertà. E poi, duecentomila volte finora, vederla svergognata: “La tessera non è carica”. Ma ha letto bene?

Per la social card un poveretto di Catania è ricoverato (coma farmacologico) in ospedale a seguito di furiosa lite, recita un dispaccio dell’Ansa del 3 gennaio scorso, generata “dalla discussione per l’ottenimento della social card”. Giovanni Spatola, imbianchino di 47 anni, si è costituito ai carabinieri confessando di aver fracassato il cranio del conoscente con una chiave inglese. Chi dei due doveva ottenere la social card? A Verona boom di ritiri. Il dato, riferisce la direzione delle Poste, è connesso alla presenza nel luogo di molti istituti religiosi. Trecento tra suore e frati si sono presentati all’incasso. Nullatenenti. Perciò potevano. A Castelletto di Brenzone, minuscolo villaggio sul lago di Garda, ne sono state elargite più di cinquanta. Come mai? Lì ha sede l’istituto delle piccole suore della Sacra Famiglia. Amen.

“Disagi e umiliazioni di ogni genere. Accreditategli questi benedetti quaranta euro sulle pensioni, così risparmierete dei soldi anche voi”, ha consigliato Pierluigi Bersani ieri alla Camera al ministro dell’Economia. “E’ la truffa del secolo, un flop, il più grande bluff tremontiano”, dice Franco Laratta, il deputato calabrese del Partito democratico mentre raccoglie le firme per un’interpellanza urgente sulla precoce agonia di questa tesserina azzurrissima, molto patriottica con quel fascio tricolore. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Signore e signori, ecco a voi la crisi in tutto il suo splendore.

Nel 2009 ci saranno 1,9 milioni di disoccupati, un picco massimo rispetto a poco più di 1,5 mln nella media del 2007. Sono le nuove stime dell’Ufficio studi di Confcommercio, che prevede dunque per il 2009 e il 2010 un incremento inferiore all’8%.

Come se non bastasse, se il dato dovesse però superare la soglia dell’8%, questo “implicherebbe una riduzione del reddito disponibile reale che impatterebbe sui consumi e questo potrebbe indurre a rivedere al ribasso le previsioni”.

Come è noto, la pubblicità è l’anima del commercio, ma in Italia la pubblicità è nel comparto del commercio. Beh, buona giornata.

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Attualità

“Non si vede proprio come Berlusconi abbia la possibilità di onorare le promesse.”

Cambio di stagione.
di LUCA RICOLFI da lastampa.it
Ha fatto un certo scalpore la notizia, peraltro ampiamente prevedibile e prevista, che per il 2009 pagheremo ancora più tasse che per il 2008. Secondo il Corriere Economia il cosiddetto «Tax freedom day» – ossia il giorno di liberazione dalle tasse, in cui finalmente cominciamo a lavorare per noi stessi anziché per lo Stato – si è spostato di altri 2 giorni in avanti: quest’anno dovremo aspettare fino al 23 giugno, un vero record (dall’Unità d’Italia a oggi solo il governo D’Alema, nel 2000, riuscì a fare peggio). Né possiamo consolarci pensando che le cose siano destinate presto a cambiare: anche per i restanti anni della legislatura il Dpef prevede una pressione fiscale costante, attestata intorno al 43%, nonostante il programma elettorale del centro-destra confidasse in un calo della pressione fiscale di almeno 3 punti di Pil, dal 43% al 40%.

Qualcuno, come Alberto Mingardi sul Riformista, interpreta questo ennesimo raffreddamento dell’anima liberale del centro-destra come la conferma definitiva della fine di una stagione, la stagione iniziata nel 1994 con Berlusconi leader di una destra anti-fiscale, campione della società contro lo Stato, dell’individuo contro la burocrazia degli apparati. Rispetto alla coppia libertà-sicurezza, il centro-destra attuale penderebbe sempre di più verso la sicurezza, l’ordine, la tradizione. Forse è così, ma quel che è interessante è che i risultati non si vedono nemmeno lì.

Naturalmente non è colpa di un governo appena insediato se gli sbarchi raddoppiano, la criminalità è ai massimi storici (superata solo dal picco post-indulto del 2007), l’affollamento delle carceri è tornato a livelli drammatici, gli stessi – circa 60 mila detenuti per 43 mila posti – che nel 2006 indussero il povero Prodi a promulgare l’indulto. Però è difficile sfuggire all’impressione che il governo non sappia come gestire la situazione, nonostante l’impegno di Maroni: i posti nelle carceri sono sempre quelli, quelli nei Cpt – paradossalmente – sono destinati a diminuire proprio a causa dell’aumento dei tempi di permanenza (se un clandestino viene trattenuto 10 mesi anziché 2, la capacità di accoglienza si riduce proporzionalmente). Nel programma si parlava di «costruzione di nuove carceri», «aumento delle risorse per la giustizia», «garanzia della certezza della pena», tutto fa pensare invece che nel 2009 il governo sarà costretto a nuovi provvedimenti di emergenza, presumibilmente destinati a scattare l’estate prossima, quando le presenze in carcere (e forse anche nei Cpt, ora ridenominati Cie) toccheranno livelli insostenibili.

