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Finanza - Economia

Che sta succedendo all’economia europea/9.

CRISI FISCALE, CONTAGIO E FUTURO DELL’EURO, di Marco Pagano-lavoce.info

Cerchiamo di capire il terremoto finanziario che sta scuotendo Eurolandia. Perché gli scenari paventati da giornali e televisione si stanno susseguendo in modo così tumultuoso che non è facile seguirne la logica. Crisi fiscale, contagio, collasso della moneta unica: potrebbe diventare uno tsunami ben peggiore di quello dei mutui subprime. Ma il modo per arginarlo c’è, rafforzando le strutture comunitarie e sovranazionali. Trasformando la crisi in un’occasione storica per l’Europa.

Crisi fiscale, contagio, collasso dell’euro … Cerchiamo di capire cosa sta succedendo, perché gli scenari paventati da giornali e televisione si stanno susseguendo in modo così tumultuoso che non è facile seguirne la logica. Invece è proprio in situazioni di emergenza come questa che è importante fare chiarezza, proprio per evitare che si realizzino gli scenari peggiori e individuare la via di uscita.
Punto primo. Quando uno stato sovrano accumula un livello molto elevato di debito, gli investitori cominciano a temere che esso non sia “sostenibile”, cioè che lo Stato non riuscirà a restuire capitale e interessi generando avanzi di bilancio in futuro (cioè un gettito fiscale superiore alla spesa pubblica). In questo caso, chiedono tassi di interesse maggiori per acquistare nuovo debito pubblico, poiché vogliono essere compensati per il rischio di insolvenza. Ciò in realtà aggrava il pericolo di insolvenza, perché appesantisce i conti pubblici, per cui alla fine arriva il momento in cui non c’è più un tasso di interesse capace di compensarli del rischio di insolvenza: allora essi smettono di sottoscrivere il debito pubblico. Questa è la crisi fiscale, e ha solo due esiti possibili, che fra l’altro non si escludono tra loro: 1) l’insolvenza da parte dello stato, con conseguente ristrutturazione del debito (come ha fatto l’Argentina); 2) la “monetizzazione” del debito, che viene acquistato dalla banca centrale immettendo moneta nell’economia e quindi causando inflazione e deprezzamento del tasso di cambio.

DALLA GRECIA ALL’ITALIA

Punto secondo. Nel caso della Grecia, la seconda strada – quella della monetizzazione – era esclusa dalla sua appartenenza all’area dell’euro: il governo greco non poteva imporre alla Banca centrale europea (Bce) di acquistare i propri titoli del debito pubblico, per cui la sola strada aperta era quella dell’insolvenza e della ristrutturazione del debito, a meno di non ottenere prestiti da altri paesi a tassi inferiori a quelli richiesti dal mercato. Ma perché i paesi dell’area dell’euro hanno deciso di fare questo sacrificio? Come si è visto in questi giorni, dopo non poche indecisioni lo hanno fatto soprattutto per timore del “contagio”. Ma cos’è questo contagio? Qui veniamo alla parte più interessante della storia.
Punto terzo: il contagio. Ammaestrati dalla crisi della Grecia, gli investitori hanno cominciato a sospettare che altri paesi con elevato debito pubblico – Portogallo, Spagna, Italia – possano trovarsi in una situazione simile. Perché? Come i governi di questi paesi si sono affrettati a spiegare, i loro conti pubblici non sono nello stato drammatico di quelli greci. Allora perché gli investitori sono preoccupati? Perché rischiano i propri soldi in una scommessa perdente? Perché, come dicono gli economisti, in questa partita tra Stati sovrani e investitori ci possono essere “equilibri multipli” (1): anche quando uno Stato non è molto indebitato, gli investitori possono cominciare a temere che, non volendo alzare la pressione fiscale oltre un certo livello “politicamente sostenibile”, in futuro esso potrà voler ricorrere alla ristruttrazione o alla monetizzazione del debito, o a entrambe. Nel timore che questo accada, essi spingono i tassi a livello talmente alto che “la loro profezia si autoavvera”: a quei tassi, lo stato che altrimenti avrebbe fatto fronte ai suoi debiti finisce davvero per dover davvero ristrutturare o monetizzare il debito, cioè per non ripagarlo interamente.
Quindi tutto dipende dalla “fiducia” degli investitori: se e fin quando la fiducia c’è, si resta nell’“equilibrio buono” con tassi di interesse moderati e mercati tranquilli; quando la fiducia scompare, si salta all’“equilibrio cattivo”, quello in cui c’è la crisi fiscale. Il “contagio” che la crisi greca ha scatenato è stato proprio questo: ha indebolito la fiducia degli investitori anche verso stati che avrebbero potuto continuare a navigare in acque tranquille se avessero continuato a godere della loro fiducia. Si noti fra l’altro che l’onere stesso del salvataggio della Grecia sta appesantendo i conti pubblici di Portogallo, Spagna e Italia, e anche questo ha contribuito a indebolire la fiducia nella loro solidità di debitori.

