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Sono ancora utili le associazioni di categoria della pubblicità italiana?

La sensazione che la situazione del mercato della comunicazione commerciale italiana sia nettamente diversa da ciò che si discute nelle associazioni di categoria è netta quando si leggono i programmi elettorali dei candidati alle cariche direttive delle varie associazioni di categoria, che costellano la pubblicità italiana. A volte, verrebbe proprio voglia di chiedersi: le associazioni hanno ancora senso, ruolo, prospettive?

Dall’esterno, si ha quella strana sensazione di uno scollamento dalla realtà, abbastanza tipico della politica così come viene fatta in Italia: ognuno presuppone la tesi con la quali si legge la realtà.

Come dire: siccome io la penso così, allora le cose devono per forza essere spiegate così. In realtà dovrebbe essere esattamente il contrario: le cose sono cambiate, dunque devo adeguare il mio punto di vista alla nuova realtà delle cose. E agire di conseguenza.

È vero che ogni associazione ha la propria sintassi e comunque ha il diritto di esistere, fosse anche per la sola volontà degli associati; anche, cioè, qualora gli scopi associativi fossero assolutamente superati dalla realtà dei fatti. Tanto più che la libertà di associazione è un diritto costituzionalmente garantito. E’ la grammatica di un Paese democratico.

Ciò non di meno, mi si conceda, dall’esterno di ogni associazione, ma dall’interno della nostra comune industry, di formulare alcune riflessioni, di metodo e di merito. Il discorso è generale, dovrebbe riguardare tutte le associazioni di categoria. Anche se qui si parlerà nello specifico delle prossime elezioni degli organi dirigenti di Assocomunicazione.

Per rendere più agevole l’esposizione, esporrò il mio punto di vista sotto forma di brevi domande:

1) Perché i tre saggi (Testa, Montangero e Masi) non hanno proposto una rosa di candidati? Perché un solo candidato, praticamente predestinato ad assumere l’incarico? C’è una crisi di vocazione?

2) Che peso specifico autonomo potrà avere la prossima leadership dell’associazione, dal momento che Assocomunicazione medesima sarà embedded nella neonata Federazione della comunicazione presso Confindustria, presieduta proprio dal presidente uscente?

3) Come si potrà realizzare, qualora fosse nelle intenzioni del neo presidente, una discontinuità con la precedente presidenza? Insomma: che succede se Costa non vuole fare come faceva Masi, però a Masi dovrà rispondere, perché Masi è il capo della federazione di cui l’associazione fa parte?

4) Massimo Costa ricopre il ruolo di country manager del gruppo Wpp in Italia: non c’è il pericolo di conflitto di interessi? Tutte le strutture che a lui fanno capo nella holding come potranno essere autonome nel giudizio come membri, dal momento che alcuni manager di Wpp si candidano addirittura come dirigenti dell’associazione?

4) Nella lettera ai soci, il candidato presidente fa esplicito riferimento alle ripercussioni che il cambio del quadro politico italiano potrebbe avere nel futuro del mercato pubblicitario italiano. Che vuol dire?

5) Scorrendo i programmi dei canditati, si fa riferimento alla questione della remunerazione, dei fee e del dumping. Ma, se strutture economiche del calibro di Wpp, Omnicom, Publicis e IPG, tutte ben rappresentate nel mercato italiano, tanto da risultare come maggioritarie dal punto di vista dei fatturati, tutte insieme non sono finora riuscite a invertire la tendenza, come potrebbe farlo una associazione di categoria?

6) Non è forse proprio per questa scissione tra la realtà del mercato e il dibattito interno all’associazione che finora Assocomunicazione non è riuscita a ottenere nessun fatto concreto, tanto da spingere verso la costituzione di Confindustria Knowledge, nel tentativo di assumere un più rilevante peso specifico?

7) Alcuni candidati si presentano per una riconferma, è un legittima aspirazione, ma la domanda è: come si concilia il desiderio di nuovi scenari se non c’è discontinuità tra il vecchio ed il nuovo consiglio direttivo dell’associazione?

7) Può la complessità della relazione tra committenti pubblici e privati e le agenzie di pubblicità e comunicazione essere semplicisticamente
risolta nella speranza che un uomo al comando possa risolvere tutto e bene?

8) Massimo Costa è sicuramente una persona degna e un manager capace, ma siamo sicuri che non sia necessario un complessivo cambio di passo, prima ancora che un cambio di leadership?

9) Vale a dire, non è meglio prima ridefinire il perimetro entro il quale operare in profondità i necessari cambiamenti e sulla base di una nuova visione condivisa esprimere nuovi dirigenti, cui affidare il compito di realizzare gli obiettivi stabiliti dalla nuova linea politica?

10) Non pensate anche voi che i prossimi anni sono sicuramente cruciali, che molto di quello che abbiamo fatto e pensato verrà messo in discussione dai fatti, a prescindere dai ruoli che abbiamo nel mercato: che cosa dobbiamo essere disposti a fare per migliorare concretamente il modo di fare pubblicità, a partire dalle condizioni di vita e di lavoro degli addetti, per arrivare a essere concretamente all’altezza delle aspettative dei clienti?

Beh, a questo punto, mi sono fatto dieci domande. Non mi dò le risposte, siamo mica da Marzullo. Esse sono riflessioni, che non pretendono necessariamente una risposta. A meno che non siano quei fatti concreti che, sono certo, tutti vorremmo vedere cominciare a realizzarsi. Beh, buona giornata.

Allegati:
http://www.consorziocreativi.com/Il-Negozio-delle-buone-idee.html

http://consorziocreativi.com/blog/2011/11/17/1193/

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Beh, buona giornata oltre quota 50 mila.

I nuovi dati di lettura di Beh, buona giornata sono molto lusinghieri per un blog. Essi hanno avuto un incremento anche per lo sharing con social network. Infatti, è possibile riconoscere il logo Beh, buona giornata su Twitter, su Facebook, su Myspace, su Yahoo, su Google, su Google buz, su Google+, su Digg, su Stumbleupon, su Youtube. Beh, buona giornata è anche visibile su Linkedin, nella pagina del profilo di Marco Ferri. Un vero ringraziamento a tutti i lettori. Beh, buona giornata.

12 Nov, 2011

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3DNews/QUANDO ERAVAMO RE.

di Giulio Gargia
Il trionfo dei dietrologi.

