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Le teorie del signor Meno Peggio, alias prof. Romano Prodi.

Da giorni, il professor Romano Prodi si sta sperticando per sponsorizzare l’“effetto Serra”. Come suo costume politico, fin dai tempi in cui Massimo D’Alema, allora segretario del Pd, ce lo spinse addosso come leader dell’Ulivo, il suo punto di vista è il mantra del “meno peggio”, malattia venerea della sinistra neoliberista italiana. 

Tutto cominciò con l’IRI, di cui fu presidente dal 1982 al 1989 e poi ancora tra il 1993 e 1994, quando il nostro eroe ritenne che alla crisi dell’Istituto bisognasse rispondere con la privatizzazione di tutte aziende a capitale pubblico, perché era la scelta “meno peggio” per il PIL italiano. Alla fine, la sinistra italiana si ammalò di neoliberismo, mentre il mercato emesse la sentenza definitiva: il meno cadde e rimase solo il peggio.

Lo stesso accadde quando divenne presidente della Commissione europea, e il “meno peggio” avrebbe dovuto essere l’ingresso della lira nell’euro. In seguito, Prodi non riuscì neppure a essere il “meno peggio” di Berlusconi, che riuscì a battere due volte, ma non a sconfiggerlo, perché tra un’olgettina e l’altra il cavaliere montò in sella per la terza volta, non senza l’aiuto di Veltroni. Più peggio di così.

Ma veniamo all’ “Effetto Serra”, cioè alla manifestazione convocata a piazza del Popolo a Roma, dalla quale chi sa quanti e quali benefici effetti europeisti dovrebbero scaturire.

Nella sua intervista a Repubblica e nel suo intervento in tv da Fazio, riecco la teoria del “meno peggio”: la pace armata che ha votato il Parlamento europeo è “meno peggio” della guerra, dice il professore. Lo dimorerebbero, secondo la sua tesi, gli ottanta anni di pace garantiti dalla Nato all’Europa. 

Questa è una vera e propria cineseria, cioè quella inutile cavillosità di chi vorrebbe convincerci con teorie oziose, senza contare lo specifico riferimento alla cattedra che il nostro ha a Pechino, nell’università privata intitolata a Gianni Agnelli, di proprietà della Exor di Elkann. 

Ottanta anni di pace? Il professore ci vuole far dimenticare la Guerra Fredda? La guerra civile in Grecia? E il successivo regime dei colonnelli? Non si ricorda il fascismo in Spagna e Portogallo? La guerra civile contro i baschi e contro gli irlandesi nell’Ulster? Dimentica le stragi fasciste foraggiate dalla Cia in Italia per intimorire la classe operaia? E dopo la caduta del Muro, la guerra nella ex Jugoslavia e i bombardamenti di Belgrado? 

Se è una pace armata fino ai denti il motivo che dovrebbe convocarci in piazza che lui e le anime perse della sinistra liberale ci vogliono proporre oggi, la risposta è semplice: al “meno peggio” abbiamo già dato.

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Tesla di cavolo.

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Serra/te i ranghi.

I partiti socialisti si liquefecero in occasione della Prima guerra mondiale, solubili all’interventismo che spianò la strada alla carneficina imperialista prima e al fascismo poi, per sfociare nel nazifascismo, tragico protagonista della Seconda guerra.

Oggi la storia ha una tale voglia di ripetersi da produrre la farsa del voto a maggioranza del Parlamento europeo, per sperperare un enorme quantità di euro per le armi.

Tuttavia, la storia è maligna: così invece di dire un forte e chiaro NO alla guerra imperialista – cui l’Ue ha fretta di partecipare -, ecco che la “sinistra” chiama la piazza: per quale Europa? Per quella neo-interventista?

Il quotidiano Repubblica, passato dalla direzione di un feroce sionista, come è stato il tristo Molinari a quella di un Orfeo che, come nella mitologia, cerca di andare a prendere la pace negli inferi della Nato, ma si gira e quella diventa di sale, così che sponsorizza l’Effetto Serra della cultura politica progressista italiana.

Care anime belle della politica, della cultura, del pensiero scientifico, incapaci, come state dimostrando, di elaborare il lutto di quella coscienza di classe, che un tempo alimentava il vostro impegno politico e sociale, vi siete ormai ridotte a Serra/re i ranghi, come una sgangherata pattuglia di coscritti bellicisti, che brancola nella nebbia della mera propaganda europeista.

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In mano a chi è “ReArm Europe”?

