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Attualità Salute e benessere

Dopo l’emergenza terremoto, ecco l’emergenza soldi promessi e mai arrivati.

di di Francesco Marcozzi-ilmessaggero.it
GIULIANOVA (21 maggio) – Quello che si temeva potesse accadere, è successo. Ieri, all’ora di pranzo, in un camping di Roseto, gli oltre duecento sfollati aquilani ospiti della struttura sarebbero rimasti senza mangiare se non ci fosse stato l’intervento della Protezione civile. Il titolare della struttura ricettiva si è rifiutato di fornire il pasto ai suoi ospiti in quanto, come ha dichiarato anche ai carabinieri, «non ho ricevuto nemmeno un euro a fronte delle fatture regolarmente inoltrate per il promesso rimborso, ogni quindici giorni, in base all’accordo che era stato sottoscritto».

I carabinieri di Giulianova, coordinati dal capitano Luigi Dellegrazie, hanno raggiunto il campeggio su richiesta di alcuni aquilani che lamentavano l’atteggiamento del gestore, ma non hanno potuto far altro (e questo è stato, comunque, determinante al fini della soluzione momentanea del problema) che avvertire il coordinamento della Protezione civile, nel centro sociale del quartiere Annunziata a Giulianova. Il coordinamento si è messo in movimento ed è riuscito, recandosi in altre strutture, a recuperare dei pasti per gli ospiti del campeggio, e così ha fatto anche ieri sera dal momento che la situazione non sembra destinata a cambiare «se non arriveranno i soldi».

«Sono sotto di oltre 200mila euro – avrebbe dichiarato ai militari il gestore – e non so più come andare avanti. Le banche mi hanno ”chiuso i rubinetti” e, non incassando nulla, non so dove andare a prendere i soldi per continuare a fornire i pasti gratis. Il primo ad essere dispiaciuto sono io, ho resistito, ho pensato di tirare avanti sperando che la situazione si potesse sbloccare, ma a questo punto non ce la faccio più». E adesso i carabinieri temono che ci sia un effetto-domino e che altri titolari di alberghi, campeggi o residence possano fare la stessa cosa: sarebbe davvero una situazione difficile da poter tenere sotto controllo. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi e le nomine Rai: “Il fatto è che tra Rai e Mediaset controllano il 90% o giù di lì dell’audience e delle risorse pubblicitarie e non c’è barba di antitrust che senta il prurito di occuparsene.”

Le nomine Rai confermano che Berlusconi ha una marcia in più di Marco Benedetto-blitzquotidiano.it

1. Tutti si indignano, inutilmente. La Rai è per sua natura lottizzata, e questo non si deve giudicare un aspetto negativo, ma un valore democratico. La Rai è una macchina di diffusione di informazioni e idee in una posizione di semi monopolio, strutturata come un’azienda, ma per la quale, data la rilevante natura politica del suo ruolo, la sua rispondenza alle esigenze della democrazia vale di più della sua funzionalità al prioritario obiettivo aziendale di generare profitti. Non è quindi uno scandalo che i partiti, secondo il peso in Parlamento, abbiano l’effettivo potere di nomina di capi e sottocapi a tutti i livelli, fino all’ultimo redattore. Anzi è un fatto positivo, perché in questo modo i partiti, che sono lo strumento primario e prioritario della partecipazione dei cittadini alla vita politica, e le idee che i partiti esprimono, hanno accesso alle onde radio e tv.

Il problema è piuttosto quello del controllo dell’altro semimonopolio, che è in mano a un privato. Il fatto che poi quel privato sia anche capo del Governo e quindi eserciti un’influenza dominante sulla Rai, in quanto rappresentante pro tempore dell’azionista Stato, come dimostra la vicenda che stiamo commentando, è solo un’aggravante del problema. Il fatto è che tra Rai e Mediaset controllano il 90% o giù di lì dell’audience e delle risorse pubblicitarie e non c’è barba di antitrust che senta il prurito di occuparsene. Ma forse questo è il tema che la sinistra avrebbe dovuto affrontare, quando lo poteva fare (e ahinoi nessun sa dire quando lo sarà di novo): non tanto quello di espropriare Berlusconi della sua azienda, quanto quella di imporre all’altro semimonopolio regole di governance democratica analoghe a quelle della Rai.

Quelli che se la prendono con la partitocrazia nella Rai, che modello hanno da proporre in alternativa? La meritocrazia per concorso per titoli, punti e esami? Da come funziona lo Stato italiano, che su un tale meccanismo si dovrebbe basare, non c’è da esserne troppo entusiasti. La Rai in mano ai privati? Ma forse i privati sono le vestali del sacro fuoco del merito? Decenni di vita in questo mondo dell’informazione coronati dalle più recenti esperienze dirette e solo osservate portano a concludere il contrario.

Le scelte dei vertici sono condizionate nel migliore dei casi da affinità ideologiche con la proprietà, nella peggiore dalla volontà di compiacere poteri superiori; comunque i criteri non sono mai neutri. La differenza tra il pubblico e il privato è che, per i ruoli sottostanti, nel pubblico scelgono gli azionisti (secondo la giusta quanto vilipesa definizione di Bruno Vespa), nel privato i capi e capetti della più o meno lunga catena di comando, sempre secondo criteri di affinità ideologica, culturale, politica o amicale.

2. Da un po’ di giorni tutti si affannano a dire e indignarsi. Il presidente della commissione parlamentare di vigilanza Rai Sergio Zavoli, un mito per i giornalisti italiani, indimenticabile e ineguagliabile, per chi ha dall’età il privilegio di averlo potuto ascoltare, cantore del Giro d’Italia dell’epoca d’oro di Coppi e Bartali, è più che intrinseco alla Rai. Vien da dire che forse c’era Zavoli prima della Rai e certo alla schiera dei giornalisti Rai è intrinseco. Ha alzato la voce non per dire che Augusto Minzolini sia inadatto a dirigere il Tg1, ma semplicemente per dire che forse dentro la Rai c’era tanta gente altrettanto capace. Discorso più da sindacalista che da vigilante sul corretto funzionamento dell’ente.

3. In realtà quello che si deve sottolineare su come sono andate le nomine è che Silvio Berlusconi ha vinto un’altra volta. Mentre tutti strillano, Lui ha portato a casa quello che voleva: ha piazzato Minzolini, del quale ha piena fiducia, al Tg1 e ha bloccato ogni ambizione di Mauro Mazza, che gli ex An volevano al Tg1, facendolo nominare direttore della Rete 1: un premio di consolazione su cui tutti metteremmo la firma. Per il resto si vedrà dopo le elezioni.

Anche se An e Forza Italia sono confluiti nell’unico partito Pdl, gli uomini dei due ex partiti conservano, come naturale, culture e affinità politiche e ideologiche derivanti dai partiti di provenienza. E mentre l’ex Forza Italia è Berlusconi, l’ex An conserva una sua compattezza e una conseguente autonomia culturale rispetto al Capo, che non è rappresentata solo dalle più o meno comprensibili uscite di Gianfranco Fini, il loro ex leader, ma anche da quell’intreccio di amicizie, lealtà e interessi dei suoi ex colonnelli. A questi è vicino Mazza e Mazza questi volevano al Tg1.

Per questa stessa ragione, e nessuno può dargli torto, Berlusconi non ce lo voleva. Da qui il blitz di mercoledì pomeriggio. Lo stallo sulle nomine a Tg e Rete 2 ne è una conseguenza: gli uomini ex An non gradivano la nomina a direttore di Raidue di Susanna Petruni, una giornalista che, a quanto pare, ha come merito principale quello di seguire Berlusconi nelle sue trasferte; e alla fine non gradivano nemmeno più tanto la nomina a direttore del Tg1 di Mario Orfeo, direttore del Mattino di Napoli e ottimo giornalista di carta stampata di grande scuola: poiché non è la capacità in discussione, ma la lealtà, non è un discorso che vada tanto giù agli ex camerati quello che gli fa Berlusconi: di cosa vi lamentate? Orfeo è vostro, il fatto che lo voglia io non cambia le cose.

Invece, a quanto pare, per gli ex uomini di An le cose cambiavano e così tutto è stato rinviato a dopo le elezioni. Che sia loro convenuto lo si saprà solo il 7 giugno. Il rischio è che se Berlusconi esce rafforzato dal confronto elettorale, butterà sulla bilancia della Rai la sua spada di Brenno e magari non ci sarà più il posto nemmeno per Orfeo.

