“Va precisato che la storia dell’italiano è particolarmente turbolenta.
Almeno da quando Pietro Bembo, che nel Cinquecento scrisse le ‘Prose della volgar lingua’, scelse per la sua opera, in maniera abbastanza arbitraria – in base al suo gusto –, il fiorentino parlato dalle classi colte del Trecento; a lungo questo «volgare illustre» rimase appannaggio della sola produzione letteraria.
Non vorrò mica sostenere, con questo, che l’italiano è stato creato a tavolino?
Ebbene, di fatto, sí.
Nel 1861, con l’Unità d’Italia, si pose il problema di «fare gli italiani», come sentenziò Massimo d’Azeglio.
Tuttavia questa unificazione linguistica, basata su una lingua rimasta fino a quel momento quasi esclusivamente di natura alta, non si poté dire davvero realizzata fino agli anni Sessanta del ’900, quando l’italiano è diventato a tutti gli effetti la lingua degli italiani (e delle italiane, ovviamente).
Detto altrimenti, le grandi trasformazioni linguistiche, dovute all’uso vivo, si sono concentrate negli ultimi sessant’anni, da quando cioè l’italiano è da considerare la lingua parlata dalla popolazione” (da “Grammamanti: Immaginare futuri con le parole” di Vera Gheno).