Immaginiamo che tu che leggi sia uno juventino. Immaginiamo che oggi non sia oggi, ma l’ultima giornata del campionato 2004-5. Immaginiamo ora che qualcuno ti venga a dire le seguenti cose : che la Juve non si è guadagnata lo scudetto sul campo, ma grazie a un sistema paramafioso in cui i suoi dirigenti concordavano con i designatori degli arbitri chi doveva arbitrare i loro incontri e perché, che chi doveva controllare era loro complice, che il mercato calcistico era nelle mani di una società fatta dai figli dei presidenti e dei dirigenti delle maggiori squadre, e che grazie a tutto questo i risultati del campionato erano stati alterati.
Immagina anche che qualcuno ti dicesse che alcuni arbitri pianificavano le ammonizioni dei giocatori più bravi delle altre squadre con una partita d’anticipo in modo che quando incontrava la Juve quelle squadre fossero comunque indebolite.
Immagina infine che ti predicesse – allora – che tutto questo prima o poi si sarebbe stato scoperto e che la Juve sarebbe andata in serie B … che cosa avresti detto ?
La tua passione per l’anti Dietrologia come si sarebbe espressa ?
Con quali epiteti alla Mughini avresti bollato queste teorie del complotto ?
Qualche anno fa, quelle su Moggi erano chiacchiere da bar Sport.
Quelli che li ripetevano erano definiti “ dietrologi”. Oggi, sono cronaca. Definita da una sentenza. Tenetelo presente, quando leggete di altre cose che vi sembrano “ dietrologia”. Dall’11 settembre, alla trattativa Stato mafia, ai meccanismi dell’Auditel .
L’unica cosa, per favore, quando la verità verrà alla luce , non pensate “ lo sapevo”. Perchè voi, noi, tutti non lo sapevamo. Non volevamo saperlo.

°Rispettando le agitazioni sindacali in atto al quotidiano TERRA, questa settimana 3D uscirà solo sul web. Saremo in rete sui siti www.3dnews.it, www.ildiariodilosolo.com, www.marco-ferri.com a partire dalle 24 di oggi.

3DNews, Settimanale di Cultura, Spettacolo e Comunicazione
Inserto allegato al quotidiano Terra. Ideato e diretto da Giulio Gargia.
In redazione: Arianna L’Abbate – Webmaster: Filippo Martorana.

(Beh, buona giornata).

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3DNews/E adesso vediamo che sapete fare.

di Marco Ferri

Nonostante i sostanziosi acquisti di azioni Mediaset da parte di Fininvest e di Holding Italiana, sempre di famiglia, avvenuti durante l’estate per rilanciarlo, il titolo va male. Lo si è visto col rovinoso capitombolo dell’altro giorno, quando il titolo Mediaset ha toccato ripetutamente quota -12.

D’altro canto, neppure guardando alla terza trimestrale si trovano segnali positivi: la raccolta pubblicitaria è andata sotto zero. Nel comunicato stampa relativo alla riunione del cda che ha approvato la trimestrale Mediaset, si riafferma la leadership sul mercato, ma è un’affermazione un tantino autolesionistica: lo sanno tutti che ogni volta che Mediaset è in difficoltà, Sipra si sgonfia ad arte, quel tanto che permetta, appunto la riconferma della supremazia di Mediaset. Basta mandare via uno come Santoro, per esempio, per indebolire la raccolta Sipra a tutto vantaggio di Publitalia. E per lo stesso motivo continuare a far dirigere il TG UNO a un direttore che perde pubblico come un tubo rotto.

È in questa difficoltà di mercato, come viene definita nella trimestrale Mediaset, che ci si interroga sulla forte relazione che è intercorsa tra i successi politici del Berlusconi capo del governo e il Berlusconi tycoon dei media italiani. Le domande sono: che fine farà Mediaset, azienda-partito di business e di governo adesso che il Cavaliere è stato costretto alla resa? Come farà a stare sul mercato rispettando le regole del mercato? Come se la caverà senza il sostegno delle leggi ad aziendam? Più che domande irriverenti, sono problemi seri, che tormentano la premiata ditta Berlusconi&figli. D’altro canto non sarà più possibile procrastinare anacronisticamente nuove norme sulla concorrenza e sulle liberalizzazioni.

Tanto per fare un esempio, Mario Monti, che probabilmente guiderà un esecutivo “tecnico”, nato per seppellire l’era berlusconista in politica, non si è mai dichiarato tenero con la mancanza di una reale concorrenza tra soggetti del mercato.

Sta lì a dimostrarlo la decennale esperienza come Commissario Europeo alla Concorrenza, ma anche la mission che Monti dovrà incarnare: la ripresa, la crescita passano per un corretto funzionamento delle regole dell’economia di mercato.

E allora Mediaset dovrà passare per le stesse strettoie cui passò la Rai, all’epoca della nascita della tv commerciale (quando si dice il contrappasso!); o Telecom quando si liberalizzò la telefonia, o Enel quando toccò all’energia: accettare di dimagrire, di restringere il perimetro aziendale per fare posto ad altri soggetti. E ripartire da lì per far valere la propria capacità imprenditoriale, magari attraverso nuovi investimenti, progetti innovativi, scelte coraggiose.

Saranno capaci Berlusconi & Figli di fare impresa senza il vantaggio di quella dose massiccia di concorrenza sleale derivante dallo stare contemporaneamente sul mercato e al potere?

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3DNews/“Zero titoli”, storia del degrado di un grande telegiornale.

Paolo Ojetti racconta il suo libro su Minzolini

Parlare degli anni di Minzolini a Saxa Rubra, è fermare la storia, la storia di un evento traumatico, drammatico per l’informazione italiana. Il Tg1 della Rai, nonostante i disastri editoriali nei quali è stato cacciato, nonostante la colpevole e suicida complicità di gran parte del corpo redazionale, rimane – per antonomasia – il principale organo di informazione e di “formazione” dell’opinione pubblica.
Il Tg1 dovrebbe essere la fonte chiara e limpida delle notizie,l’amico fraterno dei cittadini, il luogo magico nel quale, per postulato, alberga la verità. Ebbene, durante la direzione Minzolini, il Tg1 è stato esattamente l’opposto di tutto questo.Se si trattasse però solo di un problema di cattivo giornalismo, non varrebbe nemmeno la pena di occuparsene.

La Rai è un’azienda enorme ecomplessa. Produce in un regime parzialmente duopolistico, ma subisce nuove forme di concorrenza, soprattutto nel campo dell’informazione.
Basta avere una parabola e un telecomando per abbandonare la Rai e quella che era una volta “l’ammiraglia” della televisione, intesa come un unico universo. Ed è quello che, con progressione esponenziale, è avvenuto nel corso della direzione Minzolini. Dove c’è un delitto di leso giornalismo, c’è un conseguente castigo: la disaffezione dei lettori (in questo caso i telespettatori),
il declino inarrestabile della testata.

Il 14 luglio del 2011, i vertici Rai fecero due conti e si accorsero che il Tg1 della sera perdeva “copie” e, di conseguenza, milioni di pubblicità.
Ce n’era voluta, ma anche i consiglieri più berlusconiani ammisero, alla fine, la disfatta. Si accorsero di qualcosa molto più grave: che il Tg1 di Minzolini era poisoned, avvelenato, e trasmetteva il suo veleno tutt’intorno anche ai programmi che lo precedevano e che lo seguivano. In una parola, il Tg1 di Minzolini “respingeva” il telespettatore il quale, come tutti sanno, una volta accasato altrove, non torna indietro.

Alla lunga, avendo capito che quel telegiornale obbedisce a logiche che nulla hanno a che vedere con il giornalismo, quel telespettatore è perduto per sempre.
I vertici della Rai porteranno con sé per anni il peso di grandissime responsabilità. I costi per riportare il Tg1 a livelli di decenza saranno altissimi:
la credibilità non è merce che si compra al mercato.

Ma c’è qualcosa di più serio e più grave di una cattiva gestione del servizio pubblico di Augusto Minzolini. Nel momento in cui il Tg1 è stato consegnato a
un direttore perché ne facesse l’house organ non di un Governo, ma di una persona, la ferita alla democrazia è stata vile e profonda.