Durante il suo mandato come Ministra della Difesa in Germania (2013-2019), Ursula von der Leyen ha affrontato critiche riguardanti la gestione delle forniture militari.

In particolare, nel 2015, l’opposizione e alcuni esperti hanno sollevato preoccupazioni sull’acquisto di 138 elicotteri da guerra per la Bundeswehr, costati 8,5 miliardi di euro.

Questi elicotteri presentavano numerosi problemi tecnici, tra cui avarie ai motori negli NH90 che quasi causarono incidenti, e difetti nel software che potevano portare a cortocircuiti.

Tali problematiche portarono alla sospensione temporanea delle operazioni di volo per l’intera flotta. Nonostante ciò, la marina e l’esercito sottolinearono l’urgenza di sostituire i velivoli obsoleti. 

Inoltre, nel 2014, von der Leyen ha promesso di affrontare le problematiche legate al budget delle attrezzature militari tedesche, dopo la pubblicazione di un rapporto KPMG che evidenziava ripetuti fallimenti nel controllo dei fornitori, dei costi e delle scadenze di consegna.

Ad esempio, ci sono stati ritardi e problemi di qualità con l’aereo da trasporto Airbus A400M Atlas, il caccia Eurofighter Typhoon e il veicolo corazzato Boxer.

Nel 2015, ha criticato pubblicamente Airbus per i ritardi nella consegna degli A400M, lamentando seri problemi di qualità del prodotto.

Sotto la sua guida, il ministero ha negoziato compensazioni per questi ritardi, inclusi 13 milioni di euro per i ritardi nelle consegne del secondo e terzo A400M, e ulteriori 12,7 milioni di euro per il ritardo nella consegna di un quarto aereo. 

Queste vicende hanno sollevato dubbi sulla gestione degli appalti militari durante il suo mandato, contribuendo alle controversie che hanno caratterizzato la sua leadership al Ministero della Difesa.

Ecco chi è frau “Pace con la forza”.

Nelle tasche di chi andranno gli 800 miliardi di euro per il riarmo?
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Doppio incidente.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

C’è un doppio incidente stradale dietro la morte di Marco Galaverni, titolare con il fratello Paolo di un’azienda agricola di Bagnolo in Piano (Reggio Emilia), che ha l’appalto per il concime prodotto da Sabar, gestore dei servizi ambientali per i comuni della Bassa Reggiana.

Lunedì 10 marzo un trattore che trasportava concime ha avuto un incidente a Novellara, su Strada della Vittoria, in cui sono rimaste ferite due donne.

Il trattorista non aveva con sé i documenti del mezzo e ha chiamato Paolo Galaverni per farseli portare. L’uomo ha girato la richiesta al fratello, che è partito con il Doblò aziendale per consegnarli.

Arrivato su Strada della Vittoria, una via di campagna, si è scontrato con un altro Doblò. Uno schianto violentissimo, in cui Marco Galaverni è morto sul colpo. In prognosi riservata il 25enne alla guida dell’altra vettura, trasportato dall’elisoccorso all’ospedale di Parma.

#marcogalaverni#mortidilavoro

Marzo 2025: 23 morti (sul lavoro 18; in itinere 5; media giorno 2,3)

Anno 2025: 185 morti (sul lavoro 153; in itinere 32; media giorno 2,7)

35 Lombardia (sul lavoro 25, in itinere 10)

24 Veneto (20 – 4)

15 Emilia Romagna (9 – 6)

14 Puglia (13 – 1)

13 Toscana, Campania (11 – 2)

12 Piemonte (12 – 0)

10 Lazio (8 – 2)

9 Sicilia (9 – 0)

8 Abruzzo (8 – 0)

7 Calabria (7 – 0)

4 Umbria, Basilicata (4 – 0); Liguria (3 – 1)

3 Trentino (3 – 0); Marche, Sardegna (2 – 1)

2 Alto Adige (2 – 0)

1 Friuli Venezia Giulia (1 – 0); Molise (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

Febbraio 2025: 75 morti (sul lavoro 63; in itinere 12; media giorno 2,7)

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La mala informazione.

di Paolo Guenzi

Ci sono nei fatti due cose: scienza e opinione; la prima genera conoscenza, la seconda ignoranza. (Ippocrate)

Solo per fare un esempio emblematico, dal quale scaturiscono peraltro numerose implicazioni gravemente preoccupanti, si stima che nel 2020 il tempo medio di attenzione degli utenti sui social network fosse di 8 secondi (contro i 12 del 2000, peraltro) e quello continuativo dedicato a leggere un articolo online fosse di 15 secondi (secondo Jacques Attali, in “Disinformati. Giornalismo e libertà nell’epoca dei social”, Ponte alle Grazie, 2022).