Ma non è tutto. I cavalli di battaglia elettorali del centro-destra non erano solo la riduzione delle tasse e la lotta a criminalità e immigrazione irregolare. C’era anche un terzo cavallo di battaglia, che stava particolarmente a cuore alla Lega e all’elettorato «padano»: l’adozione da parte del Parlamento nazionale della proposta di legge sul federalismo fiscale della Regione Lombardia (votata il 19 giugno 2007). Pure questo cavallo è nel frattempo caduto, anche se pochi se ne sono accorti: la «bozza Calderoli», che ha sostituito la proposta lombarda, è un drammatico passo indietro rispetto al progetto originario, e infatti ha ottenuto il consenso di tutte le forze che in origine si opponevano al federalismo, soprattutto governatori del Mezzogiorno e importanti settori della sinistra. Per non parlare dei recenti ripianamenti dei deficit di Catania, di Roma, della sanità laziale, o della costosissima conclusione di vicende come Alitalia e Malpensa. È grazie a questo genere di passaggi che il federalismo, che in origine era un’opportunità per diminuire la spesa e le tasse, ha oggi molte più probabilità di aumentarle entrambe.

Uno-due-tre: meno tasse, più sicurezza, federalismo «lombardo». Su queste tre cose, a mio giudizio le più qualificanti (anche se non necessariamente le più condivisibili) del programma di centro-destra, non si vede proprio come Berlusconi abbia la possibilità di onorare le promesse. Ciononostante il consenso a Berlusconi resta molto alto, anche se da qualche tempo in calo. Perché? Per due ragioni almeno. La prima è ovvia: il tradimento del programma per ora è evidente solo sul versante delle tasse, e in questo momento – con la recessione economica incombente – la gente chiede più protezione, non più libertà. I guai veri verranno se e quando esploderà il problema delle carceri e il federalismo, nonostante l’uscita dalla recessione, si mostrerà incapace di ridurre davvero le tasse e la spesa.

Ma la ragione più importante del perdurante consenso del centro-destra è un’altra: il Pdl non ha seri nemici a destra, esattamente come il Pci non ne aveva (e non ne tollerava) a sinistra. È questa la ragione politica per cui i fallimenti del governo non si traducono in consenso all’opposizione: federalismo vero, meno tasse, linea dura su criminalità e immigrazione sono «missioni» che interessano una parte considerevole dell’elettorato, ma non le forze di opposizione, che semmai considerano positivo il fatto che il centro-destra stia annacquando il suo programma. Gridare alle tasse troppo alte, alla pericolosità delle città, al pasticcio federalista non è congeniale a un’opposizione che pensa che le tasse siano «bellissime», gli immigrati «buonissimi», e il federalismo rischiosissimo a meno che noi illuminati lo rendiamo «equo e solidale». Insomma, il curioso della situazione è che il centro-destra sta abbandonando le sue bandiere, ma non c’è nessuno che abbia la voglia o la possibilità di raccoglierle. Per questo, almeno per ora, Berlusconi può dormire sonni tranquilli. Un po’ meno gli elettori che lo hanno votato sperando che, questa volta, avrebbe mantenuto le promesse. (Beh, buona giornata).

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Attualità Popoli e politiche

Piombo Fuso: “Noi obiettori di coscienza siamo una esigua minoranza.”

«Combattere nella Striscia è insensato»
FRANCESCA PACI
INVIATA A TELAVIV da lastampa.it
Noam sa come i connazionali considerano quelli tipo lui. Ha già ricevuto decine di email anonime: «vigliacco», «traditore», «amico dei terroristi». Non se ne cura. Domenica 4 gennaio, il giorno dopo essere stato richiamato tra le fila dei riservisti, ha detto no. Noam Livne, 34 anni, dottorando in matematica al Weizmann Institute di Rehovot, è uno dei 9 refusenik che hanno rifiutato la divisa per l’operazione Piombo Fuso. «Sono andato alla base e ho spiegato al comandante che non avrei combattuto a Gaza per ragioni morali» racconta seduto a un tavolino del caffè Mersand, nel cuore di Tel Aviv. Fuori, al di là della vetrina che sembra dipinta da Hopper, ragazzi della sua età si dirigono verso la spiaggia per l’aperitivo nei locali affacciati sul mare, lo stesso di Gaza, il fronte distante meno di 100 chilometri.

Quali sono le ragioni morali di cui ha parlato al suo comandante?
«Questa guerra non serve. Non sono un disfattista, sono stato nell’esercito quattro anni, tre di leva e uno da ufficiale. Ho anche servito come riservista ma solo all’interno della linea verde, i confini del ’67. Nei territori palestinesi occupati non andrò mai, me ne sono convinto mentre ero in prigione».

Quando è stato in prigione?
«Nel gennaio 2002. C’era la seconda Intifada e io rifiutai di andare con le truppe a Nablus. Sono stato dentro tre settimane, ho letto molti libri e sono uscito ancora più convinto di non voler partecipare a un conflitto sbagliato e ingiusto. Quando decidi da che parte stare è facile, anche se gli altri non capiscono».

Che libri ha letto?
«Ne ricordo uno in particolare, La storia di Elsa Morante, mi ha influenzato tanto e mi ha dato forza».

L’80 per cento degli israeliani continua a sostenere la guerra. Non si sente isolato?
«Non sono del tutto solo per fortuna, ma noi obiettori di coscienza siamo una esigua minoranza. In questo Paese c’è un sistematico indottrinamento nazionalista, è difficile differenziarsi. Anche i palestinesi raccontano la loro storia parziale, e questo non aiuta. Io provo a capire la cronaca scartando il filtro della narrativa israeliana e di quella palestinese. E’ un lavoro da umanista, i nostri e i loro morti, come i nostri e i loro feriti, sono la stessa cosa».

Il governo israeliano dice che è stato Hamas a rompere la tregua.
«Hamas è diventato la giustificazione per qualsiasi tipo di reazione. Anche io odio Hamas, un partito di terroristi. Ma non riesco a essere felice se muoiono mille palestinesi».

