“Per decenni, una barzelletta è circolata fra i lacaniani per esemplificare il ruolo-chiave della conoscenza dell’Altro: un uomo che crede di essere un seme viene condotto in una clinica psichiatrica, dove i dottori fanno del loro meglio per convincerlo che non è un seme, ma un uomo.
Una volta guarito (convinto, cioè, di non essere un seme, ma un uomo) e dimesso dall’ospedale, torna subito indietro, tremando.
Fuori dalla porta c’è un pollo e teme di essere mangiato.
«Mio caro – gli dice il dottore, – sai bene di non essere un seme, ma un uomo».
«Certo, io lo so» risponde il paziente, «ma lo saprà anche il pollo?»
In questo risiede la vera scommessa del trattamento psicoanalitico: convincere il paziente della verità inconscia dei suoi sintomi non è abbastanza; l’inconscio stesso va portato a credere a questa verità.” (da “Leggere Lacan: Guida perversa al vivere contemporaneo” di Slavoj Žižek).
“Vi sono epoche bizzarre in cui un regime, per un periodo limitato, si mantiene al potere benché il suo tempo sia ormai evidentemente scemato, come se continuasse a vivere perché non si è ancora accorto di essere morto.
Come scrisse Hegel, Napoleone dovette essere sconfitto per ben due volte prima di capire: la sua prima disfatta, nel 1813, poteva ancora essere interpretata come un mero incidente nella storia; è dunque solo la sua ripetuta sconfitta a Waterloo a dimostrare come la fine del suo tempo esprima una più profonda necessità storica.” (da “Leggere Lacan: Guida perversa al vivere contemporaneo” di Slavoj Žižek)
Centinaia di studenti di Harvard abbandonano la cerimonia per il conferimento della laurea per protestare contro la guerra tra Israele e Hamas.
“Let them walk”, hanno cantato alcuni manifestanti mentre uscivano, in riferimento alla decisione dell’università di impedire a 13 studenti manifestanti di conseguire la laurea insieme ai loro coetanei. (Fonte: The Boston Globe),
“Un paio di anni fa, le femministe slovene sollevarono la pubblica indignazione contro il manifesto pubblicitario di una lozione solare messo in circolazione da una grossa azienda cosmetica, sul quale l’immagine di un certo numero di deretani femminili abbronzati e inguainati in succinti costumi da bagno era accompagnata dallo slogan «A ciascuna il suo fattore».
Naturalmente, questa pubblicità si basava su un doppio senso di dubbio gusto: lo slogan, in apparenza, si riferiva alla crema, che veniva offerta ai consumatori con diversi fattori di protezione solare adatti a diversi tipi di pelle; tuttavia, il suo effetto complessivo si fondava sull’ovvia lettura sciovinista-maschile:
«Qualsiasi donna può essere posseduta, se solo l’uomo ne conosce il fattore, lo specifico catalizzatore; insomma, quello che la eccita!»
Il punto di vista freudiano è che ciascun soggetto, maschio o femmina che sia, possiede un tale «fattore» che regola il suo desiderio:
«Una donna vista da dietro carponi» era il «fattore» per l’Uomo dei lupi, il paziente più celebre di Freud; una donna statuaria priva del pelo pubico era invece il fattore per John Ruskin.
Non vi è nulla di edificante nel nostro essere consapevoli di questo fattore: esso è misterioso, persino terrificante, poiché in qualche modo spossessa il soggetto, riducendolo al livello di una marionetta, al di là di dignità e libertà.” (da “Leggere Lacan: Guida perversa al vivere contemporaneo” di Slavoj Žižek)
Barbara De Rossi rivela in un programma tv della RAI di passare “giornate intere a letto insieme” col marito. Lo scoop (e non è un doppio senso) non sfugge a Repubblica.
“L’inconscio non è una conserva di impulsi selvatici che l’Io debba addomesticare, ma il luogo dove una verità traumatica libera la propria voce.
Ivi si colloca la versione di Lacan del motto freudiano «Wo Es war, soll Ich werden» («là dove era l’Es, deve venire l’Io»): non «l’Io dovrebbe conquistare l’Es», ossia il luogo degli impulsi inconsci, bensì «dovrei avere il coraggio di avvicinarmi al luogo della mia verità».
Quel che «là» mi aspetta non è una profonda Verità con cui io mi debba identificare, ma un’insopportabile verità con la quale devo imparare a convivere.
