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Media e tecnologia

Beh, buona giornata oltre quota 50 mila.

I nuovi dati di lettura di Beh, buona giornata sono molto lusinghieri per un blog. Essi hanno avuto un incremento anche per lo sharing con social network. Infatti, è possibile riconoscere il logo Beh, buona giornata su Twitter, su Facebook, su Myspace, su Yahoo, su Google, su Google buz, su Google+, su Digg, su Stumbleupon, su Youtube. Beh, buona giornata è anche visibile su Linkedin, nella pagina del profilo di Marco Ferri. Un vero ringraziamento a tutti i lettori. Beh, buona giornata.

12 Nov, 2011

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Media e tecnologia Società e costume

Per uscire dai social network, un suicidio (virtuale).

Stanco dei social network? Ecco la “macchina per il suicidio virtuale”-lastampa.it
Già commessi 900 “suicidi”. Ma Facebook blocca il sito: «Viola la privacy»

Un sito Internet che consente di commettere un «suicidio» virtuale, cancellando totalmente il profilo di un utente sui social network è stato bloccato da Facebook, che ha ottenuto anche la sua iscrizione nella lista dei siti pericolosi per la sicurezza dei navigatori.

Suicidemachine.org, che ha per titolo «The Web 2.0 Suicide Machine», consente di cancellare tutti i «profili succhia-energia nelle reti sociali», «eliminare tutti falsi amici virtuali», e «farla finita con il vostro alterego Web 2.0», spiegano i realizzatori sull’home page, precisando che il servizio funziona attualmente con Facebook, Myspace, Twitter e LinkedIn e che in 52 minuti riesce a fare automaticamente ciò che manualmente richiederebbe oltre nove ore.

Secondo Facebook, però il servizio viola i termini sulla privacy e le regole del social network quando accede e scarica i dati degli utenti per cancellarne i profili e l’azienda si riserva il diritto d’agire legalmente nell’immediato futuro. La “macchina per il suicidio virtuale”, che finora è stata utilizzata, secondo quanto riportano sul sito, da 892 navigatori, 500 dei quali utenti di Facebook, eliminando 58.401 amicizie virtuali e cancellando più di 230 mila “cinguettii” da Twitter, ha risposto lanciando una petizione per chiedere l’esclusione del suo indirizzo Internet dai siti banditi.

La «macchina» non è però l’unico sito di questo tipo ad aver attirato gli strali di Facebook. Il social network aveva infatti già inviato una lettera di diffida a Seppukoo.com, che permette ai suoi utilizzatori di commettere un “karakiri” informatico in puro stile giapponese. «Come il seppuku riabilita l’onore del samurai, così seppukoo.com si impegna a liberare il corpo digitale», recita un’avvertenza sul sito che in home page, accanto alle foto e ai nomi degli utilizzatori più recenti, reca anche l’avvertimento che è sotto attacco da parte di Facebook. Anche l’accesso da Facebook a seppukoo.com è stato bloccato dal social network, ma il sito ha finora negato ogni addebito, in particolare per le accuse di phishing. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Pubblicità e mass media: il medium cambia, cambiamo il messaggio.

CENSIS E MEDIA La crisi seleziona:su i prodotti gratuiti e i social network-di FRANCESCO PICCIONI, Il Manifesto

Il messaggio batte il /medium/, McLuhan non abita più questo mondo.
L’ottavo rapporto del Censis sulla comunicazione («I media tra crisi e metamorfosi») registra e tematizza i cambiamenti più rilevanti nell’arco degli ultimi 10 anni. E decreta, in parte, «la rivincita dello spettatore», che non accetta più di esser preda dell’«ipnotismo televisivo» e passa all’«azione diretta».

I diversi media diventano relativamente indifferenti, di fronte a una ricerca di informazione e socializzazione (sia pure virtuale) che vede il singolo teso a soddisfare i propri interessi saltando a pie’ pari la mediazione del produttore di contenuti. Almeno all’apparenza, perché – nell’indescrivibile quantità di informazioni disponibili – «risulta sempre più difficile cogliere il confine tra verità e finzione, tra eventi del mondo reale e prodotti della fantasia».

Questo individuo-agente, infatti, è a sua volta un prodotto. Di un lungo processo sociale di «affermazione del primato del soggetto», per un verso, della disponibilità a basso costo delle tecnologie digitali, per l’altro. In ogni caso, rappresenta solo una metà della società italiana, per lo più giovanile o con buoni livelli di istruzione; che convive con una quota altrettanto rilevante di «vittime del /digital divide/», escluse per età, reddito o formazione dall’uso di questi media. Ma entrambe le metà convergono nel momento in cui solo un soggetto è chiamato a garantire la «verificabilità» delle informazioni: la tv. La ricerca conferma che «ad orientare le scelte di voto della grande maggioranza degli italiani sono i telegiornali delle tv generaliste nazionali».

La conclusione è solo apparentemente paradossale, perché l’effettiva totale libertà individuale – nel reperimento delle informazioni secondo una personale scala di priorità, nella formazione dell’opinione – si scontra con due limiti ineliminabili: l’individuale /capacità di discernere/ (cultura, livelli di istruzioni, esperienza) e l’/attendibilità/ delle informazioni (comunque «confezionate» da altri).