Ha fiducia nella politica?
«Voto, sia pur senza grande entusiasmo. Il problema non sono i politici, anche se attribuisco gravi responsabilità al ministro della difesa Barak. Dopo il fallimento di Camp David Barak ha convinto il Paese che i palestinesi non fossero un partner possibile. In generale però, i politici sono l’espressione degli elettori e gli elettori qui non sono pronti alla pace».

Cosa farebbe se fosse nominato premier?
«A differenza dei guerrafondai, convinti che le armi siano la risposta, io non ne ho una. La situazione è difficile. La pace è difficile. E’ vero che i palestinesi capiscono meglio il linguaggio della violenza, ma anche noi israeliani. Entrambi ci rappresentiamo come mostri, un popolo di terroristi e un popolo di guerrieri assatanati. Non sono ottimista e non ho una soluzione, ma ho una direzione. Se fossi premier appoggerei l’iniziativa araba, spingerei perchè noi ebrei ci integrassimo nella regione, costruirei il confine sulla linea del ’67, senza aggiustamenti».

Il ragazzo che l’ha preceduto nel rifiutare di servire a Gaza è stato condannato a due settimane di prigione. Lei?
«Non hanno deciso, il comandante ha detto che avrebbero pensato a cosa fare di me. Forse mi processeranno».

Hamas potrebbe accettare la tregua. Cosa crede che accadrà?
«Un proverbio ebraico dice che la profezia è materia da stupidi».

(Beh, buona giornata)

 

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Attualità Popoli e politiche

Gaza: “Con un pronto soccorso in cui arrivano cinquanta feriti alla volta sarebbe in difficoltà anche il migliore ospedale di Oslo”. La testimonianza dei medici Mads Gilbert ed Erik Fosse.

di Sophie Shihab – Le Monde (da megachip.info)

La testimonianza dei medici Mads Gilbert ed Erik Fosse

Dall’inviata speciale Sophie Shihab ad Al-Arish, Egitto – In questi ultimi giorni le televisioni arabe che trasmettono da Gaza hanno mostrato dei feriti di tipo nuovo – adulti e bambini le cui gambe erano ridotte a resti carbonizzati e insanguinati. Domenica 11 gennaio ne hanno dato testimonianza due medici norvegesi, unici occidentali presenti nell’ospedale della città.

I dottori Mads Gilbert ed Erik Fosse, che operano nella regione da una ventina d’anni con l’organizzazione non governativa (ONG) norvegese Norwac, hanno potuto lasciare il territorio il giorno prima, con quindici feriti gravi, attraverso il confine con l’Egitto. Non senza ostacoli fino all’ultimo: “Tre giorni fa il nostro convoglio, peraltro guidato dal Comitato internazionale della Croce Rossa, ha dovuto fare dietro front prima di arrivare a Khan Younis, dove dei carri armati ci hanno sparato addosso per fermarci”, hanno detto ai giornalisti presenti ad Al-Arish.

Due giorni dopo il convoglio è passato, ma i medici e l’ambasciatore norvegese venuto ad accoglierli sono rimasti bloccati tutta la notte “per motivi burocratici” all’interno del terminal egiziano di Rafah, aperto esclusivamente per le missioni sanitarie. Quella notte i vetri di alcune finestre e un soffitto del terminal sono stati distrutti dall’onda d’urto di una delle bombe sganciate nelle vicinanze.

“A 2 metri il corpo è troncato in due; a 8 metri le gambe sono tagliate, bruciate”
“All’ospedale Al-Shifa di Gaza non abbiamo visto ustioni da fosforo né lesioni da bombe a grappolo. Ma abbiamo visto delle vittime di ciò che abbiamo tutti i motivi di pensare sia il nuovo tipo d’arma sperimentato dall’esercito americano e noto con l’acronimo DIME – cioè Dense Inert Metal Explosive”, hanno dichiarato i medici.

Si tratta di piccole sfere di carbonio contenenti una lega di tungsteno, cobalto, nichel o ferro, con un enorme potere esplosivo che si dissipa però nel raggio di 10 metri. “A 2 metri il corpo è troncato in due; a 8 metri le gambe sono tagliate e bruciate come da migliaia di punture d’ago. Non abbiamo visto i corpi sezionati, ma abbiamo visto molti amputati. C’erano stati casi simili nel sud del Libano nel 2006 e abbiamo visto la stessa cosa a Gaza sempre nel 2006, durante l’operazione israeliana “Pioggia d’estate”. Degli esperimenti sui topi di laboratorio hanno mostrato che queste particelle che restano nel corpo sono cancerogene”, hanno spiegato.

Un medico palestinese intervistato domenica da Al-Jazeera ha parlato della sua impotenza in questi casi: “Non hanno alcuna traccia di metallo in corpo, ma strane emorragie interne. Una sostanza brucia i loro vasi sanguigni e provoca la morte, non possiamo fare nulla”. Secondo la prima équipe di medici arabi autorizzata a entrare nel territorio, giunta venerdì da sud all’ospedale di Khan Younis, quest’ultimo ha accolto “decine” di casi di questo tipo.

I medici norvegesi, da parte loro, si sono trovati costretti – hanno detto – a testimoniare ciò che hanno visto, in assenza a Gaza di ogni altro rappresentante del “mondo occidentale”, medico o giornalista che fosse: “Può essere che questa guerra sia il laboratorio dei fabbricanti di morte? Può essere che nel XXI secolo si possano imprigionare 1,5 milioni di persone e far loro tutto ciò che si vuole chiamandoli terroristi?”

