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3DNews torna in edicola con Terra.

Il naufragio del Concordia a fumetti.
Con un supplemento di 16 pagine, 3D disegna la “cronaca a fumetti” del naufragio del Giglio

Il giornale ecologista Terra torna in edicola in tutta Italia, e si fa mensile; da venerdì 9 marzo, nelle principali edicole in Italia, con 68 pagine, carta ecologica, al prezzo di 4 euro.

Insieme a TERRA torna anche l’inserto 3D, diretto da Giulio Gargia . Questo mese, la cronaca a fumetti, consolidata formula del supplemento, ci racconterà aspetti inediti del naufragio del Giglio.

Curata dalla Scuola Italiana di Comix, la storia del Concordia diventa un fumetto, che si occupa dei tanti “ eroi “ meno conosciuti che hanno fatto il loro dovere fino in fondo e così hanno permesso di limitare il bilancio delle vittime.

Altri contenuti : un intervento di Umberto Eco su memoria e dimenticanza, un reportage sul fallimento di Audiradio, una recensione “ filosofica” di “ In Time” di Zap Mangusta, e un intervento su cinema e filosofia del professor Giuseppe Di Giacomo.

Il fumetto di questo mese è stato realizzato dalla Scuola Italiana del Fumetto di Napoli e nasce dall’enorme interesse che la vicenda del Concordia ha generato in tutto il mondo vigrx reviews, diventando una metafora – nel bene e nel male – dell’attuale situazione dell’Italia.

“ Schettino e De Falco, nella percezione dei media di tutto il mondo, sono diventati personaggi simbolo, archetipi dell’eroe e dell’antieroe, sintesi di quanto di peggio e di meglio ci sia in Italia. – dicono Giulio Gargia e Mario Punzo, promotori dell’iniziativa – Perciò abbiamo proposto a un serie di siti di fumetto anglosassoni di realizzare il racconto in inglese della vicenda, per entrare nel circuito mediatico internazionale con un linguaggio universale che raccontasse anche i tanti “ eroi “ meno conosciuti che hanno fatto il loro dovere fino in fondo e così hanno permesso di limitare il bilancio delle vittime.

Questo anche perchè il fumetto permette un racconto più completo, meno soggetto alle semplificazioni che la cronaca del giorno per giorno quasi sempre comporta. Le tavole che pubblichiamo sono la traduzione in italiano di questa nostra iniziativa ”

Realizzata in 2 puntate, con l’ideazione e soggetto di Giulio Gargia, lo script di Michele Assante del Leccese, e i disegni di Ferdinando Silvestri, la storia del Concordia a fumetti è in predicato di essere pubblicata in diversi siti esteri, grazie all’enorme interesse che la vicenda ha suscitato in tutto il mondo.

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Cinema Cultura Dibattiti Popoli e politiche Università e ricerca.

“Il paradossale prodigio sulla pelle della realt

In sala con Giuseppe Di Giacomo*, di RICCARDO TAVANI

Un'immagine di "Miracolo a le Havre".
Giuseppe Di Giacomo.
Giuseppe di Giacomo ci propone un assunto che poi immediatamente rovescia. L’assunto è che il miracolo ha a che fare con la paradossalità e Kaurismaki prende talmente sul serio questo postulato da far diventare il paradosso normalità, e addirittura ovvietà, banalità quotidiana del suo racconto. Il rovesciamento, però, ci avverte il professore, dobbiamo coglierlo non solo nella struttura della narrazione ma sopratutto nella semplicità, nella povertà spoglia delle immagini e dei mezzi cinematografici di cui il regista volutamente si serve.

La superficie, la pelle delle immagini qui gioca un ruolo decisivo. L’autore vuole che proprio la semplicità, la banalità quotidiana ci sia messa davanti, perché è in essa che noi dobbiamo saper vedere il miracolo possibile, ovvero sapere cogliere un aspetto che non è immediatamente visibile, solo perché non sappiamo o non vogliamo vederlo.

Il miracolo ha a che fare con la paradossalità dello sguardo umano che non riesce a vedere proprio quello ha davanti a sé. Non a caso Wittgenstein, ricorda Di Giacomo, invoca che Dio sappia far cogliere ai filosofi proprio quello che hanno sotto gli occhi e non riescono a vedere. È il miracolo che ci guarisce dalla nostra stessa cecità.

Sotto l’aspetto della vicenda umana che qui si racconta, il miracolo assume la forma narrativa della favola. Un adolescente africano, Idrissa, fugge da un container scaricato su una banchina del porto di Le Havre, dentro il quale ha attraversato clandestinamente le acque territoriali francesi. La polizia, guidata dall’enigmatico commissario Monet, gli dà la caccia per tutta la città. Ad aiutarlo e dargli rifugio è il lustrascarpe Marcel Marx, proprio il giorno in cui sua moglie Arletty è ricoverata in ospedale per un grave tumore che i medici (tacendolo però al lustrascarpe) diagnosticano come inguaribile, senza alcuna speranza.

Il “C’era una volta” della fiaba rimanda a una dimensione di atemporalità, anche se, dovendo rendercela con delle immagini, il regista le mette qui le vesti di gente e di ambienti rimasti per lo più agli anni 50-60 del secolo scorso. La favola, però, tratta di un tema estremamente attuale: quello della immigrazione clandestina. Dunque, l’elemento senza tempo del “C’era una volta” è attraversato da un cruciale carattere di temporalità, attualità. E Kaurismaki, nota Di Giacomo, nella scena in cui due amiche di Arletty le leggono in ospedale il brano di un libro, sofferma volutamente l’inquadratura sulla copertina.

Si tratta dei Racconti di Franz Kafka. Ora in Kafka è proprio l’elemento della temporalità a precludere la possibilità di un significato unico, di una spiegazione definitiva, di un senso compiuto del racconto. Kafka ci mette sempre davanti a un finale, a un problema aperto che non si chiude da sé e su sé. L’autore del film alterna continuamente il registro narrativo della fiaba alle immagini della drammatica realtà attuale relativa alla immigrazione. Favola e realtà le avvertiamo entrambe, simultaneamente, sulla stessa epidermide sensibile, la nostra.

Kaurismaki, suggerisce Di Giacomo, vuole che noi ci poniamo davanti al problema, facendoci però scorgere che sotto quella pelle scorre una speranza, c’è la possibilità di scrivere veramente quella che noi ora chiamiamo “favola”, o l’avverarsi di quello che definiamo “miracolo”. La realtà non è mai buona o cattiva in senso assoluto ma in relazione alla nostra consapevolezza, alla nostra presa di posizione, al nostro impegno.

In un mondo reale come quello attuale c’è bisogno di un rapporto di solidarietà per risolvere il problema tragico della immigrazione. Il lustrascarpe Marcel compie la scelta di mettere in atto la solidarietà, perché anche lui si è trovato un giorno ai margini della società e Arletty gli ha dato aiuto e rifugio, non badando ai pregiudizi e agli inconvenienti sociali derivanti dal suo essere un clochard. Lui è già, in quanto lustrascarpe, un personaggio della favola scritta a suo tempo da Arletty, la quale insiste sempre che Marcel, proprio come Idrissa, è rimasto un bambino.

È questo l’aspetto spiccatamente etico del top direct lenders for payday loans film, sottolinea Di Giacomo. La decisione di Marcel di impegnarsi attivamente e di ritirare fuori tutto il proprio coraggio civile e la propria dignità umana è bene espressa dal suo ritirare fuori dall’armadio l’abito buono poco indossato, per aiutare meglio il ragazzo a oltrepassare la Manica e raggiungere la madre a Londra.