Informare e informarsi è impegnativo e faticoso, ed è quindi incompatibile con simili tempi. Questo è un problema, perché si tratta di attività essenziali per la democrazia e in generale per il benessere e lo sviluppo della società.

La maggior parte degli esseri umani cerca di economizzare sul consumo delle proprie risorse, è quindi naturale che persegua e apprezzi il disimpegno.

Ecco allora che nei mezzi di pseudo-informazione di massa si affermano contenuti quali sport, moda, gossip, insomma il futile prevale largamente sull’utile, l’intrattenimento sull’informazione.

Come visto, si tratta di un ingranaggio tipico del marketing dell’ignoranza. (Paolo Guenzi, “Il marketing dell’ignoranza“, Egea)

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Le origini del revisionismo storico.

di Bettina Stangneth

Il vizietto nazista di bruciare pubblicamente montagne di libri ha dimostrato l’attenzione dal fatto che il nazionalsocialismo nutriva un grande, se non addirittura eccessivo, rispetto per la parola scritta.

I libri venivano bruciati perché si attribuiva loro un grande potere, in altre parole, li si temeva. Questa paura di perdere l’esclusiva dell’interpretazione era una dei moventi fondamentali dei nazisti.

L’uomo del primo Novecento aveva abbastanza esperienza del libro come mezzo di comunicazione di massa, da sapere che la storia non si limita ad accadere, ma viene scritta per le generazioni a venire.

Il fatto che l’“atto creativo” fosse sempre preceduto dalla lotta e dalla distruzione delle creazioni esistenti rispecchiava la tendenza radicale e aggressiva di Adolf Hitler.

Sin dal principio la consapevolezza con la quale i nazisti rielaborarono la storia non si estrinsecò solo nelle azioni, ma in un vero e proprio progetto culturale e, in questo caso, letterario: l’attività culturale venne denigrata in quanto “ebreicizzata”, intere branche della scienza furino screditate in quanto “troppo soggette all’influenza straniera”.

Il libro, dunque, era considerato uno dei più efficaci strumenti di potere in mano al nemico, in particolare agli ebrei. Selezionare e bruciare i libri – come in seguito si fece con le persone – fu solo il primo passo.

Il secondo fu quello di prendersi cura e di coltivare la propria razza e di dare vita a una propria scienza e cultura. Quindi servivano libri propri, sia in ambito artistico che scientifico, perché si credeva che con lo specifico approccio nazista si fossero finalmente gettate le basi che consentivano di trasformare la scienza e l’arte in un scienza tedesca e in un’arte tedesca.

Questo è il motivo per cui sotto il nazionalsocialismo venne prodotto un n numero impressionante di libri – e la reinterpretazione del sapere esistente fu devastante fin dall’inizio. (Bettina Stangheth, “La verità del male, Eichmann prima di Gerusalemme”, LUISS).

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Si lavorava senza misure di sicurezza: niente che somigliasse a caschi, imbracature, reti. E la tanto decantata patente a punti nei cantieri?

Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Alaa Abdelkarim Ramadan Ragarb aveva 35 anni, era arrivato a Torino dall’Egitto e lavorava per un lontano cugino, titolare di una ditta che allestisce ponteggi nei cantieri edili.

Venerdì 7 marzo è stato portato in condizioni disperate all’ospedale San Giovanni Bosco di Torino. Al pronto soccorso i suoi accompagnatori hanno detto che era caduto dentro casa.

I medici hanno capito subito che si trattava di una balla colossale, incompatibile con le lesioni, e hanno allertato la polizia.

Mentre Alaa moriva, la verità è saltata fuori: il lavoratore era caduto da un’altezza di circa 10 metri in un capannone di Leinì per il cedimento del tetto durante il montaggio dei ponteggi.

In quel cantiere si lavorava senza misure di sicurezza: niente che somigliasse a caschi, imbracature, reti. Probabilmente nulla che somigliasse a un contratto. La procura indaga per omicidio colposo, che è il minimo. Sarebbe interessante avere un commento della ministra Calderone sul ruolo della tanto decantata patente a punti nei cantieri.

Carlo Cacciaguerra, operaio 55enne alla Bonfiglioli di Forlì, è morto venerdì 7 marzo mentre in moto tornava a casa a Castrocaro (Forlì Cesena).