Giunti a quattro giorni dall’inizio della guerra all’ospedale Al-Shifa, che hanno conosciuto prima e dopo l’assedio, hanno trovato un edificio e delle attrezzature “allo stremo”, un personale spossato, moribondi ovunque. Il materiale che avevano preparato è rimasto bloccato al valico di Erez.

“Con un pronto soccorso in cui arrivano cinquanta feriti alla volta sarebbe in difficoltà anche il migliore ospedale di Oslo”, raccontano. “Qui le bombe potevano uccidere dieci persone al minuto. I vetri delle finestre dell’ospedale sono andati a pezzi con l’esplosione che ha distrutto la vicina moschea. Durante alcuni allarmi il personale ha dovuto rifugiarsi nei corridoi. Il loro coraggio è incredibile. Possono dormire da due a tre ore al giorno. La maggior parte ha subito perdite tra i propri cari, alla radio interna ascoltano la litania dei nuovi luoghi attaccati e a volte capita che i loro familiari si trovino proprio lì, ma devono continuare a lavorare… La mattina della nostra partenza, al pronto soccorso, ho chiesto come era andata la notte. Un’infermiera ha sorriso. Poi è scoppiata a piangere”.

A questo punto del racconto la voce del dottor Gilbert vacilla. “Vede”, si riprende sorridendo tranquillo, “Anch’io…”
(Beh, buona giornata).
 

Leggere anche “Questa è una guerra totale contro la popolazione civile palestinese”, due interviste del Dottor Gilbert

Originale: Des médecins évoquent l’usage “d’un nouveau type d’arme” à Gaza

Mads Gilbert ed Erik Fosse

Articolo originale pubblicato il 12/1/2009

L’autore

Manuela Vittorelli è membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l’integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.

URL di questo articolo su Tlaxcala: http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=6806&lg=it

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Attualità Popoli e politiche

” L’esercito israeliano sa benissimo dove trovarmi anche stanotte: sto sopra le ambulanze dell’ospedale Al Quds in Gaza city.”

di Vittorio Arrigoni, Gaza City – il Manifesto, da megachip.info

Dal mare non più i suoi generosi frutti, nulla dell’amore per i suoi flutti che rispecchiano il cielo, solo la morte portata in dote da navi da guerra che arano il suo spettro liquido. Del mare proviamo a fare ancora corridoio salvifico, una breccia su questa terra martoriata, confiscata e imprigionata, stuprata in ogni suo palmo, ridotta ad un cimitero per salme che non trovano riposo. Da qualche giorno anche i funerali sono diventati target di attacchi dell’aereonautica israliana, come se i palestinesi uccisi meritassero un’ulteriore punizione anche da morti.

Se un corridoio umanitario stenta a schiudersi per venire in soccorso a una popolazione ridotta allo stremo delle forze, ci penserà la Spirit of humanity, una delle nostre barche targata Free Gaza Movement. Salpata ieri da Larnaca, Cipro, cercherà di condurre sino al porto di Gaza oltre a tonnellate di medicinali una quarantina fra dottori, infermieri, giornalisti, parlamentari europei, attivisti per i diritti umani, rappresentanti di 17 diverse nazioni.
Esseri veramenti umani, come me, come i tanti in Italia che mi testimoniano la loro indignazione, disposti a rischiare la vita piuttosto che continuare a restare seduti e ignavi nel salotto buono di casa, dinnanzi ad un televisore che rimanda solo una minima parte del massacro che ci sta affliggendo.

Il 27 dicembre i miei amici ci provarono con la Dignity, furono attaccati dalla marina israeliana che tentò di affondarli, lanciato l’Sos dovettero rifugiare in Libano coi motori in avaria e una falla nello scafo. Per puro caso non ci furono feriti gravi in quell’occasione, ci auguriamo che oggi siano rispettate le loro vite e i diritti umani. Ci sono terribili catastrofi naturali a questo mondo, come terremoti e uragani, inevitabili. A Gaza è in corso una catastrofe umanitaria innaturale perpetrata da Israele ai danni di un popolo che vorrebbe ridotto alla più completa miseria, sottomissione.

Una popolazione disperata che non trova più il pane e il latte per nutrire i suoi figli. Che non piange neanche più i suoi lutti perché anche agli occhi è stata imposta una ferrea dieta. Il mondo intero non può ignorare questa tragedia, e se lo fa, non includeteci in questo mondo. Ogni giorno invochiamo forze che governano sopra di noi affinché fermino questo genocidio in corso, per questa mattina chiediamo solo che la nostra piccola imbarcazione approdi a Gaza con il suo carico di compassione, pace, amore, empatia, che a tutti i palestinesi siano concessi gli stessi diritti di cui godono gli israeliani, e qualsiasi altro popolo del pianeta. Il mare come ancora di speranza, il mare come meta di distruzione.

Secondo l’agenzia di stampa Ma’an, e la Reuters conferma, gli Stati Uniti stanno per rifornire di 300 tonnellate di armi Israele, tramite due navi cargo in partenza dalla Grecia. Armi e una grande quantità di esplosivo e detonatori, tutto il necessario per spianare la Striscia da migliaia delle sue abitazioni.
Sono già 120 mila gli sfollati da Gaza a Jabalia, ma i più, compresi diversi miei amici non si sono mossi, non sanno dove rifugiarsi. Giornalisti, dottori e becchini. Sono le professioni che lavorano di più qui a Gaza, senza sosta ormai da 16 giorni. Gli avvoltoi, oltre i caccia bombardieri, preoccupano e fomentano disprezzo, specie quelli che fino a ieri sedevano sulla stessa sedia del compianto Arafat, e ora anelano a venire a riprendersi il trono sulle ceneri di quel che di Gaza sarà.