Il comportamento gretto, attaccato alla loro grigia realtà dei piccoli negozianti nei confronti dei quali il lustrascarpe ha maturato un debito lungo e mai rimesso, viene trasformato dal constatare che Marcel non si mette paura neanche di fronte alla pressione rude e incalzante della polizia. Il rovesciamento dal grigiore spento della realtà a quello luminoso della favola lo fa scattare Marcel con la sua scelta di entrare il quella che Hanna Arendt chiama la “vita activa”.

La solidarietà verso il ragazzo scatta anche negli altri. Il lustrascarpe si fa elemento attivo di azione e comunicazione. Il vecchio cantante rock Little Bob torna a sfoderare il meglio della sua musica e della sua mimica per esibirsi e tirare su i soldi necessari a far passare il canale a Idrissa. Di Giacomo coglie una sorprendente citazione cinematografica, un fulminante flashback che ci fa veramente ruzzolare alla metà del secolo scorso. Il rapporto tra il lustrascarpe e il commissario Monet è lo stesso che si instaura in “Casablanca” tra Rick Blaine e il Capitano Louis Renault. Anche in quel film è la decisione di Rick di uscire dal suo disincanto esistenziale e di rientrare nella “vita activa” a determinare la complice solidarietà dell’ufficiale francese.

Nel finale il regista torna a giocare pienamente l’assunto iniziale e il suo rovesciamento. Il miracolo ha a che fare con il paradossale e un ciliegio improvvisamente fiorito al primo e unico raggio di sole tra le costanti nebbie del porto non potrebbero mostrarcelo meglio. Ma il vero paradosso è lo scorrere del prodigio a fior di pelle della realtà e il nostro esiliarlo nella fiaba. (Beh, buona giornata).

*Chi è Giuseppe Di Giacomo ovvero la impossibilità del senso e il dovere etico della forma nell’arte del presente.

Giuseppe Di Giacomo si è formato agli studi estetici con Emilio Garroni, ha ereditato la sua cattedra a “La Sapienza” di Roma e come il suo maestro è diventato uno dei docenti più seguiti dagli studenti e dai cultori di ogni età nella Facoltà di Filosofia.

È uno dei maggiori studiosi contemporanei del pensiero di Benjamin e Adorno, ma fondamentali sono anche le sue ricerche e i suoi scritti su Nietzsche, Lukács, Warburg e Wittgenstein. Nel campo dell’arte i suoi studi investono sia la pittura che la letteratura, da Klee, a Mondrian, a Malevič; da Proust, Dostojewskij Kafka, Joyce e Beckett.

Occupandosi dello scrittore contemporaneo Cormac McCarthy, soprattutto della “trilogia della frontiera” e delle trasposizioni cinematografiche, Di Giacomo sta delineando nelle sue lezioni universitarie una visione del cinema western come forma di narrazione epica moderna.

A partire dalla filosofia critica di Kant, dal prospettivismo nietzscheano, dall’opera estetica di Adorno e dalla concezione dei giochi linguistici di Wittgestein, Di Giacomo proprio perché vede nell’arte del presente l’impossibilità paradossale di giungere o di tornare a un senso finale compiuto, pensa che il lavoro sugli aspetti formali dell’opera costituisca un vero e proprio dovere estetico ed etico dell’artista.

Solo il processo di composizione, di montaggio formale di linee e colori, di parole, versi, ritmo, successione di immagini in movimento può conferire all’arte quella autonomia che la metta in grado di guardare criticamente alla realtà del mondo amministrato, tentando di ridare voce al silenzio di chi non ha potuto esprimersi, a cui è stata tolta la parola e la speranza insieme.

Tra le sue pubblicazioni: Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein, 1989; Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, 1999; Icona e arte astratta. La questione dell’immagine tra presentazione e rappresentazione, 1999; Introduzione a Paul Klee, 2003; Alle origini dell’opera d’arte contemporanea, 2008; Beckett ultimo atto, 2009; L’oggetto nella pratica artistica, 2010. Sta dando alle stampe un libro sul grande pittore russo Malevič.

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Attualità Cultura

Ai funerali di Giorgio Bocca.

http://video.repubblica.it/cronaca/anselmi-giornalista-ruvido-e-acuto/84572?video=&ref=HRER3-1

Un ricordo non retorico di Giorgio Bocca, da parte di Giulio Anselmi, uomo altrettanto ruvido e acuto. Le persone intelligenti e capaci non hanno bisogno né di compiacere né di essere compiaciute. Beh, buona giornata.

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Attualità Cultura Finanza - Economia - Lavoro Fumetti. Movimenti politici e sociali

3DNews/La rivolta dei Supereroi.

La rivolta dei Supereroi
di Giulio Gargia
Creare nuovi simboli, cambiare di segno alle vecchie icone. Inventarsi nuove forme di protesta. In questa chiave si può leggere Occupy Wall Street negli USA, il teatro Valle in Italia. Piazza Tahir in Egitto. E poi Wikileaks e Assange, i ricercatori sui tetti, i lavoratori sulle torri. Quello che è cominciato con il ragazzo tunisino che si è dato fuoco ( come Jan Palach a Praga nel ’68, o come i monaci tibetani, anche quelle forme estreme di protesta simbolica ) è stato l’anno della primavera araba, uno dei sommovimenti più coinvolgenti e più contagiosi comunicativamente dell’ultimo trentennio. Anche per questo che la figura del manifestante è stata dichiarata “ l’uomo dell’anno “ da Time. Perchè sembra che si sia drammaticamente rovesciato il ruolo tra i politici e i cittadini.

Oggi sono i primi che inseguono le emozioni del giorno per giorno, e sono invece movimenti di cittadini che mettono sul tappeto le grandi questioni politiche di fondo , come il cambiamento climatico,lo strapotere della finanza globale, i diritti umani, una vera libertà d’informazione. E lo stanno facendo, spesso, cavalcando quella finestra temporale che si crea quando si afferma una nuova tecnologia e i poteri non sanno ancora come imbrigliarle. La Rete e i cellulari hanno aiutato la struttura molecolare delle rivolte, ma poi ognuno si è inventato la sua icona. E’ quello che sta succedendo anche in Russia, dove infatti Putin ha scatenato i suoi hackers per danneggiare e boicottare i canali di comunicazione dei movimenti d’opposizione. Quello di cui parliamo questa settimana è un fenomeno in buona misura ancora emergente, cioè come e fino a che punto si può cambiare di segno a un simbolo . Insomma, una sorta di revisionismo semiotico che è il problema che pone la vicenda che raccontiamo all’interno, quella di Occupy Comics. Artisti e disegnatori che stanno provando a sferrare una sorta di “ assalto al cielo” dei santuari dell’immaginario. Stanno cercando cioè a fare quello che ha teorizzato Serge Latouche, quando parla di “ decolonizzare l’immaginario”. Ma anche, in qualche maniera, quello che stiamo facendo da 2 anni su questo inserto, cioè portare la cronaca nei fumetti.

Noi cerchiamo di far diventare le avventure del nostro 3D appassionanti come quelle di un “ supereroe”, loro cercano di portare 3D, la terza dimensione, quella sociale, nelle avventure dei supereroi già affermati. Buona fortuna e auguri a loro e a noi.(Beh, buona giornata).

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Attualità Cultura Fumetti. Media e tecnologia Società e costume

3DNews/ Occupy Wall Street diventa un fumetto.

Usa, autori e disegnatori partecipano a un svolta radicale nel mondo del fumetto
E Batman disse : ora voglio pagare più tasse
“ Occupy Comics ” prova a cambiare in senso sociale le storie dei supereroi
di Giulio Gargia

Occupy Wall Street diventa un fumetto. Ma non solo perchè, come scriviamo negli altri pezzi, autori e disegnatori ne racconteranno gli sviluppi in strisce e baloons.
Ma soprattutto perchè, in maniera ancor più radicale, porta la sua carica di cambiamento all’interno stesso del mondo produttivo del fumetto e diventa Occupy Comics.
Ovverossia un movimento che chiede che cambino gli atteggiamenti e le azioni delle sue creature, quegli eroi del fumetto popolare che influenzano anche tanto il cinema.