In che modo, allora, le idee di Lacan si differenziano dalle principali scuole psicoanalitiche di pensiero e dallo stesso Freud?
Rispetto ad altre scuole, la prima cosa a risultare evidente è il tenore filosofico della teoria di Lacan. Secondo Lacan, fondamentalmente, la psicoanalisi non consiste in una teoria e in una tecnica volte a curare disturbi psichici, ma in una teoria e in una pratica che pone l’individuo a confronto con gli aspetti più profondi dell’esistenza umana.
Essa non mostra all’individuo come adattarsi alle richieste della realtà sociale; viceversa, spiega in che modo qualcosa come una «realtà» anzitutto si costituisca.
La psicoanalisi, insomma, non si limita a rendere un essere umano capace di accettare la verità rimossa che lo riguarda; essa mostra piuttosto come la dimensione della verità emerga nella realtà umana.” (da “Leggere Lacan: Guida perversa al vivere contemporaneo” di Slavoj Žižek).
“Vediamo bene che cosa ci aspetta al di fuori di questo spazio, nel nuovo gruppo dei non allineati, i brics, tanto più ora che vi hanno aderito anche Arabia Saudita e Iran: la tolleranza… dei rispettivi crimini.
Tuttavia, il vero problema è come mantenere davvero viva l’eredità emancipatrice dell’Occidente.
In Germania si ripete spesso l’espressione «mai più» (nie wieder), intendendo che occorre fare tutto il possibile per evitare che si ripeta alcunché di simile alla Shoah.
Tuttavia, come ha scritto di recente Franco Berardi, oggi da un punto di vista tedesco, quelle due parole, Nie wieder, vanno interpretate in maniera differente.
Dopo avere ucciso sei milioni di ebrei, due milioni di rom, 300.000 comunisti e 20 milioni di sovietici, i tedeschi promettono che difenderanno Israele in ogni caso, perché i sionisti non sono più nemici della razza superiore, e gli riconosciamo il privilegio che noi abbiamo da cinquecento anni: il privilegio dei colonizzatori, degli sfruttatori, degli sterminatori.
Queste righe appariranno forse spietate, ma è importante notare come Jürgen Habermas, ultimo grande rappresentante della Scuola di Francoforte, che ha cofirmato una lettera di pieno sostegno a Israele, principale bersaglio critico di Berardi, sia un grande partigiano dell’eredità dell’Illuminismo: uno dei suoi libri più noti è “Il moderno. Un progetto incompiuto”, una critica non solo del pensiero postmoderno francese ma anche della Dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer.
Per dirla in breve, Habermas liquida gli orrori degli ultimi secoli, dal colonialismo agli stermini di milioni di persone, come meri segni che il progetto dell’Illuminismo non si è ancora del tutto realizzato, mentre Adorno e Horkheimer vedono in questi orrori l’attuazione delle potenzialità più riposte dell’Illuminismo, non soltanto i residui di un passato oppressivo e non ancora cancellato dall’Illuminismo.
Berardi ci ricorda le righe scritte da Max Horkheimer e Theodor Adorno nel lontano 1941: Il concetto stesso di questo pensiero [il pensiero dell’Illuminismo] […] implic[a] già il germe di quella regressione che oggi si verifica ovunque.
Se l’Illuminismo non accoglie in sé la coscienza di questo momento regressivo, firma la propria condanna.
Se la riflessione sull’aspetto distruttivo del progresso è lasciata ai suoi nemici, il pensiero ciecamente pragmatizzato perde il suo carattere superante e conservante insieme, e quindi anche il suo rapporto alla verità.
Accade esattamente lo stesso col sostegno di tanti intellettuali occidentali alle azioni intraprese da Israele a Gaza e in Cisgiordania: essi percepiscono Israele come incarnazione dell’Illuminismo europeo in una zona meno progressista del mondo, ignorando che il destino degli ebrei europei e ciò che Israele sta facendo ai palestinesi testimoniano il «lato distruttivo del progresso».
Un nero americano ha di recente visitato Hebron per verificare l’opinione prevalente secondo cui la situazione laggiù sarebbe molto complessa; quella che ha riscontrato è una situazione semplicissima: nessuna complessità, apartheid duro e puro…
La lezione generale da trarre è che, se vogliamo davvero affrontare i fenomeni distruttivi che ci affliggono negli ultimi decenni, dall’ascesa dei nuovi populismi alle nuove forme di controllo sociale, dobbiamo rivolgere uno sguardo critico sul fondamento filosofico stesso della democrazia liberale odierna, il pensiero illuminista.” (da “Ucraina, Palestina e altri guai” di Slavoj Žižek).