Siamo giunti a 923 vittime, 4150 i feriti, 255 i bambini palestinesi orribilmente trucidati. Il computo delle vittime civile israeliane, fortunatamente, è fermo a quota 4. Gira voce che Olmert avrebbe fatto sapere ai suoi che il raggiungimento di 1000 vittime civili è il termine ultimo per arrestare questa brutale offensiva infanticida. Un po’ come succede alla Vucciria di Palermo, dove i quarti di manzo goccialano sangue all’aperto, e si contratta la carne un tanto al chilo.

Le apparizioni di Ismail Haniyeh sullo schermo sono seguitissime dai palestinesi della Striscia. Non si può parlare di tregua senza contemporaneamente prefissare una fine dell’assedio. Continuare ad assediare una Gaza ridotta in macerie, non permettere il confluire di viveri e medicinali, impedire la fuoriuscita di malati e di feriti, significa condannarla a una più lunga agonia. Questo il sunto delle parole del leader di Hamas, pronunciate stasera da un bunker chissa dove sottoterra, che fanno breccia nell’opinione pubblica gazawi. Il discorso di un leader che avrebbe potuto fuggire a ripararsi altrove, e invece è rimasto qui a prendersi le bombe in testa come chiunque altro.

Questo mie prose odierne sono state troncate sul nascere dalla solita telefonata intimidatoria che ordina l’evocuazione prima di un bombardamento. Mi trovo nel palazzo dove risiedono i principali media internazionali, fra gli altri, Al Jazeera, Ramattan e Reuters. Abbiamo dovuto staccare i pc dalle pareti, precipitarci giù per le scale e riversarci in strada, dove con gli occhi incollati al cielo cerchiamo di scorgere da dove giungerà il fulmine distruttivo.

Questa notte non ci saranno telecamere e reporter a documentare il massacro di civili, aleggia il fondato sospetto che le vittime innocenti saranno più del solito. Ancora per strada fisso Alberto e gli strizzo un occhio, si avvicina e gli sussurrò in un orecchio se ritiene plausibile che la telefonata intimidatoria sia stato un segnale per noi due soli, dopo la scoperta di un sito statunitense che ci ha messo una taglia sulla testa: «Allertare i militari dell’Idf per colpire l’Ism. Numero da chiamare se localizzate i covi di Hamas con i membri dell’Ism. Dall’America chiamate 011-972-2-5839749. Da altri paesi non digitare lo 011. Aiutateci a neutralizzare l’Ism, che è ormai parte integrante di Hamas sin dall’inizio della guerra. Bersaglio Ism n°1 per le forze aeree israeliane e truppe di terra dell’idf: invito all’omicidio di Vittorio Arrigoni (foto sotto, ndr) che attualmente assiste Hamas a Gaza». Dal sito www.stoptheism.com.

Non prendetevi la briga di visitarlo né tantomeno di linkarlo ai vostri siti. È una testimonianza sociologica da tramandare ai posteri. Analizzando questi tempi, il futuro pronuncerà la sua sentenza inappellabile, di come l’odio fosse il sentimento più puro, e il livore verso il diverso muovesse eserciti e fosse il collante di intere masse di uomini,
Non è necessario che i miei detrattori e chi mi vorrebbe martire compongano quel numero, l’esercito israeliano sa benissimo dove trovarmi anche stanotte: sto sopra le ambulanze dell’ospedale Al Quds in Gaza city. Restiamo umani.  (Beh, buona giornata).

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Attualità Popoli e politiche

Chi è il ministro degli Esteri in Italia?

Melhem Mistou, ambasciatore del Libano e decano degli ambasciatori della Lega araba a Roma, scrive a D’Alema di avere “il piacere di esprimerle a nome degli ambasciatori arabi in Italia pieno apprezzamento per le posizioni che Sua Eccellenza ha espresso e mantenuto sin dall’inizio dell’ultima gravissima crisi che ancora oggi insanguina la striscia di Gaza”.

A nome dei suoi colleghi, l’ambasciatore del Libano chiude la lettera ringraziando D’Alema “per il suo infaticabile impegno alla ricerca del dialogo e di una pace possibile”.

E’  l’ambasciatore  Melhem Mistuo che non sa che D’Alema non è più il ministro degli Esteri italiano o è Franco Frattini che non sa di essere il ministro degli Esteri  in carica?  Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

C’era una volta l’ottimismo del premier.

Secondo i dati Istat, la produzione industriale italiana è crollata a novembre 2008. L’indice, segnala l’Istat, ha registrato una diminuzione di -12,3% su base annua e di -3,6% nel confronto sui primi undici mesi. Il calo su base mensile è pari a – 2,3%. Il mercato dell’auto è andato a -46%. Negli stessi giorni di novembre 2008, in un comizio elettorale a Teramo per le elezioni in Abruzzo, Berlusconi disse:“Io dico ai cittadini: solo voi potete, non cambiando le vostre abitudini di vita e il vostro stile di acquisti, evitare che si precipiti in una crisi reale”. Eravamo già nella merda fino al collo, perché fare l’onda? Beh, buona giornata.

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Attualità Salute e benessere Società e costume

Quando è “la capa che non è bùona”.

Secondo eminenti scienziati, noi uomini, nel senso di genere umano,  non possiamo rievocare un ricordo e apprendere cose nuove contemporaneamente: il nostro cervello è dotato di una ‘leva di scambio’ tra i due binari di apprendimento e memoria, che spegne le funzioni della memoria e accende quelle dell’apprendimento o viceversa.