Alla periferia del capoluogo romagnolo si è schiantato contro la fiancata di un tir che usciva dal piazzale di un’azienda ed è morto sul colpo.

Sabato 8 marzo c’è stata la prima vittima del 2025 in Friuli Venezia Giulia. Si tratta di Cristina Doretto, 51enne insegnante di geografia alle medie di San Michele al Tagliamento (Udine), che alle 8 si è sentita male mentre si preparava ad accompagnare una classe in gita scolastica: «Non mi sento bene, il cuore fa le bizze», le sue parole ai colleghi. Trasportata in emergenza all’ospedale di Udine, si è spenta poco dopo.

Giuseppe Scafidi, operaio 67enne della Rap (servizi ambientali di Palermo), residente a Baucina, è morto domenica 9 marzo intorno alle 8, mentre con un camion compattatore effettuava il giro di raccolta dei rifiuti nella zona di via Ernesto Basile.

Il lavoratore, che a novembre sarebbe andato in pensione, ha accusato un malore, è sceso dal mezzo e si è accasciato. I colleghi hanno allertato i soccorsi ma Scafidi si è spento poco dopo l’arrivo all’ospedale Civico.

#carlocacciaguerra#cristinadoretto#giuseppescafidi#mortidilavoro

Marzo 2025: 22 morti (sul lavoro 17; in itinere 5; media giorno 2,4)

Anno 2025: 184 morti (sul lavoro 152; in itinere 32; media giorno 2,7)

35 Lombardia (sul lavoro 25, in itinere 10)

24 Veneto (20 – 4)

14 Puglia (13 – 1); Emilia Romagna (8 – 6)

13 Toscana, Campania (11 – 2)

12 Piemonte (12 – 0)

10 Lazio (8 – 2)

9 Sicilia (9 – 0)

8 Abruzzo (8 – 0)

7 Calabria (7 – 0)

4 Umbria, Basilicata (4 – 0); Liguria (3 – 1)

3 Trentino (3 – 0); Marche, Sardegna (2 – 1)

2 Alto Adige (2 – 0)

1 Friuli Venezia Giulia (1 – 0); Molise (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

Febbraio 2025: 75 morti (sul lavoro 63; in itinere 12; media giorno 2,7)

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Perché venire a vedere “Dannazione donna” domenica 9 marzo alle 17,00 al Teatro Alpi di Sacrofano?

In Italia le donne guadagnano il 20 per cento in meno degli uomini. Nella finanza e nell’hi-tech, le nuove professioni, la differenza cresce fino al 30 per cento. In una società basata sul profitto, chi guadagna di meno, vale di meno. Non è giusto.

“Dannazione donna”, ambientata in una grande azienda, è una commedia a tinte forti, fa ridere, fa indignare, fa commuovere, fa rimanere senza fiato, ma soprattutto fa pensare: vi sorprenderà con un finale stratosferico.

Un’occasione speciale per partecipare alla Giornata mondiale della donna, organizzata da La Nuova Sacrofano, la compagnia Signori chi è di scena e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Sacrofano. L’ingresso è libero. Liberatevi di ogni impegno e venite a teatro.

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Attualità

La terza guerra è cominciata, contro di noi.

Dopo l’inflazione, provocata dall’eccessiva emissione di euro e dal conseguente aumento dei tassi d’interesse, per restringerne la circolazione, – che tanta soddisfazione ha data alle locuste della finanza -, ecco la terza guerra contro i redditi da lavoro: la folle corsa agli armamenti.

“Dobbiamo difenderci”, dice Ursula von der Leyen. In realtà, vogliono sottrarre alla spesa sociale 800 miliardi di euro, per la gioia ingorda dei costruttori di sistemi d’arma. Siamo alle solite: la pace va bene solo se permette profitti, se no meglio la guerra, come sempre.

Ancora una volta, la storia ci regala la storia di prima: ci obbligano a scavare trincee contro un nemico che non è quello che ci indicano, ma loro stessi che ce lo indicano. 

L’Europa è in stagnazione sia economica che politica, con una classe dirigente allo sbando, in balia dei rispettivi scarsi consensi elettorali, tanto incapace di gestire le contraddizioni, ne diventa parte attiva, aggravando tensioni sociali e internazionali.

 Il mito della democrazia liberale – che, incapace di gestire le tensioni sociali, un secolo fa provocò l’avvento del fascismo in Europa, sfociata nella catastrofe della guerra – torna sotto forma di pandemico bellicismo, per favorisce le spinte corporative, reazionarie, sovraniste, protezionistiche, nazionaliste.

