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È ora di dire basta.

“È ora di dire basta” è andato in scena con la compagnia “Signori chi è di scena!” e la regia di Monica Ferri, il 25 novembre al Teatro San Giustino di Roma.

“È ora di dire basta con la violenza degli uomini”, di Marco Ferri.

Quando mi è stato chiesto un testo sulla violenza contro le donne, sulla base di un corto che avevo scritto e diretto in “Il menù del ghiaccio, trilogia della passione”, – plot narrativo che è poi diventato un racconto dal titolo “Non è questo il modo di uccidere una donna”, selezionato dal premio Calvino e di prossima pubblicazione in “Oltre il velo del reale”, a cura di Franco Pezzini, per i tipi di Meridiano Zero , – non ero molto convinto che si potesse partecipare alle celebrazioni della Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulla donne, che si svolge ogni anno il 25 novembre, con un testo teatrale, al quale bastasse aggiungere un prologo che ne rappresentasse il contesto.

Qualcuno ha scritto che è sempre meglio evitare le celebrazioni, perché il rischio della captatio benevolentiae verso il pubblico è una trappola retorica, in cui la foga dell’evento mal si addice al linguaggio del teatro.

Nel mio testo precedente la vicenda è l’intima, violenta, disperata contraddizione tra i sessi per il predominio della passione amorosa nella vita di coppia. In “È ora di dire basta”, invece, il discorso si fa politico, in senso lato. 

Una riflessione sulla pièce teatrale.

La giornata nasce, infatti, da un fatto politico, l’assassinio di tre donne da parte di un dittatore sudamericano.

Dunque, si poneva un ragionamento che collocasse un episodio specifico, diventato un efferato crimine politico, come viatico per entrare in una vicenda di pura invenzione teatrale, ancorché emblematica.

La cosa non si poteva risolvere solo dal punto di vista della macchina scenica. 

Mi sono, allora, reso conto che era in agguato un’insidia, cioè ridurre tutto a un fatto di costume, invece che fargli fare un salto in una visione d’insieme, errore che si corre quando si pensa, per esempio, a una generica parità di genere, appunto, o si tessono teorie attorno al tetto di cristallo, come se bastasse promuove qualche donna al comando del potere maschile per risolvere una questione che è invece uno dei problemi fondamentali della vita sociale in un’economia capitalistica.

La messa in scena ha incontrato il favore del pubblico.

La subalternità femminile è un fatto storico, ha a che vedere con l’evoluzione dell’organizzazione sociale e produttiva, andrebbe vista sotto il profilo dell’economia politica, e della lotta per il cambiamento della condizione materiale, si rifà alla divisione del lavoro, al potere patriarcale che si ripercuote nell’atavica divisione dei ruoli, da cui dipendono anche le ripercussioni psicologiche e i comportamenti privati.

“Il personale è politico” dicevano le femministe negli anni Settanta.  “Basta guerre sui nostri corpi”, affermano oggi le donne impegnate nel movimento Non una di meno.

 Forse, in un certo senso, questa è la chiave interpretativa di “È ora di dire basta” il cui sotto titolo è “con gli uomini che uccidono”, che comprende un prologo che inquadra la problematica in una modalità spettacolare, quasi da flash mob; un primo quadro in cui il protagonista è un lui violento, ma sconfitto; un secondo in cui c’è una lei vittima, ma niente affatto vinta; per concludere con un colpo di scena che ci riporta alle contraddizioni che la nostra quotidianità dovrebbe affrontare, usando tutti gli strumenti del cambiamento di prospettiva, a cui il linguaggio del teatro può contribuire e non solo rappresentare. 

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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