LA BORSA E LA SPECULAZIONE

Punto quarto: il rifinanziamento del debito pubblico. I paesi in questione sono esposti alla crisi fiscale (l’“equilibrio cattivo”) nella misura in cui sono costretti a ricorrere ai mercati per il rifinanziamento del debito pubblico, e quindi a seconda di quanto debito pubblico scadrà nei prossimi mesi. Ciò a sua volta dipende dalla scadenza media del debito pubblico: se il debito pubblico è per lo più a lunga scadenza, la quantità di debito da rifinanziare in un dato intervallo di tempo è piccola, e anche doverlo fare a tassi elevati è un costo sopportabile. In questo caso, il rischio di crisi fiscale è escluso. Se invece il debito è per lo più a breve termine, cosicché la quantità di debito da rifinanziare è elevata, il rischio di crisi fiscale esiste, come dimostrato da Giavazzi e Pagano (1990). (2) L’argomentazione è simile quella usata nel valutare la solvibilità delle imprese delle banche, in cui il “rollover risk” derivante dall’indebitamento a breve è uno dei fattori che determina il rischio di fallimento.
Punto quinto: il deprezzamento dell’euro. Perché l’euro si sta deprezzando? Una possibile risposta è che man mano che la crisi si allarga ad altri grandi paesi dell’area dell’euro, il rischio di monetizzazione del debito pubblico da remoto si fa più concreto. Se la Grecia può essere salvata (forse) dagli altri paesi dell’area euro, questo non può certo valere per l’imponente debito pubblico di Italia, Spagna e Portogallo. A quel punto, il rischio che la Bce debba monetizzarlo esiste, e i timori di inflazione che ne derivano potrebbero spiegare il deprezzamento dell’euro. Ma poiché ciò metterebbe a repentaglio la stabilità dei prezzi nell’area dell’euro, e rappresenterebbe un imponente trasferimento di risorse dai paesi forti dell’euro a quelli deboli, è uno scenario poco probabile.
Una spiegazione alternativa del deprezzamento dell’euro è il timore della rottura dell’eurosistema, uno scenario fino a poco tempo fa impensabile: proprio per non essere chiamati a contribuire alle finanze dei paesi deboli dell’area dell’euro con la monetizzazione del debito, i paesi forti potrebbero spingere quelli deboli al di fuori dell’eurosistema. Ovviamente questo è uno scenario drammatico, in quanto la ridefinizione dei confini della moneta unica difficilmente potrebbe avvenire senza impressionanti scossoni. E inoltre nel frattempo la crisi fiscale potrebbe tradursi nell’insolvenza sul debito pubblico di vari paesi dell’area dell’euro, con effetti globali devastanti: considerato che il debito pubblico di questi paesi è massicciamente presente nei bilanci di banche e assicurazioni di tutto il mondo, e soprattutto dell’area dell’euro, potrebbero determinarsi catastrofiche reazioni a catena in tutto il sistema finanziario. Il “contagio” diventerebbe davvero globale. Al confronto, la crisi innescata dai mutui “subprime” diventerebbe un pallido ricordo.
Ciò spiega perché le borse stanno crollando, e perché i governanti siano molto preoccupati, su entrambe le sponde dell’Atlantico. Tuttavia, le invettive dei governi contro gli “speculatori” e i “mercati” sono infantili. La parola “speculatore” nasce dal latino specula (vedetta), e indica chi cerca di “guardare lontano”, e quindi metaforicamente “prevedere il futuro”. Nel momento in cui un qualsiasi risparmiatore decide se sottoscrivere i titoli del debito pubblico, anch’egli cerca di “guardare lontano”, e in questo senso in qualche misura siamo tutti speculatori. E tutti contribuiamo a determinare l’andamento dei mercati, perfino quando decidiamo di non servircene. Sta ai governi dimostrare che in questo momento speculatori e mercati stanno sbagliando previsioni e scommesse.