 Il populismo antipopolare di Trump dilaga nelle cancellerie europee. Macron, Merz, Meloni e von der Leyen vorrebbero tutti essere come lui, avere mano libera per disfarsi definitivamente dello stato sociale, delle prassi costituzionali, e avere cortigiani ricchi e potenti come gli oligarchi tecnocrati della Silicon Valley e dintorni.

Vorrebbero un’Europa sul modello degli Usa, capace di spadroneggiare, prendersi le nuove risorse energetiche ovunque si trovino, come nell’era colonialista. Un’Europa imperialista, che si senta alla pari con gli altri imperi del mondo.

Lo sanno meglio di noi che non è Putin il nemico da battere: con lui basterebbe poco, basta dargli quello che gli fu promesso tanto tempo fa, cioè stare alla larga dai suoi confini, che poi è quello che rientra nella stessa logica imperiale di tutte le super potenze.

La guerra in Ucraina è stata la mela avvelenata con cui la Nato ha intossicato un’ Europa che è caduta in catalessi politica e diplomatica, il cui torpore continua a offuscarne il senso delle proporzioni: credere che l’Ucraina potesse battere la Federazione Russa è una colpa che non sarà dimenticata dalla storia; credere che Trump e Putin non facciano accordi anche senza il consenso di Bruxelles è comportarsi da Biancaneve e i 27 nani.

La verità è che il vero nemico siamo noi. Quelli che lavorano, comprano, pagano le tasse, votano. Quelli che a volte smettono di pensare come società civile e democratica, che avrebbe forte il bisogno di sanità, istruzione, previdenza, progresso culturale e scientifico, uguaglianza e redistribuzione della ricchezza; quelli che troppo spesso ancora sperano che dalla famigerata manina invisibile del libero mercato qualche briciola di ricchezza cada tra le nostre mani. 

“Dobbiamo difenderci”, dice von der Leyen. Siamo noi il nemico, e loro temono arrivi il giorno che smetteremo di credere alle fandonie del neoliberismo, alla politica della propaganda, ai trucchi finanziari, alle mistificazioni del marketing e torneremo finalmente a pensare, a ragionare, a lottare per progettare un paese, un’Europa un mondo che non abbia mai più voglia dei Trump, Macron, Merz, Meloni e von der Leyen.

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Tre morti di lavoro nelle ultime 24 ore.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Tre vittime in meno di 24 ore in Toscana, regione che al 5 febbraio conta 13 morti di lavoro, uno ogni 5 giorni. È lo stesso dato del 2024, quando però a febbraio c’era stata la strage (5 vittime) nel cantiere per la nuova Esselunga di Firenze.

Irene Furiesi, architetta 37enne di Tavarnelle Val di Pesa (Firenze), madre di due gemelli di 4 anni, è morta nel pomeriggio di martedì 4 marzo in un incidente stradale sulla statale 741, il bypass del Galluzzo.

Stava andando al lavoro all’aeroporto di Firenze Peretola, dove in 15 anni di lavoro da semplice agente di rampa era diventata responsabile dei servizi di terra (duty officer) per Toscana Aeroporti Handling. In una galleria del bypass si è scontrata frontalmente con un’altra automobile ed è morta sul colpo. Ancora da stabilire cause e modalità dello scontro.

Alessandro Guerra, operaio 57enne di Verghereto (Forlì Cesena), sposato, 2 figli, è morto mercoledì 5 marzo in un cantiere comunale ad Arezzo, aperto per consolidare un muro di contenimento e affidato alla ditta EdilBalze, di cui Guerra era dipendente.

Sul fatto circolano diverse versioni, perché al momento dell’incidente il lavoratore era da solo. La più credibile parla della caduta da un muletto durante lo spostamento di materiali: il lavoratore avrebbe battuto la testa e sarebbe spirato quasi subito.

A Bucine (Arezzo), un pensionato 89enne è morto mentre ripuliva un suo terreno dando fuoco a sfalci e potature. Non è chiara la causa dell’incidente, perché l’anziano era da solo.

Dopo l’allarme lanciato dai familiari, che non lo vedevano rientrare, è stato trovato senza vita, con qualche segno di ustione, il che lascia supporre che potrebbe essere stato vittima di un malore o dei fumi inalati.

Giancarlo Piga, 41 anni, moglie e 3 figlie, vigile del fuoco in servizio a Olbia, è morto mercoledì 5 marzo mentre con un trattore lavorava un terreno di famiglia a Oliena (Nuoro).

