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Luciano Colavero e come si scrive per il teatro.

Due riflessioni sulla composizione dell’azione.

Una di Jurij Alschitz, che tocca la questione dal punto di vista dell’attore:

«La creazione da parte dell’attore della propria composizione del ruolo è la strada verso l’indipendenza artistica, che fa dell’attore l’autore del proprio ruolo.

Il ruolo è li risultato dell’interpretazione artistica individuale data dall’attore alla parte e al personaggio creati dal drammaturgo. Il ruolo dunque, in un certo senso, è il racconto che fa l’attore della storia scritta dall’autore drammatico. [La] parte elaborata dall’autore, passa attraverso la sensibilità artistica dell’attore. Se la composizione delle scene, l’ordine degli atti, delle parole appartiene all’autore, la composizione delle immagini, dei sentimenti, dele associazioni appartiene all’attore che crea la composizione della vita spirituale del ruolo. Se il ruolo viene inteso in questo senso, l’attore non ha limiti nella creazione. La sua composizione del ruolo può quindi non coincidere con quella dell’autore, pur essendone strettamente correlata.

La domanda fondamentale che l’attore si deve porre è se questo divario non sia gratuito, se sia realmente necessario al fine di far comprendere meglio l’idea della parte e del personaggio. Il lavoro del drammaturgo, dell’attore e del regista è subordinato a un’unica idea artistica. La composizione rispecchia i gradini della spirale che porta verso l’idea.»

L’altra riflessione è di Eugenio Barba, che guarda alla composizione anche dal punto di vista del regista:

«[…] “comporre” (porre con) significa “montare”, mettere assieme, tessere azioni: creare il dramma […].

Se le azioni degli attori possono costituire qualcosa di analogo a strisce di pellicola che sono già il risultato di un montaggio, è possibile usare questo montaggio non come un risultato, ma come materiale per un montaggio ulteriore. È, in genere, il compito del regista, che può intrecciare le azioni di più attori in una successione per cui l’una sembra rispondere all’altra o in uno svolgimento simultaneo, in cui il senso dell’una e dell’altra deriva direttamente dal loro essere compresenti. […]

Nel montaggio del regista le azioni, per divenire drammatiche, debbono ricevere un’altra valenza che abbatte il significato e le motivazioni per cui le azioni erano state composte dagli attori.

È questa nuova valenza che fa andare le azioni al di là dell’atto che esse, di per sé, rappresentano. Se io cammino, cammino e basta. Se mi siedo, mi siedo e basta. Se mangio, non faccio che mangiare. Se fumo, non faccio che fumare. Sono atti che illustrano se stessi, che si esauriscono in sé.

Ciò che fa trascendere le azioni, e le spinge al di là del loro significato illustrativo, deriva dalla relazione per cui sono poste nel contesto di una situazione. Messe in relazione con qualcosa d’altro, diventano drammatiche. Drammatizzare un’azione significa introdurre un salto di tensione che la obbliga a svilupparsi verso significati differenti da quelli originari.

Il montaggio, insomma, è l’arte di porre le azioni in un contesto che le faccia deviare dal loro significato implicito.»

Due sguardi, diversi e complementari, che ci ricordano quanto la composizione sia uno strumento di lavoro fondamentale per essere attori e registi creativi e non meri interpreti di un progetto altrui.

Luciano Colavero, regista, drammaturgo e pedagogo teatrale.
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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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