Lo stesso rischio corre la sinistra, in particolare il Pd. Per consuetudine ormai consolidata, alla maggioranza vanno due Tg e Reti, all’opposizione ne va una, con il numero 3 da tempo sempre alla sinistra, così come il numero 2 alla destra, e con Tg e Rete 1 che si spostano secondo la lancetta del voto.

Secondo la prassi, quindi, in questo giro di nomine il Pd avrebbe dovuto confermare o cambiare i direttori dei due feudi di sia pertinenza e tutti davano per decisa la conferma di Paolo Ruffini alla terza rete e l’esordio alla direzione del Tg3 di Bianca Berlinguer, figlia dello scomparso segretario del Pci dei tempi dell’eurocomunismo. Però poi qualcosa si è inceppato e Dario Franceschini ha smentito l’assenso dato da Massimo D’Alema al pacchettino delle nomine di sinistra. A quel che si è potuto leggere, Franceschini trova sbagliato procedere alle nomine in Rai prima delle elezioni. Potrebbe avere ragione, se fosse sicuro di un balzo in avanti del suo partito il 7 giugno.

Ma da tutte le avvisaglie che si sono potute percepire negli ultimi mesi, quello di Franceschini può rivelarsi un calcolo sbagliato. Le avvisaglie sono che Berlusconi sembra avviato su un piano inclinato che ha come punto di arrivo i ritratti di Napoleone e Giulio Cesare. Lo si è capito dai suoi attacchi, anche recenti, ai giornali e ai magistrati, lo si è capito dalla sua dichiarata ambizione di arrivare al 51% dei suffragi: un numero magico per un imprenditore del suo calibro, perché quel numero vuol dire che con appena una piccola frazione sopra la metà del capitale uno può farla da padrone in un’azienda.

Estendendo la logica del 50,1% alla politica, Berlusconi è pronto a fare il padrone anche lì. E a questo punto c’è solo da confidare nel suo buon cuore e nella sua cvolontà di rispettare la prassi politica italiana. E se invece decidesse di far saltare il tavolo e mettere ad esempio a dirigere il Tg3 una persona, magari di sinistra, ma non indicata dalla segreteria del Pd? Sarebbe semplicemente la ripetizione di quel che vuole fare col Tg2, quindi non è fantapolitica, ma probabilità. E sarebbe per il Pd una ulteriore sconfitta. (Beh, buona giornata).

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Popoli e politiche

Il Finalcial Times detta l’agenda del ministro degli Esteri italiano. Frattini prende nota.

Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha annullato la visita in Iran prevista per oggi.

La prevista visita di Frattini nella capitale iraniana era stata accolta con freddezza dagli ambienti diplomatici europei. Il Financial Times ha sottolineato che Roma è il primo Paese a rompere il fronte europeo che dall’elezione di Mahmoud Ahmadinejad alla presidenza, e dall’inizio della crisi sul nucleare, ha affidato al responsabile della politica estera europea, Javier Solana, il compito di tenere ufficialmente le relazioni con il regime degli ayatollah.

Frattini, scrive il Financial Times, avrebbe voluto mantenere l’effetto “sorpresa”, annunciando la propria presenza a Teheran solo all’arrivo nella capitale iraniana.

La visita non compare nell'”agenda” del ministro sul sito della Farnesina. Il quotidiano economico della City ha registrato sbigottimento per l’iniziativa negli ambienti diplomatici occidentali. Il capo della Farnesina, inoltre, non avrebbe avuto ricevuto alcuna “luce verde” da Washington e un gesto unilaterale dell’Italia, argomenta il quotidiano, avrebbe solo l’effetto di rafforzare Mahmoud Ahmadinejad a meno di un mese dalle elezioni presidenziali. Beh, buona giornata.

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democrazia Leggi e diritto

“Le motivazioni della sentenza che ha condannato David Mills ci raccontano il coinvolgimento diretto e personale di Silvio Berlusconi nella creazione e nella gestione di 64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest”.

Un leader in fuga dalla verità di GIUSEPPE D’AVANZO-repubblica.it

È giusto ricordare che, se Silvio Berlusconi non si fosse fabbricato l’immunità con la “legge Alfano”, sarebbe stato condannato come corruttore di un testimone che ha protetto dinanzi ai giudici le illegalità del patron della Fininvest. Condizione non nuova per Berlusconi, salvato in altre occasioni da norme che egli stesso si è fatto approvare da un parlamento gregario.

Le leggi ad personam, è vero, sono un lacerto dell’anomalia italiana che trova il suo perno nel conflitto di interessi, ma la legislazione immunitaria del premier è soltanto un segmento della questione che oggi l’Italia e l’Europa hanno davanti agli occhi. Le ragioni della condanna di David Mills (il testimone corrotto dal capo del governo) chiamano in causa anche altro, come ha sempre avuto chiaro anche il presidente del consiglio. Nel corso del tempo, il premier ha affrontato il caso “All Iberian/Mills” con parole definitive, con impegni che, se fosse coerente, oggi appaiono temerari: “Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conoscevo neppure l’esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario” (Ansa, 23 novembre 1999, ore 15,17). Nove anni dopo, Berlusconi è a Bruxelles, al vertice europeo dei capi di Stato e di governo. Ripete: “Non conoscevo Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se fosse vero, mi ritirerei dalla vita politica, lascerei l’Italia” (Il sole24ore. com; Ansa, 20 giugno 2008, ore 15,47). È stato lo stesso Berlusconi a intrecciare consapevolmente in un unico destino il suo futuro di leader politico, “responsabile di fronte agli elettori”, e il suo passato di imprenditore di successo. Quindi, ancora una volta, creando un confine indefinibile tra pubblico e privato. Se ne comprende il motivo perché, nell’ideologia del premier, il suo successo personale è insieme la promessa di sviluppo del Paese. I suoi soldi sono la garanzia della sua politica; sono il canone ineliminabile della “società dell’incanto” che lo beatifica; quasi la condizione necessaria della continua performance spettacolare che sovrappone ricchezza e infallibilità.

Otto anni fa questo giornale, dando conto di un documento di una società internazionale di revisione contabile (Kpmg) che svelava l’esistenza di un “comparto estero riservato della Fininvest”, chiedeva al premier di rispondere a qualche domanda “non giudiziaria, tanto meno penale, neppure contabile: soltanto di buon senso. Perché questi segreti, e questi misteri? Perché questo traffico riservato e nascosto? Perché questo muoversi nell’ombra? Il vero nucleo politico, ma prima ancora culturale, della questione sta qui perché l’imprenditorialità, l’efficienza, l’homo faber, la costruzione dell’impero ? in una parola, i soldi ? sono il corpo mistico dell’ideologia berlusconiana” (Repubblica, 11 aprile 2001). Berlusconi se la cavò come sempre dandosi alla fuga. Andò a farsi intervistare senza contraddittorio a Porta a porta per dire: “All Iberian? Galassia off-shore della Fininvest? Assolute falsità”.

La scena oggi è mutata in modo radicale. Se il processo “All Iberian” (condanna e poi prescrizione) aveva concluso in Cassazione che “non emerge negli atti processuali l’estraneità dell’imputato”, le motivazioni della sentenza che ha condannato David Mills ci raccontano il coinvolgimento “diretto e personale” di Silvio Berlusconi nella creazione e nella gestione di “64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest”. Le creò David Mills per conto e nell’interesse di Berlusconi e, in due occasioni (processi a Craxi e alle “fiamme gialle” corrotte), Mills mentì in aula per tener lontano Berlusconi dai guai, da quella galassia di cui l’avvocato inglese si attribuì la paternità ricevendone in cambio “enormi somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali”, come si legge nella sentenza.