Si comincia con Anjin Anhut, il cui “ Occupare Gotham “ ( nella foto in copertina ) mostra
un Batman in costume ma a volto scoperto, quindi riconosciamo il viso del miliardario Bruce Wayne che chiede di essere tassato di più . La Anhut si è ispirata alle dichiarazioni di Warren Buffet, uno dei uomini più ricchi del mondo, che ricordava che il sistema fiscale degli USA permette che la sua segretaria paghi in proporzione più tasse di lui. “ Allora – scrive a Wired – ho pensato di usare Wayne perchè è un uomo ricco che si pone problemi di etica collettiva . Qualcuno in cui quell’1% che contestiamo si possa identificare per chiedersi cosa farebbe Batman in questi casi ? I personaggi dei comics hanno solitamente affrontato i problemi del loro tempo e dato l’esempio,

Le loro storie più forti sono quelli in cui si riflettono i problemi sociali ”.
Ma non è solo una provocazione artistica, quella della Ahut . Uno dei nuovi disegnatori del Batman ufficiale, Scott Snyder già sembra essere su questa strada, tanto che in alcune scene dei nuovi albi fa promettere a Wayne di combattere il capitalismo rapace, ormai totalmente scollegato dalla realtà di Main Street, che negli Usa è l’equivalente del nostro “ la gente “.
“Occupare i Comics è un operazione radicale” dice Matt Pizzolo, fondatore della
casa di distribuzione multimediali indipendente Halo-8 . “ E’ un protesta artistica che riguarda innanzitutto i territori della mente, dove ci sono grandi temi da sviluppare . Non dobbiamo usare vecchi schemi, questa è un’operazione che rompe i paradigmi di destra e sinistra.
Il progetto Occupare Comics prende il via con l’immagine creata da Anna Muckcracker, ed era
originariamente pensato per illustrare all’opinione pubblica al movimento Occupare Wall Street.

Ma poi con l’esclation delle proteste, la brutale repressione della polizia e le adesioni di autori sempre più prestigiosi si è ampliato anche dentro il mondo dei comics.
“Penso che sia un movimento di spazi fisici e spazi astratti, come i fumetti. Quindi la sua cultura può iniziare a occupare spazi mentali condivisi così come le città” immagina Pizzolo. L’occupazione deve essere la più pervasiva e coinvolgente possibile. E’ un modello adatto ai fumetti, in cui i supereroi diventano spesso simboli per il cambiamento sociale.
Così nella nuova serie di Superman di Grant Morrison tanto il giornalista Clark Kent quanto il suo alter ego supereroe trascorrono la maggior parte del loro tempo a combattere l’ingiustizia dopo ingiustizia.

“Quello che sto cercando di fare con Action Comics è forse provocatorio,” ha detto Morrison, quando è uscita Supergods, la sua storia autobiografica culturale del fumetto. “Perché io sto reinterpretando la figura originale di Superman come un campione degli oppressi, e non necessariamente come un tizio che si occupa solo di ordine pubblico o di difendere la patria.” (Beh, buona giornata).

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Cultura Fumetti. Movimenti politici e sociali Società e costume

3DNews/Da Zuccotti Park a Metropolis, la rivolta degli autori contagia l’industria dei baloons.

Dev’essere stata la reazione alla presa di posizione di Frank Miller, l’autore di “ Sin City” e di “300 ” che si è scagliato contro i manifestanti di Occupy Wall Street che, a suo dire, stanno snaturando la parola stessa “occupazione” brandendo i simboli della globalizzazione (iPad e iPhone) in un contesto dove, secondo l’autore, sono assolutamente fuori luogo. Miller ingiunge loro di “svegliarsi”, perché l’America è ancora in pericolo (scagliandosi anche contro l’islamismo ed Al-Qaida) .

La violenza con la quale si rivolge agli occupanti è inconsueta: li definisce spazzatura. Pagliacci. Deficienti. E poi invoca: «Nel nome della decenza, tornate a casa dai vostri genitori, perdenti. Tornate nel seminterrato di mamma e giocate con il vostro Lords of Warcraft ». Chi sa se nella reazione del’autore c’è anche un pizzico di turbamento nel vedere che l’immagine più diffusa nelle piazze che protestano è quella di V, il personaggio creato da Alan Moore e disegnato da David Lloyd, oggi trasformato in simbolo dai movimenti Occupy. Una icona che ha cominciato anch’essa a trasformarsi, pur partendo sempre dall’originale. I manifestanti hanno iniziato a sbizzarrirsi, esponendo segni di riconoscimento di ogni forma.

L’ultima trovata è una bandana, disegnata da Matthew Borgatti, che può essere indossata sia per coprire il volto a metà, sia integralmente, riuscendo comunque a mettere in evidenza il disegno della maschera di Guy Fawkes. ( il personaggio storico a cui si è ispirato il fumetto di Moore e Lloyd ). “Voglio che la gente sia in grado di protestare con Occupy Wall Street senza il rischio di essere colpita per aver mostrato solidarietà.” dice Borgatti.

Comunque sia, gli autori di V sono ora entrati nel gruppo di Occupy Comics, movimento nato dagli eventi di Zuccotti Park. Occupy Comics prova a portare lo spirito di quella ribellione nell’industria del fumetto ufficiale. E’ un gruppo composto da oltre cinquanta artisti/fumettisti che hanno due compiti specifici: impegnarsi a raccogliere fondi per sostenere il movimento Occupy e realizzare un’antologia a fumetti (anche in formato digitale) con storie ispirate dal movimento. Ma la vera novità sta nell’ulteriore missione che gli aderenti si sono dati : influire e cambiare le azioni delle star del fumetto. Perciò , ecco Batman che chiede di pagare le tasse e Superman che combatte l’ingiustizia sociale. Un vento che soffia anche nei cartoons, tant’è che perfino Bart Simpson, nella versione originale della tredicesima puntata dell’ottava serie dei Simpson, esplode e dice : «Every day is Guy Fawkes Day!». (Beh, buona giornata).

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Attualità Cultura

Omaggio a Giorgio Bocca.

E’ morto nella sua casa di Milano Giorgio Bocca. Il grande giornalista e scrittore era nato a Cuneo il 28 agosto del 1920. I funerali si svolgeranno alle 11 del mattino di martedì 27 a Milano, nella chiesa di San Vittore in via San Vittore. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa con commozione la triste notizia della scomparsa di Giorgio Bocca, ha inviato un messaggio alla famiglia nel quale ricorda la “figura di spicco del movimento partigiano rimasto sempre coerente con quella sua fondamentale scelta di campo per la libertà e la democrazia”. “Dedicatosi subito al giornalismo di inchiesta e di battaglia civile – prosegue Napolitano – Giorgio Bocca ha scandagliato nel tempo la realtà del nostro Paese e le sue trasformazioni sociali con straordinaria intransigenza e combattività”. “Con sentimenti di riconoscenza per il suo vigoroso impegno – conclude – partecipo al cordoglio della famiglia e del mondo dell’informazione”. Beh, buona giornata.

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Cultura Fumetti. Popoli e politiche Potere

3DNews/Francia, un fumetto racconta i segreti diplomatici occidentali.