La causa: ribaltamento del mezzo agricolo, per motivi da accertare. Piga, figlio di vigile del fuoco, solo da tre anni aveva ottenuto la stabilizzazione come effettivo, dopo un lungo precariato.

Un 61enne di Inverno e Monteleone (Pavia), dipendente della falegnameria San Giorgio di Villanterio (Pavia), è stato trovato senza vita lunedì 3 marzo in un’area in cui era al lavoro da solo.

La scoperta è stata fatta dai suoi colleghi, preoccupati perché non lo vedevano tornare. Si ipotizza che al momento del ritrovamento il lavoratore fosse morto già da un paio d’ore, per cause da stabilire.

#irenefuriesi#alessandroguerra#giancarlopiga#mortidilavoro

Marzo 2025: 10 morti (sul lavoro 9; in itinere 1; media giorno 2)

Anno 2025: 172 morti (sul lavoro 144; in itinere 28; media giorno 2,7)

34 Lombardia (sul lavoro 24, in itinere 10)

22 Veneto (19 – 3)

14 Puglia (13 – 1)

13 Toscana, Campania (11 – 2)

11 Piemonte (11 – 0)

10 Lazio (8 – 2); Emilia Romagna (7 – 3)

8 Abruzzo (8 – 0)

7 Calabria, Sicilia (7 – 0)

4 Umbria, Basilicata (4 – 0); Liguria (3 – 1)

3 Marche, Sardegna (2 – 1)

2 Trentino, Alto Adige (2 – 0)

1 Molise (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

Febbraio 2025: 75 morti (sul lavoro 63; in itinere 12; media giorno 2,7)

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Il servitore di due padroni.

Fino a ieri giurava di voler entrare nella Ue e nella Nato. Oggi promette: “Pronti a lavorare sotto guida di Trump per pace”. Zelensky sembra recitare la parte di “Arlecchino, servitore di due padroni”.

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Gintoneria?

Fino a sentenza definitiva, la figliola di Wanna Marchi ha conquistato il titolo di miss Marchette.

Ma i suoi clienti, capaci, pare, di spendere 70 mila euro a botta (ogni riferimento è certamente voluto) per una serata di bacco, coca e venere, rientrano nella categoria sociologica dei mangiatori di pane a tradimento: 70 mila euro in un serata debosciata sono lo stipendio annuo di due lavoratori dipendenti italiani.

Come diceva l’avvocato buonanima di un noto fruitore di “cene eleganti”, i clienti di miss Marchette verranno semplicemente classificati come “utilizzatori finali” e quindi penalmente esenti da sanzioni, al massimo si beccheranno la nomea di “pirla”: ai riccastri si perdona tutto, finché dispongono di rendite da prosciugare, come al “giovin signore” di Parini, tanto per rimanere a Milano.

È invece imperdonabile l’insegna “Gintoneria”, “a schifezza ra schifezza ra schifezza ‘e l’uommene”, che si merita il grande pernacchio di Eduardo.

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Febbraio chiude con 75 vittime, marzo apre con 4 morti di lavoro.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Alle 4 del mattino di lunedì 3 marzo Fabrizio Casafina, 57enne di Roma, è arrivato con il furgone davanti al cancello della ditta di trasporti Guidonia Montecelio – 30 km a est della Capitale – per cui lavorava.

È sceso per aprire il massiccio cancello ma il pesante manufatto è uscito dalle rotaie e gli è caduto addosso, schiacciandolo. Il custode dell’azienda ha lanciato l’allarme ma quando i soccorritori sono arrivati sul posto Casafina era già morto.

Si tratta della decima vittima del lavoro quest’anno nel Lazio, esattamente come nel 2024 a questa data. Nel comunicato di rito la Cgil parla invece di 16 morti: un numero misterioso, così come i 107 citati per il 2024 (sono stati 88).

Due i morti di lunedì 3 marzo nel Veneto, che portano il totale dell’anno a 22. Un incredibile aumento del 57% rispetto al 2024, quando al 3 marzo si contavano 14 vittime.

Renato Gugole, 54enne autotrasportatore di Chiampo (Vicenza), è morto in un incidente stradale sulla provinciale 86 ad Arzignano (Vicenza): l’autocarro che guidava si è scontrato frontalmente con un mezzo pesante che proveniva in senso opposto. Gugole è morto sul colpo.