È la conclusione che ha reso necessaria l’immunità. Berlusconi temeva questo esito perché, una volta dimostrato il suo governo personale sulle 64 società off-shore, si può oggi dare risposta alle domande di otto anni fa, luce a quasi tutti i misteri della sua avventura imprenditoriale. Si può comprendere come è nato l’impero del Biscione e con quali pratiche. Lungo i sentieri del “group B very discreet della Fininvest” sono transitati quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l’approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come “i politici costano molto? ed è in discussione la legge Mammì”). E ancora, il finanziamento estero su estero a favore di Giulio Malgara, presidente dell’Upa (l’associazione che raccoglie gli inserzionisti pubblicitari) e dell’Auditel (la società che rileva gli ascolti televisivi); la proprietà abusiva di Tele+ (violava le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le “fiamme gialle”); il controllo illegale dell’86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l’acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; la risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. Sono le connessioni e la memoria che sbriciolano il “corpo mistico” dell’ideologia berlusconiana: al fondo della fortuna del premier, ci sono evasione fiscale e bilanci taroccati, c’è la corruzione della politica, delle burocrazie della sicurezza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa.

Questo è il quadro che dovrebbe convincere Berlusconi ad affrontare con coraggio, in pubblico e in parlamento, la sua crisi di credibilità, la decadenza anche internazionale della sua reputazione. Magari con un colpo d’ala rinunciando all’impunità e accettando un processo rapido. Non accadrà. Il premier non sembra comprendere una necessità che interpella il suo privato e il suo ufficio pubblico, l’immagine stessa del Paese dinanzi al mondo. Prigioniero di un ostinato narcisismo e convinto della sua invincibilità, pensa che un bluff o qualche favola o una nuova nebbia mediatica possano salvarlo ancora una volta. Dice che non si farà processare da questi giudici e sa che non saranno “questi giudici” a processarlo. Sa che non ci sarà, per lui, alcun processo perché l’immunità lo protegge. Come sa che, se la Corte Costituzionale dovesse cancellare per incostituzionalità lo scudo immunitario, le norme sulla prescrizione che si è approvato uccideranno nella culla il processo. Promette che in parlamento “dirà finalmente quel che pensa di certa magistratura”, come se non conoscessimo la litania da quindici anni. Finge di non sapere che ci si attende da lui non uno “spettacolo”, ma una risposta per le sue manovre corruttive, i metodi delle sue imprese, i sistemi del suo governo autoreferenziale e privatistico. S’aggrappa al solito refrain, “gli italiani sono con me”, come se il consenso lo liberasse da ogni vincolo, da ogni dovere, da ogni onere. Soltanto un potere che si ritiene “irresponsabile” può continuare a tacere. Quel che si scorge in Italia oggi ? e non soltanto in Italia ? è un leader in fuga dalla sua storia, dal suo presente, dalle sue responsabilità. Un leader che non vuole rispondere perché, semplicemente, non può farlo.

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Finanza - Economia - Lavoro

L’Istat smentisce chi dice che la crisi sta passando.

Gli ordinativi dell’industria italiana a marzo hanno registrato un calo del 26% rispetto a marzo 2008 e del 2,7% rispetto a febbraio 2009, comunica l’Istat. Nel settore auto, informa sempre l’istituto di statistica, il fatturato dell’industria a marzo è diminuito del 27,9% rispetto a marzo 2008, mentre gli ordinativi sono calati del 19%.

La flessione degli ordinativi è stata determinata dalla domanda estera con una contrazione del 9,4% mentre gli ordini domestici mostrano una crescita dell’1%. Al contrario il fatturato estero a marzo sale dello 0,1% e quello domstico accusa un calo dell’1,3%. Nel complesso il primo trimestre dell’anno evidenzia rispetto al precedente un calo del 9,9% per gli ordinativi e per il fatturato.

A marzo, a livello settoriale, i mezzi di trasporto accusano un calo del fatturato del 36,4% sul marzo del 2008 mentre gli ordinativi mostrano una contrazione del 30%. Per il fatturato le flessioni più contenute per la farmaceutica (-6,3%), estrazione minerali (-2,2%), alimentari (-2,7%). Beh, buona giornata.

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Popoli e politiche Pubblicità e mass media

Pubblicità e politica: uno spot che è tutto un programma.

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democrazia Leggi e diritto

“La pubblicazione delle motivazioni della sentenza di condanna dell’avvocato Mills, nel processo per corruzione in atti giudiziari che vede implicato anche il presidente del Consiglio, sarebbe il “de profundis” per qualunque uomo politico, in qualunque paese normale. Non così in Italia.”

Il Cavaliere impunito di MASSIMO GIANNINI-repubblica.it

Come il morto che afferra il vivo, il fantasma della giustizia trascina ancora una volta Silvio Berlusconi nell’abisso. La pubblicazione delle motivazioni della sentenza di condanna dell’avvocato Mills, nel processo per corruzione in atti giudiziari che vede implicato anche il presidente del Consiglio, sarebbe il “de profundis” per qualunque uomo politico, in qualunque paese normale. Non così in Italia. Questo è un Paese dove un’osservazione così banale diventa paradossalmente impronunciabile in Transatlantico o sui media (persino per l’afona opposizione di centrosinistra) pena la squalifica nei gironi infernali dell'”antiberlusconismo” o del “giustizialismo”.

Questo è un Paese dove il premier ha risolto tanta parte dei suoi antichi guai giudiziari con leggi ad personam che gli hanno consentito proscioglimenti a colpi di prescrizione, e che si è protetto dall’ultima pendenza grazie allo scudo del Lodo Alfano, imposto a maggioranza poco meno di un anno fa, quasi come “atto fondativo” della nuova legislatura.

Ora, di quell’ennesimo colpo di spugna preventivo si comprende appieno la ragion d’essere. Secondo i giudici milanesi, l’avvocato inglese incassò 600 mila dollari dal gruppo Fininvest per testimoniare il falso nei processi per le tangenti alla Guardia di Finanza e All Iberian. “Mentì per consentire a Berlusconi l’impunità”, recita un passaggio delle 400 pagine delle motivazioni. Un’accusa gravissima. Una prova schiacciante. Dalla quale il Cavaliere, guardandosi bene dal difendersi nel processo, ha preferito svicolare grazie al salvacondotto di un’altra legge ritagliata su misura, e ora sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale. Perché dietro la formula enfatica che dà il titolo al Lodo Alfano (cioè la “sospensione dei processi per le Alte Cariche dello Stato”) è chiaro a tutti che l’unica carica da salvare era ed è la sua. “Riferirò in Parlamento”, annuncia ora Berlusconi. Bontà sua. Pronuncerà l’ennesima, violenta invettiva contro le toghe rosse e la magistratura comunista, “cancro da estirpare” nell’Impero delle Libertà. E invece basterebbe pronunciare una sola parola, quella che non ascolteremo mai: dimissioni.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: il sistema televisivo italiano alla prese con vecchi problemi, ma di fronte a una crisi inedita.

Raiset* e il pluralismo. Una partita persa di Giuseppe Giulietti-blitzquotidiano.it

Esiste davvero un polo Raiset? Secondo alcuni commentatori no, anzi il conflitto di interessi è solo una invenzione di spiriti malevoli, accecati da un livore tardo comunista. Per convalidare questa tesi non si esita, ma guarda un po’, a rispolverare la teoria del complotto e a liquidare con disprezzo chiunque osi mettere in discussione un dogma che sembra essere più solido di quello trinitario che, almeno per i credenti, dovrebbe essere oggetto di culto e di venerazione.

Nella lista degli eretici che non vogliono inginocchiarsi di fronte al nuovo idolo sono così finiti il parlamento europeo, la commissione europea, la federazione internazionale degli editori e dei giornalisti, i costituzionalisti quasi tutti e da ultimo la grande agenzia americana Freedom house che ha retrocesso l’Italia tra i paesi semiliberi perché a quei signori sembra strano che un presidente del consiglio di un qualsiasi staterello del globo possa controllare in modo diretto o indiretto le principali reti televisive.
Quelli di Freedom House, per altro, sono talmente sinistrorsi che, giustamente, hanno cacciato all’inferno e agli ultimi posti della classifica i paesi a regime comunista a cominciare da Cuba e dalla Cina.

L’elenco degli infedeli si arricchisce da oggi di un inaspettato nuovo ospite: l’autorità di garanzia delle comunicazioni e il suo osservatorio incaricato di rilevare il pluralismo dei soggetti politici nei tg nazionali pubblici e privati.

