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Sono ancora utili le associazioni di categoria della pubblicità italiana?

La sensazione che la situazione del mercato della comunicazione commerciale italiana sia nettamente diversa da ciò che si discute nelle associazioni di categoria è netta quando si leggono i programmi elettorali dei candidati alle cariche direttive delle varie associazioni di categoria, che costellano la pubblicità italiana. A volte, verrebbe proprio voglia di chiedersi: le associazioni hanno ancora senso, ruolo, prospettive?

Dall’esterno, si ha quella strana sensazione di uno scollamento dalla realtà, abbastanza tipico della politica così come viene fatta in Italia: ognuno presuppone la tesi con la quali si legge la realtà.

Come dire: siccome io la penso così, allora le cose devono per forza essere spiegate così. In realtà dovrebbe essere esattamente il contrario: le cose sono cambiate, dunque devo adeguare il mio punto di vista alla nuova realtà delle cose. E agire di conseguenza.

È vero che ogni associazione ha la propria sintassi e comunque ha il diritto di esistere, fosse anche per la sola volontà degli associati; anche, cioè, qualora gli scopi associativi fossero assolutamente superati dalla realtà dei fatti. Tanto più che la libertà di associazione è un diritto costituzionalmente garantito. E’ la grammatica di un Paese democratico.

Ciò non di meno, mi si conceda, dall’esterno di ogni associazione, ma dall’interno della nostra comune industry, di formulare alcune riflessioni, di metodo e di merito. Il discorso è generale, dovrebbe riguardare tutte le associazioni di categoria. Anche se qui si parlerà nello specifico delle prossime elezioni degli organi dirigenti di Assocomunicazione.

Per rendere più agevole l’esposizione, esporrò il mio punto di vista sotto forma di brevi domande:

1) Perché i tre saggi (Testa, Montangero e Masi) non hanno proposto una rosa di candidati? Perché un solo candidato, praticamente predestinato ad assumere l’incarico? C’è una crisi di vocazione?

2) Che peso specifico autonomo potrà avere la prossima leadership dell’associazione, dal momento che Assocomunicazione medesima sarà embedded nella neonata Federazione della comunicazione presso Confindustria, presieduta proprio dal presidente uscente?

3) Come si potrà realizzare, qualora fosse nelle intenzioni del neo presidente, una discontinuità con la precedente presidenza? Insomma: che succede se Costa non vuole fare come faceva Masi, però a Masi dovrà rispondere, perché Masi è il capo della federazione di cui l’associazione fa parte?

4) Massimo Costa ricopre il ruolo di country manager del gruppo Wpp in Italia: non c’è il pericolo di conflitto di interessi? Tutte le strutture che a lui fanno capo nella holding come potranno essere autonome nel giudizio come membri, dal momento che alcuni manager di Wpp si candidano addirittura come dirigenti dell’associazione?

4) Nella lettera ai soci, il candidato presidente fa esplicito riferimento alle ripercussioni che il cambio del quadro politico italiano potrebbe avere nel futuro del mercato pubblicitario italiano. Che vuol dire?

5) Scorrendo i programmi dei canditati, si fa riferimento alla questione della remunerazione, dei fee e del dumping. Ma, se strutture economiche del calibro di Wpp, Omnicom, Publicis e IPG, tutte ben rappresentate nel mercato italiano, tanto da risultare come maggioritarie dal punto di vista dei fatturati, tutte insieme non sono finora riuscite a invertire la tendenza, come potrebbe farlo una associazione di categoria?

6) Non è forse proprio per questa scissione tra la realtà del mercato e il dibattito interno all’associazione che finora Assocomunicazione non è riuscita a ottenere nessun fatto concreto, tanto da spingere verso la costituzione di Confindustria Knowledge, nel tentativo di assumere un più rilevante peso specifico?

7) Alcuni candidati si presentano per una riconferma, è un legittima aspirazione, ma la domanda è: come si concilia il desiderio di nuovi scenari se non c’è discontinuità tra il vecchio ed il nuovo consiglio direttivo dell’associazione?

7) Può la complessità della relazione tra committenti pubblici e privati e le agenzie di pubblicità e comunicazione essere semplicisticamente
risolta nella speranza che un uomo al comando possa risolvere tutto e bene?

8) Massimo Costa è sicuramente una persona degna e un manager capace, ma siamo sicuri che non sia necessario un complessivo cambio di passo, prima ancora che un cambio di leadership?

9) Vale a dire, non è meglio prima ridefinire il perimetro entro il quale operare in profondità i necessari cambiamenti e sulla base di una nuova visione condivisa esprimere nuovi dirigenti, cui affidare il compito di realizzare gli obiettivi stabiliti dalla nuova linea politica?

10) Non pensate anche voi che i prossimi anni sono sicuramente cruciali, che molto di quello che abbiamo fatto e pensato verrà messo in discussione dai fatti, a prescindere dai ruoli che abbiamo nel mercato: che cosa dobbiamo essere disposti a fare per migliorare concretamente il modo di fare pubblicità, a partire dalle condizioni di vita e di lavoro degli addetti, per arrivare a essere concretamente all’altezza delle aspettative dei clienti?

Beh, a questo punto, mi sono fatto dieci domande. Non mi dò le risposte, siamo mica da Marzullo. Esse sono riflessioni, che non pretendono necessariamente una risposta. A meno che non siano quei fatti concreti che, sono certo, tutti vorremmo vedere cominciare a realizzarsi. Beh, buona giornata.

Allegati:
http://www.consorziocreativi.com/Il-Negozio-delle-buone-idee.html

http://consorziocreativi.com/blog/2011/11/17/1193/

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Attualità business democrazia Marketing Media e tecnologia Politica Potere Pubblicità e mass media Sport

3DNews/QUANDO ERAVAMO RE.

di Giulio Gargia
Il trionfo dei dietrologi.

Immaginiamo che tu che leggi sia uno juventino. Immaginiamo che oggi non sia oggi, ma l’ultima giornata del campionato 2004-5. Immaginiamo ora che qualcuno ti venga a dire le seguenti cose : che la Juve non si è guadagnata lo scudetto sul campo, ma grazie a un sistema paramafioso in cui i suoi dirigenti concordavano con i designatori degli arbitri chi doveva arbitrare i loro incontri e perché, che chi doveva controllare era loro complice, che il mercato calcistico era nelle mani di una società fatta dai figli dei presidenti e dei dirigenti delle maggiori squadre, e che grazie a tutto questo i risultati del campionato erano stati alterati.
Immagina anche che qualcuno ti dicesse che alcuni arbitri pianificavano le ammonizioni dei giocatori più bravi delle altre squadre con una partita d’anticipo in modo che quando incontrava la Juve quelle squadre fossero comunque indebolite.
Immagina infine che ti predicesse – allora – che tutto questo prima o poi si sarebbe stato scoperto e che la Juve sarebbe andata in serie B … che cosa avresti detto ?
La tua passione per l’anti Dietrologia come si sarebbe espressa ?
Con quali epiteti alla Mughini avresti bollato queste teorie del complotto ?
Qualche anno fa, quelle su Moggi erano chiacchiere da bar Sport.
Quelli che li ripetevano erano definiti “ dietrologi”. Oggi, sono cronaca. Definita da una sentenza. Tenetelo presente, quando leggete di altre cose che vi sembrano “ dietrologia”. Dall’11 settembre, alla trattativa Stato mafia, ai meccanismi dell’Auditel .
L’unica cosa, per favore, quando la verità verrà alla luce , non pensate “ lo sapevo”. Perchè voi, noi, tutti non lo sapevamo. Non volevamo saperlo.

°Rispettando le agitazioni sindacali in atto al quotidiano TERRA, questa settimana 3D uscirà solo sul web. Saremo in rete sui siti www.3dnews.it, www.ildiariodilosolo.com, www.marco-ferri.com a partire dalle 24 di oggi.

3DNews, Settimanale di Cultura, Spettacolo e Comunicazione
Inserto allegato al quotidiano Terra. Ideato e diretto da Giulio Gargia.
In redazione: Arianna L’Abbate – Webmaster: Filippo Martorana.

(Beh, buona giornata).

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3DNews/E adesso vediamo che sapete fare.

di Marco Ferri

Nonostante i sostanziosi acquisti di azioni Mediaset da parte di Fininvest e di Holding Italiana, sempre di famiglia, avvenuti durante l’estate per rilanciarlo, il titolo va male. Lo si è visto col rovinoso capitombolo dell’altro giorno, quando il titolo Mediaset ha toccato ripetutamente quota -12.