Proprio la modalità di fruizione dei contenuti digitali (rapide, spesso casuali, im-mediate) brucia quello che Giuseppe De Rita chiama «il prefisso ‘ri’ (riflettere, ritornare, ripensare)», identificato da sempre come «il fondamento della cultura». Tradotto: nella giungla delle informazioni digitali ci si muove senza più una guida. Finché non la si ritrova sullo schermo che tutto riunisce: quello televisivo.

La crisi economica ha accelerato questi processi. Creando ora anche un /press divide/, una massa crescente di persone che ha eliminato la stampa su carta dalla propria «dieta mediatica»: il 39,3%. Non solo analfabeti di ritorno, ma anche giovani e adulti istruiti. Se infatti il numero di quanti usano internet si è stabilizzato (47%, crescerà ormai solo con il normale «tasso di sostituzione generazionale»), si è intensificato il suo utilizzo a scapito della stampa (dal 6 al 12,9%) – e persino della /free press/ – con i quotidiani che hanno visto calare le vendite del 15% in soli due anni. Soprattutto, la crisi ha favorito «l’espansione dei mezzi gratuiti e la sostanziale battuta d’arresto di quelli a pagamento». O meglio, ha favorito quei media che permettono di avere il massimo di servizi informativi col minimo di costi economici.

Quindi sì all’Adsl e alla tv a pagamento (con boucquet che coprono tutti gli interessi familiari, dal calcio ai cartoon, ai serial); sì ai cellulari, ma solo nelle versioni /basic/ (telefonate e sms); sì soprattutto alla radio (+12,4%), che copre in buona parte i bisogni di ben 13 milioni di pendolari. Sopravvivono i libri, ma molto ci sarebbe da dire sullo «spessore» di quelli che «vendono». La tv, si diceva, raggiunge proprio tutti (98%); ma via web ha triplicato gli adepti in due anni. L’ampliamento delle scelte possibili fa della rete il medium ideale di chi vuole «agire». Lo svluppo impetuoso dei /social network/ (Facebook, YouTube, Messenger, ecc) risponde a un’esigenza di socializzazione attiva che è già una reazione all’isolamento individuale.

Ma cambia radicalmente anche il modo di pianificare il marketing (qualsiasi produttore professionale di contenuti, in rete, sopravvive solo grazie alla raccoltà pubblicitaria). Il fenomeno era «preesistente alla crisi economica, che però lo ha sottolineato».

Per Marco Ferri, del Consorziocreativi, «è il momento di capovolgere il paradigma, e lo devono comprendere anche le imprese: quando decidono un budget prima si devono comprare una buona idea, e poi vedere come veicolarla, non viceversa». Vale anche per i quotidiani: «chi indovina la nuova formula fa bingo, gli altri…». (Beh, buona giornata)

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Le agenzie di pubblicità italiane non sanno usare l’advertising su Internet.

di Chiara Pozzoli da advexpress.it
L’advertising sui social network, ovvero nuove forme di pubblicità che tengano conto delle caratteristiche dei siti di user generated content. Se è vero che non è ancora stata trovata la ‘formula magica’, è altrettanto vero che bisogna pensare oltre al tradizionale banner e ‘vincere la pigrizia’. La riflessione al centro del convegno Nielsen Online.

La raccolta pubblicitaria sui siti di social network non è commisurata alla loro audience e al livello di coinvolgimento degli utenti; ovvero non è ancora stata trovata la ‘formula magica’ per realizzare il miglior abbinamento tra social network e pubblicità. Questa la riflessione che ha dato il via al convegno svoltosi ieri presso la sede Nielsen di Corsico (Mi), dal titolo ‘L’advertising nell’era dei social network’.

Luca Bordin, managing director Italy Nielsen Online, ha presentato i dati sul fenomeno dei social network elaborati da Nielsen Online (aggiornati a dic 2008 vs. dic 2007) su dati globali (Global Index, dove per ‘Global’ si intendono i paesi in cui è presente il panel NetView: Usa, Brasile, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna, Svizzera e Australia). Le dimensioni sono impressionanti: due terzi degli utenti internet visitano blog e social network e questi ultimi costituiscono oggi la quarta categoria più visitata (dopo search, portali generalisti e produttori di software) con 242 milioni, con la differenza che il tasso di crescita delle member community è più che doppio rispetto alle altre categorie. Per non parlare del tempo speso sui social network, cresciuto a livello globale del 63% nell’ultimo anno, contro il 18% di crescita del tempo trascorso su internet in generale. L’attore principale è Facebook. Tante le ragioni del suo successo, dal design al focus su networking e conversazione; basti pensare che il ‘tempo globale’ ha fatto registrare un +566% negli ultimi 12 mesi.