Da qualche giorno sul sito dell’autorità sono comparsi i dati relativi al mese di aprile. La loro lettura è di difficile comprensione, ma non occorre essere un genio della statistica per rilevare come il presidente del consiglio da solo sbaragli il campo. Tutto effetto del terremoto che ha alterato i valori precedenti? Neppure per sogno, anzi l’osservatorio ha addirittura scorporato i dati relativi al sisma per non alterare la rilevazione. Nonostante questo il risultato non cambia, il mese di aprile conferma il trend del mese di marzo, per la prima volta non viene rispettata neppure la regola non scritta che prevedeva l’assegnazione di tempi paritari tra governo, maggioranza e opposizione.

Per non lasciarci prendere la mano dalla propaganda abbiamo chiesto ad un tecnico che ha collaborato alla elaborazione di dati di fornirci una scheda di lettura. Ve la proponiamo in esclusiva per Blitz:
Osservazioni sul monitoraggio politico aprile 2009
Premessa
Nel monitoraggio vengono rilevati:
Tempo di notizia: indica il tempo dedicato dal giornalista all’illustrazione di un argomento/evento in relazione ad un soggetto politico/istituzionale.
Tempo di parola: indica il tempo in cui il soggetto politico/istituzionale parla direttamente in voce.
Tempo di antenna: indica il tempo complessivamente dedicato al soggetto politico-istituzionale ed è dato dalla somma del “tempo di notizia” e del “tempo di parola” del soggetto.
Le analisi sono state dunque svolte sul tempo di antenna ritenuto maggiormente rappresentativo dello spazio dedicato alla forza politica.
Con riferimento alle rilevazioni di aprile l’avvenimento del sisma in Abruzzo (avvenuto in data 6 aprile 2009) ha determinato una polarizzazione dell’informazione televisiva sull’evento, di carattere eccezionale.
Il confronto con i dati di marzo dimostra però che tale evento non ha influenzato in modo significativo la distribuzione delle percentuali di tempo di antenna attribuite ai vari soggetti (che già nel mese di marzo risultavano particolarmente squilibrate), ma probabilmente ha inciso sul tempo complessivo dedicato dai tg ai soggetti politico/istituzionale (anche se tale aspetto non è colto dal monitoraggio).

Osservazioni
In generale emerge con chiarezza uno squilibrio a favore della maggioranza in tutte le reti (con l’eccezione del tg3) con l’evidenza di alcuni aspetti peculiari:

* il Tg4 nel mese di aprile ha dedicato alla maggioranza olte l’80% del tempo concentrandosi su governo e presidente del consiglio per oltre il 75%;
* il Tg5 nella seconda quindicina di aprile ha dedicato alla maggioranza oltre il 50% del tempo, ed all’opposizione il 30% rispetto ad uno storico del 15-20%. Emerge però che l’aumento a favore dell’opposizione è dovuto alla crescita dello spazio dedicato alle forze politiche minori;
* Studio aperto registra già dal mese di marzo rilevanti percentuali a favore della maggioranza/governo, riequilibrando un po’ solo nella seconda quindicina di aprile (da un tempo medio del 73% alla maggioranza si è passati al 56%);
* Il Tg2 e La7 anche nella seconda quindicina di aprile mantengono un forte squilibrio a favore del governo (45% nel tg2 e 47% nel tg di La7);
* Il Tg1 mantiene costantemente oltre il 50% alla maggioranza e circa il 25-30% all’opposizione.
* Il Tg3 appare la testata più equilibrata con il 40% per maggioranza/governo e 37% per l’opposizione.

Cosa altro aggiungere? Sarà una casualità ma il presidente vola nelle e sulle reti di sua proprietà, in taluni casi addirittura si configura una violazione persino della debolissima legge sul conflitto di interessi che configura come causa di infrazione grave un sostegno continuato e privilegiato ad una forza politica o a un singolo soggetto. In questo caso dovrebbe essere la medesima autorità a intervenire. Per ora nulla è accaduto.
La situazione non migliora neppure in casa Rai,con l’eccezione del Tg3, una situazione analoga si rileva anche La 7.
La scheda tecnica segnala che tale tendenza si sta consolidando e che i dati del terremoto l’hanno solo resa più evidente.
È del tutto evidente che, almeno dal punto di vista quantitativo, sia giusto ipotizzare il prossimo ulteriore consolidamento di un polo Raiset con tutte le conseguenze immaginabili sul piano del pluralismo politico ma anche su quello non meno delicato del pluralismo industriale e della libertà dei mercati di riferimento.

Quello che sorprende maggiormente, infine , è la quasi olimpica serenità, con la quale la pubblicazione dei dati è stata accolta dai diversi attori politici. La serenità di Berlusconi e dei suoi amici trova conforto nei dati, quella dei suoi avversari molto meno.
A proposito: il conflitto di interessi non esiste e comunque non incide minimamente sulle modalità della rappresentazione televisiva, chi osa dire il contrario sia messo al rogo come accadeva agli eretici e alle streghe ai bei tempi della santa inquisizione…(Beh buona giornata).

(* acronimo giornalistico che sta per Rai e Mediaset)

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Finanza - Economia - Lavoro Scuola

Torino: il G8 si scontra con gli studenti.

G8 Università, scontri e tensione al corteo degli studenti dell’Onda di di OTTAVIA GIUSTETTI-repubblica.it

TORINO – Scene di guerriglia urbana questa mattina a Torino per il corteo del contro G8 dell’Università con migliaia di ragazzi da diverse città italiane, quasi tutti dei centri sociali, che hanno “assaltato” il Castello del Valentino dove nel frattempo si stava chiudendo il summit dei rettori dei paesi del G8. Lacrimogeni, bombe carta, pietre e manganelli hanno chiuso la manifestazione che però, dalle prime informazioni, si è conclusa senza gravi feriti. Secondo i dati forniti dalla questura di Torino diciannove agenti sono rimasti contusi o lievemente feriti negli scontri, mentre sembra che non ci siano feriti tra i ragazzi che hanno partecipato agli scontri. Due invece gli anti-G8 fermati, probabilmente del gruppo dei milanesi.

Solo tanta tensione, dunque, e uno “spettacolo” che si è rivelato assolutamente fedele alle aspettative. Con centinaia di agenti a blindare la città, elicotteri, e i contestatori che per l’appuntamento con la polizia hanno coperto i volti e hanno indossato caschi e bastoni schierandosi in file compatte dietro a uno scudo lungo oltre dieci metri camuffato da striscione.

Il corteo, formato da qualche migliaia di giovani, è partito intorno alle 11 dalla palazzina Aldo Moro, a fianco dell’Università, ribattezzata palazzina Block G8 per l’occasione, al seguito del camioncino di tutti i cortei dell’Askatasuna il noto centro sociale degli autonomi torinesi. Due blocchi di agenti in tenuta antisommossa aprivano e chiudevano il corteo che a passo svelto percorreva via Po, piazza Castello, via Pietro Micca, piazza Solferino, corso Re Umberto, corso Vittorio Emanuele, via Madama Cristina e corso Marconi per chiudere davanti al Castello. Lungo il tragitto qualche isolato contestatore ha lasciato scritte lungo i muri, a gruppetti hanno acceso fumogeni davanti all’ingresso delle banche, mentre i negozianti chiudevano le saracinesche lungo il loro passaggio.

Gli uomini della Digos, guidati da Giuseppe Petronzi, hanno accompagnato il corteo, in borghese, lasciando che gli abitanti rimanessero in strada a seguire la manifestazione. Non raccogliendo né lanciando alcuna provocazione hanno lasciato che si arrivasse al Castello senza incidenti. E lì si è messa in scena la guerriglia annunciata. I ragazzi hanno indossato la loro “armatura” e gli agenti pure. I primi schierati su un fronte del corso, gli altri sull’altro. La tensione saliva mentre i ragazzi dell’Askatasuna dalla camionetta incitavano con il microfono allo scontro. Dopo una ventina di minuti gli anti-G8, caschi in testa e volti coperti, hanno serrato le fila e hanno cominciato ad avanzare verso la polizia. Dietro allo scudo avevano estintori. Hanno lanciato bottiglie, pietre e bombe carta. I poliziotti hanno indossato le maschere e sparato i lacrimogeni costringendo i manifestanti alla ritirata. La carica vera e propria è durata pochi minuti. Al termine dei quali gli anti-G8 hanno riformato il corteo e sono tornati a Palazzo Nuovo.