 

Pubblicata sulla rivista PLoS Biology, la scoperta è di Sander Daselaar dell’Università di Amsterdam e Roberto Cabeza della Duke University, che sospettavano da tempo che nel nostro cervello due funzioni importanti come apprendimento e memoria non possono attivarsi contemporaneamente, ovvero se siamo presi dal richiamare alla memoria un fatto, difficilmente in quello stesso istante potremo incamerare nella memoria un fatto nuovo di zecca.

I ricercatori hanno monitorato il cervello di un gruppo di giovani con la risonanza magnetica funzionale mentre i volontari erano alle prese con un gioco, in cui dovevano imparare delle parole e contemporaneamente ricordare immagini.

E’ emerso prima di tutto che le due attività svolte insieme mandano ‘in tilt’ il cervello che non si mostra capace di portarle a termine contemporaneamente. E poi si è anche visto che quando si passa dalla ‘modalità  apprendimento’ a quella memoria, o viceversa, si attiva una regione della parte frontale sinistra del cervello, una ‘leva di scambio’ che gli permette di passare rapidamente dalla funzione memoria a quella apprendimento e viceversa.

Conosco un sacco di gente che deve avere un guasto alla leva di scambio: cerca di capire qualcosa quando invece dovrebbe ricordare, cerca di ricordare quando invece dovrebbe capire. Sono quelli che scambiano il passato col futuro, e vivono il presente in perenne tilt. Ne è piena la politica, la televisione e, ahinoi, la pubblicità. Beh, buona giornata.

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Attualità Popoli e politiche

Gaza: “Dobbiamo stare attenti a non ricorrere a strumenti che possano rafforzare una delle parti, e consolidare l’idea secondo cui non siamo capaci di un approccio equilibrato”. Dedicato al ministro degli esteri italiano.

Secondo il commissario europeo per lo Sviluppo e gli Aiuti Umanitari, il belga Louis Michel, con la sua offensiva nella Striscia di Gaza “Israele non sta rispettando le norme del diritto internazionale umanitario”, e di cio’ ci sono prove “sulle quali concordano gli esperti”.

Lo denuncia lo stesso euro-commissario in un’intervista rilasciata al quotidiano ‘La Libre Belgique’. “Il primo obbligo di una Potenza occupante consiste nel rispettare le vite degli abitanti, nel proteggere la popolazione, nel garantire il nutrimento e nel prendersene cura”, puntualizza Michel.

“Nel caso specifico cio’ palesemente non avviene, e io non posso accettarlo. Quando poi una cosa del genere viene da una democrazia, accettarla diventa ancora piu’ difficile”.

Sul giornale il commissario allo Sviluppo sembra poi prendere le distanze dalla decisione dell’Unione Europea, il mese scorso, d’intensificare i rapporti con lo Stato ebraico. “Dobbiamo stare attenti a non ricorrere a strumenti che possano rafforzare una delle parti, e consolidare l’idea secondo cui non siamo capaci di un approccio equilibrato”, avverte infatti Michel.

Secondo il commissario europeo per lo Sviluppo e gli Aiuti Umanitari, il belga Louis Michel, con la sua offensiva nella Striscia di Gaza “Israele non sta rispettando le norme del diritto internazionale umanitario”, e di cio’ ci sono prove “sulle quali concordano gli esperti”. Lo denuncia lo stesso euro-commissario in un’intervista rilasciata al quotidiano ‘La Libre Belgique’.

“Il primo obbligo di una Potenza occupante consiste nel rispettare le vite degli abitanti, nel proteggere la popolazione, nel garantire il nutrimento e nel prendersene cura”, puntualizza Michel. “Nel caso specifico cio’ palesemente non avviene, e io non posso accettarlo. Quando poi una cosa del genere viene da una democrazia, accettarla diventa ancora piu’ difficile”.

Sul giornale il commissario allo Sviluppo sembra poi prendere le distanze dalla decisione dell’Unione Europea, il mese scorso, d’intensificare i rapporti con lo Stato ebraico. “Dobbiamo stare attenti a non ricorrere a strumenti che possano rafforzare una delle parti, e consolidare l’idea secondo cui non siamo capaci di un approccio equilibrato”, avverte infatti Michel. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Leggi e diritto

Alitalia: anche con un poco di zucchero la pillola non va giù.

Dice Bonaiuti, il ventriloquo di Berlusconi:
“Con il centrosinistra, Air France si sarebbe presa tutta l’Alitalia, ora solo una quota. E’ stato rispettato l’assunto fondamentale, è cioè l’italianità è stata mantenuta”. Lo afferma Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ai microfoni di Rainews 24.

 

Scrive Le Figaro:

Air France domina i cieli europei”, è il grande titolo in prima pagina di Le Figaro questa mattina. Il quotidiano francese celebra l’acquisizione del 25% di Alitalia e il fatto che, “con 99 milioni di passeggeri trasportati ogni anno nel mondo, la compagnia francese supera i suoi concorrenti British Airways e Lufthansa”.

Dice Gasparri, altro ventriloquo di Berlusconi:

“Mi auguro che senso di responsabilità e soprattutto fiducia nella nuova compagnia prevalgano presto sull’incoscienza di alcuni agitatori che oggi, limitando i servizi essenziali con proteste e scioperi, stanno causando gravi disagi per i viaggiatori. La soluzione che si è profilata per Alitalia era l’unica possibile per mantenere la nostra compagnia di bandiera e soprattutto per darle una prospettiva”. Lo dichiara il presidente del Pdl al Senato Maurizio Gasparri.