D’altro canto, neppure guardando alla terza trimestrale si trovano segnali positivi: la raccolta pubblicitaria è andata sotto zero. Nel comunicato stampa relativo alla riunione del cda che ha approvato la trimestrale Mediaset, si riafferma la leadership sul mercato, ma è un’affermazione un tantino autolesionistica: lo sanno tutti che ogni volta che Mediaset è in difficoltà, Sipra si sgonfia ad arte, quel tanto che permetta, appunto la riconferma della supremazia di Mediaset. Basta mandare via uno come Santoro, per esempio, per indebolire la raccolta Sipra a tutto vantaggio di Publitalia. E per lo stesso motivo continuare a far dirigere il TG UNO a un direttore che perde pubblico come un tubo rotto.

È in questa difficoltà di mercato, come viene definita nella trimestrale Mediaset, che ci si interroga sulla forte relazione che è intercorsa tra i successi politici del Berlusconi capo del governo e il Berlusconi tycoon dei media italiani. Le domande sono: che fine farà Mediaset, azienda-partito di business e di governo adesso che il Cavaliere è stato costretto alla resa? Come farà a stare sul mercato rispettando le regole del mercato? Come se la caverà senza il sostegno delle leggi ad aziendam? Più che domande irriverenti, sono problemi seri, che tormentano la premiata ditta Berlusconi&figli. D’altro canto non sarà più possibile procrastinare anacronisticamente nuove norme sulla concorrenza e sulle liberalizzazioni.

Tanto per fare un esempio, Mario Monti, che probabilmente guiderà un esecutivo “tecnico”, nato per seppellire l’era berlusconista in politica, non si è mai dichiarato tenero con la mancanza di una reale concorrenza tra soggetti del mercato.

Sta lì a dimostrarlo la decennale esperienza come Commissario Europeo alla Concorrenza, ma anche la mission che Monti dovrà incarnare: la ripresa, la crescita passano per un corretto funzionamento delle regole dell’economia di mercato.

E allora Mediaset dovrà passare per le stesse strettoie cui passò la Rai, all’epoca della nascita della tv commerciale (quando si dice il contrappasso!); o Telecom quando si liberalizzò la telefonia, o Enel quando toccò all’energia: accettare di dimagrire, di restringere il perimetro aziendale per fare posto ad altri soggetti. E ripartire da lì per far valere la propria capacità imprenditoriale, magari attraverso nuovi investimenti, progetti innovativi, scelte coraggiose.

Saranno capaci Berlusconi & Figli di fare impresa senza il vantaggio di quella dose massiccia di concorrenza sleale derivante dallo stare contemporaneamente sul mercato e al potere?

°Rispettando le agitazioni sindacali in atto al quotidiano TERRA, questa settimana 3D uscirà solo sul web. Saremo in rete sui siti www.3dnews.it, www.ildiariodilosolo.com, www.marco-ferri.com a partire dalle 24 di oggi.

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(Beh, buona giornata).

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Attualità Politica Pubblicità e mass media

3DNews/Jack Caldoro e Giggino Matthau, la strana coppia a Napoli.

Luigi De Magistris

Il sindaco e il governatore si inseguono sulla scena mediatica, rivaleggiano ma alla fine si sostengono
di Oscar Aldino

Stefano e Giggino come Felix e Oscar nella celebre commedia di Neil Simon. Jack Lemmon (Felix) è un tipo preciso, pulito, maniaco dell’ordine. Walter Matthau (Oscar) è uno che azzarda, impetuoso e pokerista. Diversi in tutto, ma costretti a coabitare nello stesso appartamento. Alla fine ognuno impara qualcosa dall’altro.

Che ne dite? Non sembrano, gag a parte, Caldoro e De Magistris? Si chiama collaborazione istituzionale, ma qualcuno la definisce “cazzimma” per necessità. Divorziati entrambi dalle tortuose logiche di coalizione (come Felix e Oscar dalle rispettive mogli), sbarcano il lunario, l’uno governando con ordine e precisione compulsiva la cassa regionale (e tenendo a distanza Cosentino), l’altro promettendo impetuose “rivoluzioni nel modo di fare politica” (e tenendo vicini gli indignati). Sono opposti, nel fisico e nei programmi, ma preferiscono aiutarsi, piuttosto che cedere a capipartito e ras elettorali. E poi non si sa mai. Con i tempi che corrono meglio ripararsi sotto la pensilina della collaborazione che ritrovarsi inzuppati d’acqua sotto la tempesta perfetta della politica italiana.

E allora via alla prima foto di famiglia: a Capodichino insieme per accogliere il vicepresidente Usa Joe Biden e sua moglie Jill. Poi, insieme a polemizzare con la Lega, insieme a Plymouth per la Coppa America a Napoli, insieme per il Forum delle culture (presidente in quota sindaco, direttore in quota governatore), insieme per togliere i rifiuti dalle strade durante la crisi e ora quasi d’accordo (sarà vero?) sul termovalorizzatore partenopeo che emigrerebbe da Napoli est a Capua, per la gioia di Giggino e il disappunto di qualche amico del governatore. Finanche propensi all’uso combinato delle “piazze”, perché ce n’è una di protesta e un’altra di proposta. “Uniamole “, esorta Caldoro, affidando la prima al sindaco e riservando, da buon riformista, la seconda per sé. “Non esistono due piazze –schiva la classificazione il sindaco- ma esiste un solo luogo sociale e politico”.

Comunque sia, Jack Caldoro e Giggino Matthau, quando possono, si scambiano garofani e bandane. E si rincorrono, in questa corsa all’aplomb istituzionale e alla notorietà pubblica, sui media e sui social con un diluvio di video, contatti, pagine fan, “mi piace”, tweet e amici fb. Falangi di giovanissimi, interpreti del “nuovo”, a guidare la macchina della comunicazione o a fare il tifo per il sindaco del popolo o per il governatore persona perbene.

Protagonisti per caso, si inseguono sulla scena mediatica, rubando all’altro qualche virtù e anche qualche trucco del mestiere. Caldoro non disdegna ora la platea, i new media e alza pure la voce col governo. De Magistris continua a bucare il video, è padrone dei social (più di 270mila fan su fb e 36mila sulla pagina di sindaco), ma non disprezza qualche conticino e si appella al governatore: “Mi devi 12 milioni di euro per le buche stradali”.

Felix e Oscar, al secolo Stefano e Giggino, hanno davvero “scassato” ogni previsione. Meglio, per il governatore, elogiare il modello De Magistris che dare punti e credito al centro-sinistra. Meglio, per il sindaco, accordarsi con chi tiene la cassa regionale che invischiarsi in rapporti troppo stretti col Pd e rinunciare al “movimento”. La strana coppia funziona.

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(Beh, buona giornata).

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Telecom toglie la pubblicità al Comune di Roma: troppa illegalità.

Roma è invasa dai cartelloni pubblicitari, che spesso vengono posizionati senza alcun rispetto del decoro e dell’importanza storica e archeologica della città. Per questo Franco Bernabé, presidente di Telecom Italia, ha annunciato dalle pagine di Repubblica alcuni giorni fa che l’azienda si impegna a non pianificare più pubblicità sugli impianti che si trovano sulle strade, per stimolare una maggiore presa di coscienza sulla questione che porti a una più efficace regolamentazione.

“Sto riorganizzando il settore e avvierò un’azione di moral suasion anche con altre aziende – ha dichiarato Bernabè al quotidiano – . Sono in gioco la sicurezza urbana e stradale oltre che il decoro”.

D’accordo anche Flavio Biondi, presidente di IGPDecaux, importante multinazionale che opera proprio nel settore della comunicazione esterna e che ha vinto l’appalto per le affissioni pubblicitarie nella metropolitana, sugli autobus e sui tram della capitale. Il manager, in un’intervista pubblicata il 10 novembre, da Repubblica, dichiara che IGPDecaux è pronta a togliere i suoi 300 impianti stradali pur di incentivare un più alto livello di legalità.

La deregolamentazione vigente, che porta a un sovraffollamento di impianti, danneggia non solo le aziende di publicità esterna ma, come dichiara Biondi al quotidiano, anche gli investitori, “perchè non sanno se la loro pubblicità andrà a finire su un impianto regolare o no”.

Primo respossabile di questa deregolamentazione è il Comune, che ha istituito un sistema “in base al quale qualsiasi ditta che ha installato dei cartelloni paga un canone in cambio del quale ottiene l’inserimento in una banca dati”. Il risultato? Pur di raccogliere fondi, vengono autorizzati anche gli impianti abusivi e la città si trasforma in una giungla selvaggia di cartelloni pubblicitari, che sorgono in ogni dove, senza il minimo controllo.

E’l’ennesima inefficenza da ascrivere alla giunta presieduta da Alemanno, con il relativo danno economico alle casse del comune. Senza contare il danno alla reputazione della città, se l’esempio dovesse essere seguito da altri importanti marchi italiani e stranieri. Beh, buona giornata.

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Il Financial Times: in nome di Dio, vattene.

(fonte: ilmessaggero.it)

«In God’s name, go!» (In nome di Dio, vai via!). È l’invito secco e inequivocabile contenuto nell’editoriale di oggi del Financial Times dedicato all’Italia e alla crisi europea.