Paolo Pellizzari, 47enne elettricista di Resana (Treviso), è morto schiantandosi con il suo furgone contro un autocarro a Piombino Dese (Padova), dopo aver invaso l’altra carreggiata. Inutili i soccorsi.

#fabriziocasafina#renatogugole#paolopellizzari#mortidilavoro

Marzo 2025: 4 morti (sul lavoro 4; in itinere 0; media giorno 1,3)

Anno 2025: 166 morti (sul lavoro 139; in itinere 27; media giorno 2,7)

33 Lombardia (sul lavoro 23, in itinere 10)

22 Veneto (19 – 3)

14 Puglia (13 – 1)

13 Campania (11 – 2)

11 Piemonte (11 – 0)

10 Toscana (9 – 1); Lazio (8 – 2); Emilia Romagna (7 – 3)

8 Abruzzo (8 – 0)

7 Calabria (7 – 0)

6 Sicilia (6 – 0)

4 Umbria, Basilicata (5 – 0); Liguria (3 – 1)

3 Marche (2 – 1)

2 Trentino, Alto Adige (2 – 0); Sardegna (1 – 1)

1 Molise (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

Febbraio 2025: 75 morti (sul lavoro 63; in itinere 12; media giorno 2,7)

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Una buona notizia (in mancanza d’altro).

“No Other Land”, che La Nuova Sacrofano ha proiettato, con la presentazione di RiccardoTavani in gennaio al Teatro Ilaria Alpi col patrocinio del Comune di Sacrofano, grazie a un bando della Regione Lazio, vinto insieme al MedFilm Festival, si è aggiudicato un Oscar come miglior documentario. Non poteva andare meglio.

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Succede il 4 e il 5 marzo a Roma.

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Lo scontro verbale in diretta tra Trump e Zelensky, ovvero l’eterna lotta tra il diritto e la forza.

di Mario Ricciardi, Il manifesto

Tra le reazioni all’incontro di venerdì alla Casa bianca, colpisce quella di Stathis Kalyvas, pubblicata “a caldo” su X: «Lo scambio Trump-Zelensky è la migliore illustrazione moderna del dialogo tra i Melii e gli Ateniesi di Tucidide. Ma non è sempre stato così. Dopo la seconda guerra mondiale il mondo aveva fatto grandi passi avanti. All’improvviso tutto è crollato». 

Kalyvas è greco, ma insegna nel Regno Unito, dove ricopre una prestigiosa cattedra di scienza politica a Oxford.

La sua osservazione non ha soltanto l’autorevolezza che viene da una vita trascorsa a studiare i conflitti, ma anche la profondità di prospettiva storica che è frutto di una solida cultura classica.

Una delle cose che suscitano maggiore sconcerto, seguendo le reazioni all’umiliazione subita da Zelensky nel corso del suo dialogo con il presidente statunitene Trump e il suo vice Vance, è proprio l’assoluta mancanza di prospettiva storica di buona parte dei leader europei e statunitensi che si sono affrettati a consegnare ai social la propria indignazione, e solidarietà con il presidente ucraino, utilizzando lo stesso linguaggio legnoso con cui avrebbero potuto commentare una sconfitta della squadra del cuore nella finale di un torneo internazionale, o i problemi di salute di una celebrità televisiva.

A forza di abusare di termini come «guerra» (al debito pubblico, al cancro, alla disinformazione) se ne perde il senso materiale e morale, che invece è ben presente a tanti ucraini che ne fanno esperienza.

A contatto con il mondo reale, con le cronache di un conflitto sanguinoso che dura da anni, le espressioni bellicose suonano vuote come le invocazioni di regole e principi del diritto internazionale. 

Scorrendo la lunga lista di capi di stato e di governo, di intellettuali e di opinionisti che si sono indignati per il trattamento ricevuto da Zelensky, si fatica a trovarne qualcuno che abbia espresso sentimenti simili mentre Israele faceva a pezzi regole e principi massacrando donne e bambini in Palestina.

Gli inviti a «scendere in piazza» in difesa dei «nostri valori» stridono in modo insopportabile dopo Gaza. Che pochi si siano posti il problema di questo «doppio standard» giuridico e morale nelle classi dirigenti europee e occidentali è un sintomo che non lascia presagire nulla di buono per il futuro.

La messa in scena di Washington – nella quale Zelensky ha saputo comunque dar prova di dignità pari a quella degli ambasciatori di Melo nel dialogo con gli emissari di Atene, il potere imperiale egemone – sembra sia stata un brusco risveglio per una classe dirigente che si è formata all’ombra della fine della guerra fredda, imbevuta di una visione della società e della storia che rimuoveva completamente il conflitto dalla politica, e sostituiva l’amministrazione delle cose al governo delle persone. 