Augusto Minzolini è stato “realista” quando, intervistato nella primavera del 2011, disse: «Resterò direttore del Tg1 finché Berlusconi sarà capo del Governo». Il senso di questa affermazione è tragico, rimarrà per sempre la confessione cinica di aver svenduto se stesso, l’intera redazione, l’autonomia e la libertà di una testata – e che testata – a un padrone che è addirittura un corpo estraneo all’azienda dalla quale egli dipendeva e dalla quale riceveva uno stipendio. Fu non solo il tradimento dei principi deontologici della professione giornalistica, ma anche la confessione del profondo disprezzo della libertà di stampa e, per dirla tutta,della democrazia. E quel giorno, tutti seppero che il Tg1 era stato ridotto in schiavitù.

Il “minzulpop” non può trovare descrizione più asciutta e completa. Il peccato mortale di Minzolini fu quello di aver restituito al “Re” il potere di scegliere le notizie. Ma attraverso quali disegni, attraverso quali cabale, attraverso quali collettori sotterranei, Augusto Minzolini arrivò a comandare l’ammiraglia?

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3DNews/USA, storica gaffe in TV di uno sfidante di Obama.

“ Ooops… non ricordo più quale ministero taglierò”
Perry, uno dei candidati repubblicani, dimentica i punti del suo programma
Di Valerio Bassan

Texano, famoso per il suo pugno di ferro, Perry ha dovuto chiedere scusa: “Il candidato perfetto non esiste e io ne sono la prova”. Per gli analisti poltici, però, la gaffe pone fine alle sue speranze di vittoria.

In qualsiasi campagna elettorale, si sa, l’abilità oratoria è importante. Se poi il tuo obiettivo è sfidare Barack Obama, che fa della finezza retorica il suo cavallo di battaglia, lo è ancora di più. Per questo Rick Perry, fino a ieri tra i più accreditati a condurre il partito repubblicano alle elezioni del 2012, pare aver messo una pietra tombale sulle sue ambizioni politiche. Il governatore del Texas è stato infatti protagonista di una gaffe che negli Usa hanno definito “la peggiore di tutta la storia del dibattito politico”: in un confronto pubblico con i rivali alla Casa Bianca, trasmesso in diretta nazionale dalla Cnbc, Perry si è dimenticato i punti del proprio programma elettorale. Colto in errore come uno scolaretto delle elementari, il successore di Bush al governo del Texas ha dovuto fare pubblica ammenda. La gaffe è avvenuta durante un dibattito tra i sette candidati repubblicani per la presidenza, tenutosi mercoledì nell’università di Oakland, nel Michigan.

Perry discute col rivale Ron Paul, elencando i tagli che apporterà ai dipartimenti governativi, da lui considerati uno spreco di denaro: «Oggi ce ne sono troppi. Quando sarò al potere ne eliminerò tre: l’agenzia del Commercio, quella dell’Educazione e…e…ehm…». Di colpo il governatore si blocca, tra lo stupore generale. «Ehm..qual è la terza che volevo dire?», aggiunge con imbarazzo. «Magari sono cinque», «Forse l’Epa, l’ente per la protezione ambientale?», lo prendono in giro gli altri candidati. Perry ride, prova a sdrammatizzare. Ma John Harwood, il moderatore, lo incalza: «Seriamente, è davvero l’Epa la terza agenzia che vuole abolire?». «No, sir», replica Perry abbassando la testa. «Qual è allora?». Perry ricomincia l’elenco con incedere traballante, mentre il pubblico in sala comincia a rumoreggiare: «Commercio, educazione, e…ehm…uhm, vediamo..no, non la so. Non la so» si arrende, dopo aver cercato di sbirciare tra i suoi appunti. «I’m sorry. Oops», conclude.

“Oops”: queste quattro lettere, secondo gli analisti americani, segneranno per sempre il futuro della carriera politica di Perry. Il candidato conservatore, soprannominato dagli oppositori “la sedia elettrica” per le 234 esecuzioni registrate in Texas dall’inizio del suo governo nel 2000, ha dovuto chiedere pubblicamente scusa per “i 53 secondi più imbarazzanti della storia del dibattito politico”. In un collegamento con la Bbc qualche ora più tardi Perry ha ammesso: «Non esiste un candidato perfetto e io in qualche modo ne sono la prova.

Tutti facciamo errori. Non sono un gran dibattitore, lo sapete. Ma se gli Stati Uniti cercano un conservatore dalle radici profonde in grado di raddrizzare l’America, ecco, quello sono io». Il texano si dice convinto che la storica figuraccia non fermerà la sua campagna e anzi potrebbe addirittura avvantaggiarlo, rendendolo più “umano” agli occhi degli elettori. I columnist politici non sembrano però d’accordo: secondo loro infatti la credibilità di Perry come candidato difficilmente si rialzerà dopo la gaffe. Intanto Barack Obama, comodamente seduto nello Studio Ovale a pochi metri dal caminetto acceso, si frega le mani.
Da www.linkiesta.it

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Media e tecnologia pubblicato su 3DNews, Società e costume

3DNews/Fiorello ci prova con twitter e il social show.

Fiorello ci prova con twitter
Social show

Per la prima volta in prime time un mix tra il varietà, il web e i social network
di Lorenza Fruci

Per chi è poco social e poco network, sapere che Fiorello tornerà in Rai dopo 7 anni con il primo “social show” sembra non avere rilevanza. Di fatto però, dopo “#Il più grande spettacolo dopo il weekend”, la tv avrà fatto un altro piccolo passo verso il cambiamento anche per anche per quelli che “Io facebook mai!”.

Oltre ad essere l’evento più importante del palinsesto autunnale, il nuovo programma di Fiorello -che inizierà il 14 novembre e per ora andrà avanti per quattro lunedì- è stato presentato in conferenza stampa come il primo esperimento di commistione in prima serata tra il varietà, il web e i social network.

Lo stesso cancelletto presente nel titolo viene dal web e in particolare da twitter, il sociale network con il quale Fiorello ha realizzando (intenzionalmente?) la campagna pubblicitaria più significativa per il suo ritorno in Rai.

I video della rassegna mattutina con l’edicolante, i commenti, le foto, le notizie relative allo show in costruzione hanno viaggiato sul web in maniera velocissima e senza filtri. Altro che teaser: in due mesi Fiorello ha raccolto oltre 86.000 followers e 100 di questi li porterà anche in tv…, praticamente roba da esperti di marketing.

La sua frequentazione di twitter è stata capace di creare grande attesa e coinvolgimento anche da parte degli utenti del web, confermando l’idea che l’ultima frontiera/salvezza della tv sia la sua interazione con internet, intesa sia come commistione tra media che nuova comunicazione tra e per diverse utenze. L’aspetto più interessante della relazione tra questi due mezzi resta però l’influenza tra i loro linguaggi: lo stesso Fiorello ha dichiarato che molti dei monologhi che proporrà durante il suo nuovo show sono stati ripetutamente accorciati perché non aveva senso parlare ininterrottamente per oltre 10 minuti.