Il quotidiano britannico, che dedica l’intera apertura della prima pagina alle vicende della crisi dell’euro che ormai ha il suo epicentro a Roma, sostiene che «solo un cambio di leadership potrà ridare credibilità all’Italia». Un cambio di leader «imperativo» anche se, aggiunge, «sarebbe ingenuo credere che quando Berlusconi se ne andrà, l’Italia possa reclamare subito piena fiducia dei mercati».

L’editoriale, il primo contenuto nella rubrica dei
commenti, «senza paura e senza favore», pur dedicando il titolo all’appello verso il presidente del Consiglio Italiano, parte dall’analisi dei risultati del summit del G20 nel quale – sostiene – «i più potenti leader del mondo si sono trovati senza poteri di fronte alle manovre dei due premier europei: George Papandreou e Silvio Berlusconi».

Vengono messe in risalto le similitudini tra i due primi ministri: «Tutti e due si reggono su una sottile e risicata maggioranza parlamentare, e tutti e due stanno litigando con il loro ministro delle finanze. Ma, la cosa più importante di tutte, hanno entrambe la tendenza a rinnegare le loro promesse in un periodo nel quale i mercati sono preoccupati sulle finanze pubbliche dei loro paesi».

Ma – viene evidenziato – hanno anche «una grande differenza: l’Italia ha raggiunto un debito di 1.900 miliardi di euro ed è così alto che è potenzialmente in grado di destabilizzare l’economia del mondo in un modo superiore a quello che potrebbe atene». «La buona notizia – prosegue l’editoriale citando i dati degli spread – è che l’Italia è, ovviamente, ancora un paese in grado di pagare i suoi debiti» anche se «tuttativa i tassi di interessi sul suo debito stanno diventando sempre meno sostenibili».

Il nodo più problematico – viene comunque spiegato – è che l’Italia ha aderito alla richiesta di riforme strutturali raccomandate dall’europa e del G20 che il Fondo Monetario internazionale dovrà monitorare nei suoi progressi. «Ma il rischio che potrebbe minare il paese riguarda il leader attuale: avendo fallito l’obiettivo di realizzare riforme nelle due decadi passate in politica, Berlusconi manca della credibilità per portare avanti questi significativi cambiamenti».

Così, anche se non sarebbe una soluzione a tutti i problemi, «il cambio di leadership è imperativo» e «un nuovo primo ministro impegnato nelll’agenda della riforma potrebbe rassicurare il mercato, che è alla ricerca disperato di un piano credibile per bloccare la corsa del quarto debito più grande del mondo». «Dopo due decadi di inefficace politica da showman, le sole parole da dire a Mr Berlusconi fanno eco a quelle usate da Oliver Cromwell. In nome di Dio, dell’Italia e dell’Europa, vai via!».

Non meno teneri sono poi i contenuti degli articoli della cronaca nelle quali si spiega che, al G20, l’Italia ha accettato un monitoraggio del Fmi «altamente intrusivo» e che questa è una «concessione senza precedenti» per un paese che non è fallito mentre, nel servizio dedicato alla politica italiana, viene titolato così: «il sopravvissuto dell’Italia determinato a durare».
(Beh, buona giornata).

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Il prezzo della pubblicità e lo sprezzo del mercato.

Il nuovo logo di ConsorzioCreativi
Think boldly, il logo e il claim di ConsorzioCreativi
(da consorziocreativi.com)

La notizia è che Consorzio Creativi, il network di creativi che hanno dato vita a una agenzia di pubblicità di nuova concezione, ha aperto on line il Negozio della buona pubblicità. E sugli scaffali del Negozio, visitabile su consorziocreativi.com, ci sono i prodotti con tanto di prezzi.

Il fatto è che il prezzo per la pubblicità italiana è un tabù. Ogni cliente pensa di fare ottimi affari, spendendo sempre meno; ogni agenzia, media o creativa, pensa di tenere botta alla concorrenza abbassando i prezzi. Ma le cose stanno proprio così?

Se prendiamo ad esempio le gare convocate dai committenti per scegliere la migliore agenzia, queste ormai non si svolgono più sul terreno della competenza, ma sul piano inclinato della convenienza. Talmente inclinato che i prezzi sono scivolati sempre più in basso, e i margini per le strutture di comunicazione hanno subito una tale contrazione da diventare ingestibili non solo all’interno, ma anche difficili da spiegare ai rispettivi headquarters internazionali.

La situazione è sfuggita di mano a tutti i soggetti. Nella seconda metà degli Ottanta, le agenzie si remuneravano con il 15% che per legge gli editori dovevano riconoscere alle agenzie che vendevano spazi e messaggi ai loro clienti. La produzione dei materiali era remunerata con il 17,65% del budget.

Di pari passo con l’espansione del mercato della comunicazione commerciale che contrassegnava quegli anni, si pensò di favorire la crescita rinunciando via via a porzioni di quel 15%. Su pressante richiesta di grandi compagnia americane, che assegnavano budget multinazionali, i reparti media delle agenzie furono scorporati, per diventare agenzie a loro volta. In Italia, la nascita e lo sviluppo supersonico della tv commerciale e l’aumento dell’offerta di spazi televisivi hanno favorito la rapida agonia del 15%.

Quel 15%, che in origine remunerava per il 7% la creatività; per il 5% il servizio di contatto commerciale; per il 3% il planning e il buying dei mezzi; quel 15%, dunque, cominciava a dissolversi. Le agenzie media, cioè chi compra spazi per conto dei clienti e le concessionarie di pubblicità, cioè chi vende spazi per conto degli editori trovarono la via di disinnescare l’obbligo, tutt’ora vigente, di riconoscere all’agenzia il 15%: alle agenzie media un meccanismo di remunerazione basato su quantità di spazi trattati, per i quali scattano premi da parte delle concessionarie; per le agenzie creative l’istituzione del fee, praticamente sganciato dalla percentuale di spesa pubblicitaria.

Venendo ai giorni nostri, il budget che una azienda investe in pubblicità non dice più nulla a proposito del fatturato della agenzia di pubblicità che ne cura l’immagine. L’agenzia media viene pagata in un modo, l’agenzia creativa in un altro, le ricerche in un altro ancora, la grafica, gli eventi, le promozioni in altri modi ancora.

Il combinato disposto di questa giungla remunerativa è stato solo apparentemente il maggior vantaggio per il committente, che è convinto di tenere sotto controllo la spesa pubblicitaria; e non è ormai più neppure il vantaggio competitivo dei grandi gruppi verso le piccole strutture: l’illusione che la massa critica compensasse i minori introiti derivati dai forti sconti si basava sulla previsione di un costante investimento da parte dei clienti. Le crisi economiche che si sono succedete negli anni, al contrario, hanno segnato una costante diminuzione degli investimenti sui mezzi classici, stampa e televisione, per esempio.

Anche senza contare l’odierna gravissima situazione economica e finanziaria in cui versa il mercato italiano, i grandi gruppi hanno da tempo cominciato a boccheggiare per mancanza di fatturati adeguati alle loro dimensioni. Vistosi e profondi tagli di personale hanno costretto le grandi agenzie a dimagrire. Col risultato di impoverire la capacità propositiva nei confronti dei clienti. I quali, dopo aver favorito in tutti i modi la corsa al controllo della spesa pubblicitaria, si trovano oggi a fare i conti con l’impoverimento dell’offerta creativa all’altezza delle durissime sfide proposte in continuazione dal mercato globale.

Così, come fossimo in una commedia di Goldoni, succede che Pantalone dice “non ti pago perché mi hai fatto un butto servizio”, e Arlecchino dice “ti ho fatto un brutto servizio perché tanto non mi paghi”.

L’aspetto grottesco, però, è che tutti si lamentano, ma nessuno dice la verità. Negli ultimi anni le associazione delle agenzie e quelle dei committenti hanno prodotto migliaia di ore di convegni e tavole rotonde, alcune tonnellate di carta imbrattata di buoni propositi senza che questo ribollire di intelligenze venisse a capo di alcunché: neppure l’obiettivo minimo, quello della remunerazione almeno delle spese per le gare, è stato raggiunto. E sì che si sono fatti proclami e stilato decaloghi, che nessuno ha mai preso in considerazione, a cominciare proprio dagli associati medesimi. Questo, tuttavia, non ha impedito che, per esempio, il sabato al convegno si tuonasse contro il dumping che il lunedì successivo si applicava senza troppi scrupoli.

In questi anni il valore sul mercato di alcuni budget pubblicitari è stato letteralmente portato vicino allo zero. Per esempio, a una grande banca che nel 2000 riconosceva all’agenzia il 7,5%, oggi è stato offerto un fee che si aggira tra il 2 e il 3 per cento, a scalare sugli importi investiti. Oppure, a una importante istituzione pubblica è stato offerto, non più tardi di tre anni fa, un fee equivalente allo 0,9% del budget. E può succedere, come è successo, che una rinomata agenzia abbia proposto al suo cliente un listino nel quale un annuncio pubblicitario senza immagini costava meno della metà di uno con una foto: la creatività non conta, contano le figure. Per non dire di quella agenzia che per acquisire un importante cliente editoriale, è arrivata a offrire uno sconto del 75%.