RECUPERARE LA FIDUCIA DEI MERCATI

Ma esiste un modo di recuperare la fiducia dei mercati? Poiché l’origine del problema è nella politica fiscale, il modo di recuperarla è sul fronte del fisco: occorre dare segnali forti e coordinati che gli stati deboli dell’area dell’euro sono capaci di “mettere a posto” i propri conti pubblici, accettando un monitoraggio e una disciplina comunitaria molto forte sulle proprie finanze.
Ciò vuol dire limitare significativamente la sovranità fiscale degli stati membri, dopo aver già accettato di delegare quella monetaria alla Bce. Ma occorre andare ben oltre la fragile disciplina del trattato di Maastricht e del patto di stabilità, assoggettando direttamente le leggi di bilancio degli stati membri dell’Unione a limiti comunitari vincolanti e a istituzioni dell’Unione Europea che li facciano valere. Non è affatto cosa di poco conto: difficile da realizzare e politicamente dolorosa, come le dimostrazioni e i morti di Atene dimostrano. I governi e soprattutto i parlamenti nazionali saranno disposti a farlo? Se sì, allora da questa crisi l’Europa riemergerà più forte di prima, e procederà verso il completamento della sua struttura sovranazionale con l’introduzione graduale di istituzioni fiscali federali, ovvero la naturale controparte della Bce.
Potrebbe anche essere l’occasione per colmare finalmente il deficit democratico dell’Unione Europea, poiché è naturale che decisioni vincolanti di natura fiscale siano prese da organismi rappresentativi. In tal modo, i limiti alla sovranità fiscale nazionale avrebbero una legittimazione democratica sovranazionale, invece di essere visti come diktat di organismi tecnico-burocratici o di comitati di ministri degli stati membri. Se i paesi dell’euro avranno il coraggio di accettare questa grande sfida, non solo la fiducia tornerà sui mercati, ma questa crisi diventerà l’occasione di una svolta storica nella costruzione europea. (Beh, buona giornata).

(1) Si veda ad esempio Guillermo Calvo, “Servicing the Public Debt: The Role of Expectations,” American Economic Review, September 1988.
(2) Francesco Giavazzi e Marco Pagano, “The Management of Public Debt and Financial Markets,” in High Public Debt: the Italian Experience, edited by L. Spaventa and F. Giavazzi, Cambridge University Press, Cambridge, 1988.

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Che sta succedendo all’economia europea/8.

Come far piangere gli speculatori, di LUIGI SPAVENTA-repubblica.it

IN CHE COSA consiste la speculazione? In un’imponente concentrazione di mezzi finanziari atta a provocare un esito che, pur se non altrimenti giustificato, fa vincere la scommessa. La speculazione si batte non con le deprecazioni né mandando i marines, ma facendo piangere chi ci ha provato: le lacrime di chi ci ha provato sono i soldi che gli si fanno perdere. Per far perdere i soldi alla speculazione, le autorità devono essere decise e dimenticare per un momento le regole del galateo.

I ribassisti ne fanno di tutte; dispongono dei mezzi tecnici più sofisticati; operano con una leva gigantesca, senza impegnare soldi propri. Se la pressione cresce (otto giorni fa al mercato dei derivati di Chicago si contavano 103.400 contratti al ribasso sull’euro, pari a quattro volte le posizioni lunghe, per un valore di quasi 17 miliardi di dollari) che cosa dovrebbero fare le autorità che tutelano la nostra stabilità? Consultare il manuale di buone maniere di Monsignor della Casa e reagire senza dare prova di maleducazione? Oppure togliersi i guanti e picchiare?

Nell’agosto del 1998, in esito alla crisi finanziaria del Sud-Est asiatico, quando finirono al tappeto le economie più dinamiche dell’area, la speculazione prese di mira con pesanti bordate la valuta e il mercato azionario di Hong Kong. Poiché i consueti strumenti di difesa (aumento dei tassi) non bastavano, l’autorità monetaria del territorio buttò alle ortiche l’ortodossia e decise di presentarsi in borsa come compratore di ultima istanza, in contropartita dei venditori a pronti e a termine, e acquistò azioni – azioni, si badi, non casti titoli di Stato – per 15 miliardi di dollari. Questa operazione (battezzata doppio slam, double whammy) inflisse gravissime perdite ai ribassisti, che dovettero abbandonare il terreno con gravi perdite. Vi fu anche un lieto fine: l’autorità monetaria rivendette gradualmente le azioni acquistate lucrando un profitto di 4 miliardi per le casse pubbliche (così come la banca centrale americana sta facendo profitti, rivendendo i titoli acquistati durante la crisi per sostenere le banche).