“Morta nell’adempimento del suo dovere”. Così, con militaresca freddezza il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha commentato la scomparsa della maestra Ninfa Indelicato, 64 anni, prossima alla pensione, travolta martedì 21 maggio da un furgone mentre entrava a scuola a Campobello di Mazara (Trapani).
L’insegnante stava per varcare il portone dell’Istituto per geometri Accardi (a Campobello alcune classi elementari dell’IC Pirandello-S.G.Bosco sono ospitate in un istituto superiore), quando un furgone è piombato sul marciapiede, uccidendola.
È morto sulla strada anche Giovanni Flocco, guardia giurata di 46 anni, travolto lunedì 20 maggio a Casoria (Napoli) da un’automobile mentre era sulla moto di servizio della Patrol Security. Flocco era stato assunto da poche settimane.
Vittima di un incidente stradale anche Baldassarre Russo, per tutti Baldo, 57 anni, morto lunedì 20 maggio in uno scontro frontale alle 4,30 del mattino a Misilmeri (Palermo), mentre andava al lavoro.
Luigi Guida, agente marittimo di 49 anni, moglie e due figlie, è morto lunedì 20 maggio per un malore che lo ha colpito negli uffici della sua ditta, la GM Shipping, a Taranto.
Domenica 19 maggio, a sera, i medici dell’ospedale Borgo Trento di Verona hanno staccato le macchine che tenevano in vita l’agricoltore Gabriele Turrina, 51 anni, moglie e due figlie.
Martedì 14 maggio era stato colpito e gettato a terra da una rotoballa nell’azienda che mandava avanti con il fratello a Valeggio sul Mincio (Verona). Turrina ha battuto con violenza la testa ed è entrato in coma, durato 5 giorni. I suoi organi saranno donati, come da sua volontà.
Un altro agricoltore, Bortolo Pontoglio, ancora al lavoro a 84 anni, è morto domenica 19 maggio a Casaletto di Sopra (Cremona).
Stava dando una mano in azienda al figlio, come faceva ogni giorno benché pensionato, quando è caduto nella botola della vasca dei liquami ed è annegato.
Per recuperare il corpo, svuotando la cisterna, sono intervenuti i vigili del fuoco.
Antonio Russo, 62 anni, vedovo, quattro figli, a settembre avrebbe lasciato il lavoro di carpentiere per andare in pensione.
Mercoledì 22 maggio ha perso la vita nel cantiere di Capodichino della Metropolitana di Napoli.
Un incidente nella galleria lunga un chilometro, dai contorni ancora confusi, in cui sono rimasti feriti altri due operai: i testimoni parlano del deragliamento del trenino usato per il trasporto dei materiali. Russo, che viveva a Giugliano, è morto sul colpo.
Il cantiere è gestito da Sinergo SpA, controllata dal Consorzio Integra, aderente alla Lega delle Cooperative. Controllante e controllata hanno sede legale allo stesso indirizzo di Bologna e sui loro siti magnificano la loro bravura coniugata a grande umanità. Antonio Russo è il 49° morto di lavoro in Campania dall’inizio dell’anno, l’ottavo a maggio in regione, il quarto in provincia di Napoli.
Due le vittime del lavoro nel giro di 6 ore a Vigevano (Pavia), entrambe in incidenti stradali verificatisi mercoledì 22 maggio.
Intorno all’una di notte il barista 26enne Filippo Bellazzi è finito fuori strada con la sua vettura mentre tornava a casa a fine lavoro sulla provinciale 192.
L’auto si è ribaltata più volte nei campi e il ragazzo non ha avuto scampo.
Poco dopo le 7 del mattino un camionista 59enne di Turate (Como), ha perso il controllo del mezzo ed è finito nei campi a lato della statale 494.
I soccorritori hanno trovato l’uomo, di cui non è stato comunicato il nome, senza vita all’interno della cabina di guida. L’ipotesi più accreditata è quella di un malore.
“Il 29 aprile 1956, un gruppo di palestinesi di Gaza attraversò il confine per saccheggiare i raccolti nei campi del kibbutz di Nahal Oz.
Roi, un giovane membro del kibbutz, che sorvegliava i campi, galoppò verso di loro agitando un bastone per cacciarli via; catturato dai palestinesi, fu condotto nella striscia di Gaza, e quando le Nazioni Unite ne restituirono il cadavere, si vide che gli occhi del ragazzo erano stati cavati.