La spirale del dumping si avvita su se stessa quando viene messa in gara l’agenzia che aveva stracciato il prezzo, la quale perde comunque il cliente. Il quale convoca la gara proprio per non dover rinegoziare il prezzo stracciato che gli era stato precedentemente offerto. Col risultato che implicitamente la base di partenza è proprio il ribasso del ribasso precedente: è su quello si scontreranno le agenzie convocate. Ecco che da Goldoni si passa a Pinter: cioè siamo in pieno teatro dell’assurdo.

Tutto questo succede mentre i committenti si lamentano, quando non cercano agenzie di pubblicità altrove, come è successo recentemente per un grande gruppo bancario e per una grande compagnia telefonica. E mentre nelle agenzie si lavora male, con stipendi bassi o un uso diffusissimo di lavoro precario, e il costante clima da stillicidio di licenziamenti.

In questo quadro, al tempo stesso desolato e desolante, in cui il prezzo della pubblicità è stato usato con sprezzo del mercato e delle sue regole, l’unica via d’uscita è rompere il tabù dei prezzi e dichiararli apertamente. E accettare che la negoziazione tra le parti faccia il resto. Senza trucchi, senza inganni, senza piccole bugie o grossolane mezze verità.

Che è proprio quello che sta facendo Consorzio Creativi con l’apertura del Negozio della buona pubblicità, (visitabile su consorziocreativi.com). Beh, buona giornata.

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Pubblicità: sulla stampa andiamo male.

L’Osservatorio Stampa FCP ha diffuso i dati relativi al periodo gennaio-settembre 2011 raffrontati al periodo gennaio-settembre 2010.

Il fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale registra un calo del -4,0%.

In particolare i quotidiani nel loro complesso registrano un -5,3 % a fatturato e un +3,4% a spazio, con la conseguente diminuizione del prezzo medio. Questo andamento è confermato dai dati relativi alle singole tipologie:
La tipologia Commerciale nazionale ha evidenziato un -6,5% a fatturato ed un +2,8% a spazio.
La tipologia Di Servizio ha segnato un -3,1% a fatturato e un +1.3% a spazio.
La tipologia Rubricata ha segnato un calo a fatturato del -8,2% e a spazio -4,4%.
La pubblicità Commerciale locale ha ottenuto un -3,6 % a fatturato ed un +4,1% a spazio.

I quotidiani Free Press nel totale delle tipologie hanno segnato un -20,7% a fatturato e un +1,0% a spazio.
La Commerciale Locale cresce a fatturato del +2,7% con un aumento del +11,0% degli spazi, mentre registra un andamento negativo a fatturato sia per la Commerciale Nazionale (-31,6%) che per la Di servizio (-48,5%).
I periodici segnano un calo a fatturato -1,6% e a spazio -2,7%.
I Settimanali registrano a fatturato un -0,9% e a spazio -2,0%
I Mensili hanno indici negativi sia a fatturato -1,9% che a spazio -3,5%.
Le Altre Periodicità registrano un calo a fatturato -9,2% e un andamento positivo a spazio -3,6%.
(Beh, buona giornata).

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Think boldly, il nuovo logo di ConsorzioCreativi.

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Questo è il nuovo logo di ConsorzioCreativi, che è anche il claim e il pulsante del nuovo sito. La mission è sintetizzata dalla seguente definizione: comunicazione, pubblicità e marketing di alto valore, senza spargimento di costi. ConsorzioCreativi ha appena lanciato on line la nuova versione del suo sito, rinnovato nella grafica e nei contenuti. Nell’editoriale di oggi, apparso su consorziocreativi.com/blog vengono illustrate le linee guida del nuovo sito. Beh, buona giornata,

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ConsorzioCreativi lancia il suo nuovo sito. Con qualche novità.

Tra poco più di mezz’ora, a mezzanotte, cominceranno le procedure di lancio on line del nuovo sito di ConsorzioaCreativi. Anticipiamo qui l’editoriale che apparirà domani sul blog annesso al nuovo sito.

Think boldly

Siamo al terzo restyling di consorziocreativi.com in due anni. La prima versione fu dedicata ai promotori, con la seconda poi al centro ci fu l’assetto organizzativo. Con questa nuova veste grafica, ConsorzioCreativi trasforma il sito in uno strumento di lavoro, in un momento in cui lavorare per la comunicazione, per la pubblicità e il marketing è diventato difficile. La crisi picchia duro su consumi e consumatori, sui prodotti, sulle aziende: i budget si restringono, alcuni soggetti hanno sospeso gli investimenti, altri li hanno già tagliati da tempo.

Per questo, la veste grafica è sobria, essenziale, funzionale. Ma, al tempo stesso è allegra, colorata, vivace. Il meccanismo è incentrato sul pulsante “Think boldly”: attraverso questo pulsante si accede alla home page, attraverso lo stesso pulsante si torna alla hp. Un tramite, come tramite vuole essere ConsorzioCreativi nel mercato della comunicazione: dalle complicazioni dell’oggi, alle soluzioni possibili.

L’impianto grafico ricorda e cita un tablet e le relative applications: anche l’apertura delle pagine è comandata da pulsanti che danno l’idea di agire, del mettersi al lavoro, dell’ottimizzazione del tempo, attraverso scelte precise. A cominciare dal blog, ma anche in altri ambiti, consorziocreativi.com ha scelto la condivisione con i social network: Facebook, twitter, Linked, You tube sono automaticamente connessi col sito. Altri social network sono a disposizione dei lettori del blog.

Anche in questo caso la scelta funzionale rimanda a una decisione simbolica: applications e social network sono il superamento del sito, che smette di essere una semplice vetrina per diventare una sorta di piattaforma verso l’esterno. Che è l’idea di ConsorzioCreativi: non un isola, ma una penisola protesa verso ignote, quanto affascinanti innovazioni nella comunicazione.

E poi l’innovazione pura: il negozio della buona pubblicità. Lo “store” di ConsorzioCreativi, nei quali scaffali sono in vendita le nuove confezioni dei nostri prodotti. Prodotti esposti con il prezzo chiaro e trasparente. Perché?

Sono anni che le associazioni dei clienti e delle agenzie discutono di remunerazioni, di rimborsi, di regole. Oltre che dichiarazioni di principio, oltre che parole incentrate su buone intenzioni, nella realtà dei fatti, comportamenti concreti non se ne sono visti. Il risultato è che il prezzo, non il talento, sembra essere l’unico terreno della concorrenza fra agenzie. Bene, ne abbiamo preso atto.

La logica conseguenza dell’apertura del negozio sono le promozioni. La promozione di questo mese riguarda l’agricoltura e le filiere connesse: dobbiamo essere capaci di portare la pubblicità dove può essere utile allo sviluppo di attività economiche eco sostenibili.

E, per concludere questo capitolo, è bene segnalare che nel negozio è in vendita uno specifico prodotto per gli Start Up. Contribuire al successo di nuove imprese non è solo la vera via d’uscita dalla crisi, ma la mission che dovrebbe darsi tutta l’industry della comunicazione commerciale italiana.

Riassumendo, tre sono le direttrici lungo le quali di muove a partire da oggi il nuovo consorziocreativi.com. La prima è la sobrietà e la funzionalità, che fanno di questo sito un vero e proprio strumento di lavoro.

La seconda direttrice è nell’integrazione tra i social network e il sito stesso: con al centro il blog, come diario di bordo di nuove esperienze, concetti e teorie.

La terza direttrice è la vocazione commerciale di consorziocreativi.com: se ogni sito web è anche una vetrina, la nostra è la vetrina di un negozio, in cui si commercializza il nostro talento alla luce del sole, nel pieno rispetto delle regole del mercato.

Il pulsante Think boldly, che un nostro cliente e amico ha definito pop, è il logo, la sigla, il leitmotiv, la tag non tanto di questo sito, quanto piuttosto il claim con cui affrontare questi tempi: con audacia. (Beh, buona giornata).

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business Marketing pubblicato su advexpress.it Pubblicità e mass media Società e costume

Roma, apre lo store chiude la città.

L’ apertura di uno store Trony ha bloccato Roma per ore. Ottomila persone che hanno fatto la coda anche di notte in cerca di iPod a prezzi stracciati, di lavatrici a 69 euro, di tv ultima generazione a costi irripetibili, hanno messo in ginocchio mezza Roma, paralizzando due consolari, la Cassia e la Flaminia, la Tangenziale e un nodo stradale strategico come Tor di Quinto, perennemente intasato dalle sette alle dieci di ogni mattina.

