Riporto un brano dell’intervista per Repubblica di Concetto Vecchio ad Anna Foa, una intellettuale, storica italiana, autrice di importanti studi di storia culturale sugli ebrei in Italia e in Europa. Mi sembra molto utile che si alzino finalmente voci autorevoli di donne e uomini di cultura ebraica contro il massacro dei palestinesi di Gaza.
(…)
Cosa vuole esattamente Netanyahu?
«Non vuole che finisca la guerra, perché sarebbe anche la sua fine. Quindi continua a bombardare. Quelli attorno a lui vogliono la Grande Israele, con pochi palestinesi ridotti in uno stato di apartheid».
(…)
È favorevole a interrompere le relazioni commerciali con Israele?
«Ero contraria fino a quando l’altro giorno la Ue si è detta pronta a rivedere le relazioni. Oggi penso che sia un passo necessario. Mi addolora però, perché non vorrei che ciò portasse a un allentamento dei rapporti con chi si oppone a Netanhayu. Invece queste voci vanno sostenute. Penso all’intervista di David Grossman lo scorso 22 maggio Repubblica: è stata importantissima».
Il governo Meloni si è detto contrario a sanzioni commerciali. Pensa che sia troppo benevolo con Netanyahu?
«Decisamente sì».
Perché Meloni tace?
«Perché è schierata, con qualche oscillazione, con le posizione di Trump».
Che nome dare a quel che Israele sta facendo a Gaza? «Io la parola genocidio finora non l’ho usata, ma quello che vediamo penso che ci si avvicini molto. Stiamo andando nella direzione di una pulizia etnica».
La premessa è bene che sia chiara: ai referendum dell’8 e 9 giugno su lavoro e diritti si va a votare per cinque SI.
La materia in discussione attiene alle condizioni di precarietà e schiavitù in cui è stato trascinato il mondo del lavoro da anni di leggi e misure che l’hanno devastato, restituendo una realtà fatta di bassi salari, stragi sul lavoro, precarizzazione e massimizzazione dello sfruttamento.
Per anni governi, padroni e sindacati ne hanno negato gli effetti e legittimato le conseguenze, contribuendo così alla regressione sociale e civile del paese.
La partita dei referendum sta rivelando anche tutto questo e chi ne porta le responsabilità.
E’ decisamente indecente – ma emblematica – la fronda dentro il cosiddetto campo largo che sta ad esempio sabotando il referendum per l’abolizione del Jobs Act, ovvero l’ultimo dei provvedimenti dopo il Pacchetto Treu e la Legge Biagi, che hanno reso un inferno la condizione di milioni di lavoratrici e lavoratori.
Il fatto che sia stato approvato da un governo a guida Pd – quello di Renzi – non sarà mai un dettaglio.
Ma anche tra i sindacati complici c’è chi si dimostra più complice di altri come nel caso della Cisl, che non a caso non scioperò contro il Jobs Act nel 2014 né in anni più recenti. La Cisl da tempo sembra voler assumere la fisiologia del sindacato unico fascista e corporativo del tutto allineato ai governi di turno.
Ma non c’è da sorprendersi. Nel 2012, contro la infame Legge Fornero sulle pensioni, Cgil Cisl Uil fecero uno sciopero di “tre ore”. Un chiaro indicatore che il manovratore europeo – in quel caso Monti – non andava disturbato.
La stessa Cgil che ha promosso i referendum, in questi anni non ha certo brillato nel contrastare la regressione complessiva delle condizioni dei lavoratori.
La doppiezza tra la roboanza delle dichiarazioni e la capitolazione nei contratti, ha accompagnato e materializzato l’arretramento subìto nel tempo, soprattutto quando a Palazzo Chigi si sono alternati i governi “amici”.
I recenti ripensamenti sulla inaccettabilità di alcuni contratti sono benvenuti ma decisamente tardivi, soprattutto se rimarranno episodi e non un ripensamento strategico.
Si arriva dunque alle urne referendarie non con una stagione di lotte sindacali alle spalle – se non in alcune categorie come i trasporti e la logistica – ma come sostitutivo delle stesse.
La posta in gioco sulle conseguenze del Jobs Act in materia di licenziamenti e contratti a termine da tempo meritava una offensiva conflittuale assai più ampia e frontale.
Questi provvedimenti hanno inciso profondamente nella carne di lavoratrici e lavoratori, diffondendo una precarizzazione e una insicurezza crescente che nel mondo degli appalti è diventata un verminaio, spesso insanguinato da centinaia di morti sul lavoro.