Il giorno dopo, alla cerimonia funebre, Moshe Dayan, all’epoca capo di stato maggiore, ne pronunciò la commemorazione, dicendo:
«Non dobbiamo biasimare gli assassini. Che pretese abbiamo sull’odio mortale che provano per noi? Da otto anni vivono nei campi profughi di Gaza mentre, davanti ai loro occhi, trasformiamo la terra e i villaggi in cui sono vissuti, e prima di loro i loro antenati, in un nostro retaggio. […]
Non è tra gli arabi di Gaza ma tra di noi che va cercato il sangue di Roi. Come abbiamo potuto chiudere gli occhi, rifiutarci di guardare in faccia il nostro destino e di comprendere le sorti della nostra generazione in tutta la loro violenza?
Abbiamo dimenticato che questo gruppo di giovani, che vive a Nahal Oz, porta sulle spalle il fardello delle porte di Gaza?»
Una dichiarazione del genere sarebbe mai concepibile oggi?” (da “Ucraina, Palestina e altri guai” di Slavoj Žižek).
“Ma torniamo alla contrapposizione tra il graduale processo di pulizia etnica in Cisgiordania e l’improvviso e brutale massacro di Hamas: essa esemplifica la differenza tra Primo e Terzo mondo.
Nel mondo sviluppato, gli attacchi dall’esterno assumono di regola la forma di eventi improvvisi e brutali (l’11 settembre, l’attentato al Bataclan di Parigi del novembre 2015, l’attacco di Hamas); dopo l’aggressione, la normalità si ristabilisce rapidamente e la popolazione viene perseguitata da ricordi traumatici.
Nei Paesi del Terzo mondo, le atrocità sono processi lunghi e dolorosi, che possono estendersi per generazioni ed entrare a far parte della vita quotidiana (come in Congo…), conducendo la popolazione colpita alla disperazione e vietando ogni prospettiva di ritorno alla normalità.
Non è forse questo il caso della Cisgiordania, in cui da mesi, se non da anni, la maggioranza palestinese è esposta a diverse forme di violenza, dalle limitazioni burocratiche ai puri e semplici omicidi?
È quindi del tutto improprio valutare come efferati o meno gravi i due tormenti (quello degli ebrei massacrati vicino a Gaza e quelli dei palestinesi cisgiordani): una sofferenza che dura per generazioni può portare migliaia e migliaia di persone alla più completa prostrazione.” (da “Ucraina, Palestina e altri guai” di Slavoj Žižek).
“Prendiamo ad esempio l’incarico di ministro della Sicurezza nazionale conferito da Netanyahu a Itama Ben-Gvir.
Prima di entrare in politica, Ben-Gvir teneva notoriamente nel salotto un ritratto di Baruch Goldstein, terrorista israelo-americano che nel 1994 a Hebronmassacrò 29 fedeli musulmani palestinesi e ne ferì altri 125 in quello che passò alla Storia come il massacro della Grotta dei Patriarchi.
La sua attività politica cominciò con l’adesione al movimento giovanile del partito Kahane Chai, definito come organizzazione terroristica e messo fuori legge dal governo israeliano.
Quando a diciott’anni poté tentare di arruolarsi nelle forze armate israeliane, la domanda fu respinta a causa dei suoi precedenti di estrema destra.
Alle elezioni politiche del 2022, il partito di Ben-Gvir ha ottenuto un successo senza precedenti, più che raddoppiando i consensi dalle elezioni dell’anno precedente e risultando il terzo partito nella venticinquesima Knesset.
Un altro segnale della stessa decadenza: in un’intervista al «Blaze», Netanyahu ha recentemente sostenuto che l’antisemitismo ha preso una forma nuova e perniciosa.
Visto che non va di moda dire che sei un antisemita si dice: «Sai, sono antisionista» – neppure «Sono antiisraeliano» ma «Sono antisionista. Non sono contro gli ebrei, credo solo che non debbano avere uno Stato tutto loro».
È come dire: «Non sono antiamericano, credo solo che tu non debba essere americano».7
Un paragone più esatto non sarebbe piuttosto il seguente: «È come dire: ‘Non sono contro i palestinesi, credo solo che non debbano avere uno Stato tutto loro’»?
Questo ci riporta al problema fondamentale: criticare l’occupazione israeliana della Cisgiordania equivale a negare il diritto di Israele a esistere?