Questa è la notizia, alla quale si possono aggiungere una vetrina in frantumi, qualche accenno di rissa, un certo numero di spintoni.

In genere, la ressa all’inaugurazione di un mega store è una buona pubblicità per i grandi marchi della distribuzione. Ma stavolta si sono superati i limiti. Per via del non funzionamento dei sensori sul territorio, con i quali sarebbe stato facile non solo prevedere la grande affluenza, ma gestire con intelligenza anticipatoria gli effetti sulla viabilità in particolare, sull’ordine pubblico in generale.

Qualcuno dirà: questi sono compiti che spettano all’amministrazione delle città, dunque alla politica. È vero. E infatti le polemiche sono già cominciate. Al di là delle quali c’è una semplice constatazione: se ottomila persone bloccano una città di tre milioni di abitanti, beh è impossibile non vedere che c’è più di un qualche problema di efficienza.

Ma qui vorremmo occuparci del rapporto tra un grande brand come Trony e il territorio in cui svolge la propria attività. Ponte Milvio è un antico quartiere di Roma e non meritava certo di essere strapazzato in quel modo. E qui, forse, è il brand che deve saper agire in supplenza delle macroscopiche carenze che si sono verificate a Roma. Perché altrimenti il successo dell’inaugurazione diventa controproducente alla reputazione del brand.

“La gente è fuori di testa, si accapigliano per un mega sconto”, si sente dire. E anche questo non è del tutto giusto: che male c’è a voler risparmiare? Proprio niente, men che meno di questi tempi.

E allora, anche ob torto collo, sarebbe meglio autodisciplinare gli eventi di questo tipo, magari scegliendo giorni e orari che non impattino improvvisamente sulla vita di tutti i giorni; magari diluendo e rilasciando gli sconti, spalmati su più appuntamenti. Anche per il semplice fatto di non essere l’involontaria causa scatenante di ingorghi, tumulti e disagi.

A volte la responsabilità sociale di una marca si misura nella capacità di saper agire in previsione dei comportamenti altrui. Quelli istituzionali, ma anche quelli individuali. Per poi, magari, fare una campagna che dica: i clienti Trony? Non ci sono paragoni. Beh, buona giornata.

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business Cultura Politica Potere pubblicato su 3DNews, Pubblicità e mass media

La nomina di Malgara alla Biennale di Venezia fa acqua da tutte le parti.

Questa storia della nomina di Giulio Malgara a futuro nuovo presidente della Biennale di Venezia ha tutta l’aria di essere un pretesto per scatenare una baruffa chioggiotta.

Malgara e la cultura non sono esattamente come due piselli in un baccello. Uomo di marketing, imprenditore di varie imprese, per oltre un ventennio capo indiscusso dell’Upa (l’associazione delle aziende che investono in pubblicità), presidente a vita di Auditel, Malgara è stato un fedelissimo del Berlusconi tycoon della tv commerciale, per poi diventare anche e soprattutto, un membro dell’entourage del Cavaliere sceso in campo. Malgara è uno degli uomini che ha contribuito a convincere gli imprenditori italiani a investire nella pubblicità televisiva, nella tv commerciale innanzi tutto.

Chi lo ha conosciuto quando era in servizio permanente effettivo come “cliente” delle agenzie di pubblicità ne ricorda il pragmatismo, la distanza stellare da sofismi comunicazionali: pretendeva approcci basici, di pancia, per lui la pubblicità era un business, mica tanti intellettualismi. Difficile pensarlo alle prese con l’impalpabilità dei significati artistici, con i dibattiti culturali, con le scuole e le correnti di pensiero. Lo si è visto subito: alle polemiche sulla sua inadeguatezza a ricoprire il ruolo di presidente di una delle più prestigiose istituzioni culturali del mondo, Malgara ha risposto alla Malgara: io di arte ci capisco, a casa ho ci ho pure tre o quattro quadri di valore.

Anche la difesa d’ufficio di Sgarbi, che sostiene la tesi dell’alternanza politica delle nomine, per cui sarebbe logico che a un presidente nominato dal centro sinistra ne segua uno nominato dall’attuale governo, anche questo suona strano: è vero che Sgarbi è un valletto di corte, ma questi argomenti suonano meglio in bocca a un sottosegretario qualsiasi che sulle labbra di una che ha la lingua come una saetta incandescente.

Galan, veneto come Malgara, quasi ex collega, essendo stato un funzionario di spicco di Publitalia, la concessionaria della pubblicità di Fininvest prima e di Mediaset poi, e proprio per questo un’altro che ha seguito il capo nella discesa in campo, neanche Galan è sembrato spendere più di tanto le sue doti di venditore per “portare a casa” la nomina di Malgara.

E mentre sale la protesta degli uomini di cultura e si schierano contro amministratori locali e i cittadini di Venezia; mentre i media cominciano a occuparsi della cosa con una certa frequenza, tanto da mettere in luce, per esempio, il silenzio assordante del presidente della Regione Veneto, il leghista Zaia; mentre si fa, magari ingiustamente, un bel po’ di ironia sulle capacità anche come manager di Malgara, arrivando a scomodare gli ultimi bilanci non proprio fantastici della Malgara Chiari e Forti; mentre tutto questo succede comincia a aleggiare il sospetto di un già visto. Il sospetto, cioè di una candidatura nata per essere bruciata al solo scopo di far posto a un’altro nome che all’ultimo momento spiazzi tutti.

Questo metodo è nelle abitudini di Berlusconi e dei berlusconisti. Malgara, poi, non sarebbe nuovo a prestarsi a questo gioco delle parti. Era già successo nel 2005, quando la sua nomina alla presidenza della Rai fu lanciata come si lancia il coniglietto di pezza nelle corse dei levrieri. Alla fine arrivò a sorpresa la nomina di Claudio Petruccioli, che inaugurò la stagione dei presidenti del.a Rai bolliti prima ancora di mettere la casseruola sul fuoco.

Insomma, questa baruffa chioggiotta attorno alla nomina di Malgara sembra proprio un ballon d’essai. Magari, alla fine ci diranno che era solo una semplice nomination. Il che apre un un altro capitolo, forse quello vero: chi vogliono piazzare davvero alla guida della Biennale di Venezia? Beh, buona giornata.

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business Finanza - Economia - Lavoro Marketing Politica Potere Pubblicità e mass media

Il CEO di Palazzo Chigi.

Secondo quanto riporta l’agenzia Ansa, Angela Merkel e Nikolas Sarkozy vorrebbero mettere sotto pressione Silvio Berlusconi al prossimo vertice europeo anticrisi.

Contemporaneamente, il quotidiano tedesco Handelsblatt riferisce quanto affermato dal commissario economico dell’Ue Olly Rehn, secondo cui: ”L’Italia deve sgombrare il campo da ogni dubbio sulla sua politica fiscale”. Non solo.

Si apprende anche che la Commissione Ue “prende nota dello slittamento del decreto sviluppo in Italia e chiede al governo di finalizzare con la massima urgenza forti misure per la crescita”: lo avrebbe detto proprio il portavoce del Commissario Ue agli Affari Economici Olli Rehn.

In epoca di presentazione dei risultati del terzo trimestre, possiamo immaginare che questa scena stia succedendo, più o meno con le stesse parole, in tutte agenzie di pubblicità che fanno parte di network globali.

Non c’è network, infatti, in cui non si mettano sotto pressione i CEO nostrani perché taglino più costi e spingano con più energia verso una sostanziale crescita dei fatturati. E la minaccia, sempre meno velata di essere rimossi per venire sostituiti da manager più giovani e dinamici incombe, come la famigerata spada di Damocle, a ogni meeting internazionale.

Che, mutatis mutandis, è esattamente quello che sta succedendo al CEO di Palazzo Chigi. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Il Gruppo Editoriale l’Espresso ha chiuso i primi nove mesi del 2011 in aumento del 2,2%. La crisi non perdona.

Il Gruppo Editoriale l’Espresso ha reso noto i dati di fatturato e raccolta relativi ai primi nove mesi del 2011. Il Gruppo presieduto da Carlo de Benedetti ha chiuso i primi nove mesi del 2011 con ricavi netti consolidati per 653,7 mln di euro, in aumento del 2,2% rispetto al corrispondente periodo dell’esercizio precedente. I ricavi diffusionali sono pari a 252,9 mln, in calo dell’1,11%. L ’andamento del fatturato diffusionale, migliore dell ’evoluzione generale del mercato, riflette la relativa tenuta delle vendite delle pubblicazioni del Gruppo: quotidiani, periodici e opzionali. Le diffusioni dei quotidiani locali sono state più deboli, ma il loro fatturato ha beneficiato dell ’aumento del prezzo effettuato in particolare da inizio anno su 7 delle 18 testate locali del Gruppo. I ricavi pubblicitari, pari a 380,7 mln, hanno registrato una crescita del 3,1% sul corrispondente periodo del 2010, in netta controtendenza rispetto all’andamento positivo del mercato.