Dal Castello del Valentino i rettori hanno risposto: “Non ci siamo barricati, siamo sempre stati e rimaniamo aperti al dialogo con gli studenti. In quello che è successo ieri e oggi c’è stato un difetto di comunicazione”. Il rettore del Politecnico di Torino, Francesco Profumo, del presidente della Crui Enrico Decleva e di Giovanni Puglisi, il rappresentante della Commissione Italiana per l’Unesco, a conclusione dei lavori del summit hanno firmato il documento che sarà inviato al vero G8 di luglio a l’Aquila. (Beh, buona giornata).

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democrazia Media e tecnologia

Il Times di Londra: “le domande poste da la Repubblica – sul coinvolgimento del signor Berlusconi nella selezione delle candidate, e sul fatto se egli abbia promesso di aiutare la signorina Letizia a perseguire una carriera in politica o nello spettacolo – non sono intrusioni nella vita privata.”

Il Times dalla parte di Repubblica “Berlusconi vuole intimidire il dissenso”-da repubblica.it

Il Times di Londra dedica oggi un editoriale non firmato, come è tradizione della stampa anglosassone quando l’articolo riflette l’opinione della direzione del giornale, sulla questione delle dieci domande poste da “Repubblica” a Silvio Berlusconi.

L’editoriale del giornale, di cui è proprietario Rupert Murdoch, è intitolato “Public Duty and Private Vendetta” (Dovere pubblico e vendetta privata”), con questo sommario: “L’attacco di Silvio Berlusconi contro un giornale italiano è una campagna per intimidire il dissenso”. Ecco il testo dell’editoriale:

“Silvio Berlusconi, il primo ministro italiano, si lamenta di essere vittima di una diffamazione. Egli ha attaccato la Repubblica dopo che il giornale lo ha sfidato a spiegare la sua relazione con un’aspirante modella di 18 anni, Noemi Letizia, che si rivolge a lui chiamandolo ‘Papi’. Secondo il signor Berlusconi, questo è un complotto della sinistra per minare la sua autorità. La lamentela del signor Berlusconi è sfrontatamente insensata. Egli ha invitato a deriderlo promuovendo come candidati per le elezioni europee delle giovani donne il cui glamour personale supera la conoscenza politica. Questa ultima impresa ha spinto sua moglie, che soffre da lungo tempo, a chiedere il divorzio.

Le domande poste da la Repubblica – sul coinvolgimento del signor Berlusconi nella selezione delle candidate, e sul fatto se egli abbia promesso di aiutare la signorina Letizia a perseguire una carriera in politica o nello spettacolo – non sono intrusioni nella vita privata. Esse si collegano al ruolo pubblico del signor Berlusconi come uomo politico e come magnate dei media. I contorti affari politici del signor Berlusconi sono ulteriormente confusi dal suo dominio dei media. Egli controlla tre canali televisivi nazionali.

La sua campagna contro la Repubblica sembra un sinistro tentativo di intimidire il dissenso per proteggere una reputazione privata. E’ particolarmente di cattivo gusto che egli abbia usato la propria posizione nei media per criticare la propria moglie, insinuando che ella è mentalmente instabile. Queste sono le azioni di un uomo ricco e potente che tratta la politica e i media come feudi. Il signor Berlusconi ha apparentemente scarsa comprensione delle divisioni tra interesse privato e dovere pubblico. Il giornale che lo critica sta facendo un’opera di pubblico servizio per una popolazione malamente governata”. (Beh, buona giornata).

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Leggi e diritto Popoli e politiche

L’Unhcr non conta un fico secco? Adesso ci prova Maroni a metterci una pezza, mentre arriva una dura reazione dell’Unicef.

Sulla questione dei respingimenti dei clandestini, il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha detto che “la polemica è incomprensibile”. Maroni non ha fatto riferimento al botta e risposta fra l’alto commissariato per i rifugiati e il ministro della Difesa La Russa. Ha detto però che dal suo “punto di vista vorrei la polemica terminasse. Innalzare i toni potrebbe pregiudicare il buon lavoro che abbiamo fatto in questi dieci mesi”. Secondo il ministro, infatti, l’Unhcr potrebbe svolgere un ruolo importante in Libia, anzi “fondamentale”. “Rispetto le opinioni di tutti – ha aggiunto – ma non penso sia utile tenere i toni della polemica”.

Nel frattempo interviene un’altra agenzia dell’Onu: l’Unicef. L’aspetto generale della polemica – ovvero il rapporto tra il governo italiano e le agenzie della Nazioni Unite – è stato affrontato oggi da Vincenzo Spadafora, presidente di Unicef Italia: ”Delegittimare l’operato di organizzazioni delle Nazioni Unite che da sempre hanno il compito specifico di svolgere una azione di supporto ai governi ed alle popolazioni è un errore, un segnale che giudico pericoloso”, ha detto l’alto funzionario Onu. Beh, buona giornata.

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Leggi e diritto Popoli e politiche

A proposito di rifugiati, sarebbe bene che il ministro della Difesa si rifugiasse in un doveroso silenzio. Sperando in nessun “respingimento”.

Non si placa la polemica suscitata dalle dichiarazioni di La Russa, ministro della Difesa, che aveva detto che l’Unhcr conta “un fico secco”. L’Alto commissario, che nei giorni della polemica si trovava in Pakistan per seguire la crisi dei rifugiati dello Swat, interviene al fianco del delegato italiano Laurens Jolles e la portavoce Laura Boldrini: “Gli attacchi immotivati e personali sono inaccettabili, non mutano e non muteranno l’impegno dell’Unhcr nel perseguire il suo mandato e la sua missione umanitaria – afferma Guterres”, venuto “a conoscenza dei commenti negativi e infondati che sono stati rivolti al mio Ufficio e a singoli funzionari da un esponente del governo italiano”.

E ribatte alle critiche mosse al suo organismo dal governo italiano confermando l’impegno dell’agenzia dell’Onu che “ha una responsabilità globale nella protezione dei diritti dei rifugiati”. “Continueremo a esercitare il nostro mandato in Europa – prosegue – così come lo facciamo in altre parti del mondo. Il mio ufficio è ben consapevole delle sfide che l’immigrazione irregolare pone all’Italia e ad altri Paesi europei. Continueremo a lavorare con i governi e con tutti gli altri partner per affrontare queste sfide in modo da garantire il pieno rispetto dei diritti dei rifugiati e di quanti hanno bisogno di protezione internazionale”.

L’Alto commissario ribadisce poi la sua “piena fiducia nel rappresentante in Italia, Laurens Jolles, e nella portavoce, Laura Boldrini nel portare avanti questo importante compito”.

A proposito di rigugiati, è il caso che il ministro della Difesa la smetta in penosi tentativi di autodifesa e si rifugi in un doveroso silenzio. Sperando in nessun “respingimento”. Beh, buona giornata.

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Leggi e diritto Popoli e politiche

L’attacco di La Russa all’ Unhcr dell’Onu: il ministro degli Esteri cerca di metterci una pezza, ma inciampa su se stesso.

Le organizzazioni internazionali vanno sempre rispettate anche quando sbagliano, e nel giudicare il governo in questo caso sbagliano”. Lo ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, a quanto si apprende da ambienti vicini al ministro, riferendosi alla polemica innescata dalle dichiarazioni del responsabile della Difesa, Ignazio La Russa, sull’Unhcr.

“Il rispetto delle regole è garanzia e tutela anche per tutti quegli immigrati regolari che hanno seguito le regole. La politica della sinistra sull’immigrazione e’ a scapito dell’identita’italiana ed europea. – ha aggiunto Frattini – Noto che siamo in piena campagna elettorale eppure si parla poco di Europa.

Il tema della sicurezza deve invece divenire un impegno europeo, non puo’ gravare solo sui paesi del mediterraneo”.

Il Ministro Frattini, evidentemente non si ricorda chi fosse il Commissario europeo alla Sicurezza , fino un hanno fa, quando è stato nominato agli Esteri. Glielo ricordiamo noi: era Franco Frattini, che è stato in carica circa quattro anni. Sarà mica per questo che ” in campagna elettorale si parla poco di Europa?” Beh, buona giornata.

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Lavoro

E’ ufficiale: in Italia stipendi da fame.

Gli italiani incassano ogni anno uno stipendio che è tra i più bassi tra i Paesi Ocse. Con un salario netto di 21.374 dollari, l’Italia si colloca al 23/o posto della classifica dei 30 paesi dell’organizzazione di Parigi. Buste paga più pesanti non solo in Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Francia, ma anche Grecia e Spagna. E’ quanto risulta dal rapporto Ocse sulla tassazione dei salari, aggiornato al 2008 e appena pubblicato.