Qui la vicenda si fa ancora più torbida: di recente, poche ore dopo che un rapporto del Ministero per la diaspora aveva documentato nell’anno precedente un incremento degli attentati antisemiti in tutto il mondo, Netanyahu ha incitato alla lotta contro l’antisemitismo europeo musulmano e di sinistra.
Perché Netanyahu ignora l’antisemitismo di estrema destra? Perché gli fa comodo: le nuove destre occidentali sono antisemite all’interno dei rispettivi Paesi ma difendono strenuamente l’esistenza dello Stato d’Israele come barriera contro l’invasione musulmana.
L’antisemitismo sionista è davvero inquietante.” (da “Ucraina, Palestina e altri guai” di Slavoj Žižek).
“Alla fine del 2022, è diventato virale un problema assegnato ad alunni cinesi di quinta elementare (dunque di 10 o 11 anni):
«Su una nave ci sono 26 pecore e 10 capre. Quanti anni ha il capitano della nave?»
Le autorità cinesi hanno spiegato che il problema veniva usato durante gli esami per istigare il pensiero critico.
Naturalmente, la risposta corretta è: «Non abbiamo dati sufficienti a rispondere».
Alcuni hanno però fornito una risposta, approssimativa ma ingegnosa, fondata sulla conoscenza del diritto cinese: per essere capitani di una nave di carico superiore alle cinque tonnellate (26 pecore e 10 capre ne pesano circa sette) bisogna aver comandato una nave più piccola per almeno cinque anni; per diventare capitani di una nave qualsiasi bisogna avere almeno 23 anni; dunque, il capitano della nave deve averne per lo meno 28.
Presto si è saputo che, con lo stesso scopo, un problema simile era stato assegnato anche a bambini francesi e – si è appreso in seguito – di altri Paesi vicini.
Quel che sorprendeva era la quantità di studenti che avevano comunque provato a leggere un significato nei numeri dati; purtroppo, secondo la risposta più comune, visto che 26 + 10 = 36, il capitano doveva avere 36 anni…
Morale: dobbiamo resistere alla tentazione di trovare un significato nei numeri, soprattutto in quest’epoca ossessionata dalle statistiche.
A un livello più generale – è fondamentale ricordarlo – per risolvere uno specifico problema dobbiamo imparare a ignorare i dati irrilevanti.
Pensare non significa tenere in conto l’infinita complessità di ogni situazione – al contrario, il pensiero comincia là dove cominciamo ad astrarre, a trascurare i dettagli superflui.” (da “Ucraina, Palestina e altri guai” di Slavoj Žižek).
“Assange è la nostra Antigone: tenuto a lungo nella condizione di un cadavere vivente, isolato in una cella, pochissimi contatti con la famiglia e gli avvocati, senza nessuna condanna e neppure un’imputazione ufficiale, nell’attesa dell’estradizione – e perché?
Perché, in quanto spia del popolo, aveva reso visibile a tutti (in piccola parte) il lato oscuro e osceno della politica statunitense, invece di informarne i servizi segreti di una nazione rivale.
Quel che Assange ha in tal modo svelato è la solidarietà dei potenti, persino (o soprattutto) se appartengono a regimi che pubblicamente si dichiarano avversari e propugnano ideologie e sistemi sociali differenti.
Questi fieri nemici non hanno alcun problema nel condividere una premessa di base: la struttura del potere (l’apparato dello Stato) deve comunque continuare a funzionare.” (da “Ucraina, Palestina e altri guai” di Slavoj Žižek)
“Per la sinistra oggi è non solo assolutamente inaccettabile sostenere la Russia ma anche accettare, in modo più «modesto» e neutrale, che la divisione di fatto della stessa sinistra tra pacifisti e sostenitori dell’Ucraina vada trattata come un fatto minore, che non deve disturbarne la lotta al capitalismo globale – perché?
Ricordiamo la distinzione tra contraddizioni «principali» e «secondarie» (la «battaglia degli opposti») proposta da Mao Zedong nel suo trattato del 1937, Sulla contraddizione – una distinzione che probabilmente merita di essere riportata alla luce.
Una contraddizione, un conflitto, non si presenta mai da solo ma dipende da altre contraddizioni.
Ecco l’esempio di Mao: in una società capitalistica, la contraddizione «principale» tra il proletariato e la borghesia è accompagnata da contraddizioni «secondarie», come quella tra gli imperialisti e le colonie.