Non suoni eresia: la sola entità che possiede più mezzi di qualsiasi diabolico speculatore è una banca centrale che abbia il potere di emettere moneta. Solo quella banca centrale può essere compratore di ultima istanza di qualsiasi attività finanziaria che sia oggetto di un attacco speculativo ribassista, a condizione che quella attività sia denominata nella valuta che essa emette (per la Bce un titolo in euro, per la Federal Reserve un titolo in dollari).

Naturalmente questo è un rimedio estremo per mali estremi: per metterlo in opera si deve essere convinti che il valore mirato dalla speculazione non sia quello “giusto”; che senza turbolenze si potrebbe raggiungere un valore diverso e mettere in opera procedure più ordinate. Mi pare evidente che queste condizioni ricorrano oggi: occorre tempo per verificare il funzionamento del piano messo su per la Grecia; Spagna e Portogallo non meritano le frustate ad essi inflitte dai mercati solo per bastonare l’euro; il funzionamento dell’euro dovrà essere ripensato, ma non in un’affannosa emergenza. La Banca centrale europea è chiamata a fare la sua parte (“tutte le istituzioni… convengono di ricorrere a tutta la gamma di strumenti disponibili per garantire la stabilità”, recita il comunicato del Consiglio europeo di venerdì).

L’art. 123 del Trattato di Lisbona vieta esplicitamente alla Bce l’acquisto diretto di titoli di debito emessi dai governi o da altri enti del settore pubblico, ma non ne impedisce l’acquisto sul mercato, con operazioni che un tempo venivano definite di mercato aperto. Le dissertazioni sull'”azzardo morale” (nozione cara agli economisti) e sul rischio di inflazione non hanno pregio: lasciar prevalere i ribassisti quando si ritengano ingiustificati i loro obiettivi, quello sì è offrire occasione di azzardo morale; sappiamo che la massa monetaria creata occasionalmente (e quanta se ne creò per finanziare le banche!) può essere agevolmente riassorbita, anche liquidando nel tempo i titoli immessi nell’attivo anche con operazioni di acquisto. Altri espedienti sono opportuni, ma non sufficienti a battere la speculazione.

Un fondo di assistenza di qualche decina di miliardi? Ottimo, ma complicato da mettere in opera; soprattutto si indica alla speculazione che essa vince se riesce a mobilitare (magari solo sulla carta) una cifra maggiore. Più soldi resi disponibili dalla Bce alle banche? A poco servirebbero, posto che al momento le banche, di nuovo diffidenti l’una dell’altra, stanno depositando liquidità a Francoforte. È il momento del coraggio: si può riuscire a farli piangere gli speculatori, ma non con le chiacchiere di chi, come avrebbe detto Krusciov, non ha divisioni da mandare in combattimento. (Beh, buona giornata).

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Che sta succedendo all’economia europea/6.

Vertice salva-euro in bilico ,Dopo lo stop di Londra arrivano i dubbi di Berlino,di Fabio Grattagliano-sole24ore.com

La Germania ha proposto un piano di aiuti finaziari per i paesi della zona euro in difficoltà pari a una cifra di 600 miliardi di euro, con la partecipazione del Fondo monetario internazionale. Lo si apprende a margine della riunione dell’Ecofin

I ministri dell’economia e delle finanze dei 27 paesi Ue riuniti a Bruxelles per trovare una soluzione in grado di salvare in maniera strutturale l’euro e i paesi sotto minaccia della speculazione hanno preso una pausa. La riunione dell’Ecofin è stata al momento sospesa per consentire i lavori del Comitato economico e finanziario della Ue, l’organismo dedicato ad affrontare le modalità più tecniche del piano che sta cercando una sintesi in grado di accontentare tutte le posizioni espresse al tavolo dei ministri.