Scrive le Figaro:

“La compagnia franco-olandese sborserà 323 milioni di euro per acquistare il 25 per cento del capitale della sua omologa italiana, ottenendo tre sedie nel consiglio d’ amministrazione”. Lo scrive Le Figaro, sottolineando che “questa volta la notizia è veramente ufficiale”. Al suo fianco, prosegue il quotidiano francese, ci saranno “gli imprenditori italiani mobilizzati dal premier Silvio Berlusconi”. Per Le Figaro questa rappresenta “una bella vittoria per Air France-Klm”, ma soprattutto “per il suo presidente”.

 Dice Sacconi, altro ventriloquo di Berlusconi:

“Tutti i profeti di sventura sono stati smentiti: ce l’abbiamo fatta, la nuova Alitalia c’è” dice il ministro del Welfare Maurizio Sacconi. Di fronte alle agitazioni che hanno interessato alcuni aeroporti, per il ministro bisogna usare gli strumenti opportuni: “credo che si debba garantire la continuità del servizio – ha spiegato Sacconi – penso che sia davvero giunta l’ora di riformare la regolazione del diritto di sciopero nei servizi di pubblica utilità”.

A proposito di strumenti opportuni per “garantire la continuità del servizio”:

La terza sezione del tribunale civile di Roma si è riservata in merito alla possibilità di inviare gli atti alla Corte costituzionale, per decidere di una eventuale questione di legittimità costituzionale del decreto 138 del 2008, che ha modificato la legge Marzano e ha permesso il commissariamento e la vendita di Alitalia. Lo comunica il Codacons, che ha promosso un giudizio di fronte al tribunale civile per veder annullata “l’ammissione della società Alitalia alla procedura di amministrazione straordinaria”.

Beh, buona giornata.

 

 

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Attualità Popoli e politiche

Gaza: D’Alema tira il sasso, poi nasconde la mano.

“Non c’e’ dubbio che il sovrapporsi della guerra contro Hamas con la campagna elettorale in Israele sia particolarmente sgradevole”. Lo ha detto l’esponente del Pd ed ex ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, durante la conferenza stampa tenuta oggi presso la sede della Stampa estera a Roma. Sollecitato dalle domande dei giornalisti D’Alema ha pero’ precisato che “e’ improprio parlare, a questo riguardo, di guerra elettorale”. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Pubblicità e mass media

La sfiducia nella fiducia.

 

 Secondo quanto reso noto da Isae, l’Istituto di studi e analisi economica (www.isae.it), la fiducia  è crollata ai minimi storici in Europa sia tra i consumatori che tra le imprese. E’ quanto emerge dalla rilevazione relativa al mese di dicembre, nella quale si  sottolinea che l’indice di fiducia dei consumatori è sceso da -25 a -30 che è il minimo storico dal 1985, anno di inizio della serie storica di riferimento.

In particolare peggiorano le previsioni sulla situazione economica generale e aumentano fortemente le preoccupazioni sull’occupazione. “L’indice continua a calare in Germania, Francia e Spagna” mentre al di fuori dell’area euro “la fiducia si deteriora anche nel Regno Unito”, si legge nel comunicato stampa diffuso da Isae.

La fiducia delle imprese manifatturiere nell’area euro si attesta a -33 da -25 del mese precedente, segnando anche in questo caso un record negativo dal 1985. “Il peggioramento è diffuso ovunque- sostiene Isae- pur essendo particolarmente sensibile in Germania, Spagna e Francia; al di fuori dell’area euro la fiducia migliora, seppur leggermente, nel Regno Unito”.

 

Anche negli Usa, gli indici della fiducia sembrano migliorare leggermente. Per quanto riguarda la fiducia nei consumatori, Isae rileva che l’indice elaborato dal Conference Board subisce un nuovo sensibile calo e si riporta al minimo storico registrato ad ottobre (a 38 da 44,7); peggiorano sia il sottoindice relativo alla situazione corrente (a 29,4 da42,3) sia quello relativo alle aspettative ( a 43,8 da 46,2)

 

Di segno opposto, appare l’indicatore elaborato dall’Università del Michigan, che invece risale a 60,1 (da 55,3); contemporaneamente migliora il sottoindice che raccoglie i giudizi sulla situazione presente (a 69,5 da 57,5), mentre è quasi stabile quello relativo alla situazione futura (a 54 da 53,9).

 

Poiché la politica e le politiche anticrisi giocano un ruolo determinante sull’andamento degli indicatori della fiducia, è evidente il ruolo positivo giocato da Gordon Brown in Uk e, per quanto riguarda gli Usa, il prossimo atteso insediamento alla  Casa Bianca di Barak Obama.

 

Della situazione italiana, Isae si era occupato il 30 dicembre scorso, rilevando il preoccupante crollo  del clima di fiducia tra le imprese italiane. Dalle costruzioni, al commercio ai servizi di mercato l’indice di fiducia registrato dall’Isae a dicembre risulta  in calo, e in alcuni casi scende ai minimi da dieci anni.

L’Istituto di Studi e Analisi Economica aveva diffusi tre diverse inchieste dalle quali emergeva lo stesso dato: le imprese continuano a vedere nero. In particolare, per le costruzioni a novembre l’indice di fiducia delle imprese diminuisce per il terzo mese consecutivo e “si posiziona sul livello più basso registrato da dicembre 1998”.

“In forte caduta”, secondo l’Isae anche la fiducia dei commercianti (in questo caso il dato è di dicembre e non sembrano aver avuto effetto positivo i tradizionali acquisti di Natale): l’indice, considerato al netto della componete stagionale, continua a scendere e, portandosi da 96,9 a 88,8, raggiunge il valore minimo dall’ottobre del 2001″.