La classifica riguarda il salario netto annuale di un lavoratore senza carichi di famiglia. E’ calcolato in dollari a parità di potere d’acquisto. Gli italiani guadagnano mediamente il 17% in meno della media Ocse. Salari italiani penalizzati anche se il raffronto viene fatto con la Ue a 15 (27.793 di media) e con la Ue a 19 (24.552). Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: che succede se Rai e Sky non trovano un accordo sul satellite.

TRA LA RAI E SKY NON METTERE MEDIASET di Giovanni Valentini-la Repubblica.

È una scelta strategica molto delicata e importante, per la Rai, per il mercato dell’ informazione e per tutti noi cittadini telespettatori, quella che il vertice di viale Mazzini si accinge a compiere nei suoi rapporti con Sky. Entro il prossimo luglio, la tv di Stato deve decidere se rinnovare o meno il contratto con l’ emittente satellitare di Rupert Murdoch che offre 474 milioni di euro per i prossimi sette anni, in cambio della trasmissione dei canali pubblici sulla propria piattaforma. E bene ha fatto il Consiglio di amministrazione ad accogliere la proposta del direttore generale, Mauro Masi, di avviare rapidamente una trattativa per cercare di spuntare le condizioni migliori, sulla linea indicata dal presidente Garimberti.

Un eventuale divorzio tra Rai e Sky è destinato ad avere effetti rilevanti sul sistema televisivo italiano, sulle quote di mercato – soprattutto pubblicitario – delle due emittenti, e infine sulle nostre abitudini di teleutenti. Ma fatalmente si ripercuoterebbe anche su Mediaset, la tv del presidente del Consiglio, che seguirebbe subito a ruota sulla stessa strada e ne trarrebbe verosimilmente i maggiori benefici per fronteggiare il crollo della pubblicità. Tanto che si può parafrasare nel caso specifico il motto popolare, particolarmente in voga negli ultimi tempi a proposito delle vicende coniugali di Silvio Berlusconi: tra mogliee marito, con quel che segue.

La valutazione sulla congruità del “quantum” è rimessa naturalmente alla discrezionalità e responsabilità del Cda di viale Mazzini. E tuttavia non si tratta soltanto di un valore economico. In forza del principio della “neutralità tecnologica”, infatti, al pari di tutte le altre televisioni pubbliche d’ Europa la Rai è tenuta a diffondere i suoi programmi sul maggior numero di piattaforme possibili: il nuovo sistema digitale terrestre, quello satellitare, Internet, i telefoni cellulari e quant’ altro.

Se l’ accordo con Sky non dovesse più risultare conveniente, dunque, l’ azienda di Stato dovrebbe comunque attrezzarsi per trasmettere via satellite, sostenendo altri costi e magari accoppiandosi proprio con Mediaset. Per la Rai, in realtà, il problema si pone in termini di danno emergente e lucro cessante, come si dice in linguaggio giuridico. Danno emergente, perché – in caso di fallimento della trattativa con Sky – da qui al 2016 l’ azienda pubblica perderebbe 474 milioni di euro. A cui vanno aggiunte, come già detto, le spese per un nuovo satellite. E per un’ azienda che prevede di chiudere il bilancio 2009 con un deficit di oltre cento milioni, non è evidentemente una bazzecola.

Poi, c’ è – per così dire – il lucro cessante: cioè l’ effetto negativo, sul piano degli ascolti e quindi della raccolta pubblicitaria, di una separazione dalla televisione di Murdoch. Non solo perché in molte regioni non arriva né il vecchio segnale analogico né il nuovo segnale digitale, a cominciare proprio dalla Sardegna dove è già scattato il fatidico switchoff, il passaggio o la transizione da un sistema all’ altro, per cui il satellite resta l’ unica piattaforma utilizzabile. Ma ancor più per il fatto che ormai una buona parte del pubblico, in Italia o dall’ estero, utilizza abitualmente la parabola di Sky per scegliere attraverso lo stesso telecomando i canali in chiaro della Rai, di Mediaset e della 7 oppure quelli criptati nel bouquet della tv a pagamento. È più che opportuno, allora, che il vertice della Rai compia un’ analisi approfondita dei costi e dei benefici: ci mancherebbe altro. Con un “buco” del genere, sarebbe un delitto rifiutare l’ offerta di Murdoch, sopportare i costi di un nuovo satellite e per di più rischiare di perdere audience e pubblicità. Per fortuna, c’ è ancora la Corte dei conti o magari la magistratura ordinaria a cui ricorrere.

Ma, a parte i compiti istituzionali della Rai, i suoi legittimi interessi e le sue scelte autonome, non vorremmo proprio che l’ azienda di Stato – come il marito che vuole fare un dispetto alla moglie – per indebolire Sky si privasse degli attributi o comunque si danneggiasse da sola, alla maniera di Tafazzi, il personaggio televisivo incline al masochismo. A differenza di Mediaset, la nostra tv pubblica – come ha giustamente rilevato l’ ex ministro Paolo Gentiloni – non ha un’ offerta di pay-tv. E perciò, al di là delle migliori intenzioni, un eventuale divorzio da Sky finirebbe per avvantaggiare principalmente il suo più diretto concorrente, l’ altro incumbent del vecchio duopolio analogico e del nuovo duopolio digitale. Nel libro di memorie citato all’ inizio, è l’ ex consigliere di amministrazione della Rai, Carlo Rognoni, a evocare lo spettro dell’ Alitalia. E non è affatto rassicurante per il futuro della televisione pubblica.

«È il mercato – predica ora Rognoni – che impone alla politica di fare un passo indietro e prendere atto dei suoi doveri: fissare con chiarezza la missione del servizio pubblico nell’ era della rivoluzione digitale; impedire che la Rai perda credibilità; non lasciare che una grande azienda finisca come l’ Alitalia, nel giro di qualche anno». Tutto ciò è vero oggi. Ma era vero anche nel 2005, quando il centrosinistra partecipò alla maxi-lottizzazione e insediò i suoi uomini al vertice di viale Mazzini. Ed era vero, purtroppo, anche prima. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Botte da orbi nel partito del premier.

Caos nel Pdl, scatta il ‘tutti contro tutti’-da unità.it
Sale la tensione nel Popolo della Libertà in vista delle elezioni. Con Berlusconi che sceglie di fare qualche passo indietro rispetto al suo consueto presenzialismo (forse per far scemare il clamore degli scandali e delle sue vicende private) e con i suoi “luogotenenti” che si scatenano.

È il senatore Pdl Marcello Dell’Utri, amico di lunga data del premier, ad aprire il “fuoco” contro il partito accusato di essere un partito «insensibile», che «non riconosce il suo ruolo e quello dei suoi “circoli del buongoverno”». E, dunque, annuncia il senatore palermitano in una intervista a “La Stampa”: «Io e i miei circoli non faremo campagna elettorale per il Pdl». Motivo di tanta acredine? Un posto “al sole” per i suoi “ragazzi”: «Giovani interessati a una carriera politica. Anche dispostissimi a cominciare dal gradino più basso, di consigliere provinciale o circoscrizionale, o da un ruolo nel partito» che, invece, secondo Dell’Utri «non riconosce il loro ruolo» e li usa solo come «manovalanza per attaccare manifesti o allestire gazebo». Per Dell’Utri si è trattato di «un dispetto» a cui «io cercherò di rimediare, di ricucire, ma lo sfregio resta».

Solo in apparenza più pacate le parole che il ministro Bondi scrive al presidente della camera Fini in una lettera affidata al giornale della “famiglia Berlusconi”. Bondi invita Fini a rimanere «entro certi limiti» nell’esprimere opinioni all’interno del partito altrimenti si rischia «di abbracciare posizioni culturali distanti dalle nostre», indebolendo le «proposte politiche e programmatiche» del Pdl. In particolare, il ministro ricorda gli interventi di Fini in materia di immigrazione e bioetica e lo “richiama all’ordine” precisando: «Entro certi limiti, naturalmente, questa pluralità capace di intercettare istanze diverse della società può apparire positiva e perfino necessaria». Purché, sottolinea, non si arrivi ad «abbracciare posizioni culturali distanti dalle nostre». Il minaccioso invito del ministro a Fini è quello di esprimere il suo dissenso sulle scelte del governo solo dentro il partito: «Quello che sogno è un partito nel quale un leader politico come Gianfranco Fini partecipi attivamente, pur considerando il suo attuale incarico istituzionale, alla ricerca e alla formulazione della identità e della linea politica del nuovo partito, piuttosto che seguire una “svolta personale” come ha scritto Giuliano Ferrara». (Beh, buona giornata).