L’ultima bozza che circola
Se accolto dagli stati membri, il piano di aiuti finanziari sarebbe senza precedenti nella storia dei salvataggi. I 600 miliardi, l’ultima cifra che circola assieme alle bozze dei tecnici al lavoro, sarebbero così composti: 60 miliardi di garanzie dalla Commissione dell’Ue, 440 miliardi di garanzie dagli stati membri e 100 miliardi di euro di linee di credito messe a disposizione – se necessario – dal Fondo monetario internazionale. Nelle conversazioni telefoniche intercorse oggi tra il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il presidente francese Nicolas Sarkozy, sono servite – riferiscono fonti diplomatiche – a rafforzare l’asse con Washington per la partecipazione del Fmi. Il modello che verrebbe seguito per le garanzie degli stati membri sarebbe lo stesso usato per il caso Grecia. Germania e Olanda però si sono opposte al sistema di garanzie che era stato individuato nella proposta della Commissione. «È un’arma formidabile contro la speculazione», commentano fonti diplomatiche. «Se Francia e Germania sono unite e determinate è impossibile che la speculazione attacchi paesi come la Spagna o il Portogallo».

Il rifiuto di Londra. La ricerca di un meccanismo condiviso di stabilizzazione della moneta unica ha ricevuto un pesante stop dopo il rifiuto della Gran Bretagna a contribuire alla creazione del fondo. Anche la Germania starebbe creando qualche difficoltà sul fondo e in maniera particolare sul meccanismo di garanzie dei prestiti. «Voglio essere chiaro – ha detto il cancelliere dello scacchiere Allistair Darling – la proposta di creare un fondo per la stabilità dell’euro è una faccenda che riguarda i paesi dell’Eurogruppo. Quello che non faremo e non potremo è dare sostegno all’euro. La responsabilità di sostenere l’euro deve essere in capo ai membri dell’eurogruppo». Il rifiuto di Londra – che riguarderebbe solo la disponibilità di risorse al fondo e non uno stop politico alla creazione dello stesso – potrebbe spingere l’Ecofin verso l’ipotesi di limitare il meccanismo di prestiti garantiti ai soli 16 paesi della zona dell’euro.

Piano di salvataggio. Secondo le indiscrezioni le garanzie sul tavolo dovrebbero ammontare a 60/70 miliardi di euro: una cifra in grado di mobilitare sui mercati prestiti per almeno 600 miliardi. Se avere un fondo a 27 o a 16 «è una questione ancora in discussione», sottolineano fonti a Bruxelles. «Mai dire mai» ha detto il ministro dell’Economia francese, Christine Lagarde, arrivando alla riunione, mentre la collega spagnola Elena Salgado, ministro dell’Economia e delle Finanze e presidente di turno dell’Ecofin ha detto che «La Spagna non si prepara a ricorrere a nessun fondo» rispondendo alla domanda se Madrid si stesse accingendo ad usufruire del piano salva-Stati allo studio dei ministri della Ue.

Le opzioni sul tavolo. Tra le opzioni in gioco, una prevede che l’Ecofin approvi la costituzione di un Fondo di stabilizzazione sul modello già utilizzato in passato per gli aiuti a paesi non dell’eurozona (Lettonia, Ungheria e Romania): a intervenire in questi casi è l’articolo 143 del Trattato Ue in caso di grave minaccia di difficoltà nella bilancia dei pagamenti. Si tratterebbe di estendere anche ai paesi dell’eurozona la possibilità di ricevere supporto finanziario allargando l’ipotesi anche per difficoltà di approvvigionamento sui mercati per finanziare il debito sovrano. Fondendo le somme disponibili per i due strumenti si arriverebbe a una dotazione di oltre 100 miliardi di euro. Il problema è che l’articolo 143 è applicabile solo agli Stati dell’eurozona. La soluzione potrebbe arrivare grazie all’articolo 122 del trattato Ue, che prevede che il Consiglio dei 27 in caso di circostanze eccezionali possa decidere a maggioranza qualificata di concedere assistenza finanziaria a uno stato in difficoltà. L’ipotesi, in un primo momento osteggiata dal governo di Londra perché in questa evenienza la Gran Bretagna riteneva di poter essere “costretta” a fornire la propria quota di finanziamento, è ora valutata da Londra con maggior favore.