Ieri è stato pubblicato in Francia il secondo volume a fumetti disegnato dall’autore francese Christophe Blain dedicato al “Quai d’Orsay” e ai suoi segreti. “Quai d’Orsay” è l’indirizzo e il nome con cui è conosciuto il ministero degli Esteri francese, e la storia di Blain, ben documentata, si basa sui racconti di un ex responsabile del ministero che si nasconde dietro lo pseudonimo di Abel Lanzac e che compare in copertina come coautore.

Il primo volume è stato da poco pubblicato da noi dall’editore Coconino Press: il protagonista è un giovane consulente e ghost-writer assunto nello staff di un ministro degli Esteri ispirato chiaramente a Dominique de Villepin. Il secondo volume, con molto umorismo, spiega i negoziati del 2003 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sul disarmo dell’Iraq e il ruolo che in quell’occasione ebbe il ministero francese.
(vedi le tavole del primo volume su http://www.ilpost.it/2011/11/27/fumetti-quai-orsay

Quai d'Orsay.

Il quotidiano francese Le Monde ha pubblicato un’intervista all’autore ex collaboratore di Dominique de Villepin, che ha accettato a patto di mantenere l’anonimato.

Di sé dice soltanto: «Ho studiato la resistenza. Oggi sono un inventore di giochi. Ho una conoscenza generale del gioco: la vita ne è un esempio quando non è tragica. Per questo motivo ho scritto il Quai d’Orsay». E spiega:
«Quello che mi interessa è come funzionano le cose. I negoziati delle Nazioni Unite hanno avuto diversi livelli (…). Abbiamo cercato di ricostruire questa verità attraverso le storie che raccontiamo. Ma la verità più la si racconta più la si inventa: è il principio della sintesi. Quai d’Orsay è una sintesi, non un documento storiografico.
Quando si è vissuto in un certo ambiente, sembra ancora di sentirne parlare i personaggi. Di fronte a una certa situazione, sappiamo quello che avrebbero potuto dire. Siamo in grado di farli parlare, di farli muovere. Questo non significa che le parole attribuite pretendano di essere precise: i nostri personaggi vivono una loro vita, indipendentemente da noi che li abbiamo ispirati».

Sulla somiglianza tra Taillard (il personaggio che nel libro rappresenta il primo ministro) e Villepin l’autore spiega:
«È molto divertente: se guardate da vicino, Taillard non assomiglia assolutamente a Villepin. Guardate il suo naso lungo, dritto e stretto, le sue spalle spioventi. Ma Christophe Blain ha catturato nella sua linea qualcosa di più profondo che la somiglianza fisica. E questo è vero anche per il carattere. C’è un effetto di somiglianza che nasce, paradossalmente, dalla libertà che ci siamo dati nel plasmare il suo personaggio».

E quando gli viene chiesto se avesse avuto qualche problema dopo che molti collaboratori del ministero si sono riconosciuti nei personaggi, lui risponde:
«È piuttosto divertente diventare un eroe dei fumetti, vero? Detto questo, se faccio il conto, i dodici personaggi del Quai d’Orsay sono la sintesi di una trentina di persone. Nessuno è puro. E no, ho avuto nessun problema, anzi».

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3DNews/L’Europa è alle corde. Di budello.

di Riccardo Palmieri

Ma cosa c’entra la “sindrome della mucca pazza” con la produzione di chitarre ? E soprattutto perchè una disposizione europea fa chiudere un settore artigianale pregiatissimo come quello di chi fabbrica corde armoniche in budello naturale ? Sono queste le prime domande che vengono in mente quando si legge, in un comunicato stampa, che poco più di 15 giorni fa uno dei cinque ultimi cordai al mondo in grado di fabbricare, applicando una tecnica millenaria, le tradizionali corde in budello naturale, Mimmo Peluffo, ha ufficialmente annunciato la chiusura della sua produzione, dichiarando : “ In tutta onestà, non sono più in grado di offrire ai musicisti un prodotto adatto alla musica ”.

Il motivo sta nel provvedimento di legge che vieta l’utilizzo del budello bovino nei laboratori artigianali. Questa misura dovrebbe proteggere gli umani dal contagio del morbo detto “della mucca pazza”.
Ora, ci saranno sicuramente degli ottimi motivi sanitari per tutto ciò.

Il principale è tutelare i cittadini dal rischio di contrarre la sindrome da BSE (encefalopatia spongiforme), morbo che ebbe una fiammata mediatica negli anni ’90, con gran fracasso televisivo, ma per fortuna non più di una ventina di vittime. Da molti anni, non se ne sente più parlare, anche perchè i media si sono dedicati a malattie più recenti, come l’aviaria ( anche qui, per fortuna, molto rumore per nulla ).

Solo che l’effetto collaterale è l’estinzione quasi totale di un settore artigianale che pure era rinato dopo la crisi dovuta all’introduzione delle corde in metallo. “ Già negli anni 50, con la cosiddetta rinascita della Musica Antica, eseguita su strumenti originali con montature storiche in budello, la produzione di corde è cresciuta fortemente, tanto da aver creato in tutta Europa le premesse per la rinascita di un fiorente mercato. Dal dopoguerra ad oggi i maestri cordai italiani hanno fatto più degli altri ricerca e sperimentazione, tanto che oggi siamo nuovamente di fronte ad un prodotto d´eccellenza, sempre più apprezzato in Europa e con un elevato grado di esportazione anche nei paesi extraeuropei “.

Ora invece dopo l´annuncio della cessata produzione in budello della ditta Aquila Corde Armoniche Srl, ci troviamo di fronte alla desolante situazione per cui è rimasto un unico maestro cordaio attivo (maestro Pietro Toro, Eurostylgut snc di Salle – PE) in tutto il Paese.
Da qui l’urgenza dell’appello a Monti e la petizione per aiutare la rinascita di questo spicchio di artigianato ad altissimo valore aggiunto.

Con una considerazione che viene naturale: ma se invece di dedicarsi cosi’ tanto ai dettagli della “serosa bovina”, i gran commis dell’Europa si fossero occupati un pò più dell’euro, non staremmo meglio tutti ? Noi, loro, i cordai e le mucche.

Ma come uscirne adesso ? Nella petizione si chiede :
1) Una deroga urgente alla legge attualmente in vigore (Decreto 16 Ottobre 2003: ‘Ministero della salute: Misure sanitarie di protezione contro le encefalopatie spongiformi trasmissibili’, GU n° 289 del 13 Dicembre 2003) che consenta di tamponare l´emergenza, legalizzando l´importazione della serosa vaccina da stati EU o Extraeuropei, in particolare Brasile, Gran Bretagna, Irlanda (come già indicato nel Regolamento CE 1069/2009 21 Ottobre, alla sez. 3, DEROGHE, art. 17: “ (…) in deroga agli articoli 12, 13 e 14 l´autorità competente può consentire l´uso di sottoprodotti di origine animale e di prodotti derivati in esposizioni, attività artistiche (…) nel rispetto di condizioni idonee a garantire il controllo dei rischi (…)”;

2) Un provvedimento che consenta ai produttori italiani di utilizzare serosa bovina di provenienza italiana (su modello di quello emesso dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali in data 8 Maggio 2009);

3) L´appoggio, sia a livello nazionale che in sede europea e internazionale (UNESCO), del riconoscimento dell´ARTE CORDAIA come patrimonio dell´umanità, in quanto garante della sopravvivenza dell´arte della Musica nella sua consequenzialità storica.

L’arte cordaia potrà vivere e continuare a servire la grande musica, solo se sarà dichiarata patrimonio dell’umanità.

