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Attualità

A scuola di borghesia.

“A Firenze, e nella maggior parte delle altri città su cui si hanno notizie, un ragazzo nelle scuole laiche private o municipali – le alternative erano le scuole religiose, allora piuttosto in declino, o una delle poche scuole umanistiche – riceveva due gradi di istruzione.

Per circa quattro anni, a partire dall’età di sei o sette anni, egli frequentava una scuola elementare o botteguzza, dove imparava a leggere e scrivere e alcune nozioni di base di corrispondenza commerciale e formule notarili.

Poi, per circa quattro anni, a partire dall’età di dieci-undici anni, la maggior parte perseguiva gli studi in una scuola secondaria, l’abbaco.

Qui essi studiavano alcuni libri un po’ impegnativi come Esopo e Dante, ma la maggior parte dell’insegnamento era a questo punto basato sulla matematica.

Pochi proseguivano ulteriormente ed entravano all’università per diventare avvocati, ma per buona parte della gente appartenente alla borghesia le nozioni matematiche acquisite nella scuola secondaria costituivano il nucleo centrale della loro formazione intellettuale e della loro cultura.

Molti dei loro manuali esistono ancora oggi e ci si può rendere conto molto chiaramente della natura di questa matematica: era una matematica commerciale strutturata sulle esigenze del mercante e entrambe le sue principali nozioni sono profondamente inserite nella pittura del Quattrocento”. (Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento”, Michael Baxandall, Einaudi.)

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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