Male anche il clima di fiducia nei servizi di mercato: a dicembre l’indice è sceso a -26 da -23 dello scorso mese “a causa del marcato peggioramento – spiega l’Istituto – dei giudizi sugli ordini”.

 

Su base territoriale, l’indice èsceso da 67,6 a 63,8 nel Nord Ovest, da 71,4 a 63,1 nel Nord Est e da 80,0 a 75,8 nel Centro; una sostanziale stabilità si registra invece nelle regioni meridionali, dove l’indice passa da 75,9 a 75,5.

Peggiorate anche le previsioni sull’andamento degli ordini, dei livelli di produzione e della liquidità, contemporaneamente si segnala  un forte peggioramento, nei giudizi e le previsioni sull’andamento del fatturato all’esportazione.

Le imprese hanno confermato le difficoltà di accesso al credito emerse già nell’indagine dello scorso mese di novembre: circa il 13% di quelle che hanno avuto recenti contatti con le banche non hanno ottenuto il finanziamento sperato (era poco più del 14% a novembre). Nella maggior parte dei casi, il mancato finanziamento è stato dovuto a un esplicito rifiuto da parte degli operatori finanziari.

Le banche italiane hanno, dunque, una precisa responsabilità nell’aggravarsi del quadro economico del paese. Nonostante gli fossero stati garantiti aiuti statali in caso di difficoltà, le banche italiane fanno quello che da sempre gli riesce meglio: agiscono sulla leva del credito secondo logiche interne, poco compatibili col sistema delle piccole e medie imprese. Alla faccia di quelli che sostengono che il nostro sistema bancario è sano, è più che chiaro che il sistema bancario è sfacciatamente egoista: sa solo prendere, non intende rischiare. Come si fa ad avere fiducia delle banche se le banche non hanno fiducia nelle famiglie e nelle piccole e medie imprese?

La politica ha una responsabilità precisa e non più rinviabile. Governo e opposizione si rincorrono su una agenda che non ha all’ordine del giorno la reale condizione dell’economia del paese. Che senso hanno polemiche su Giustizia e Federalismo, quando il paese versa in gravi condizioni sociali ed economiche? Il Governo pensa davvero di essersela  già cavata col pacchetto delle misure anticrisi? L’opposizione pensa davvero a qualcuno importi un fico delle beghe sulla questione morale? Le priorità sono i redditi, il precariato, i consumi, il credito alle piccole imprese, mentre l’agenda della politica italiana è ferma a quindici anni fa. Come si fa ad avere fiducia nella politica se la politica non si accorge del crollo di tutti gli indicatori sulla fiducia?

L’informazione ha la sua parte di responsabilità. I giornali appaiono frustrati dalla invadenza dell’informazione-spettacolo fornita dalle tv (tranne rare quanto vituperate eccezioni). I giornali perdono copie, raccolta pubblicitaria e progressivamente autorevolezza. Per questo l’opinione pubblica italiana è frastornata. Non riesce a trovare la consapevolezza di una forte pressione sulla politica perché adotti subito le misure necessarie a non fare del 2009 un anno orribilis.  Gli italiani stanno per pagare il prezzo salato della mancanza di una informazione pluralistica, svincolata dalle alchimie politiche. Come si fa ad avere fiducia nella informazione se l’informazione non ha fiducia nella sue capacità di dire con chiarezza come stanno davvero le cose?

La pubblicità italiana  vive uno dei momenti peggiori dal dopoguerra. In ritardo su tutti i livelli del’innovazione degli strumenti e dei linguaggi, la pubblicità italiana, abbarbicata al totem della tv come veicolo principe della comunicazione commerciale ha finito per delegittimare se stessa, agli occhi delle imprese e a quelli dei consumatori. Quando i consumi crollano, nonostante la forte pressione televisiva, vuol dire che messaggi e veicoli pubblicitari sono nettamente inadeguati alla domanda che proviene dal mercato della comunicazione. Come si fa ad avere fiducia nella pubblicità se la pubblicità rinuncia a costruire fiducia nelle marche da parte dei consumatori?

Il fondamentalismo neoliberista, che crede il mercato sia il demiurgo del benessere nazionale e globale  mostra tutta la sua inconsistenza proprio di fronte alla peggiore crisi dal ’29.

Ha scritto recentemente Zygmunt Bauman:” Molto prima che l’ultima bolla del mercato esplodesse, c’erano già numerosi segnali dai quali si evinceva che la fiducia reciproca – il fatto di credere nella serietà, nell’affidabilità e nella buona volontà altrui – non era poi così grande come avrebbe potuto essere in una società meno liquida e instabile e dunque più prevedibile e affidabile della nostra”. (“Così cambia il nostro stile di vita”, Repubblica 10 gennaio).

Quando crolla la fiducia nelle banche, nella politica, nell’informazione e nella pubblicità crolla la fiducia stessa in questo nostro modello di sviluppo. Allora diventa urgente cambiare le regole, non solo del gioco, ma anche dei giocatori in campo. Beh, buona giornata.



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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

Italia, paradiso capitalista.

di Hans Suter.

I nuovi azionisti di Alitalia hanno guadagnato, prima ancora che si fosse alzato in volo un solo aereo, il loro bel aggio per la vendita del 25% ad Air France. E questo dopo che lo stato italiano è rimasto con la bad company. Fantastico. Aspettiamo di leggere le lodi dell’operazione sul foglio della Confindustria. (Beh, buona giornata).

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