Banchieri riuniti. A Basilea i banchieri centrali della Bce attendono di capire quale ruolo sarà loro attribuito dall’Ecofin nella gestione del piano di difesa dell’euro e in special modo sulle modalità di acquisto di titoli di Stato in cambio di impegni precisi dei paesi sul risanamento dei bilanci. (Beh, buona giornata).

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Che sta succedendo all’economia europea/5.

La speculazione, l’Europa divisa e la speranza di Kohl, di Romano Prodi-ilmessaggero.it
Per fortuna oggi si vota nel North-Rhine Westfalia (Cristianodemocratici al 34,3% e liberali al 6,5%: perdono il Nordreno-Westfalia, il land più popoloso, e non hanno più la maggioranza al Bundesrat, la Camera delle Regioni. Bene i socialdemocratici con il 34,5%, i Verdi (12,6%) e la sinistra radicale (6%), ndr). Dovrebbe essere una notizia trascurabile nel panorama della crisi finanziaria ma purtroppo, nella mancanza di regole europee comuni e condivise, le decisioni sono rimaste in mano agli stati nazionali e i governanti hanno agito tendendo conto non degli interessi di lungo periodo ma delle passioni popolari del momento . Si è verificato perciò lo scenario peggiore tra tutti quelli prevedibili, uno scenario in cui un problema di dimensioni quantitative modeste, come il deficit greco, ha prodotto le peggiori conseguenze possibili, sconvolgendo i mercati azionari ed obbligazionari di tutta Europa. Quando la politica non adempie al suo compito, la speculazione non può che approfittare del disorientamento generale e fare duramente il proprio gioco. Ed è questo che è avvenuto nella scorsa settimana, in cui l’attacco speculativo non solo ha provocato pesanti ribassi in borsa ma ha generato una catena di crisi di fiducia che ha reso più difficile e costoso il funzionamento dei crediti interbancari e ha infine messo a dura prova la solidità dei titoli di Stato di diversi paesi, con l’ovvia ultima conseguenza di attentare al cuore stesso dell’Euro.

La finanza (o forse meglio dire la speculazione finanziaria) ha travolto la politica perché essa ha per definizione interessi e obiettivi ben precisi mentre la politica europea non è stata in grado di preparare una forte strategia comune. Il prezzo di tutto ciò è elevatissimo: basti pensare che la metà del pacchetto di aiuti preparato qualche giorno fa sta ora andando in fumo per l’aumento dei tassi di interesse del debito pubblico greco, aumento dovuto proprio alla difficoltà, alla lentezza e alla scarsa convinzione con cui era stato preparato dagli “amici” europei.
Insomma la speculazione agisce quando sa di essere più forte della politica, più forte degli Stati. Oggi in Europa lo è.

Non solo perché è in grado di mobilitare enormi masse di denaro in un brevissimo periodo di tempo ( rapidità moltiplicata dagli automatismi con cui vengono dati gli ordini di acquisto o di vendita) ma anche perché tutto questo provoca ondate di panico nei possessori di titoli, allarmati da questi eventi improvvisi, imprevisti e della cui portata non sono in grado di rendersi conto. Nei giorni scorsi molti possessori di azioni sono corsi a vendere semplicemente per paura, così come sono corsi verso i Bund tedeschi altrettanti proprietari di obbligazioni pubbliche di diversi paesi.

Ad eventi così veloci si contrappone una situazione europea in cui nessuno ha il potere di agire con la necessaria rapidità e ogni decisione viene presa dopo che la speculazione ha raddoppiato la dimensione dell’intervento necessario. Questa è la ragione per cui l’attacco è stato mosso verso i paesi dell’Euro, anche se essi hanno in media un deficit molto molto inferiore a quello degli Stati Uniti o della Gran Bretagna ma hanno un potere politico frammentato, diviso e incapace di reagire agli eventi guardando in faccia alla realtà. Identica è la spiegazione sul contradditorio comportamento delle società di rating, che hanno promosso a pieni voti la banca Lemhan fino alla vigilia del fallimento e che ora gettano ombre di sospetto sull’Italia senza nulla dire riguardo all’enorme deficit di Gran Bretagna e Stati Uniti.