La raccolta sui mezzi stampa del Gruppo risulta in linea (+0,1%) con quella del corrispondente periodo del 2010, in un mercato che ha registrato una flessione significativa (-66% ad agosto); tale stabilità ha riguardato tutte le testate (La Repubblica, i quotidiani locali e i periodici) ed è stata ottenuta anche grazie alle riuscite azioni di rinnovamento realizzate in particolare su
L ’Espresso e su diversi quotidiani locali. Positiva l ’evoluzione della raccolta su internet, in aumento del 14,11%, sostenuta dal dinamico sviluppo dell ’audience dei siti del Gruppo (+32,4% a 1,9 milioni di utenti unici medi giornalieri – fonte Audiweb/AA , dalla confermata leadership di Repubblica.it (+32,6% a 1,6 milioni di utenti unici giornalieri), dalla crescita dei mezzi locali (edizioni locali de la Repubblica e testate locali) e dal lancio del nuovo sito femminile. Infine, la raccolta pubblicitaria radio, compresa quella di terzi, ha riportato un decremento del 3,8%, inferiore al calo registrato dal mercato (-55,5% a fine agosto).

I ricavi diversi, pari a 20,11 mln sono aumentati del 38% rispetto ai primi nove mesi del 2010, grazie alla crescita dell ’attività di affitto di banda digitale terrestre televisiva, nonché ai primi positivi sviluppi della vendita di prodotti digitali. Nonostante l ’ulteriore deterioramento del contesto economico, il gruppo presieduto da Carlo De Benedetti, in assenza di forti discontinuità settoriali, conta comunque di confermare a fine anno risultati in miglioramento rispetto all ’esercizio precedente. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Se una sera d’inverno un conduttore……..

Deve essere stato un collasso al buonsenso a buttare fuori dalla Rai Michele Santoro. Per la legge dei grandi numeri, Anno Zero avrebbe dovuto continuare fintanto che faceva incetta di spettatori, e dunque fin tanto che riusciva a proteggere il prezzo dei listini Sipra, la concessionaria di pubblicità della Rai. E invece no.

In certi ambienti si è talmente radicata l’abitudine di andare fuori legge, che con Santoro si è voluto violare la legge dell’Auditel. Ora che parte il nuovo programma, Santoro fa correre un grosso rischio a tutto il sistema. Perché se “Comizi d’amore” dovesse funzionare, il suo successo sfuggirebbe ai parametri di valutazione dell’audience. Questa volta non sarà, infatti, possibile misurare gli ascolti, attraverso le curve dell’Auditel o il calcolo dei grp’s , tanto cari ai grossisti dello share.

Santoro farà un programma che avrà come stella polare la multicanalità: dalla piazza al web, dal satellite di Sky al digitale terrestre delle tv locali. Se, come diceva Totò, è la somma che fa il totale, nessuna emittente, nessun centro media, nessuna concessionaria di pubblicità potrà rivendicarne il successo di ascolti, dunque portare a valore commerciale il programma.

Se da un lato è probabile il successo della nuova avventura di Santoro, dall’altro è comunque certa la messa in crisi dell’intero sistema economico, che si basa sulla compra-vendita della “merce” telespettatori. E se per giunta Santoro riuscisse nell’intento di intercettare un nuovo soggetto, cioè il tele-web-spettatore-attivo-massa, allora le categorie socio-demografiche con le quali si sono gabellati per anni gli investitori pubblicitari dimostrerebbero tutta la loro inefficacia pubblicitaria.

Altro che consigli per gli acquisti: potrebbe essere esattamente il contrario, cioè saranno le aziende a dover ascoltare i consigli dei consumatori, che parlando con la lingua della cittadinanza, riscriveranno le regole della sintassi della comunicazione commerciale.

La cosa comica è che potrebbe avverarsi quello che Berlusconi ha sempre temuto, di cui da tempo ha avuto prima fastidio, poi vera e propria paura: che il modernismo della tv commerciale finisse in una bolla. Come sta succedendo al suo tele-governo.Beh, buona giornata.


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business Dibattiti Marketing Pubblicità e mass media Società e costume

I consumi delle famiglie ai tempi della crisi.

(fonte:advexpress.it)

Secondo una ricerca di Gfk Eurisko, commissionata da Famiglia Cristiana, per 81 famiglie su cento in Italia non si stanno gettando le basi per il futuro. Per 69 su cento nel Paese “manca una visione condivisa sulle cose da fare”. Per 52 su cento da noi “si vive peggio rispetto agli altri Paesi europei”. “La crisi è ormai percepita non come evento passeggero, ma come un dato strutturale e le aspettative per il futuro sono decrescenti”, ha sottolineato Minoia, presidente onorario di Gfk Eurisko.

In positivo l’indagine dice che la famiglia tiene come istituzione di riferimento all’interno del Paese, conferma la propria centralità indiscussa e una salda vocazione civica, tutt’altro che corporativa o particolaristica. E’ un contenitore di valori etici e simbolici. Svolge una funzione fondamentale quale serbatoio di risorse economiche e finanziarie per costruire il futuro di figli e nipoti e costituisce un elemento di sostegno sociale determinante che spesso si fa carico di supplire delle carenze delle agenzie politiche e sociali.

Sul piano dei consumi, elaborando valori e scelte d’acquisto sempre più ragionate, innovative ed intelligenti, la famiglia italiana si conferma un interlocutore fondamentale per l’industria di marca. Dall’analisi emerge una riaffermazione proprio dei valori tipici delle grandi marche che, nonostante la congiuntura negativa, mantengono la loro attrattiva e il loro valore segnaletico a discapito dei prodotti anonimi.

La fedeltà alla marca preferita resta alta: non a caso calano sensibilmente le persone che si riconoscono nell’affermazione “una marca vale l’altra” quando si parla di qualità, valore, sicurezza. In un contesto di riduzione del potere d’acquisto dei salari, inevitabilmente, cresce l’attenzione delle famiglie per il prezzo e quindi l’attenzione per il prodotto di marca venduto in promozione.
“La crisi e la perdita del potere d’acquisto non pregiudicano il rapporto dei consumatori con le grandi marche”, conferma Minoia, “ma ne riconfigurano le modalità di accesso”. Non a caso i brand industriali generano il 70 per cento dei consumi: è il dato più alto registrato nei Paesi europei.

“Nel contesto di riscoperta e riaffermazione dei valori descritti nell’indagine di Gfk Eurisko”, rileva Luigi Bordoni, presidente di Centromarca, “trova spiegazione la tenuta della Marca, anche in una fase di grave difficoltà economica delle famiglie che avrebbe potuto far temere un suo declino. E’ proprio nell’insieme dei suoi valori, non solo merceologici o mercatistici, ma anche di responsabilità e di rigore nel senso più ampio, che la marca trova forza. In sintesi, nella sua “reputazione”.

Fin qui la ricerca. C’ è da sottolineare, però un passaggio: se la marca vince nelle promozioni, cioè con un politica commerciale basata sul ribasso dei prezzi, vuol dire che la fedeltà non è dovuta alla qualità, ma alla convenienza. Per dirla in altri termini: compro quello che costa meno, se è di marca, sono più tranquillo. Se le marche riusciranno a resistere, riusciranno a difendere la la fedeltà. Fino a quando? La risposta a questa domanda, ancorché capziosa, è la fotografia molto nitida della crisi. Beh, buona giornata.

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Dibattiti Media e tecnologia Pubblicità e mass media

È stato previsto l’anno in cui i giornali moriranno.

È stata prevista la morte dei giornali.

In un convegno a Firenze, organizzato tra l’altro dalla Fieg, cioè dall’associazione degli editori dei giornali, è stata presentata una ricerca secondo la quale la morte dei giornali quotidiani sarà definitiva tra il 2030 e il 2040.

È stato anche fatto il calendario del decesso, che avverrebbe con una successione di avvenimenti macabri: i primi a trapassare nel 2017 saranno i giornali stampati negli Usa dove, si sa, la tecnologia è più avanzata.

A noi in Italia il funerale del quotidiano toccherebbe dieci anni dopo, cioè nel 2027. Ci facciamo sempre riconoscere!

Poi, via via la moria della carta stampata si trascinerà, come una dolorosa agonia, fino alla completa estinzione della specie entro il 2040. Tuttavia, precisano i ricercatori non si tratterebbe proprio della morte definitiva, quanto invece di una mutazione generica di tipo digitale. Insomma, è come se il medico vi dicesse che siete destinati a crepare, ma non del tutto, perché poi diventerete robot.

Lo sappiamo che non è la prima volta nella storia dell’evoluzione tecnologica che una nuova scoperta suggestiona l’idea della fine di quella precedente. Salvo verificare che non è mai successo, tanto meno con la precisione del calendario.