Non è forse questo un pensiero influenzato dalla sintesi di twitter che non permette di usare più di 140 caratteri? Anche la tv per comunicare con il mondo che è fuori dal suo schermo deve imparare a parlare il linguaggio del web e dei social network. A detta di Fiorello “#Il più grande spettacolo dopo il weekend”, che è stato ideato con Giampiero Solari come un omaggio alla tradizione dei grandi varietà anni 60-70 (non a caso si svolgerà presso lo studio 5 di Cinecittà), sarà un “social network varietà”. Ben venga quindi un nuovo genere di una tv che guarda verso il futuro, le cui parole d’ordine siano sintesi, velocità e interattività.

Ma interattività è anche sinonimo di imprevedibilità che non va proprio d’accordo con le scalette televisive: qui entra in gioco il discorso dell’identità del web che non può entrare in tv senza perdere qualcosa di sé, cioè la partecipazione diretta.

Il noto McLuhan diceva che “il medium è il messaggio” e nel caso della televisione si tratta di un mezzo che conforta, consola, conferma e “inchioda” gli spettatori in una stasi fisica e mentale poiché favorisce lo sviluppo di una forma mentis non interattiva, al contrario di internet e di altri ambienti comunicativi a due o più sensi. Dunque, se la sfida oggi è quella di portare il web in tv e di far convivere i due mezzi, aspettiamo di vedere se ci sarà riuscito, e in che modo, Fiorello e la sua squadra.

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3DNews, edizione straordinaria su Beh, buona giornata. Online a mezzanotte.

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Dibattiti Finanza - Economia Media e tecnologia Movimenti politici e sociali Politica

La Destra americana ha una gran paura di Occupy Wall Street.

http://argomenti.ilsole24ore.com/paul-krugman.html

Negli ultimi due giorni ho ricevuto mail di gente che mi accusava di connivenza con i nazisti. La mia reazione immediata è stata: ma di che accidenti stanno parlando? Poi ho capito: la destra sta montando una campagna a tutto campo per etichettare Occupy Wall Street come un movimento antisemita, sulla base, a quanto capito, di un cartello esposto da un tizio.

Contemporaneamente, c’è chi accusa il movimento di essere all’origine di un’ondata di criminalità. Secondo un articolo sul New York Post del 22 ottobre, «le recenti sparatorie hanno portato il numero delle vittime di armi da fuoco a New York quest’anno leggermente al di sopra del tragico bilancio dell’anno scorso (1.484 morti contro 1.451) alla data del 16 ottobre. Quattro alti funzionari di polizia puntano il dito contro i manifestanti di Occupy Wall Street, dicendo che le loro proteste costringono la polizia a dirottare le unità speciali anticrimine dalle zone calde, dove ci sarebbe bisogno di loro».

Per credere a una tesi del genere bisogna credere non solo che qualche migliaio di manifestanti non violenti siano capaci di mettere in difficoltà una forza di polizia che può contare su 35mila agenti, ma che tutti gli assassini e gli stupratori dei quartieri periferici stiano dicendo: «Ehi, la polizia è occupata a dare la caccia agli hippy. Scateniamoci!». Per favore.
La prima cosa che mi viene da pensare è che Occupy Wall Street deve aver spaventato parecchio la destra, per spingerla a reagire così. E probabilmente è vero, ma c’è anche da dire che questo è il modo tipico in cui reagisce la destra contro tutti coloro che le si oppongono: accusarli di qualsiasi cosa, non importa quanto implausibili o contraddittorie siano le accuse. I progressisti sono socialisti atei che vogliono imporre la sharia. La lotta di classe è un male, però John Kerry è troppo ricco. E così via.

La chiave di tutta la faccenda, secondo me, è che la destra, in quanto movimento, è diventata un universo chiuso e ripiegato su se stesso, in cui per guadagnare credito non bisogna mostrarsi ragionevoli agli occhi degli elettori indipendenti (anche se qualche raro caso di opinionista di destra che interpreta il suo ruolo in modo professionale c’è), ma bisogna mostrarsi ancora più zelanti e oltranzisti degli altri compagni di strada.

Mi ricorda un po’ le invettive degli stalinisti contro i trotskisti ai vecchi tempi: i trotskisti erano deviazionisti di sinistra e al tempo stesso sabotatori al soldo dei nazisti. Ma i propagandisti non si sentono idioti quando sostengono cose del genere?
Niente affatto: nel loro universo mentale, l’estremismo in difesa di una verità più grande non è un vizio, e non c’è letteralmente limite a quello che si può dire a tale scopo.
Molti illustri commentatori non vogliono accettare il fatto che questo è quello che è diventata la politica americana: si aggrappano all’idea che a destra ci siano anziani statisti gentiluomini pronti a uscire allo scoperto se solo Obama dicesse le parole giuste.

Ma la verità è che da quel lato dello schieramento politico nessuno è disposto o è in grado di fare accordi con il guerrafondaio-antimilitarista-ateo-di-fede-islamica che risiede alla Casa Bianca.
Allacciate le cinture: non sarà per niente piacevole. (Beh, buona giornata).
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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Il prezzo della pubblicità e lo sprezzo del mercato.

Il nuovo logo di ConsorzioCreativi
Think boldly, il logo e il claim di ConsorzioCreativi
(da consorziocreativi.com)

La notizia è che Consorzio Creativi, il network di creativi che hanno dato vita a una agenzia di pubblicità di nuova concezione, ha aperto on line il Negozio della buona pubblicità. E sugli scaffali del Negozio, visitabile su consorziocreativi.com, ci sono i prodotti con tanto di prezzi.

Il fatto è che il prezzo per la pubblicità italiana è un tabù. Ogni cliente pensa di fare ottimi affari, spendendo sempre meno; ogni agenzia, media o creativa, pensa di tenere botta alla concorrenza abbassando i prezzi. Ma le cose stanno proprio così?

Se prendiamo ad esempio le gare convocate dai committenti per scegliere la migliore agenzia, queste ormai non si svolgono più sul terreno della competenza, ma sul piano inclinato della convenienza. Talmente inclinato che i prezzi sono scivolati sempre più in basso, e i margini per le strutture di comunicazione hanno subito una tale contrazione da diventare ingestibili non solo all’interno, ma anche difficili da spiegare ai rispettivi headquarters internazionali.

La situazione è sfuggita di mano a tutti i soggetti. Nella seconda metà degli Ottanta, le agenzie si remuneravano con il 15% che per legge gli editori dovevano riconoscere alle agenzie che vendevano spazi e messaggi ai loro clienti. La produzione dei materiali era remunerata con il 17,65% del budget.

Di pari passo con l’espansione del mercato della comunicazione commerciale che contrassegnava quegli anni, si pensò di favorire la crescita rinunciando via via a porzioni di quel 15%. Su pressante richiesta di grandi compagnia americane, che assegnavano budget multinazionali, i reparti media delle agenzie furono scorporati, per diventare agenzie a loro volta. In Italia, la nascita e lo sviluppo supersonico della tv commerciale e l’aumento dell’offerta di spazi televisivi hanno favorito la rapida agonia del 15%.