Non lasciamo morire l'arte dei cordai.
E questo chiediamo, con le seguenti petizione online che si possono firmare a questi link :
Petizione Governo Italiano / Italian Government petition http://www.petizionionline.it/petizione/ita-richiesta-provvedimenti-urgenti-a-tutela-dell-arte-cordaia-a-indirizzo-musicale/5598
Petizione Unione Europea / European Union petition http://www.petizionionline.it/petizione/eur-richiesta-provvedimenti-urgenti-a-tutela-dell-arte-cordaia-a-indirizzo-musicale-request-for-urgent-measures-to-protect-the-art-of-stringmaking-for-musical-use/5599V

foto di Alfonso Toscano – da www.alfonsotoscano.it

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Profumo di Gelmini.

Le Rsu del Politecnico di Torino su Francesco Profumo, Ministro dell’Istruzione.

Francesco Profumo è Rettore del Politecnico di Torino dall’ottobre 2005 (ora in aspettativa per l’incarico governativo); Dal 2007 ad oggi è membro del Consiglio di Amministrazione di FIDIA S.p.A.; dal 2007 al 2009 è stato membro del Consiglio di Amministrazione del Sole 24 Ore;dal 2008 al 2010 è stato membro del Consiglio di Amministrazione di Unicredit Private Bank; Dal Febbraio 2011 è membro del Comitato Consultivo Divisionale Private Banking di UniCredit Banca; è membro dell’Advisory Board del Fondo Innogest e di Reply S.p.A; Consigliere di Amministrazione di Pirelli & C. S.p.A. dal 21 aprile 2011; Consigliere di Amministrazione di Telecom Italia dal 12 aprile 2011.

Dopo anni di governo dell’Ateneo, aprendone le porte a FIAT, MOTOROLA, GENERAL MOTOR , PIRELLI e promuovendo un incubatore d’impresa all’avanguardia a livello nazionale, nel 2010 ha tenuto sulle spine tutti prospettando la sua disponibilità alla candidatura a Sindaco del Comune di Torino nelle liste del PD. Candidatura che, pur avendo l’appoggio trasversale di Centro-sinistra, dei vertici imprenditoriali, nonché di ampi settori della CGIL cittadina, ha ritirato a causa della sua indisponibilità ad affrontare le elezioni primarie.

Chiuso il capitolo delle elezioni comunali, è stato poi nell’agosto 2011 nominato dal MIUR alla Presidenza del CNR. Il rapporto privilegiato di Profumo con la Gelmini è testimoniato dal fatto che il Politecnico, durante il mandato dell’allora Direttore Amministrativo Dott. M. Tomasi, si è classificato ai vertici della graduatoria degli Atenei italiani, diventando miracolosamente primo nel 2010, quando Tomasi è entrato ufficialmente nell’entourage della Gelmini, andando a ricoprire l’incarico di Direttore Generale del ministero di Viale Trastevere.

Affermare che Profumo ha avuto un ruolo determinante nella stesura della riforma Gelmini viene spontaneo, se si esamina il piano strategico del Politecnico che già nel 2007 impegnava l’Ateneo ad investire nella ricerca applicata, attirando finanziamenti privati che attualmente superano per entità quelli pubblici. Sempre in tale direzione l’Ateneo ha iniziato, prima ancora dell’approvazione della legge 240, una riorganizzazione che ha comportato la chiusura di sedi decentrate, l’adozione del sistema contabile economico-patrimoniale e di un regime aziendalistico propri della Legge Gelmini.

Tale percorso è stato attuato ignorando il malessere di Studenti, Ricercatori e Personale Tecnico-Amministrativo, disattendendo accordi integrativi di Ateneo e ignorando scioperi e manifestazioni. L’attuale bozza di statuto del Politecnico, ha vissuto un travagliato iter ed è stata di fatto respinta nel referendum dall’80% del personale tecnico-amministrativo, passando per un “pelo” solo grazie al peso dei voti (erano necessari 7 voti del personale tecnico ed amministrativo per fare un voto di un docente).

Dulcis in fùndo informiamo che il giorno prima (15 novembre 2011) della cessazione del mandato della Gelmini, il MIUR ha inviato al Politecnico il suo parere sulla bozza di statuto, offrendo così al Magnifico Prof. Profumo, la possibilità di approvare, nella sua nuova veste di Ministro, la versione finale dello statuto del Politecnico di Torino. In conclusione, non possiamo condividere l’ottimismo di certi gruppi politici e sindacali che si aspettano dal nuovo Ministro dell’Istruzione del Governo Monti segnali di discontinuità nel processo oramai ventennale di dismissione dell’Università pubblica a spese di studenti, precari e personale tecnico-amministrativo.

E’ necessario, viceversa, alzare la guardia, mobilitare i lavoratori, i precari, gli studenti, poiché Profumo non sarà meglio di Gelmini. La deriva aziendalistica e privatistica della scuola e dell’università, perseguita da tutti i governi negli ultimi 20 anni, con il Prof. Francesco Profumo ministro, uomo delle banche e di confindustria, rischia una brusca accelerazione e di giungere a compimento.

Le RSU del Politecnico di Torino, in lotta contro le politiche del rettore Profumo, contro i tagli al salario accessorio, contro la riorganizzazione unilaterale dell’organizzazione del lavoro, per il rispetto degli accordi sindacali e contro il licenziamento dei precari, hanno indetto lo stato di agitazione e nei prossimi giorni saranno programmate in tutte le sedi del Politecnico una serie di assemblee e di incisive azioni di lotta, che assumono oggi una valenza più generale. (Beh, buona giornata).

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Attualità Cultura Fumetti. Guerra&Pace Media e tecnologia Popoli e politiche

3DNews/UNA GRAPHIC NOVEL PER RICORDARE MARIA GRAZIA CUTULI.

di Barbara Leone

Una vita dedicata al giornalismo. In Dove la Terra Brucia è narrata l’intera vicenda professionale di Maria Grazia Cutuli, giornalista del Corriere della Sera rimasta uccisa in un agguato in Afghanistan, sulla strada tra Jalalabad e Kabul, il 19 novembre 2001.

Il libro, realizzato da Giuseppe Galeani e Paola Cannatella, catanesi come Maria Grazia ed edito da Rizzoli Lizard, si presenta come una graphic novel che, partendo dal 26 ottobre 2001, giorno del 39esimo compleanno della giornalista, racconta il cammino percorso da Maria Grazia per diventare la grande inviata di guerra che è stata. Frequenti flash back rimandano all’inizio della carriera della giornalista che nel 1986 fu costretta a lasciare Catania, città in cui era molto difficile fare informazione a livello professionale, per trasferirsi a Milano dove, prima di approdare al Corriere lavorò per Epoca, rivista per cui, in cambio delle ferie, cominciò a fare trasferte all’estero.

Fil rouge del racconto è l’etica professionale del giornalismo, caratteristica che ha sempre contraddistinto Maria Grazia. Non mancano descrizioni particolareggiate del carattere della reporter, rese possibili grazie alla viva collaborazione della famiglia Cutuli. Sullo sfondo della narrazione una dettagliatissima ricostruzione delle fasi della guerra afghana, molto utile a chi voglia documentarsi dal punto di vista storiografico. Un lavoro durato due anni quello di Galeani e Cannatella, fatto di decine di interviste ad amici e colleghi di Maria Grazia oltre che ad un’opera di approfondimento della realtà afghana.

Un modo per raccontare, senza fronzoli, la storia di una professionista che per amore della verità ha rischiato la vita.
Ma Maria Grazia Cutuli non rivive solo nel fumetto. Per iniziativa della Fondazione a lei dedicata e di cui è presidente Mario Cutuli, fratello della giornalista, è uscita a fine ottobre un storia epistolare: Maria Grazia Cutuli, libro scritto con passione, intelligenza e curiosità da una collega dell’inviata catanese, Cristina Pumpo. Il volume, inserito nella collana

Maria Grazia Cutuli
(il cui ricavato verrà devoluto alla Onlus “La Città del Sole”), è dedicato alla scrittura di viaggio al femminile.