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Leggi e diritto Popoli e politiche

Frattini spieghi a La Russa che cos’è l’UNHCR, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati. O nel governo non conta un “fico secco”?

UNHCR è l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (United Nations High Commissioner for Refugees – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). L’agenzia fu creata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1950 e di fatto, incominciò ad operare il 1° gennaio 1951.

Stati che ancora si stavano riprendendo dalle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale volevano accertarsi di avere un’organizzazione forte ed efficace che badasse agli interessi dei rifugiati – o li ‘proteggesse’ nei paesi in cui avevano cercato asilo. L’UNHCR fu anche incaricata di aiutare i governi a trovare “soluzioni permanenti” per i rifugiati.

Il mandato originario dell’UNHCR era limitato ad un programma di tre anni destinato ad aiutare coloro che erano ancora rifugiati della Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, gli esodi non solo non cessarono, ma si trasformarono in un fenomeno persistente su scala mondiale. Nel dicembre del 2003, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite abolì l’obbligo per l’agenzia di rinnovare il proprio mandato ogni pochi anni.

Lo statuto dell’UNHCR fu redatto praticamente in simultanea con la Convenzione del 1951 sui Rifugiati; ne consegue che lo strumento chiave del diritto internazionale e l’organizzazione designata al suo monitoraggio sono particolarmente ben sincronizzati.

L’Articolo 35 della Convenzione del 1951 rende esplicita la relazione e richiede agli stati di cooperare con l’UNHCR sulle questioni relative alla messa in vigore della Convenzione stessa e ad eventuali leggi, regolamenti o decreti che gli stati possono redigere e che possono avere un effetto sui rifugiati.

Attività
In base al mandato assegnatogli dalle Nazioni Unite, l’UNHCR ha il compito di fornire e coordinare la protezione internazionale e l’assistenza materiale ai rifugiati ed alle altre categorie di persone di propria competenza, impegnandosi nel ricercare soluzioni durevoli alla loro drammatica condizione. Per fornire protezione ed assistenza l’UNHCR è impegnato in tutto il mondo, direttamente o attraverso agenzie partner governative o non governative, in programmi che coprono entrambi i settori di attività.

Protezione
La protezione internazionale dei rifugiati costituisce il nucleo principale del mandato dell’UNHCR e comprende, tra l’altro, attività quali la registrazione dei rifugiati, la consulenza per la documentazione, la raccolta dati anagrafici e biografici dei richiedenti asilo, la localizzazione sul territorio per la fornitura di protezione e di altre soluzioni durevoli alle esigenze derivanti dalla loro condizione di rifugiati. L’UNHCR è inoltre impegnato nella formazione per tutti gli operatori del settore, governativi e non, al fine di garantire al meglio il rispetto, l’applicazione e la promozione dei diritti dei rifugiati.

Assistenza
L’UNHCR, in base al proprio mandato, è incaricato di fornire assistenza nelle crisi umanitarie ai rifugiati in fuga da situazioni di crisi determinate da eventi politici e non naturali.

Tale assistenza generalmente consiste nel garantire i beni di prima necessità come acqua, cibo, assistenza sanitaria, alloggi temporanei e non (tende, infrastrutture prefabbricate e l’allestimento di veri e propri campi dotati delle basilari infrastrutture). L’assistenza comprende inoltre la fornitura di trasporti per le persone e le cose (coperte, indumenti, medicinali, infrastrutture, utensili vari) e interventi di carattere sociale (assistenza psicologica, sociale, istruzione, formazione professionale).

A seguito del disastroso maremoto del 26 dicembre 2004, su richiesta del Segretario Generale delle Nazioni Unite, per la prima volta nella sua storia l’UNHCR è intervenuto in favore delle vittime di una calamità naturale, mettendo a disposizione tutti i propri operatori, mezzi e proprie risorse presenti nei paesi della regione colpita dallo tsunami.

L’UNHCR in Italia
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è presente in Italia fin dal 1953.

L’ufficio di Roma dell’UNHCR partecipa alla procedura di determinazione dello status di rifugiato in Italia e svolge attività relative a protezione internazionale, formazione e training, diffusione delle informazioni sui rifugiati e richiedenti asilo in Italia e nelle varie aree di crisi in tutto il mondo, sensibilizzazione dell’opinione pubblica e raccolta fondi presso governi, aziende e privati cittadini.

Dal 2006, l’ufficio italiano dell’UNHCR ha ampliato le proprie competenze diventando Rappresentanza Regionale responsabile, oltre che per l’Italia, anche per Cipro, Grecia, Malta, Portogallo, San Marino e Santa Sede, con il ruolo di coordinare le attività regionali in favore di richiedenti asilo e rifugiati presenti in questi paesi. Dal 2009 la Rappresentanza Regionale è responsabile anche per l’Albania.

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Per fronteggiare la crisi il governo italiano ha investito solo 0,2 del Pil. Ecco perché siamo nei guai fino al collo.

Manovre anti-crisi Italia fanalino di coda di LUCA IEZZI

La reazione c’è stata, ma il fiume di denaro pubblico già versato difficilmente basterà e sulla sua efficacia si sbilancia solo il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Khan: “I pacchetti fiscali forniranno da 1 e 3 punti percentuali in più alla crescita quest’anno”. I suoi economisti sono più dubbiosi: i paesi del G20 hanno sì stanziato il 2% del loro Pil nei pacchetti anti-crisi ma lo sforzo “dovrà essere sostenuto, se non aumentato nel 2010”. E lo stesso Strauss-Khan ammonisce: “Con le politiche fiscali c’è un tempo per la semina e uno per la raccolta, e le politiche espansive di oggi devono andare per mano con politiche rigorose domani”.

Sull’individuazione di quel “domani” il dibattito è aperto: i deficit 2009 esploderanno. Nella Ue la Spagna ha approvato una manovra pari al 2,3% del Pil di quest’anno, la Germania 1,6%, l’Inghilterra 1,4%, difficilmente potranno replicare. L’entità della scommessa appare evidente se si mettono in fila le cifre assolute dei piani per lo più triennali gli Stati Uniti fornirà all’economia 787 miliardi di dollari (620 miliardi di euro) tra questo e l’anno prossimo, senza contare gli oltre 700 stanziati nel 2008 per sostenere il sistema finanziario.

L’Unione Europea si è mossa in ordine sparso e ogni governo ha guardato alle crisi più pesanti nel proprio cortile (le banche per il Regno Unito, l’industria automobilistica per la Germania, la disoccupazione in Spagna e il debito pubblico in Italia), variando così ripartizione e entità di ogni dei singoli pacchetti. Sommati arrivano a 350 miliardi di euro spalmati in più anni, in cui vanno considerati anche lo sforzo messo a carico sul bilancio comunitario: 30 miliardi per progetti comunitari e 50 a sostegno dei paesi dell’Est europa.

Non mancano però i punti comuni che li rendono in qualche modo confrontabili: negli aiuti alle famiglie lo sforzo maggiore lo ha fatto la Germania con 20 miliardi di mancate entrate per la riduzione delle aliquote fiscali, segue la Spagna con 14 miliardi. Nella riduzione del peso fiscale per le imprese e nel sostegno ai flussi di credito testa a testa tra Spagna e Francia (17 a 16 miliardi). Negli investimenti in infrastrutture stravince le Germania (25 miliardi).

Discorso a parte per l’Italia, secondo l’Fmi solo lo 0,2% del Pil – poco meno di 2,8 miliardi e un decimo della media mondiale – è utilizzabile come stimolo: qualche modifica in corsa alla Finanziaria e i due miliardi del dl anti-crisi che ha incentivato gli acquisti di auto moto ed elettrodomestici. Il governo dichiara invece un pacchetto da 40 miliardi di cui 16 nel 2009. La spiegazione di tale discrepanza sta nella relazione del ministero del Tesoro (Ruef): “Il governo è intervenuto soprattutto anticipando l’approvazione della manovra a giugno. A settembre quando la crisi finanziaria si è rivelata nella sua gravità, pur prevedendo interventi sostanziali non ha alterato gli effetti della manovra” che prevedeva il taglio della spesa pubblica di 59,4 miliardi in 3 anni. Una scelta mai rinnegata e che zavorrerà la ripresa nazionale. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Il capo del governo dice che la crisi sta passando, la presidente di Confindustria dice che non è vero.