Intanto a Bruxelles si continua a discutere sui possibili interventi urgenti della Banca Centrale Europea e su come i mercati reagiranno domani di fronte alle misure prese. Se cioè sarà sufficiente un’iniezione aggiuntiva di liquidità alle banche perché acquistino titoli di Stato dei paesi sotto tiro o se si andrà verso la più complessa e ipotetica possibilità che sia la BCE stessa a comprare direttamente tali titoli. Vedremo domani se la decisione presa sarà in grado di calmare la furia dei mercati ma teniamoci ben in mente che, in ogni caso, si tratta di un rimedio di breve periodo. Il problema resta quello di creare degli strumenti di politica economica per tutta l’area dell’Euro che permettano di evitare i disastri come quello greco e che, se accadono, rendano possibile imporre nuovi comportamenti in modo rapido e autorevole.

Ritorniamo quindi al nostro problema di costruire una politica economica europea da affiancare alla politica monetaria, una politica abbastanza forte da imporre e fare rispettare le regole comuni. E’ proprio quello che i leader europei non hanno nel passato voluto e che gli eventi di questi giorni costringeranno invece a fare. A meno che non si voglia la distruzione dell’Euro, cosa che a nessuno giova a cominciare dalla Germania. Quando fra poche ore si chiuderanno le urne nel North-Rhine Westfalia si dovrà quindi ricominciare a parlare del nostro futuro, che esisterà solo se sarà un futuro comune. Per ora l’unica voce ottimista che ho potuto ascoltare in Germania è quella dell’ex cancelliere Helmut Kohl che, nel giorno del suo ottantesimo compleanno, mi ha rasserenato assicurandomi che la Germania è, nonostante tutto, pienamente consapevole del valore positivo ed indispensabile della solidarietà europea. Mi auguro proprio che abbia ragione.(Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia

L’attacco all’euro è colpa degli speculatori?

http://rampini.blogautore.repubblica.it/?ref=hpblog

Ora la caccia allo speculatore è in cima alle preoccupazioni dei governi dell’Eurozona. Questo purtroppo conferma la debolezza della risposta europea a questa crisi. Quando s’invocano le oscure forze del capitale è un brutto segno.

La speculazione esiste, ha mezzi consistenti, io stesso ho raccontato le “cene segrete” di Wall Street tra gli hedge fund, sulle quali la magistratura e la Sec hanno aperto un’indagine per capire se ci fu collusione nell’organizzare gli attacchi all’euro.

Ma prendersela con la speculazione è come voler rompere il termometro perché ci dice che abbiamo la febbre alta.

Ricordiamo l’attacco guidato da George Soros nel 1992 contro lira e sterlina: fu possibile per l’altissimo debito pubblico dei due paesi, e l’insostenibilità della loro appartenenza al regime dei cambi quasi-fissi (allora lo Sme).

Soros precipitò il crollo della lira, l’uscita dallo Sme, ma così facendo costrinse l’Italia ad accettare un risanamento dei conti pubblici (Amato) che era necessario in quanto tale: eravamo avviati su una china distruttiva, per comportamenti irresponsabili delle nostre classi dirigenti.

Oggi la situazione non è diversa: dalla corruzione dei passati governi greci, all’ostinazione della Germania nel rifiutare un governo europeo dell’economia, ogni nazione è messa di fronte al conto degli errori accumulati in molti anni.

La speculazione ci si arricchisce sopra. Ma nessuno denunciava la speculazione quando era di segno opposto: rafforzava l’euro, consentiva alle banche europee di rimpinguarsi i bilanci con finanziamenti a tasso zero. C

‘è un’attenzione asimmetrica ai danni degli speculatori. Li si scopre malvagi e distruttivi solo quando le loro scommesse disturbano uno status quo consolidato.

L’ultima grande crisi che ebbe come suo epicentro l’Asia, quella del 1997, fu l’occasione anche là di alte grida contro il complotto della finanza occidentale. Il premier malese Mahatir divenne famoso per le sue denunce contro le congiure degli speculatori angloamericani.

Da allora però l’Asia, più che prendersela con gli speculatori, ha imparato una lezione diversa. Oggi le nazioni orientali hanno le finanze pubbliche più in ordine del mondo, i conti con l’estero in attivo, ricche riserve valutarie per consentire alle banche centrali di difendere le rispettive monete. E dietro tutto questo, ci sono delle economie reali con i “fondamentali” in ordine: a cominciare dalla competitività.

Questo andrebbe ricordato, perché se l’attenzione dell’opinione pubblica si concentra sulla “caccia all’untore”, è un comodo diversivo per i nostri governi e banchieri centrali, ma è pseudo-economia. (Beh, buona giornata).

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