Quel 15%, che in origine remunerava per il 7% la creatività; per il 5% il servizio di contatto commerciale; per il 3% il planning e il buying dei mezzi; quel 15%, dunque, cominciava a dissolversi. Le agenzie media, cioè chi compra spazi per conto dei clienti e le concessionarie di pubblicità, cioè chi vende spazi per conto degli editori trovarono la via di disinnescare l’obbligo, tutt’ora vigente, di riconoscere all’agenzia il 15%: alle agenzie media un meccanismo di remunerazione basato su quantità di spazi trattati, per i quali scattano premi da parte delle concessionarie; per le agenzie creative l’istituzione del fee, praticamente sganciato dalla percentuale di spesa pubblicitaria.

Venendo ai giorni nostri, il budget che una azienda investe in pubblicità non dice più nulla a proposito del fatturato della agenzia di pubblicità che ne cura l’immagine. L’agenzia media viene pagata in un modo, l’agenzia creativa in un altro, le ricerche in un altro ancora, la grafica, gli eventi, le promozioni in altri modi ancora.

Il combinato disposto di questa giungla remunerativa è stato solo apparentemente il maggior vantaggio per il committente, che è convinto di tenere sotto controllo la spesa pubblicitaria; e non è ormai più neppure il vantaggio competitivo dei grandi gruppi verso le piccole strutture: l’illusione che la massa critica compensasse i minori introiti derivati dai forti sconti si basava sulla previsione di un costante investimento da parte dei clienti. Le crisi economiche che si sono succedete negli anni, al contrario, hanno segnato una costante diminuzione degli investimenti sui mezzi classici, stampa e televisione, per esempio.

Anche senza contare l’odierna gravissima situazione economica e finanziaria in cui versa il mercato italiano, i grandi gruppi hanno da tempo cominciato a boccheggiare per mancanza di fatturati adeguati alle loro dimensioni. Vistosi e profondi tagli di personale hanno costretto le grandi agenzie a dimagrire. Col risultato di impoverire la capacità propositiva nei confronti dei clienti. I quali, dopo aver favorito in tutti i modi la corsa al controllo della spesa pubblicitaria, si trovano oggi a fare i conti con l’impoverimento dell’offerta creativa all’altezza delle durissime sfide proposte in continuazione dal mercato globale.

Così, come fossimo in una commedia di Goldoni, succede che Pantalone dice “non ti pago perché mi hai fatto un butto servizio”, e Arlecchino dice “ti ho fatto un brutto servizio perché tanto non mi paghi”.

L’aspetto grottesco, però, è che tutti si lamentano, ma nessuno dice la verità. Negli ultimi anni le associazione delle agenzie e quelle dei committenti hanno prodotto migliaia di ore di convegni e tavole rotonde, alcune tonnellate di carta imbrattata di buoni propositi senza che questo ribollire di intelligenze venisse a capo di alcunché: neppure l’obiettivo minimo, quello della remunerazione almeno delle spese per le gare, è stato raggiunto. E sì che si sono fatti proclami e stilato decaloghi, che nessuno ha mai preso in considerazione, a cominciare proprio dagli associati medesimi. Questo, tuttavia, non ha impedito che, per esempio, il sabato al convegno si tuonasse contro il dumping che il lunedì successivo si applicava senza troppi scrupoli.

In questi anni il valore sul mercato di alcuni budget pubblicitari è stato letteralmente portato vicino allo zero. Per esempio, a una grande banca che nel 2000 riconosceva all’agenzia il 7,5%, oggi è stato offerto un fee che si aggira tra il 2 e il 3 per cento, a scalare sugli importi investiti. Oppure, a una importante istituzione pubblica è stato offerto, non più tardi di tre anni fa, un fee equivalente allo 0,9% del budget. E può succedere, come è successo, che una rinomata agenzia abbia proposto al suo cliente un listino nel quale un annuncio pubblicitario senza immagini costava meno della metà di uno con una foto: la creatività non conta, contano le figure. Per non dire di quella agenzia che per acquisire un importante cliente editoriale, è arrivata a offrire uno sconto del 75%.

La spirale del dumping si avvita su se stessa quando viene messa in gara l’agenzia che aveva stracciato il prezzo, la quale perde comunque il cliente. Il quale convoca la gara proprio per non dover rinegoziare il prezzo stracciato che gli era stato precedentemente offerto. Col risultato che implicitamente la base di partenza è proprio il ribasso del ribasso precedente: è su quello si scontreranno le agenzie convocate. Ecco che da Goldoni si passa a Pinter: cioè siamo in pieno teatro dell’assurdo.

Tutto questo succede mentre i committenti si lamentano, quando non cercano agenzie di pubblicità altrove, come è successo recentemente per un grande gruppo bancario e per una grande compagnia telefonica. E mentre nelle agenzie si lavora male, con stipendi bassi o un uso diffusissimo di lavoro precario, e il costante clima da stillicidio di licenziamenti.

In questo quadro, al tempo stesso desolato e desolante, in cui il prezzo della pubblicità è stato usato con sprezzo del mercato e delle sue regole, l’unica via d’uscita è rompere il tabù dei prezzi e dichiararli apertamente. E accettare che la negoziazione tra le parti faccia il resto. Senza trucchi, senza inganni, senza piccole bugie o grossolane mezze verità.

Che è proprio quello che sta facendo Consorzio Creativi con l’apertura del Negozio della buona pubblicità, (visitabile su consorziocreativi.com). Beh, buona giornata.

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Marketing Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

Think boldly, il nuovo logo di ConsorzioCreativi.

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Questo è il nuovo logo di ConsorzioCreativi, che è anche il claim e il pulsante del nuovo sito. La mission è sintetizzata dalla seguente definizione: comunicazione, pubblicità e marketing di alto valore, senza spargimento di costi. ConsorzioCreativi ha appena lanciato on line la nuova versione del suo sito, rinnovato nella grafica e nei contenuti. Nell’editoriale di oggi, apparso su consorziocreativi.com/blog vengono illustrate le linee guida del nuovo sito. Beh, buona giornata,

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business Marketing Media e tecnologia Pubblicità e mass media

ConsorzioCreativi lancia il suo nuovo sito. Con qualche novità.

Tra poco più di mezz’ora, a mezzanotte, cominceranno le procedure di lancio on line del nuovo sito di ConsorzioaCreativi. Anticipiamo qui l’editoriale che apparirà domani sul blog annesso al nuovo sito.

Think boldly

Siamo al terzo restyling di consorziocreativi.com in due anni. La prima versione fu dedicata ai promotori, con la seconda poi al centro ci fu l’assetto organizzativo. Con questa nuova veste grafica, ConsorzioCreativi trasforma il sito in uno strumento di lavoro, in un momento in cui lavorare per la comunicazione, per la pubblicità e il marketing è diventato difficile. La crisi picchia duro su consumi e consumatori, sui prodotti, sulle aziende: i budget si restringono, alcuni soggetti hanno sospeso gli investimenti, altri li hanno già tagliati da tempo.

Per questo, la veste grafica è sobria, essenziale, funzionale. Ma, al tempo stesso è allegra, colorata, vivace. Il meccanismo è incentrato sul pulsante “Think boldly”: attraverso questo pulsante si accede alla home page, attraverso lo stesso pulsante si torna alla hp. Un tramite, come tramite vuole essere ConsorzioCreativi nel mercato della comunicazione: dalle complicazioni dell’oggi, alle soluzioni possibili.