Marcegaglia spegne gli entusiasmi “Uscita da crisi? Lunga e dolorosa” Per gli industriali la crisi non può essere l’alibi per non fare riforme necessarie di ROBERTO MANIA-repubblica.it

La parola “depressione” per definire questa crisi economica, Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria non l’aveva ancora usata. Forse in Italia non l’aveva pronunciata ancora nessuno. Ma questo è l’umore degli industriali a quattro giorni dall’Assemblea generale della Confindustria. D’altra parte è ancora fresco di inchiostro l’ultimo crollo del Pil con il timbro dell’Istat: -5,9%, il peggiore dal 1980. “Siamo in una crisi molto profonda, inedita e senza paragoni”, ha detto ieri il presidente di Viale dell’Astronomia. E poi: “E’ la peggiore dalla depressione del 1929 a oggi”. Con una differenza fondamentale rispetto a quella degli anni Trenta: l’intervento sufficientemente tempestivo dei governi a chiudere le falle. Dunque “anche se il peggio è alle spalle – ha detto Marcegaglia – la nostra percezione è che la strada per l’uscita dalla crisi sarà lunga, complicata e dolorosa per arrivare di nuovo ad un livello accettabile”. Crisi a L, direbbero gli esperti: con un Pil destinato a essere per lungo tempo stabile, ma fiacco, dopo aver toccato il fondo. Proprio come durante la Grande Depressione.

Così dell’analisi tendenzialmente rassicurante della coppia Berlusconi-Tremonti la Confindustria condivide di certo solo un aspetto: che il peggio è alle spalle, probabilmente. Bisogna riconoscere che non è molto. E lo si vedrà giovedì all’Auditorium di Renzo Piano a Roma all’appuntamento annuale più importante degli industriali: Marcegaglia chiederà al governo di cambiare registro. Perché non è vero che una volta usciti dalla crisi saremo più forti. Anzi. Se un ragionevole uso della leva finanziaria ci ha salvaguardati dal tracollo andato in onda in altri paesi, dagli anglo-sassoni alla Spagna, e se l’imprenditoria diffusa è ancora un fattore di forza per la nostra economia, senza il “coraggio” delle riforme strutturali rischiamo di andare (o rimanere) in serie B. Non ci si può scordare – è la tesi degli industriali – che da anni – ben prima della crisi dei subprime – l’economia italiana cresceva a tassi inferiori a tutti i suoi concorrenti.

Riforme, allora, per ridurre il peso della spesa pubblica (già oltre il 50 per cento del nostro Pil), fluidificare i processi decisionali, ammodernare le istituzioni, chiudere la stagione dello statalismo municipale e far fare un passo indietro all’invadenza della politica. Insomma, previdenza e liberalizzazioni sono in cima alla lista confindustriale. Questo – secondo Marcegaglia – è il momento di sfidare l’impopolarità, l’ostracismo e i veti delle lobby. Anziché fissare costantemente l’asticella del termometro del consenso. “E’ il momento di fare”, dirà la Marcegaglia proprio a Berlusconi. Il che non vuol dire – spiegano a Viale dell’Astronomia gli uomini dello staff che stanno limando il discorso del presidente – una bocciatura dell’azione di governo: vuol dire che bisogna fare di più. Molto di più. Perché la crisi non deve rappresentare l’alibi dell’immobilismo sulle pensioni, sugli sprechi nella sanità (soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno), sulle carenze infrastrutturali, sulle politiche ambientali ed energetiche. Non sarà una bocciatura, ma nemmeno una promozione per il primo anno di legislatura del governo Pdl-Lega.

La Confindustria, insomma, si aspettava di più.
Intanto chiede alla pubblica amministrazione di pagare subito i crediti alle imprese (in particolare quelle di piccole dimensioni) che continuano ad avere difficoltà ad accedere ai finanziamenti bancari. All’appello – secondo le stime degli imprenditori – mancano dai 60 ai 70 miliardi, mentre Tremonti è disposto a non andare oltre 30 miliardi di euro. Perché con un Pil che non sale e una spesa che non scende anche il controllo del deficit è molto a rischio. E non basta l’ottimismo. (Beh,buona giornata).

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democrazia

La solitudine del “papi”.

Dietro gli attacchi alla stampa c’è la solitudine del premier di Stefano Folli-sole24ore.com

Le ultime settimane hanno messo in luce una parziale novità: la solitudine di Silvio Berlusconi. Una solitudine politica che nessun sondaggio d’opinione, per quanto confortante, riesce a lenire. L’aspetto curioso è che questa condizione si è delineata all’indomani di un momento trionfale, come è stato il congresso da cui è nato il Popolo della Libertà. Senza contare le giornate drammatiche del terremoto dell’Aquila, quando l’impegno del presidente del Consiglio e dei suoi collaboratori ha spinto in alto tutti gli indici di gradimento.

Poi qualcosa si è incrinato. Lo riconosce persino un giornale amico, ma non privo di senso critico, come Il Foglio: «La luna di miele tra Silvio Berlusconi e il paese è finita» scriveva ieri. Pur aggiungendo: «In compenso, l’opposizione non sembra arrivata nemmeno al primo appuntamento». Ma questa mancanza di alternativa, dovuta alla debolezza e peggio alla confusione in cui arranca il Pd, non cancella l’impressione che qualcosa è cambiato nel rapporto di tipo carismatico fra Berlusconi e gli italiani.

Può darsi, anzi è probabile, che i risvolti pratici siano per ora irrisori. Le elezioni europee e amministrative si annunciano come un buon successo, forse ottimo, per le liste di centro-destra. Tuttavia il leader appare nervoso e inquieto come mai in passato. Soprattutto appare solo. Il modo in cui ha replicato a Repubblica è emblematico.
Il giornale, come è noto, ha riassunto in dieci domande gli interrogativi che molti si sono posti intorno al «caso Letizia», la famiglia di Casoria presso cui il premier si è recato a festeggiare il compleanno della diciottenne Noemi, figlia di un uomo del posto che gli è amico da lunga data.

I quesiti sono insidiosi, ma rientrano nella prassi della libertà di stampa e nei doveri di un giornale che non intende fare sconti al politico più potente del paese. Logica voleva che Berlusconi rispondesse con stile. Magari eludendo con astuzia i punti scomodi, ma accettando la sfida della trasparenza cui era chiamato da uno dei più autorevoli quotidiani nazionali. Viceversa il premier ha diffuso a caldo un comunicato stizzito in cui si parlava di «odio» e di «invidia» nei suoi confronti. Ieri, in una conferenza stampa dedicata ad altri temi, ha rifiutato di rispondere ai giornalisti che lo sollecitavano. Purtroppo non si tratta di una prova di forza, ma di debolezza. Per meglio dire, si tratta di un errore che rischia di avere conseguenze imprevedibili. Perché non è normale che un presidente del Consiglio in carica attacchi i giornali sgraditi e rifiuti di chiarire una vicenda controversa che lo riguarda.

Anche questo dà l’idea di un personaggio solo e irrequieto. Poche voci si sono levate in sua difesa dopo il «caso Letizia» e la crisi matrimoniale che ne è seguita. L’ambiguità alimentata fin dall’inizio (affare privato, affare pubblico?) non ha fatto che peggiorare la situazione e anche sul piano politico Berlusconi ha raccolto scarsa o nulla solidarietà dai suoi alleati. Bossi lo ha criticato subito, molti altri hanno taciuto. Nel frattempo l’orologio della politica ha scandito altri passaggi: la vittoria della Lega sull’immigrazione, i pesanti rilievi del capo dello Stato sui rischi di xenofobia, le critiche dell’Onu, i problemi della ricostruzione in Abruzzo. E adesso i dati del Pil in caduta verticale. A Palazzo Grazioli il premier si consola con i sondaggi elettorali. Ma è il primo a sapere che occorre un colpo d’ala, pena il declino. (Beh, buona giornata).

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