Sappiamo tutti che la partita dei referendum dipenderà molto dal raggiungimento o meno del quorum. La destra, la Confindustria e il “fuoco amico” nel campo largo giocano molto sulla diserzione alle urne per invalidare la consultazione. Il lavoro sporco in tal senso viene facilitato dalla scarsa comunicazione sui referendum e dal crescente astensionismo.
Vincere i referendum dell’8 e 9 giugno sarà una partita in salita ma giocarla è un dovere per tutti.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Stava tornando a casa dal lavoro Shivantha Thamel, il 38enne srilankese morto giovedì 22 maggio in un incidente stradale a Messina.
Thamel, che lavorava in un bar nella frazione tirrenica di Orto Liuzzo, intorno alle 13 era diretto in scooter verso la sua abitazione ma nella galleria Baglio della tangenziale di Messina ha avuto un incidente nel quale sono state coinvolte tre autovetture ed è morto sul posto per le ferite riportate.
Per ricostruire dinamica e responsabilità la magistratura ha indagato i conducenti delle auto e disposto l’autopsia. Thamel lascia la moglie e due figlie.
Tornava a casa nel pieno dei festeggiamenti per lo scudetto del Napoli anche Massimo Chiaiese, 47 anni, moglie e una figlia, proprietario della paninoteca McFratm a Secondigliano.
Intorno alle 2 di sabato 24 maggio ha perso il controllo dello scooter in zona Camaldoli ed è caduto. Subito soccorso, è stato portato al Cardarelli, dove è morto dopo un’ora.
Omero Ferri, pensionato 85enne di Arcola (La Spezia), vedovo, è morto sabato 24 maggio mentre lavorava intorno a un pozzo poco profondo in un’area condominiale.
Un passante ha notato il corpo a terra e ha dato l’allarme ma i soccorritori hanno potuto solo constatare il decesso dell’uomo.
Non è chiaro quale lavorazione stesse facendo, né a che titolo, ma la quasi totalità delle fonti locali sottolineano come Ferri fornisse le sue prestazioni di factotum in forma gratuita.
Ibrahim Faltas,vicario della Custodia di Terra Santa
Alaa Al-Najjar è una donna, madre, moglie, medico pediatra. Aveva nove figli voluti e desiderati, condivideva con il marito, collega medico, la costruzione consapevole della loro famiglia e la comune passione per la missione di aiutare i bambini.
Ora è sola: la sua famiglia numerosa e piena d’amore è stata annientata da un bombardamento che ha distrutto la loro casa e il loro futuro. Mentre era di turno al Nasser Medical Complex, grande ospedale nel sud di Gaza, ha accolto i corpi quasi irriconoscibili di otto figli, morti a causa di un bombardamento, e suo marito gravemente ferito.
Il corpo di un altro figlio non è stato ancora recuperato, ancora sepolto dalle macerie.
La vita di Alaa alternava sacrifici e soddisfazioni, disponibilità e gratificazioni, sofferenze condivise, sollievo e felicità nel salvare le vite di bambini, vittime innocenti e senza colpa della violenza di adulti senza scrupoli.
Quante volte Alaa, madre e moglie, ha consolato madri e mogli che hanno vissuto la situazione che ora sta vivendo lei stessa? Quante volte avrà gioito con altre donne per una vita salvata, per una guarigione insperata, per un pericolo scongiurato?
Mentre curava i figli di altre madri, mentre vegliava sulla sofferenza di altre donne, mentre rassicurava altre persone, non poteva sapere che quel giorno i corpi dei suoi figli e suo marito stavano arrivando nell’ospedale in cui lavorava.
Ha accolto i corpi senza vita delle sue creature nell’affollato obitorio, non ha potuto curarli e offrire loro la sua professionalità nel reparto dove curava e aiutava altri figli insieme a loro padre.
La situazione dolorosa di Alaa sconvolge per la sofferenza così devastante di una madre che ha perso tutto e in un momento. Altre storie di morte e di sofferenza a Gaza sconvolgono.
Un padre mutilato negli arti superiori non ha potuto abbracciare e accarezzare sua figlia di cinque anni uccisa da un bombardamento e mutilata in uno precedente.
Una giovane madre abbattuta per non poter allattare suo figlio perché lei stessa denutrita è disperata per la morte di suo marito ucciso mentre era in cerca di latte e di cibo per la sua famiglia.