La radio non ha ucciso il telegrafo, che è stato invece soppiantato dalle applicazioni gps decenni dopo. Che la tv non ha ucciso la radio, né il cinema, anche se alla fine la radio, la tv e il cinema sono stati ingoiati dal web. Ora, il fatto che secondo la ricerca in questione potrebbe verificarsi è proprio simile a quest’ultimo esempio. Non è infatti difficile immaginare come andranno le cose, perché in realtà stanno giù andando così: i siti internet delle grandi testate giornalistiche hanno visite sul web ormai di gran lunga superiori alle visite in edicola. Oggi internet, anche grazie ai tablet è il luogo più frequentato per chi ama leggere il giornale. Quindi il futuro andrà in questa direzione, non ci possono essere dubbi.

Rimane però una sgradevole sensazione di mutilazione, se immaginiamo che non ci sporcheremo più i polpastrelli di inchiostro sfogliando le pagine del quotidiano. Tuttavia, quello che non dovremmo mai dimenticare è che un giornale non è oggi con le rotative e la carta, né domani con la tecnologia digitale e un supporto elettronico per la lettura semplicemente una cosa da avere tra le mani e sotto gli occhi.

Un giornale è un’idea dell’informazione, un’idea alla quale partecipano quelli che lo scrivono allo stesso modo di quelli che lo leggono. In ultima analisi, un giornale è fatto di persone. Così come non compriamo oggi carta ma un quotidiano, così domani non compreremo un download ma, appunto un giornale: quello che conta è sempre e solo quello che c’è scritto. È sempre lì che casca l’asino. Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

Steve Jobs, l’uomo che pensava differente.

Steve Jobs ci ha messo nella condizione di essere tutti all’altezza della sua visione del mondo. Grazie al lancio di Macintosh e all’invenzione del mouse, il mondo andò oltre le barriere, cinque anni prima della Caduta del Muro di Berlino.

Con iMac pensammo differente la fruibilità di Internet. Con iPhone fummo catapultati dal web all’era dei social network, prima dello sviluppo logaritmico di Facebook. Con l’IPod la musica è diventata la personale colonna sonora di ogni giorno, per tutti.

Con iPad siamo stati spinti nell’era digitale, in anticipo di almeno dieci anni sulla capacità di evoluzione della stampa di libri e giornali.

Difficile pensare che Steve Jobs non ci sia più, quando abbiamo in tasca, come fosse la cosa ormai più naturale del mondo le sue idee, felicemente trasformate in prodotti per la comunicazione, con le quali parliamo, fotografiamo, filmiamo, scriviamo, ascoltiamo musica, guardiamo film e tv. E per farlo, siamo costretti a pensare in modo differente circa le nostre capacità tecnologiche.

Oggi che sappiamo come condividere idee, pensieri, emozioni ci sentiamo tutti visionari come lui, proprio grazie a lui. Una cosa gli dobbiamo: continuare a pensare differente. Ne abbiamo gli strumenti. Facciamoci venire buone idee. Beh, buona giornata.

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democrazia Media e tecnologia Potere Pubblicità e mass media

Beh, buona giornata aderisce a No alla legge bavaglio alla Rete.

Premessa: ieri sera a PORTA A PORTA si è parlato del comma 29, il cosiddetto ammazza-blog, ma gli spettatori di certo non avranno capito di cosa si tratta. E siccome per Gasparri e dintorni Internet è uno strumento micidiale, è evidente che i nostri politici e la nostra classe dirigente 1) non sanno niente della rete e pure legiferano su di essa 2) non hanno idea del mondo che c’è qui dentro 3) hanno bisogno di un corso full immersion del comma ammazza-blog che stanno per legiferare. Bene il corso glielo offriamo noi, gratuitamente, perché caro Gasparri sì, Internet è uno strumento micidiale di libertà, di creatività, di condivisione di sapere e di conoscenza. Mondi inesplorati, capisco perfettamente (Arianna).

Probabilmente oggi stesso ricomincerà il dibattito parlamentare sul disegno di legge in materia di riforma delle intercettazioni, disegno di legge che introdurrebbe, una volta approvato, numerose modifiche al nostro ordinamento lungo tre direttrici: limitazioni alla utilizzabilità dello strumento delle intercettazioni da parte dei magistrati; divieto di pubblicazione di atti di indagine per i giornalisti, anche se si tratta di atti non più coperti da segreto; estensione di parte della normativa sulla stampa all’intera rete.
Cerchiamo di chiarire sinteticamente i dubbi espressi in materia.

Il disegno di legge di riforma delle intercettazioni ha un impatto significativo sulla rete?
Il ddl di riforma della normativa sulle intercettazioni influisce sulla rete in due modi, innanzitutto perché le limitazioni introdotte dal ddl in merito alla pubblicabilità degli atti di indagine riguarda, ovviamente, anche la rete, relativamente al giornalismo professionale, ma soprattutto perché in esso è presente il comma 29 che è scritto specificamente per la rete. Cosa prevede il comma 29? Il comma 29 estende parte della legislazione in materia di stampa, prevista dalla legge n. 47 del 1948, alla rete, in particolare l’art. 8 che prevede la cosiddetta “rettifica”.

Cosa è la rettifica?
La rettifica è un istituto previsto per i giornali e le televisione, introdotto al fine di difendere i cittadini dallo strapotere dei media unidirezionali e di bilanciare le posizioni in gioco. Nell’ipotesi di pubblicazione di immagini o di notizie in qualche modo ritenute dai cittadini lesive della loro dignità o contrarie a verità, un semplice cittadino potrebbe avere non poche difficoltà nell’ottenere la “correzione” di quelle notizie, e comunque ne trascorrerebbe molto tempo con ovvi danni alla sua reputazione. Per questo motivo è stata introdotta la rettifica che obbliga i direttori o i responsabili dei giornali o telegiornali a pubblicare gratuitamente le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti che si ritengono lesi.

Il comma 29 estende la rettifica a tutta la rete?
La norma in questione estende la rettifica a tutti i “siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica”. La frase “ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica” è stata introdotta in un secondo momento proprio a chiarire, a seguito di dubbi sorti tra gli esperti del ramo che propendevano per una interpretazione restrittiva della norma (quindi applicabile solo ai giornali online), che la norma deve essere invece applicata a tutti i siti online. Ovviamente sorge comunque la necessità di chiarire cosa si intenda per “siti informatici”, per cui, ad esempio, potrebbero rimanere escluse la pagine dei social network, oppure i commenti alle notizie. Al momento non è dato sapere se tale norma si applicherà a tutta la rete, in ogni caso è plausibile ritenere che tale obbligo riguarderà gran parte della rete.

Entro quanto tempo deve essere pubblicata la rettifica inviata ad un sito informatico?
Il comma 29 estende la normativa prevista per la stampa, per cui il termine per la pubblicazione della rettifica è di due giorni dall’inoltro della medesima, e non dalla ricezione. La pubblicazione deve avvenire con “le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”.

E’ possibile aggiungere ulteriori elementi alla notizia, dopo la rettifica?
Il ddl prevede che la rettifica debba essere pubblicata “senza commento”, la qual cosa fa propendere per l’impossibilità di aggiungere ulteriori informazioni alla notizia, in quanto potrebbero essere intese come un commento alla rettifica stessa. Ciò vuol dire che non dovrebbe essere nemmeno possibile inserire altri elementi a corroborare la veridicità della notizia stessa.

Se io scrivo sul mio blog “Tizio è un ladro”, sono soggetto a rettifica anche se ho documentato il fatto, ad esempio con una sentenza di condanna per furto?
La rettifica prevista per i siti informatici è sostanzialmente quella della legge sulla stampa, la quale chiarisce che le informazioni da rettificare non sono solo quelle contrarie a verità, bensì tutte le informazioni, atti, pensieri ed affermazioni “da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità”, laddove essi sono i soggetti citati nella notizia. Ciò vuol dire che il giudizio sulla assoggettabilità delle informazioni alla rettifica è esclusivamente demandato alla persona citata nella notizia. Non si tratta affatto, in conclusione, di una valutazione sulla verità, per come è congegnata la rettifica in sostanza si contrappone la “verità” della notizia ad una nuova “verità” del rettificante, con ovvio scadimento di entrambe le “verità” a mera opinione (Cassazione n. 10690 del 24 aprile 2008: “l’esercizio del diritto di rettifica… è riservato, sia per l’an che per il quomodo, alla valutazione soggettiva della persona presunta offesa, al cui discrezionale ed insindacabile apprezzamento è rimesso tanto di stabilire il carattere lesivo della propria dignità dello scritto o dell’immagine, quanto di fissare il contenuto ed i termini della rettifica; mentre il direttore del giornale (o altro responsabile) è tenuto, nei tempi e con le modalità fissate dalla suindicata disposizione, all’integrale pubblicazione dello scritto di rettifica, purché contenuto nelle dimensioni di trenta righe, essendogli inibito qualsiasi sindacato sostanziale, salvo quello diretto a verificare che la rettifica non abbia contenuto tale da poter dare luogo ad azione penale”).