L’impianto grafico ricorda e cita un tablet e le relative applications: anche l’apertura delle pagine è comandata da pulsanti che danno l’idea di agire, del mettersi al lavoro, dell’ottimizzazione del tempo, attraverso scelte precise. A cominciare dal blog, ma anche in altri ambiti, consorziocreativi.com ha scelto la condivisione con i social network: Facebook, twitter, Linked, You tube sono automaticamente connessi col sito. Altri social network sono a disposizione dei lettori del blog.

Anche in questo caso la scelta funzionale rimanda a una decisione simbolica: applications e social network sono il superamento del sito, che smette di essere una semplice vetrina per diventare una sorta di piattaforma verso l’esterno. Che è l’idea di ConsorzioCreativi: non un isola, ma una penisola protesa verso ignote, quanto affascinanti innovazioni nella comunicazione.

E poi l’innovazione pura: il negozio della buona pubblicità. Lo “store” di ConsorzioCreativi, nei quali scaffali sono in vendita le nuove confezioni dei nostri prodotti. Prodotti esposti con il prezzo chiaro e trasparente. Perché?

Sono anni che le associazioni dei clienti e delle agenzie discutono di remunerazioni, di rimborsi, di regole. Oltre che dichiarazioni di principio, oltre che parole incentrate su buone intenzioni, nella realtà dei fatti, comportamenti concreti non se ne sono visti. Il risultato è che il prezzo, non il talento, sembra essere l’unico terreno della concorrenza fra agenzie. Bene, ne abbiamo preso atto.

La logica conseguenza dell’apertura del negozio sono le promozioni. La promozione di questo mese riguarda l’agricoltura e le filiere connesse: dobbiamo essere capaci di portare la pubblicità dove può essere utile allo sviluppo di attività economiche eco sostenibili.

E, per concludere questo capitolo, è bene segnalare che nel negozio è in vendita uno specifico prodotto per gli Start Up. Contribuire al successo di nuove imprese non è solo la vera via d’uscita dalla crisi, ma la mission che dovrebbe darsi tutta l’industry della comunicazione commerciale italiana.

Riassumendo, tre sono le direttrici lungo le quali di muove a partire da oggi il nuovo consorziocreativi.com. La prima è la sobrietà e la funzionalità, che fanno di questo sito un vero e proprio strumento di lavoro.

La seconda direttrice è nell’integrazione tra i social network e il sito stesso: con al centro il blog, come diario di bordo di nuove esperienze, concetti e teorie.

La terza direttrice è la vocazione commerciale di consorziocreativi.com: se ogni sito web è anche una vetrina, la nostra è la vetrina di un negozio, in cui si commercializza il nostro talento alla luce del sole, nel pieno rispetto delle regole del mercato.

Il pulsante Think boldly, che un nostro cliente e amico ha definito pop, è il logo, la sigla, il leitmotiv, la tag non tanto di questo sito, quanto piuttosto il claim con cui affrontare questi tempi: con audacia. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Il Gruppo Editoriale l’Espresso ha chiuso i primi nove mesi del 2011 in aumento del 2,2%. La crisi non perdona.

Il Gruppo Editoriale l’Espresso ha reso noto i dati di fatturato e raccolta relativi ai primi nove mesi del 2011. Il Gruppo presieduto da Carlo de Benedetti ha chiuso i primi nove mesi del 2011 con ricavi netti consolidati per 653,7 mln di euro, in aumento del 2,2% rispetto al corrispondente periodo dell’esercizio precedente. I ricavi diffusionali sono pari a 252,9 mln, in calo dell’1,11%. L ’andamento del fatturato diffusionale, migliore dell ’evoluzione generale del mercato, riflette la relativa tenuta delle vendite delle pubblicazioni del Gruppo: quotidiani, periodici e opzionali. Le diffusioni dei quotidiani locali sono state più deboli, ma il loro fatturato ha beneficiato dell ’aumento del prezzo effettuato in particolare da inizio anno su 7 delle 18 testate locali del Gruppo. I ricavi pubblicitari, pari a 380,7 mln, hanno registrato una crescita del 3,1% sul corrispondente periodo del 2010, in netta controtendenza rispetto all’andamento positivo del mercato.

La raccolta sui mezzi stampa del Gruppo risulta in linea (+0,1%) con quella del corrispondente periodo del 2010, in un mercato che ha registrato una flessione significativa (-66% ad agosto); tale stabilità ha riguardato tutte le testate (La Repubblica, i quotidiani locali e i periodici) ed è stata ottenuta anche grazie alle riuscite azioni di rinnovamento realizzate in particolare su
L ’Espresso e su diversi quotidiani locali. Positiva l ’evoluzione della raccolta su internet, in aumento del 14,11%, sostenuta dal dinamico sviluppo dell ’audience dei siti del Gruppo (+32,4% a 1,9 milioni di utenti unici medi giornalieri – fonte Audiweb/AA , dalla confermata leadership di Repubblica.it (+32,6% a 1,6 milioni di utenti unici giornalieri), dalla crescita dei mezzi locali (edizioni locali de la Repubblica e testate locali) e dal lancio del nuovo sito femminile. Infine, la raccolta pubblicitaria radio, compresa quella di terzi, ha riportato un decremento del 3,8%, inferiore al calo registrato dal mercato (-55,5% a fine agosto).

I ricavi diversi, pari a 20,11 mln sono aumentati del 38% rispetto ai primi nove mesi del 2010, grazie alla crescita dell ’attività di affitto di banda digitale terrestre televisiva, nonché ai primi positivi sviluppi della vendita di prodotti digitali. Nonostante l ’ulteriore deterioramento del contesto economico, il gruppo presieduto da Carlo De Benedetti, in assenza di forti discontinuità settoriali, conta comunque di confermare a fine anno risultati in miglioramento rispetto all ’esercizio precedente. (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia

Si chiama Duqu, è il nuovo virus che infesta il web.

(da : blitz quotidiano.it)

Duqu infesta il web: nuovo virus minaccia gli utenti e le aziende. Un nuovo virus infetta il mondo di internet. Si chiama Duqu ed è simile a Stuxnet, il virus usato per bloccare gli impianti nucleari di Teheran. Duqu ha però come obiettivo importanti aziende che si occupano di sistemi di controllo industriale. Il nuovo e pericoloso virus è stato identificato da Symantec, società attiva nell’Internet Security. Il codice di questo virus informatico è molto simile a quello di Stuxnet, tanto che secondo la Symantec è molto probabile che i creatori di Duqu abbiano avuto un accesso diretto al codice dell’altro virus.

Antonio Forzieri, un esperto di sicurezza e docente del politecnico di Milano, ha spiegato: “È come un Arsenio Lupin che vuole capire il modello di cassaforte e i sistemi di allarme prima di agire”. Gli hacker sono a caccia di informazioni come documenti di progettazione e quanto potrebbe essergli utili per effettuare un cyberattacco ad una struttura industriale.