Tra il carteggio privato e numerose fotografie viene raccontata la storia di una giovane donna che ha dedicato tutta la sua vita alla passione: un viaggio che Maria Grazia ha deciso di intraprendere contro tutto e tutti, dettato da inquietudine, curiosità e forte determinazione, ragioni contro le quali ogni reticenza avrebbe perso.
La Fondazione “Maria Grazia Cutuli” ha fatto sua la volontà della giornalista di essere concretamente vicina all’uomo: quest’anno, il decimo dalla morte dell’inviata, è stata completata ed inaugurata la scuola elementare di Herat, in Afghanistan, già in funzione da sette mesi.

Un progetto dal costo di 150mila euro interamente versati dalla Fondazione. A completamento della scuola verrà realizzata una struttura polifunzionale dal valore di 20mila euro, fondi donati dalla Provincia regionale di Catania mentre grazie ad altri 10mila euro devoluti dall’Ance Catania verrà costruita una biblioteca. A Maria Grazia Cutuli è dedicato anche un “Premio Internazionale di Giornalismo”, diviso in sei sezioni, giunto quest’anno alla sua settima edizione. Angela Rodicio (stampa estera), Claudio Monici, Domenico Quirico, Elisabetta Rosaspina, Giuseppe Sarcina (stampa italiana) e Fabrizio Villa (giornalista siciliano emergente) i nomi dei giornalisti premiati lo scorso 24 ottobre da Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere. Ad Emma Lupano è andato il premio per “Miglior Tesi di Dottorato” mentre i premi per la “Migliore Tesi Triennale” e “Specialistica” sono stati assegnati, rispettivamente, a Clelia Passafiume e Andrea de Georgio.

Tra le altre iniziative a settembre e ottobre si è tenuto il quarto “Corso di Perfezionamento in Giornalismo per Inviati in Aree di Crisi”, realizzato in collaborazione con l’Università di Roma “Tor Vergata”, il Ministero della Difesa e la Croce Rossa Italiana: 170 ore di lezioni teoriche ed esercitazioni pratiche per insegnare agli aspiranti inviati come deve comportarsi un giornalista quando si trova in un’area di crisi. Un progetto sostenuto, così come gli altri, da una grande volontà: che Maria Grazia e la sua passione continuino a vivere.

3DNews, Settimanale di Cultura, Spettacolo e Comunicazione
Inserto allegato al quotidiano Terra. Ideato e diretto da Giulio Gargia
In redazione: Arianna L’Abbate – Webmaster: Filippo Martorana

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Cultura Fumetti. Società e costume

3DNews/La lezione di Milo Manara : “ Sexy i miei disegni ? No, erano porno. All’inizio bisogna sbagliare e copiare “

Camelia, di Milo Manara.
di Lorenza Fruci

Mentre molti giovani fumettisti italiani lasciano il nostro Belpaese per andare a trovare fortuna in Francia, dove c’è un corso di storia ed Estetica del Fumetto nella prestigiosa università la Sorbonne di Parigi, in Italia si cerca di recuperare il gap con un corso sui fumetti all’Auditorium Parco della Musica di Roma.

“Lezioni di Fumetto: 8 lezioni-dialogo tra un autore, un giornalista, un editore” si chiama ed è un ciclo di otto incontri con i più grandi disegnatori di fumetti italiani intervistati da Luca Raffaelli, il critico di fumetti di Repubblica, e Francesco Coniglio, noto editore talent scout. Domenica 20 Novembre si è tenuta la lezione di Milo Manara che ha raccontato e svelato molti dei segreti della sua arte divenuta professione.

La sala era piena di appassionati, giovani aspiranti disegnatori, feticisti del fumetto e addetti ai lavori come Stefano Disegni. Attraverso proiezioni di immagini delle sue tavole si è ripercorsa la sua vita che lo vede nascere come Maurilio a Luson, Bolzano, nel 1945 e lo rende conosciuto soprattutto come il disegnatore delle “donnine”, cioè di “quel fumetto” Manara ha voluto specificare “chiamato sexy, ma che in realtà era porno”.

E’ stato uno studente d’arte a Venezia, ma soprattutto un contestatore e “sessantottino tipico” come ha amato definirsi. Della sua storia ha ricordato i momenti chiave, come per esempio il primo importante incontro per la sua carriera, avuto con Walter Molino sulla porta della Casa Editrice Universo a Milano quando era un giovanotto di tante speranze che stava facendo il giro degli editori per proporre le sue prime tavole. Molino gli disse di insistere e lo spronò ad andare avanti; “se non avessi avuto questo primo incoraggiamento, forse avrei mollato” ha confessato Manara.

Poi un’altra svolta grazie alla complicità di Mario Gomboli che lo sponsorizzò per Genius alla fine degli anni ’60 facendolo passare per disegnatore professionista anche se ancora non lo era. Altro momento importante della sua vita professionale fu la collaborazione con il Corriere dei Ragazzi insieme a Mino Milani: avevano una rubrica dove riproponevano i grandi personaggi della storia che proiettò Manara verso l’estero e gli aprì le porte dell’editoria straniera. Iniziò con Larousse e proseguì con altre case editrici, tanto che, ad un certo punto, realizzò di aver bisogno di un agente e contattò Luca Staletti, il promotore dei più grandi autori del fumetto europeo, altra persona fondamentale nella sua carriera.

E poi gli omaggi al suo maestro H.
Manara si è raccontato attraverso dei momenti chiave della sua vita, fatti soprattutto di incontri, di persone che hanno creduto in lui, di amici che lo hanno spronato ad andare avanti. “Provateci” è il messaggio che Manara ha lasciato ai ragazzi che in sala gli chiedevano come fare a tentare la sua strada, “anche se oggi è più difficile perché gli editori non investono in giovani autori e soprattutto non ci sono più le riviste che davano visibilità ai nuovi disegnatori.

Oggi c’è internet, che è una vetrina, anche se non dà retribuzione”. Ma più che queste parole conclusive dell’incontro, il messaggio più importante che Manara ha voluto comunicare l’ha espresso alzandosi in piedi durante l’intervista e mostrando al pubblico cosa tiene in tasca: una gomma da cancellare. “La porto sempre con me, come un amuleto, per ricordarmi che si può sempre sbagliare.

Questa è la legge numero uno da tenere sempre in mente”. La seconda è quella che autorizza a “copiare”, almeno all’inizio così come ha fatto lui ispirandosi ai tratti di Crepax per le donnine e ai neri di Hugo Pratt per esempio; “poi si trova il proprio stile” ha aggiunto. Dunque i segreti del suo successo svelati per la platea dell’Auditorium sono stati “sbagliare e copiare” che, a pensarci bene, non sono leggi per perdenti? Non a caso uno dei suoi personaggi più famosi è Giuseppe Bergman…

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Attualità Cultura Società e costume

3DNews/IL LADRO DI CANZONI e L’EFFETTO SCAJOLA.

di Giulio Gargia
Domani, martedi 22 novembre, esce il nuovo disco di Berlusconi – Apicella, con un titolo classicamente da telenovela : “ Il vero amore ”. E peraltro , a differenza che in politica, in musica l’ormai ex premier non sembra affatto ansioso di essere originale.
11 canzoni, con il brano portante Cascasse il mondo ( visionario e profetico, qualche mese fa…) Scritti negli ultimi 2 anni, tra una Minetti e l’altra, le canzoni godono poi di un arrangiatore prestigioso, Angelo Valsiglio, che ha lavorato con grandi nomi della musica pop come Laura Pausini e Eros Ramazzotti. Speriamo gli vada meglio che a Rino Giglio, suo collega autore, che, all’epoca del primo disco del duo Mariano – Silvio, “ E’ meglio una canzone” , fu costretto a denunciare ai giornali il vero e proprio plagio che l’allora premier aveva fatto dei suoi testi, per poi raccontare a Vespa che lui, Silvio, “ componeva in napoletano”. Recuperata l’ennesima gaffe alla sua maniera, ovvero pagando, Berlusconi si è preoccupato poi di depositare le canzoni alla SIAE con il suo nome . ( Leggi il fumetto sull’argomento sul numero 37 del 2010 di 3D, su www.3dnews.it )
Ma non è l’unica disavventura del nostro in tema musicale. “Meno male che Silvio c’è”, inno ufficiale del Pdl, usa gli stessi accordi e ritmica di “Chiama piano”, una canzone cantata vent’anni fa da Pierangelo Bertoli e Fabio Concato .