Eppure non è la prima volta che il volto brutale della forza («per legge di natura chi è più forte comanda», dicono gli ateniesi ai melii) si è mostrato negli ultimi decenni.

L’architettura faticosamente messa in piedi dopo la seconda guerra mondiale, come ha ricordato Kalyvas, era motivata dall’aspirazione di sostituire il diritto alla forza.

Gli aspetti migliori del processo di integrazione europea erano animati dalla stessa volontà, rafforzata dalla determinazione di chi era sopravvissuto a due guerre mondiali.

Dopo il 2001 questo spirito si affievolisce, e con esso si perde la consapevolezza che, come affermava Kant, un’ingiustizia ovunque nel mondo è un torto per chiunque.

Oggi ci troviamo in una situazione in cui Tucidide appare più rilevante dei discorsi motivazionali di manager e banchieri prestati alla politica.

Chi è debole non può permettersi di buttare i dadi più di una volta, dicono gli emissari di Atene ai melii, e come non pensare ai richiami alle “carte” fatti da Trump discutendo con Zelensky?

Se non hai più carte da giocare non ha senso affidarsi alla speranza (un altro motivo tucidideo echeggiato alla Casa bianca).

C’è tuttavia un aspetto della situazione attuale che si distingue in modo significativo dal dialogo tra gli ateniesi e i melii come lo ricostruisce Tucidide: la pubblicità.

Gli ambasciatori di Atene si incontrano soltanto con i magistrati di Melo. Proprio questa segretezza consente a entrambi di esporre le proprie ragioni in modo franco e lascia spazio alla brutalità del linguaggio degli ateniesi. 

La conversazione tra Zelensky, Trump e Vance era invece pensata per avere un impatto mediatico, a casa e fuori.

Questa è forse la chiave di lettura su cui dovremmo concentrarci riflettendo su quanto è accaduto venerdì a Washington.

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Una pazza per l’Europa.

Un tempo la guerra era la continuazione della politica, oggi è la disfatta della credibilità della Ue.

Mentre le anime belle di una classe politica – senza più neanche la minima capacità di capire in che mondo ci stanno ficcando – si preparano a “Una piazza per l’Europa”, Ursula von der Leyen dice, senza pudore:

“Dobbiamo urgentemente riarmare l’Europa. E per questo presenteremo un piano completo per il riarmo dell’Europa”.

A parte che è quello che vuole esattamente Trump, perché così vende un sacco di armi Made in Usa, e riesce ad aumentare la bolletta NATO, che razza di futuro avrà l’Europa fin tanto che sarà guidata da mediocri vassalli dei nuovi imperialismi?

È sul riarmo che si gioca l’orgoglio europeista? È per questo che Michele Serra chiama la piazza?

Mentre la liberal-sinistra de noantri subisce l’effetto Serra, altro che “una piazza per l’Europa” ci vorrebbe.

Qui abbiamo a che fare con pazzi furiosi, psicopatici guerrafondai, come von der Leyen, “una pazza per l’Europa”, che nessuno sembra aver la minima intenzione di contraddire.

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Calano le braghe.

“Dialogo tra Europa e Putin potrebbe riprendere.” Lo ha detto Macron.

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Adesso Zelensky vuole fare la pace. Con Putin? No, con Trump.

Come i pifferi di montagna che andarono per suonare e tornarono suonati.

“Siamo molto grati agli Stati Uniti per tutto il sostegno. Sono grato al Presidente Trump, al Congresso per il loro sostegno bipartisan e al popolo americano.

Gli ucraini hanno sempre apprezzato questo sostegno, soprattutto durante questi tre anni di invasione su larga scala

Il nostro rapporto con il Presidente americano è più di due semplici leader; è un legame storico e solido tra i nostri popoli.

Siamo veramente grati. Vogliamo solo relazioni forti con l’America, e spero davvero che le avremo”. Lo ha scritto Zelensky su X, il social di proprietà dell’amico del giaguaro.

Il messaggio che Trump ha stampato in faccia al commesso viaggiatore della Ue, in vista dell’ennesimo inutile vertice, è chiaro e forte: cari governi europei, io so io e voi non contate un ca..o. Cioè: posso essere un nemico più pericoloso di Putin. O fate quello che dico io o sono dazi amari.

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