Mentre le secondarie dipendono dalla prima (perché le colonie esistono solo nel capitalismo), la contraddizione principale non è sempre la dominante: esse possono scambiarsi l’ordine di importanza.
Ad esempio, quando un Paese viene occupato, per non perdere la sua posizione privilegiata la classe dominante si lascia di solito assoldare e collabora con gli occupanti: in questo caso la lotta contro gli occupanti diventa prioritaria.
Lo stesso vale per la lotta al razzismo: in una condizione di tensione razziale e di sfruttamento, il solo modo di combattere efficacemente per la classe operaia è focalizzarsi sulla lotta al razzismo (per questo, ogni richiamo alla classe operaia bianca, come quello dell’odierna destra populista globale, è un tradimento della lotta di classe).
Oggi la lotta per la libertà ucraina è la contraddizione «dominante»: non si è di sinistra se non si sostiene l’Ucraina senza se e senza ma.”(da “Ucraina, Palestina e altri guai” di Slavoj Žižek).
“Se osserviamo insieme la crisi che scuote il governo di Gerusalemme mentre ne lacera gli apparati e l’incertezza sul futuro del regime iraniano, constatiamo che una guerra atomica in Medio Oriente è ipotesi estrema però ormai inaggirabile nelle matrici di sicurezza regionali. Questo spiega l’attivismo diplomatico americano su entrambi i fronti”. Lo scrive Lucio Caracciolo. Come a terrificante conferma del mio “Evocare il pericolo della guerra e non fare niente perché non succeda”, postato ieri.
Ma spiega anche il motivo delle folli parole di Biden contro la Corte penale internazionale “La richiesta del procuratore della Corte penale internazionale di mandati di arresto contro i leader israeliani è vergognosa. E vorrei essere chiaro: qualunque cosa questo procuratore possa implicare, non esiste alcuna equivalenza – nessuna – tra Israele e Hamas. Saremo sempre al fianco di Israele contro le minacce alla sua sicurezza” (fonte: Ansa).
Il trucco retorico di mettere sullo stesso piano il diritto alla difesa dei propri confini con la pratica sistematica alla rappresaglia contro i civili non regge, proprio perché è una follia giuridica.
E sembrerebbe strano che alla Casa Bianca siano così poco provveduti di regola del diritto internazionale.
La verità è che Biden non riesce a mettere il morso a Netanyahu e che di conseguenza il piano Abramo si è inceppato, col risultato che le strategie nell’area sono in alto mare. Che è quello che vuole Netanyahu.
La decisione di chiedere l’incriminazione di Netanyahu e quella di chiederla anche per i leader di Hamas dice chiaro che è tempo di mettere i piedi per terra: la pervicacia bellicista di Israele deve essere fermata, prima che alzi di nuovo il tiro e lo punti verso l’Iran, come è già successo. La conseguenza sarebbe la catastrofe nucleare, evocata da Caracciolo.
La richiesta di Karim Khan significa che è tempo di dare uno sbocco concreto alla questione palestinese.
A cominciare dalla fine immediata della carneficina, della carestia, delle sevizie che la Cpi ha documentato a Gaza, a supporto della richiesta dei mandati d’arresto.
“Anche se la richiesta deve ancora essere approvata dai giudici della corte, l’annuncio costituisce uno dei più duri rimproveri alla strategia di Israele nella sua campagna di sette mesi contro Hamas che ha ucciso decine di migliaia di civili a Gaza”, scrive il Boston Globe, giornale della città che ha visto le occupazioni del Mit e della Boston Oxford University da parte di migliaia di studenti.
A conferma che la richiesta della Cpi è in sintonia con le opinioni pubbliche di tutto il mondo, con le proteste nelle università americane ed europee, che sono state un vero e proprio toccasana contro la debolezza politica dei governi, l’affarismo delle big company delle armi, il disorientamento diplomatico, e la vile compiacenza bellicista ai crimini contro l’umanità.
“Ricordo un bizzarro episodio della mia gioventù nella Jugoslavia socialista. A un certo punto si diffuse la voce che nei negozi non si trovava più la carta igienica.
Le autorità assicurarono prontamente che la disponibilità di carta igienica era più che sufficiente per le esigenze ordinarie: il che era – c’è da stupirsene – vero, e per di più la gran parte di noi lo credette tale.