L’autore di “Meno male che Silvio c’è” sarebbe Andrea Vantini, che ebbe l’idea guardando una trasmissione di Santoro. Almeno così lo racconta al Corriere. Il brano sulle prime non sfonda, ma poi , caduto Prodi, prese piede nei comizi del PdL e divenne il nuovo inno. Chissà se l’ex premier e i suoi coristi sanno di cantare le note di uno dei più arrabbiati cantautori “ comunisti” degli anni 90.
A occhio, si direbbe di no. Se gli hanno rubato la musica, lo hanno fatto a loro insaputa. Dev’essere l’effetto Scajola.

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Cultura Politica Potere

3DNews/Venezia, la caduta di Pol sPot.

Galan ritira la nomina del presidente dell’ Auditel Malgara a capo dell’Ente Biennale

Alla fine, non ce l’ha fatta nemmeno stavolta, Giulio Malgara. Galan lo voleva a tutti i costi al posto di Paolo Baratta come presidente della Biennale di Venezia. Prima lo ha rallentato una straordinaria raccolta di firme , promossa da La Nuova Venezia, di cittadini e personalità di tutto il mondo della cultura, che non volevano trovarsi PolsPot – il pasdaran della pubblicità – alla testa di uno degli enti culturali più prestigiosi del mondo. Poi tutte le opposizioni al completo , che ne hanno stoppato la ratifica della nomina in commissione Senato.

Il colpo di grazia gliel’ha dato la crisi della maggioranza che ha impedito alla Commissione Cultura della Camera di esprimere un parere entro i previsti 60 giorni. “ Lui dice che si è ritirato, e Galan che avrebbe potuto comunque nominarlo lo stesso ma la verità è che non sono stati capaci di riunire la Commissione competente entro i 60 giorni chiesti dalla legge – dice Beppe Giulietti, uno degli animatori della battaglia parlamentare – e siccome è vero che il parere non è vincolante ma deve essere espresso obbligatoriamente, la verità è che si sono ingarbugliati nella loro crisi ”.

Dall’altra sponda, a Palazzo Madama, Vincenzo Vita, uno dei protagonisti della battaglia, aggiunge :
“Bene, si è evitata una brutta storia, quale sarebbe stato l’ingresso alla Biennale di Venezia del contestatissimo Giulio Malgara. Non c’è neanche bisogno di ricordare che è stata una candidatura impropria, inopportuna e figlia della spregiudicata stagione berlusconiana. Prendiamo atto con soddisfazione che l’opposizione aspra in Parlamento , supportata da una straordinaria mobilitazione della mondo della cultura, ha portato a un ripensamento. Ci auguriamo che il nuovo governo voglia dare la conferma dell’attuale presidente e del gruppo dirigente della Biennale. Ora, naturalmente, continuiamo a vigilare”.

°Rispettando le agitazioni sindacali in atto al quotidiano TERRA, questa settimana 3D uscirà solo sul web. Saremo in rete sui siti www.3dnews.it, www.ildiariodilosolo.com, www.marco-ferri.com a partire dalle 24 di oggi.

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(Beh, buona giornata).

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Attualità Cultura Teatro

3DNews/La musica dei listini, esorcismo in note contro il default.

A Romaeuropa, martedì prossimo, “Nasdaq Match”, un concerto per pianoforte e dati finanziari

“ Orchestra valori”, Uri Caine e Fabio Cifariello Ciardi suonano duettando con le fluttuazioni azionarie

Il secondo appuntamento dedicato da Romaeuropa a musica e tecnologia vedrà come protagonisti Uri Caine e Fabio Cifariello Ciardi, ma assieme a loro anche il mercato azionario mondiale. Con Nasdaq Match 0.2 infatti i due musicisti si propongono di duettare con le SpA, le società per azioni di tutto il mondo, riunite in una immaginifica orchestra che suona in un altrettanto immaginifico auditorium, la borsa valori.

L’impaginato si apre con una esibizione di Uri Caine al pianoforte, un modo per questo musicista di esprimere il suo talento eclettico e indisciplinato, che attraversa gli stili classico, jazz, soul e pop con un gusto e un divertimento per l’improvvisazione tutto particolare. Autore del progetto “Nasdaq Match” è Cifariello Ciardi, compositore che dopo aver studiato con Franco Donatoni, Tristan Murrail e Philippe Manoury, ha sviluppato un peculiare approccio musicale da lui stesso definito «ecologico, politico». E, aggiungiamo, anche ironico come in questo caso: infatti, convoglia i dati provenienti dal mercato azionario in un computer che attraverso un algoritmo li trasforma in suoni digitali in tempo reale.

La borsa come la musica è soggetta a continue variazioni, che incalzano di secondo in secondo, quindi per duettare con questa “orchestra valori “ serviva un musicista di grande flessibilità in grado di improvvisare in linguaggi diversi. E Uri Caine, eclettico quant’altri mai, si è dimostrato entusiasta del progetto, diventando così il solista di Nasdaq Match 0.2. Per creare le condizioni ideali, grazie a un programma
dal nome sMax toolkit Cifariello Ciardi interviene in tempo reale anche dividendo la borsa in sezioni come una vera orchestra, partendo proprio dalla tipologia delle azioni: quella dei fiati sarà formata dai titoli finanziari, energetici, dell’educazione e risorse umane, affidati rispettivamente al suono dei sassofoni, dei fagotti, dei clarinetti, e così via.

Ecco allora che l’economia, le cui leggi «a stento comprendiamo ma che dobbiamo ogni giorno subire», viene imbrigliata in una performance funzionale a creare un tessuto sonoro, modellato e trasformato da Cifariello Ciardi e a cui Caine, attraverso i suoi interventi pianistici, avrà modo di dare un senso musicale. E chissà che la stessa economia, che gli esperti ci descrivono da qualche tempo depressa,attraverso la musica non si rianimi anche lei.

edizioni Rai Trade -Uri Caine, pianoforte Fabio Cifariello Ciardi, sMax toolkit Angelo Benedetti,

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Cinema Cultura

3DNews/Cinema e Filosofia, “Warrior”: se non ti muovi muori.

Warrior

Per Eraclito non c’è realtà senza movimento e polemos

di Riccardo Tavani

Famosa è la foto della portaerei americana “Enteprise” con l’intero equipaggio schierato sul ponte a comporre la formula della Relatività E=mc2. Scienza e potenza, forza e intelligenza, questo il messaggio esplicito contenuto efficacemente nell’immagine. Oggi quel binomio sembra essersi scisso, proprio mentre l’America attraversa una crisi che ne minaccia la stessa sicurezza economica interna.