“Il caso è stato individuato a inizio settembre dopo una segnalazione di un’azienda che era entrata in possesso di un file eseguibile sospetto”, ha detto Forzieri. e’ noto che Duqu abbia già colpito in Europa, ma non sono stati resi noti i paesi colpiti. I dati rubati dal virus sarebbero conservati in un server attivo in India. Programmato per funzionare 36 giorni e restare più nascosto possibile, questo malware si disinstalla da solo finito il suo lavoro.

Non è ancora chiaro da dove sia partito il contagio del web e come si propaghi l’infezione. Probabilmente si tratta di un portale o una pagina web infetta che fa da veicolo. La buona notizia è che il virus non sembra autoreplicarsi e che un buon antivirus aggiornato è in grado di bloccarne l’attacco. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Se una sera d’inverno un conduttore……..

Deve essere stato un collasso al buonsenso a buttare fuori dalla Rai Michele Santoro. Per la legge dei grandi numeri, Anno Zero avrebbe dovuto continuare fintanto che faceva incetta di spettatori, e dunque fin tanto che riusciva a proteggere il prezzo dei listini Sipra, la concessionaria di pubblicità della Rai. E invece no.

In certi ambienti si è talmente radicata l’abitudine di andare fuori legge, che con Santoro si è voluto violare la legge dell’Auditel. Ora che parte il nuovo programma, Santoro fa correre un grosso rischio a tutto il sistema. Perché se “Comizi d’amore” dovesse funzionare, il suo successo sfuggirebbe ai parametri di valutazione dell’audience. Questa volta non sarà, infatti, possibile misurare gli ascolti, attraverso le curve dell’Auditel o il calcolo dei grp’s , tanto cari ai grossisti dello share.

Santoro farà un programma che avrà come stella polare la multicanalità: dalla piazza al web, dal satellite di Sky al digitale terrestre delle tv locali. Se, come diceva Totò, è la somma che fa il totale, nessuna emittente, nessun centro media, nessuna concessionaria di pubblicità potrà rivendicarne il successo di ascolti, dunque portare a valore commerciale il programma.

Se da un lato è probabile il successo della nuova avventura di Santoro, dall’altro è comunque certa la messa in crisi dell’intero sistema economico, che si basa sulla compra-vendita della “merce” telespettatori. E se per giunta Santoro riuscisse nell’intento di intercettare un nuovo soggetto, cioè il tele-web-spettatore-attivo-massa, allora le categorie socio-demografiche con le quali si sono gabellati per anni gli investitori pubblicitari dimostrerebbero tutta la loro inefficacia pubblicitaria.

Altro che consigli per gli acquisti: potrebbe essere esattamente il contrario, cioè saranno le aziende a dover ascoltare i consigli dei consumatori, che parlando con la lingua della cittadinanza, riscriveranno le regole della sintassi della comunicazione commerciale.

La cosa comica è che potrebbe avverarsi quello che Berlusconi ha sempre temuto, di cui da tempo ha avuto prima fastidio, poi vera e propria paura: che il modernismo della tv commerciale finisse in una bolla. Come sta succedendo al suo tele-governo.Beh, buona giornata.


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Attualità democrazia Leggi e diritto Media e tecnologia

Ultima chiamata per fermare la legge-bavaglio.

http://www.avaaz.org/it/

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democrazia Leggi e diritto Media e tecnologia

Il tuo click per fermare la legge bavaglio.

Cari amici in Italia,

E’ vergognoso! E’ tornata l’infame “legge bavaglio” e il Parlamento potrebbe adottarla in qualunque momento: soltanto un enorme grido d’indignazione può fermarla.

La coalizione di Berlusconi è in frantumi, ma nel crollo si sta trascinando la sua maggioranza per portare a segno la “legge bavaglio”, che minerebbe sensibilmente il potere del nostro sistema giudiziario di combattere il crimine e la corruzione, e imporrebbe sanzioni draconiane contro editori, giornalisti e blogger. L’anno scorso abbiamo combattuto questa legge e abbiamo vinto. Anche questa volta dipende solo da noi: battiamoci con tutte le nostre forze per salvare la nostra democrazia!

Il bavaglio potrebbe diventare legge in ogni momento! Mezzo milione di italiani sta chiedendo al Parlamento di respingere la “legge bavaglio” e proteggere così la libertà di stampa: raggiungiamo ora le 750.000 firme! Clicca sotto per firmare e inoltra questa e-mail a tutti quelli che conosci – la petizione sarà consegnata direttamente ai parlamentari durante ogni voto cruciale da ora fino alle prossime due settimane:

http://www.avaaz.org/it/no_bavaglio_2/?tta

A fronte di nuovi vergognosi scandali sessuali e episodi di corruzione che hanno colpito il Premier e alcuni membri del governo, incluse accuse di prostituzione minorile e appalti assegnati in cambio di ragazze, il governo di Berlusconi sta facendo di tutto per far passare questa legge, che limiterebbe pericolosamente il potere giudiziario e metterebbe il bavaglio agli editori, i giornalisti e i blogger.

L’anno scorso abbiamo costretto il Parlamento a chiudere nel cassetto la “legge bavaglio”, grazie a un’enorme mobilitazione pubblica, che ha attirato l’attenzione dei media internazionali e ha aiutato a dividere la coalizione governativa. Ma ora che il suo disastroso mandato sta volgendo al termine, Berlusconi sta disperatamente cercando di proteggere se stesso e i suoi alleati dalle condanne e censurare preventivamente la stampa per fermare nuovi scandali dall’essere pubblicati.

Se la “legge bavaglio” passerà, non potremo più raccogliere le prove investigative contro i casi di corruzione e mafia e chiedere conto ai nostri politici, e un fondamento della nostra democrazia sarebbe distrutto. Solo noi possiamo fermare tutto questo! Firma la petizione urgente ora e invita tutti i tuoi amici a farlo:

http://www.avaaz.org/it/no_bavaglio_2/?tta

Negli ultimi due anni insieme siamo riusciti a ostacolare i molteplici tentativi di Berlusconi di imporre i bavagli ai media, al sistema giudiziario e a internet, che avrebbero messo in pericolo il cuore della nostra democrazia. Ma ora che questo scandaloso governo è al tramonto, Berlusconi ci sta provando di nuovo. Non possiamo abbassare la guardia proprio ora: siamo noi i guardiani della nostra democrazia. Il complotto del governo è ora all’attacco, e sta a noi dimostrare che continueremo a combattere finché i nostri diritti fondamentali e le nostre libertà siano definitivamente rispettati e protetti.