Eppure, il consumatore medio ragionò così: so che la carta igienica c’è e che la voce è falsa, ma che accadrebbe se alcuni la prendessero sul serio e, in preda al panico, comprassero enormi riserve di carta igienica, provocando un vero ammanco? Sarà meglio che me ne procuri una scorta anch’io…
Non era neppure necessario che il consumatore in questione credesse che gli altri consumatori prendessero per vera la voce: bastava supporre che altri credessero che altri ancora la prendessero per vera.
L’effetto fu lo stesso che se vi fosse stata una vera penuria di carta igienica.
Un comportamento del genere non va confuso con l’atteggiamento da adottare oggi, ossia con il bisogno di accettare l’inevitabilità della catastrofe: a differenza di quella voce, che all’inizio era una bugia ma poi generò la realtà che descriveva, il nostro mondo sta davvero scivolando verso la catastrofe, e il problema che ci troviamo davanti non è quello di una profezia che si autorealizza bensì di un autosabotaggio: continuiamo a discutere della minaccia allo scopo di non far nulla di nulla.” (da “Ucraina, Palestina e altri guai” di Slavoj Žižek).
Come su tutte le incresciose tare della moderna società capitalista, anche sul fenomeno dei cosiddetti «lavoratori poveri» la scienza economica offre due interpretazioni antagoniste. La dottrina liberista prevalente considera il caso del lavoro povero come un piccolo bug di sistema, un errore circoscritto e in fin dei conti rimediabile.
La circostanza che i famigerati salari di equilibrio si trovino al di sotto delle soglie minime di sussistenza è ritenuta un’aberrazione del tutto secondaria, che si situa ai margini del processo produttivo e che può essere risolta facilmente, magari con qualche ora in più di straordinario.
La chiave di lettura di Marx è diversa. L’immiserimento operaio, a suo avviso, rappresenta uno dei fondamentali pilastri che reggono il meccanismo capitalistico. Nella visione marxiana, l’accumulazione di ricchezza della classe dominante richiede, per forza di cose, accumulazione di miseria tra le file della classe lavoratrice. In questo senso Marx cita Mandeville: «In una nazione libera in cui non siano consentiti gli schiavi, la ricchezza più sicura consiste in una massa disponibile di poveri laboriosi». Un esercito di indigenti a buon mercato, in altre parole, è condizione necessaria per il funzionamento del sistema.
L’evidenza empirica di questi anni, come sempre più spesso accade, tende a confermare l’eresia marxiana. L’accumulazione avanza, i profitti si espandono, eppure il «lavoro povero» si ripresenta di continuo, come una macchia incancellabile del capitalismo contemporaneo.
Qualcuno ha osservato, giustamente, che i lavoratori poveri sono diventati i maggiori filantropi della nostra società: sopportano le privazioni in modo che l’inflazione non cresca troppo e i profitti delle azioni siano sempre più alti. Essere un lavoratore povero significa essere un donatore anonimo, a favore dei padroni.
Nonostante i ripetuti proclami delle istituzioni europee sulla lotta contro il fenomeno del lavoro povero, Eurostat segnala che dal 2008 la percentuale di lavoratori a rischio povertà in Europa è rimasta grosso modo stabile intorno al 6 percento tra i cosiddetti regolari ed è diminuita solo di un risicato punto percentuale, arrivando al 13 percento, fra i temporanei.
In Italia le cose sono andate anche peggio: dalle nostre parti la minaccia della povertà resta marcatamente al di sopra delle medie europee e per giunta è aumentata di un punto tra i precari e ancor più tra i regolari, di due punti e mezzo.
Il fatto che in Italia la povertà sia in aumento soprattutto tra i lavoratori regolari mostra che la vecchia tesi dei contratti a tempo indeterminato come fonte di sicurezza economica inizia a risultare desueta.
Le riforme del lavoro come il Jobs Act e la crisi del sindacato espongono ormai anche molti “privilegiati” del tempo indeterminato a un tangibile rischio di immiserimento. Quello che i liberisti definivano «apartheid del mercato del lavoro», con i regolari in paradiso e i precari all’inferno, è insomma finito nel peggiore dei modi: adesso tutti possono precipitare verso una infernale penuria.
Ma soprattutto, è interessante notare che ancora una volta l’Italia muove in controtendenza rispetto alle medie europee. Se nel continente la quota di lavoratori poveri resta grosso modo stabile o in lieve diminuzione, da noi sale in misura significativa.