Brendan Conlon è un insegnante di fisica, felicemente sposato e padre di due bambine, ma ha acceso un mutuo per pagare la casa e ora la banca lo ha messo in mutande e gliela sta sequestrando. Tom Conlon, fratello di Brendan, invece, riappare una notte dall’abisso della guerra in Iraq dove ha visto tutta la sua squadra e il suo migliore amico massacrati dal fuoco amico dell’aviazione americana. Si è trascinato dentro un potenziale di rabbia incontenibile e distruttivo.

I due fratelli non hanno più rapporti da molti anni. Tom ha seguito la madre quando ha abbandonato il padre alcolizzato e manesco in famiglia. Brendan è rimasto con il padre, perché era già innamorato di Tess che poi ha sposato. Tom e sua madre hanno fatto una vita di stenti che ha portato la donna a morire dopo pochi anni. Anche Brendan appena ha potuto ha rotto completamente con il padre e si è fatto una sua vita lontano da lui. Eppure quel vecchio ubriacone e violento di Paddy Conlon aveva fatto diventare quei due ragazzi campioni di lotta greco romana, essendo uno dei migliori allenatori nel campo.

E ora sia Tom che Brendan, per vie parallele ed entrambi per tirare su soldi tornano a combattere. Il primo per aiutare la vedova dell’amico ucciso in guerra, il secondo per non farsi togliere la casa dagli strozzini della banca. Tom riallaccia i rapporti con il padre ma limitatamente agli allenamenti, Brendan si affida al preparatore Frank Campana. Ad Atlanta è indetto il più micidiale scontro diretto tra i migliori sedici lottatori d’America con una borsa in palio di cinque milioni di dollari.

Il ring è costituito da una grande gabbia metallica ed entrambi i fratelli vi si infileranno dentro. E qui rientra in ballo la questione della forza e dell’intelligenza. Tom si fa preparare dal padre solo dal punto di vista atletico, dell’alimentazione corretta, della resistenza fisica, perché la rabbia e la potenza ce la mette tutta lui e nessuno può fermarlo. Frank, il preparatore di Brendan, ha invece una sua filosofia di allenamento in cui fa uso anche della musica classica, per far capire quale sono i diversi ritmi di un combattimento. Sulla lavagna del suo ufficio c’è scritto: “Se non ti muovi muori”. Muoversi non solo e non tanto con le braccia quanto con la testa, cogliendo i rapidi mutamenti di ritmo, di situazione nella gabbia.

Accanto alla lavagna di Frank con quella scritta c’è anche una foto giovanile di Nietzsche e questo non è certo comune in una palestra di lotta greco-romana. Eppure il filosofo tedesco, che era innanzitutto un docente di filologia greca, è stato uno dei più grandi studiosi ed estimatori di Eraclito.

In Eraclito non solo tutta la realtà è movimento, cambiamento, ma è anche “polemos”, guerra, combattimento. Nel senso più profondo potremmo intendere il movimento non tanto come spostamento nello spazio ma come rottura della uniformità. Muoversi da un abitudine e attitudine statica, uniforme di pensare, guardare, agire. Non solo la realtà è movimento ma senza movimento non si dà proprio realtà. Così la vera staticità è l’uniformità, e il polemos, il combattimento, la rottura è contro questa intesa come vero nulla. Anche la forza se caratterizzata da uniformità d’azione è niente.

Simile alla scritta sulla lavagna di Frank è una frase della coreografa Pina Baush, posta come sottotitolo al film che le ha dedicato Wim Wenders: “Danziamo, danziamo, altrimenti siamo persi”. E niente meglio della danza, del ritmo, della musica rappresenta questo moto di continua rottura dell’uniformità, la quale uccide e smarrisce la realtà. Per questo Brendan entra nella gabbia accompagnato da un poderoso canto di lode al movimento interiore della vita: “L’inno alla gioia” di Beethoven.

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3DNews/For Lloyd, anarchia e terrore II.

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3DNews/For Lloyd, anarchia e terrore I.

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La nomina di Malgara alla Biennale di Venezia fa acqua da tutte le parti.

Questa storia della nomina di Giulio Malgara a futuro nuovo presidente della Biennale di Venezia ha tutta l’aria di essere un pretesto per scatenare una baruffa chioggiotta.

Malgara e la cultura non sono esattamente come due piselli in un baccello. Uomo di marketing, imprenditore di varie imprese, per oltre un ventennio capo indiscusso dell’Upa (l’associazione delle aziende che investono in pubblicità), presidente a vita di Auditel, Malgara è stato un fedelissimo del Berlusconi tycoon della tv commerciale, per poi diventare anche e soprattutto, un membro dell’entourage del Cavaliere sceso in campo. Malgara è uno degli uomini che ha contribuito a convincere gli imprenditori italiani a investire nella pubblicità televisiva, nella tv commerciale innanzi tutto.

Chi lo ha conosciuto quando era in servizio permanente effettivo come “cliente” delle agenzie di pubblicità ne ricorda il pragmatismo, la distanza stellare da sofismi comunicazionali: pretendeva approcci basici, di pancia, per lui la pubblicità era un business, mica tanti intellettualismi. Difficile pensarlo alle prese con l’impalpabilità dei significati artistici, con i dibattiti culturali, con le scuole e le correnti di pensiero. Lo si è visto subito: alle polemiche sulla sua inadeguatezza a ricoprire il ruolo di presidente di una delle più prestigiose istituzioni culturali del mondo, Malgara ha risposto alla Malgara: io di arte ci capisco, a casa ho ci ho pure tre o quattro quadri di valore.

Anche la difesa d’ufficio di Sgarbi, che sostiene la tesi dell’alternanza politica delle nomine, per cui sarebbe logico che a un presidente nominato dal centro sinistra ne segua uno nominato dall’attuale governo, anche questo suona strano: è vero che Sgarbi è un valletto di corte, ma questi argomenti suonano meglio in bocca a un sottosegretario qualsiasi che sulle labbra di una che ha la lingua come una saetta incandescente.

Galan, veneto come Malgara, quasi ex collega, essendo stato un funzionario di spicco di Publitalia, la concessionaria della pubblicità di Fininvest prima e di Mediaset poi, e proprio per questo un’altro che ha seguito il capo nella discesa in campo, neanche Galan è sembrato spendere più di tanto le sue doti di venditore per “portare a casa” la nomina di Malgara.

E mentre sale la protesta degli uomini di cultura e si schierano contro amministratori locali e i cittadini di Venezia; mentre i media cominciano a occuparsi della cosa con una certa frequenza, tanto da mettere in luce, per esempio, il silenzio assordante del presidente della Regione Veneto, il leghista Zaia; mentre si fa, magari ingiustamente, un bel po’ di ironia sulle capacità anche come manager di Malgara, arrivando a scomodare gli ultimi bilanci non proprio fantastici della Malgara Chiari e Forti; mentre tutto questo succede comincia a aleggiare il sospetto di un già visto. Il sospetto, cioè di una candidatura nata per essere bruciata al solo scopo di far posto a un’altro nome che all’ultimo momento spiazzi tutti.

Questo metodo è nelle abitudini di Berlusconi e dei berlusconisti. Malgara, poi, non sarebbe nuovo a prestarsi a questo gioco delle parti. Era già successo nel 2005, quando la sua nomina alla presidenza della Rai fu lanciata come si lancia il coniglietto di pezza nelle corse dei levrieri. Alla fine arrivò a sorpresa la nomina di Claudio Petruccioli, che inaugurò la stagione dei presidenti del.a Rai bolliti prima ancora di mettere la casseruola sul fuoco.

Insomma, questa baruffa chioggiotta attorno alla nomina di Malgara sembra proprio un ballon d’essai. Magari, alla fine ci diranno che era solo una semplice nomination. Il che apre un un altro capitolo, forse quello vero: chi vogliono piazzare davvero alla guida della Biennale di Venezia? Beh, buona giornata.

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