Con determinazione,

Giulia, Luis, Alice, Ricken, Pascal, Benjamin e il resto del team di Avaaz

Più informazioni:

Corriere della Sera – Un divieto senza senso
http://www.corriere.it/politica/11_ottobre_05/intercettazioni-un-divieto-senza-senso-giovanni-bianconi_2c8831be-ef16-11e0-a7cb-38398ded3a54.shtml

Il Fatto quotidiano – Giulia Bongiorno: “Non sarò relatrice di questo obbrobrio”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/04/intercettazioni-bongiorno-non-saro-certo-la-relatrice-di-questo-obbrobrio/162069/

La Repubblica – Caselli: “Togliere le intercettazioni è come eliminare ai medici le Tac”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/04/intercettazioni-bongiorno-non-saro-certo-la-relatrice-di-questo-obbrobrio/162069/

Wikipedia – La protesta contro la “legge bavaglio”
http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Comunicato_4_ottobre_2011

Valigia blu – Comma ammazza-blog: un post a rete unificata
http://www.valigiablu.it/doc/540/comma-ammazza-blog-un-post-a-rete-unificata.htm

La libertà è partecipazione informata – raccolta firme contro la legge bavaglio
http://nobavaglio.it/

CHI SIAMO
Avaaz.org è un’organizzazione no-profit e indipendente con 9 milioni di membri da tutto il mondo, che lavora perché le opinioni e i valori dei cittadini di ogni parte del mondo abbiano un impatto sulle decisioni globali (Avaaz significa “voce” in molte lingue). I membri di Avaaz vivono in ogni nazione del mondo; il nostro team è sparso in 13 paesi distribuiti in 4 continenti e opera in 14 lingue. Clicca qui per conoscere le nostre campagne più importanti, oppure seguici su Facebook o Twitter.

Questa e-mail è stata inviata a marco.ferri@marco-ferri.com. Per cambiare il tuo indirizzo e-mail, ricevere le e-mail in un’altra lingua o altre informazioni contattaci utilizzando questo modulo. Per non ricevere più le nostre e-mail, invia un’e-mail a unsubscribe@avaaz.org oppure clicca qui.Per contattare Avaaz non rispondere a questa e-mail, ma scrivici utilizzando il nostro modulo www.avaaz.org/it/contact, oppure telefonaci al 1-888-922-8229 (USA).

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Dibattiti Media e tecnologia Pubblicità e mass media

È stato previsto l’anno in cui i giornali moriranno.

È stata prevista la morte dei giornali.

In un convegno a Firenze, organizzato tra l’altro dalla Fieg, cioè dall’associazione degli editori dei giornali, è stata presentata una ricerca secondo la quale la morte dei giornali quotidiani sarà definitiva tra il 2030 e il 2040.

È stato anche fatto il calendario del decesso, che avverrebbe con una successione di avvenimenti macabri: i primi a trapassare nel 2017 saranno i giornali stampati negli Usa dove, si sa, la tecnologia è più avanzata.

A noi in Italia il funerale del quotidiano toccherebbe dieci anni dopo, cioè nel 2027. Ci facciamo sempre riconoscere!

Poi, via via la moria della carta stampata si trascinerà, come una dolorosa agonia, fino alla completa estinzione della specie entro il 2040. Tuttavia, precisano i ricercatori non si tratterebbe proprio della morte definitiva, quanto invece di una mutazione generica di tipo digitale. Insomma, è come se il medico vi dicesse che siete destinati a crepare, ma non del tutto, perché poi diventerete robot.

Lo sappiamo che non è la prima volta nella storia dell’evoluzione tecnologica che una nuova scoperta suggestiona l’idea della fine di quella precedente. Salvo verificare che non è mai successo, tanto meno con la precisione del calendario.

La radio non ha ucciso il telegrafo, che è stato invece soppiantato dalle applicazioni gps decenni dopo. Che la tv non ha ucciso la radio, né il cinema, anche se alla fine la radio, la tv e il cinema sono stati ingoiati dal web. Ora, il fatto che secondo la ricerca in questione potrebbe verificarsi è proprio simile a quest’ultimo esempio. Non è infatti difficile immaginare come andranno le cose, perché in realtà stanno giù andando così: i siti internet delle grandi testate giornalistiche hanno visite sul web ormai di gran lunga superiori alle visite in edicola. Oggi internet, anche grazie ai tablet è il luogo più frequentato per chi ama leggere il giornale. Quindi il futuro andrà in questa direzione, non ci possono essere dubbi.

Rimane però una sgradevole sensazione di mutilazione, se immaginiamo che non ci sporcheremo più i polpastrelli di inchiostro sfogliando le pagine del quotidiano. Tuttavia, quello che non dovremmo mai dimenticare è che un giornale non è oggi con le rotative e la carta, né domani con la tecnologia digitale e un supporto elettronico per la lettura semplicemente una cosa da avere tra le mani e sotto gli occhi.

Un giornale è un’idea dell’informazione, un’idea alla quale partecipano quelli che lo scrivono allo stesso modo di quelli che lo leggono. In ultima analisi, un giornale è fatto di persone. Così come non compriamo oggi carta ma un quotidiano, così domani non compreremo un download ma, appunto un giornale: quello che conta è sempre e solo quello che c’è scritto. È sempre lì che casca l’asino. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia

Mondadori: libri in italiano su iPad.

I titoli digitali pubblicati dal Gruppo Mondadori sono da oggi disponibili sull’iBookstore di Apple, raggiungibile su iPad, iPhone e iPod touch attraverso l’applicazione gratuita iBooks e dal sitowww.itunes.it.

I lettori potranno trovare e immediatamente acquistare su iBookstore tutto l’ampio catalogo di oltre 2.000 e-book delle case editrici del Gruppo Mondadori: Edizioni Mondadori, Edizioni Piemme, Einaudi e Sperling & Kupfer.

Tra i numerosi titoli già disponibili, le novità Rivoluzione n. 9 di Silvio Muccino e Carla Vangelista; Quasi quasi mi innamoro di Anna Mittone; Ave Mary di Michela Murgia; Le ricette della Dieta Dukan di Pierre Dukan. Vi sono inoltre grandi successi della narrativa italiana, come Io e te di Niccolò Ammaniti, Nessuno si salva da solo di Margaret Mazzantini e La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano.

Non mancano infine le voci più autorevoli della narrativa internazionale, tra cui Ken Follett con La caduta dei giganti, l’ultimo capolavoro di Jonathan Franzen, Libertà, il nuovo thriller di Robert Harris, L’indice della paura, e il giallo nordico Nemesi di Jo Nesbø.Beh, buona giornata

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

Steve Jobs, l’uomo che pensava differente.

Steve Jobs ci ha messo nella condizione di essere tutti all’altezza della sua visione del mondo. Grazie al lancio di Macintosh e all’invenzione del mouse, il mondo andò oltre le barriere, cinque anni prima della Caduta del Muro di Berlino.

Con iMac pensammo differente la fruibilità di Internet. Con iPhone fummo catapultati dal web all’era dei social network, prima dello sviluppo logaritmico di Facebook. Con l’IPod la musica è diventata la personale colonna sonora di ogni giorno, per tutti.

Con iPad siamo stati spinti nell’era digitale, in anticipo di almeno dieci anni sulla capacità di evoluzione della stampa di libri e giornali.

Difficile pensare che Steve Jobs non ci sia più, quando abbiamo in tasca, come fosse la cosa ormai più naturale del mondo le sue idee, felicemente trasformate in prodotti per la comunicazione, con le quali parliamo, fotografiamo, filmiamo, scriviamo, ascoltiamo musica, guardiamo film e tv. E per farlo, siamo costretti a pensare in modo differente circa le nostre capacità tecnologiche.

Oggi che sappiamo come condividere idee, pensieri, emozioni ci sentiamo tutti visionari come lui, proprio grazie a lui. Una cosa gli dobbiamo: continuare a pensare differente. Ne abbiamo gli strumenti. Facciamoci venire buone idee. Beh, buona giornata.

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