Come deve essere inviata la richiesta di rettifica?
La normativa non precisa le modalità di invio della rettifica, per cui si deve ritenere utilizzabile qualunque mezzo, fermo restando che dopo dovrebbe essere possibile provare quanto meno l’invio della richiesta. Per cui anche una semplice mail (non posta certificata) dovrebbe andare bene.

Cosa accade se non rettifico nei due giorni dalla richiesta?
Se non si pubblica la rettifica nei due giorni dalla richiesta scatta una sanzione fino a 12.500 euro.

Che succede se vado in vacanza, mi allontano per il week end, o comunque per qualche motivo non sono in grado di accedere al computer e non pubblico la rettifica nei due giorni indicati?
Queste ipotesi non sono previste come esimenti, per cui la mancata pubblicazione della rettifica nei due giorni dall’inoltro fa scattare comunque la sanzione pecuniaria. Eventualmente sarà possibile in seguito adire l’autorità giudiziaria per cercare di provare l’impossibilità sopravvenuta alla pubblicazione della rettifica. È evidente, però, che non si può chiedere l’annullamento della sanzione perché si era in “vacanza”, occorre comunque la prova di un accadimento non imputabile al blogger.

La rettifica prevista dal comma 29 è la stessa prevista dalla legge sulla privacy?
No, si tratta di due cose ben diverse anche se in teoria ci sarebbe la possibilità di una sovrapposizione parziale. La legge sulla privacy consente al cittadino di chiedere ed ottenere la correzione di dati personali, mentre la rettifica ai sensi del comma 29 riguarda principalmente notizie.

Con il comma 29 si equipara la rete alla stampa?
Con il suddetto comma non vi è alcuna equiparazione di rete e stampa, anche perché tale equiparabilità è stata più volte negata dalla Cassazione. Il comma 29 non fa altro che estendere un solo istituto previsto per la stampa, quello della rettifica, a tutti i siti informatici.

Con il comma 29 anche i blog non saranno più sequestrabili, come avviene per la stampa?
Assolutamente no, come già detto con il comma 29 non si ha alcuna equiparazione della rete alla stampa, si estende l’obbligo burocratico della rettifica ma non le prerogative della stampa, come l’insequestrabilità. Questo è uno dei punti fondamentali che dovrebbe far ritenere pericoloso il suddetto comma, in quanto per la stampa si è voluto controbilanciarne le prerogative, come l’insequestrabilità, proprio con obblighi tipo la rettifica. Per i blog non ci sarebbe nessuna prerogativa da bilanciare.

Posso chiedere la rettifica per notizie pubblicate da un sito che ritengo palesemente false?
E’ possibile chiedere la rettifica solo per le notizie riguardanti la propria persona, non per fatti riguardanti altri.

Se ritengo che la rettifica non sia dovuta, posso non pubblicarla?
Ovviamente è possibile non pubblicarla, ma ciò comporterà certamente l’applicazione della sanzione pecuniaria. Come chiarito sopra la rettifica non si basa sulla veridicità di una notizia, ma esclusivamente su una valutazione soggettiva della sua lesività. Per cui anche se il blogger ritenesse che la notizia è vera, sarebbe consigliabile pubblicare comunque la rettifica, anche se la stessa rettifica è palesemente falsa.

Chi è il soggetto obbligato a pubblicare la rettifica, il titolare del dominio, il gestore del blog?
Questa è un’altra problematica che non ha una risposta certa. La rettifica nasce in relazione alla stampa o ai telegiornali, per i quali esiste sempre un direttore responsabile. Per i siti informatici non esiste una figura canonizzata di responsabile, per cui allo stato non è dato sapere chi è il soggetto obbligato alla rettifica. Si può ipotizzare che l’obbligo sia a carico del gestore del blog, o più probabilmente che debba stabilirsi caso per caso.

Sono soggetti a rettifica anche i commenti?
Anche qui non è possibile dare una risposta certa al momento. In linea di massima un commento non è tecnicamente un sito informatico, inoltre il commento è opera di un terzo rispetto all’estensore della notizia, per cui sorgerebbe anche il problema della possibilità di comunicare col commentatore. A meno di non voler assoggettare il gestore del sito ad una responsabilità oggettiva relativamente a scritti altrui, probabilmente il commento non dovrebbe essere soggetto a rettifica.

Pensavo di creare un widget che consente agli utenti di pubblicare direttamente la loro rettifica senza dovermi inviare richieste. In questo modo sono al riparo da eventuali multe?
Assolutamente no, la norma prevede la possibilità che il soggetto citato invii la richiesta di rettifica e non lo obbliga affatto ad adoperare widget o similari. Quindi anche l’attuazione di oggetti di questo tipo non esime dall’obbligo di pubblicare rettifiche pervenute secondo differenti modalità (ad esempio per mail).

Pensavo di aprire un blog su un server estero, in questo modo non sarei più soggetto alla rettifica?
Per non essere assoggettati all’obbligo della rettifica è necessario non solo avere un sito hostato su server estero, ma anche risiedere all’estero, come previsto dalla normativa europea. E, comunque, anche la pubblicazione di notizie su un sito estero potrebbe dare adito a problemi se le notizie provengono da un computer presente in Italia.

E’ vero che in rete è possibile pubblicare tutto quello che si vuole senza timore di conseguenze? E’ per questo che occorre la rettifica?
Questo è un errore comune, ritenere che non vi sia alcuna conseguenza a seguito di pubblicazione di informazioni o notizie online, errore dovuto alla enorme quantità di informazioni immesse in rete, ovviamente difficili da controllare in toto. Si deve inoltre tenere presente che comunque l’indagine penale od amministrativa necessita di tempo, e spesso le conseguenze penali od amministrative a seguito di pubblicazioni online, si hanno a distanza di settimane o mesi. In realtà alla rete si applicano le stesse medesime norme che si applicano alla vita reale, anzi in alcuni casi la pubblicazione online determina l’aggravamento della pena. Quindi un contenuto in rete può costituire diffamazione, violazione di norme sulla privacy o sul diritto d’autore, e così via… Il discorso che spesso si fa è, invece, relativo al rischio che un contenuto diffamante possa rimanere online per parecchio tempo. In realtà nelle ipotesi di diffamazione o che comunque siano lesive per una persona, è sempre possibile ottenere un sequestro sia in sede penale che civile del contenuto online, laddove l’oscuramento avviene spesso nel termine di 48 ore.

Ho letto di un emendamento presentato da alcuni politici che dovrebbe risolvere il problema della rettifica. È un buon emendamento?
Già lo scorso anno fu presentato un emendamento da alcuni parlamentari, che sostanzialmente dovrebbe essere riproposto quest’anno, con qualche modifica. In realtà l’emendamento Cassinelli, dal nome dell’estensore, non migliora di molto la norma: allunga i termini della rettifica a 10 giorni, stabilisce che i commenti non sono soggetti a rettifica, e riduce la sanzione in caso di non pubblicazione. L’allungamento dei termini non è una grande conquista, in quanto l’errore di fondo del comma 29 è l’equiparazione tra rete e stampa, cioè tra attività giornalistica professionale e non professionale, compreso la mera manifestazione del pensiero, tutelata dall’art. 21 della Costituzione, esplicata dai cittadini tramite blog. Per i commenti la modifica è addirittura inutile in quanto una lettura interpretativa dovrebbe portare al medesimo risultato, anzi forse sotto questo profilo l’emendamento è peggiorativo perché invece di “siti informatici” parla di “contenuti online” con una evidente estensione degli stessi (pensiamo alle discussioni nei forum). Tale emendamento viene giustificato con l’esempio del blogger che scrive: “Tizio è un ladro”, ipotesi nella quale, si dice, Tizio ha il diritto di vedere rettificata la notizia falsa. Immaginiamo invece che Tizio effettivamente sia un ladro, la rettifica gli consentirebbe di correggere una notizia vera con una falsa. Se davvero Tizio non è un ladro, invece, non ha alcun bisogno di rettificare, può denunciare direttamente per diffamazione il blogger ed ottenere l’oscuramento del sito in poco tempo.

Ma in sostanza, quale è lo scopo di questa norma?
Una risposta a tale domanda è molto difficile, però si potrebbe azzardarla sulla base della collocazione della norma medesima. Essendo inserita nel ddl intercettazioni, potrebbe forse ritenersi una sorta di norma di chiusura della riforma, riforma con la quale da un lato si limitano le indagini della magistratura, dall’altro la pubblicazione degli atti da parte dei giornalisti. Poi, però, rimarrebbe il problema se un giornalista decide di aprire un blog in rete e pubblicare quelle intercettazioni che sul suo giornale non potrebbe più pubblicare. Ecco che il comma 29 evita questo possibile rischio.

Bruno Saetta – BLOG
@valigia blu – riproduzione consigliata

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