Verso la ‘brand generated content’

Un dato, però, fa riflettere: parlando di adv a livello globale, Myspace è più piccolo di Facebook e la sua audience si è stabilizzata, ma la sua offerta incentrata su contenuti e intrattenimento riesce ad attirare investimenti pubblicitari maggiori. I dati lo dimostrano: la raccolta pubblicitaria di Facebook nel 2008 è stata di circa 300 milioni di dollari, contro il miliardo di MySpace. Per ogni 10mila utenti unici, Facebbok ha avuto 0.36 inserzionisti, MySpace 1.51. La crescente mancanza di fiducia nell’advertising classico, il potere del passaparola come elemento influente nelle decisioni d’acquisto (in Italia, il 18% degli utenti internet esprime on line il giudizio positivo o negativo su un bene/servizio acquistato e il 27% legge le opinioni degli altri consumatori), nonché la necessità di utilizzare i social network come un vero e proprio canale di comunicazione adattando l’advertising alle modalità di interazione e alla filosofia degli user generated content, sono stati al centro della tavola rotonda seguita alla presentazione dei dati.

Layla Pavone, presidente Iab Italia, ha fatto una distinzione tra l’aspetto sociologico dei social network e le implicazioni per l’advertising e, all’interno di quest’ultimo ambito, tra le forme tradizionali di pubblicità e il ‘convertising’, ovvero una forma di pubblicità che utilizzi lo strumento della conversazione e della convergenza. “La maggiore fonte di business – ha specificato Pavone – è oggi costituita dalla prima tipologia, ovvero dalla tradizionale tabellare convertita in banner on line. Interessante, invece, sarebbe sviluppare maggiormente un ambito di comunicazione basato sul dialogo e sull’interazione con il consumatore. In questo caso si gioca una partita diversa, complementare all’advertising, che entra nei microcosmi delle persone. Una strada fatta di vero engagement, ma più difficile rispetto alla via tradizionale”.

Sceglie di evitare classificazioni troppo rigide come quelle del ‘2.0’ Salvatore Ippolito, sales director Microsoft Advertising: “Oggi si parla di Facebook, ma domani sarà già obsoleto e si guarderà a nuove frontiere. Il vero valore su cui riflettere è il tempo. È stato calcolato che nel 2010, a livello europeo, il tempo medio speso su internet sarà di 14 ore a settimana, mentre davanti alla Tv 11,5 ore”. Secondo Ippolito non esisterebbe una ‘formula magica’ per conciliare social network e advertising: “Pensiamo a un advertising che rientri in strategie integrate di comunicazione e che tenga in considerazione la variabile tempo”. Francesco Barbarani, country manager MySpace Italia, ha ammesso che su MySpace il grosso della raccolta pubblicitaria è costituito da banner. “La frontiera successiva alla tabellare tradizionale su internet sarà la ‘brand generated content’, ovvero l’azienda che dialoga con il consumatore, che entra nel mondo dell’utente per ‘flirtare’ con lui generando la sua fiducia. Su MySpace il messaggio pubblicitario è sempre ‘soft’, non invasivo e questo è uno dei motivi del successo”.

Case history: Bacardi B-Live su MySpace

Quale che sia la ‘formula magica’, insomma, il denominatore comune deve essere un’attenzione alla privacy dell’utente, la stimolazione del dialogo con il consumatore, un messaggio che non sia mai imposto ma quasi cercato e discusso dallo stesso navigatore, attraverso, ad esempio, la creazione di fan page. Un’operazione di questo genere è stata realizzata nel 2008 da Bacardi.
Gabriele Pizzutto, brand manager Bacardi (Martini & Rossi, Gruppo Bacardi-Martini) ha presentato la case history del B-Live, che lo scorso anno ha riunito al terminal dell’aeroporto di Bologna 6.000 persone per un evento che ha fatto della musica il proprio punto di forza. Musica ed entertainment riportano immediatamente a MySpace, ed è proprio su questo sito che è stato creato, prima dell’evento, un profilo ad hoc, all’interno del quale era possibile partecipare a un concorso per deejay ed esibirsi al B-Live. “La sfida – ha affermato Pizzutto – era coinvolgere anche chi non avrebbe fisicamente partecipato all’evento. I risultati hanno premiato l’advertising on line: 26.000 visite su bacardilive.it in 30 giorni e 9.000 pagine visitate su MySpace. Il sito Bacardi Italia, inoltre, è balzato al terzo posto come numero di accessi dopo Cina e Usa”.

Troppa pigrizia verso l’adv on line

Una raccomandazione è arrivata da Pavone: “Le operazioni sui social media vanno misurate e, in ogni caso, prima di partire con una campagna di advertising, le aziende devono utilizzare le realtà dei social network come prezioso canale di ascolto”. Non è mancata, infine, una nota polemica: “C’è ancora, in Italia, una forte pigrizia verso forme di advertising creativo e contestualizzato. Le stesse agenzie creative, che spendono milioni di euro per girare uno spot dall’altra parte del mondo, quando devono investire sull’on line per un discorso di rilevanza del messaggio, di aderenza al target e di innovazione, pianificano un solo banner… è evidente che ci sia troppa pigrizia”. (Beh, buona giornata).

Chiara Pozzoli

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