È la riprova che nel nostro paese, ancor più che altrove, l’immiserimento del lavoro è diventato il propulsore principale dell’accumulazione. In questo scenario, non deve allora meravigliare l’ultimo dato Istat: la crescita dei working poor non soltanto si registra fra gli addetti alle pulizie o fra i precari del turismo, ma ormai dilaga pure nei gangli principali del sistema industriale, dentro la classe operaia.
Che sul piano dell’evidenza economica esista ormai una nuova «questione operaia» – nell’accezione ampia ma anche nel senso stretto del termine – è dunque avvalorato dai dati. Si tratta di rivendicarla nuovamente, come «questione politica». (Emiliano Brancaccio, Il manifesto).
Il procuratore capo della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha chiesto alla camera preliminare del tribunale il mandato di arresto per il primoministro israeliano Benyamin Netanyahu e il ministro della difesa Yoav Gallant.
Ci sono ragionevoli elementi per sostenre che Netanyahu abbia commesso crimini di guerra e contro l’umanità”, ha detto Khan.
La richiesta del mandato di arresto per Netanyahu e Gallant formulata da procuratore Khan fa riferimento alla violazione degli articoli 7 e 8 dello Statuto di Roma e si sviluppa nei seguenti capi di accusa:
Affamare i civili come metodo di guerra e come crimine di guerra;
l’aver causato intenzionalmente grandi sofferenze, o gravi lesioni al corpo o alla salute;
trattamenti crudeli come crimine di guerra; uccisione intenzionale o omicidio come crimine di guerra;
attacchi intenzionalmente diretti contro una popolazione civile come crimine di guerra;
sterminio e/o omicidio, anche nel contesto di morti per fame, come crimine contro l’umanità;
persecuzione come crimine contro l’umanità, altri atti inumani come crimini contro l’umanità.
“Riteniamo che i crimini contro l’umanità imputati siano stati commessi nell’ambito di un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile palestinese in applicazione della politica dello Stato.
Questi crimini, secondo la nostra valutazione, continuano ancora oggi”. (fonte: repubblica.it).
La leggerezza è che il successore di Raisi sarà probabilmente scelto tra i conservatori dell’Iran, e quindi non si vede all’orizzonte un cambio di passo. La gravità di questa leggerezza è insita nell’augurarsi di seppellire politicamente un capo di Stato cui non sono stati ancora celebrate le esequie.
È un gestaccio diplomatico.
Confondere l’estemporaneità della propaganda con la cautela della diplomazia significa non essere all’altezza del ruolo istituzionale, vuol dire continuare a comportarsi come capo partito, non come capo di governo.
Ma veniamo alla clamorosa bugia circa la pace nella regione.
In quest’area, l’Italia nel 2023 ha venduto armi all’Arabia Saudita (363 milioni di euro), il Kuwait (125 milioni), il Qatar (62milioni), gli Emirati Arabi Uniti (57 milioni), il Marocco (39 milioni), l’Egitto (37 milioni) e l’Algeria (22 milioni).
Rimando nell’area del Mediterraneo, nell’ultimo trimestre del 2023 l’Italia ha esportato “Armi e munizioni” verso Israele per un valore pari a 2,1 milioni di euro. (fonte: Duccio Facchini, altraeconomia.it)
Per essere più chiari, abbiamo venduto a Israele elicotteri da combattimento e artiglieria navale, ma anche fucili, munizioni, bombe, siluri, razzi, e altre apparecchiature da guerra. (fonte: ilpost.it).
Di quale “quale pace nella regione” stiamo parlando?
La verità è che l’Italia è il paese che sta guadagnando di più dalle guerre in corso.
Ha aumentato più di ogni altro paese le sue esportazioni di armi: l’86% tra il 2019 e il 2023.
Questo boom ha fatto fare un balzo alla sua quota nell’export mondiale di pistole, proiettili e quant’altro.
Tra il 2014 e il 2018 valeva il 2,2 per cento, oggi esporta il 4,3. L’Italia è così diventata il sesto paese esportatore mondiale, dopo Stati Uniti, Francia, Russia, Cina e Germania.
Si tratta di un record superiore a quello francese. L’industria bellica italiana si è piazzata al secondo posto con +47 per cento, un aumento prodotto soprattutto dalla vendita dei suoi aerei da combattimento. (fonte: Roberto Ciccarelli, Il Manifesto).
Parlare di pace mentre si fanno affari con la guerra è un insulto all’intelligenza, oltreché un vero e proprio oltraggio al principio costituzionale secondo il quale “L’Italia ripudia la guerra”.