Sono storie di morte e di sofferenza per chi sopravvive, non consideriamole “solo” storie e numeri di un bilancio disumano ed eccessivo, voluto e programmato dalla violenza e dall’odio.
Come fermare la guerra? Chi può ancora farlo? Domande e sofferenze che non trovano risposte accettabili e plausibili.
Chi potrebbe impedire che il massacro continui implacabile da venti mesi, avendo negli occhi le immagini di corpi avvolti in bianchi sudari, ultimo vestito per la dignità umana, può ancora guardare negli occhi i propri figli?
Le macchie di sangue di quei sudari sono macchie incancellabili dalle coscienze già cieche e sorde di pochi esseri umani che non vedono e non sentono il dolore di Gaza e del resto del mondo. Preghiamo! Non abbiamo altra scelta e altra possibilità!
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Venerdì 23 maggio è stato raggiunto e superato il numero di 400 vittime del lavoro nel 2025.
Quattrocentouno (401) morti significano una vita perduta ogni otto ore e mezza, per l’esattezza 8 ore e 37 minuti. Vale a dire che l’Italia rimane inchiodata al numero di 3 lavoratori che ogni giorno – festivi compresi – escono da casa per non farvi più ritorno.
Rispetto al 2024 c’è un miglioramento più formale che sostanziale: l’anno passato (bisestile) i 400 morti furono toccati il 10 maggio e superati l’11, quindi 11 giorni prima rispetto all’anno in corso.
Il succo di questo turbinio di numeri è che i provvedimenti sbandierati dal governo con cronometrica puntualità sono carta straccia, fuffa, il nulla.
Victor Durbala aveva 25 anni e veniva dalla Moldavia. Aveva vissuto a Padova, poi si era sposato ed era andato a vivere a Verona.
Da pochi giorni aveva trovato lavoro alla GN Service di San Giovanni Lupatoto, che produce strutture in metallo. Venerdì 23 maggio era impegnato nello scarico di pesanti manufatti alla CMV di Roncone, frazione di Sella Giudicarie (Trento).
Manovrando una trave di metallo ha urtato alcune barre da 250 kg che lo hanno travolto, uccidendolo sul colpo.
Lavorava con il metallo anche Ciro Amalfitano, fabbro 62enne di Casoria (Napoli), dove era il titolare della Metalsud. Venerdì 23 maggio era a Napoli per un sopralluogo nel quartiere Poggioreale.
È salito sul tetto di un magazzino per studiare i lavori da fare ed è caduto da un’altezza di circa 5 metri, morendo prima dell’arrivo dei soccorsi.
Una caduta da un’altezza di 8 metri è costata la vita al 71enne di Roana (Vicenza), Paolo Rigoni, titolare con il fratello dell’immobiliare Alpiturist.
Venerdì 23 maggio stava facendo un sopralluogo nel cantiere per la costruzione di un edificio quando è caduto da un’altezza considerevole.
Sorprendentemente non sembrava aver riportato danni gravi ed era stato trasportato in codice giallo all’ospedale di Asolo (Vicenza), dove però si è improvvisamente aggravato ed è morto nonostante gli sforzi dei medici.
Il 41enne Christian Barbagli, residente a Cinigiano (Grosseto), operaio in un’azienda vitivinicola del Senese, venerdì 23 maggio era stato messo in libertà perché le vigne inzuppate dalla pioggia non consentivano lavorazioni.
Si era così dedicato ai campi di famiglia e per farlo aveva deciso di usare il trattore parcheggiato in un deposito in muratura. Non è chiaro ancora cosa sia accaduto, fatto sta che mentre manovrava il trattore l’edificio gli è crollato addosso, uccidendolo.
Alfredo Talli, agricoltore 85enne di Lastra a Signa (Firenze), è morto venerdì 23 maggio mentre con un trattore e una falciatrice a traino ripuliva i filari di una vigna a Montespertoli (Firenze).
L’ipotesi è che sia sceso dal trattore per rimediare a un blocco della falciatrice e che questa, una volta liberata gli si sia rovesciata addosso, provocandone la morte.
L’artista della fotografia che ci ha insegnato che la foto è l’inquadratura. Metafora del modo di capire il contesto politico, economico, sociale e ambientale della realtà. Un obiettivo, non solo fotografico.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Giuseppe Paluci, agricoltore 60enne di Ricadi (Vibo Valentia), è morto giovedì 22 maggio uscendo di strada con il trattore.
Il mezzo agricolo si è ribaltato in un fossato profondo 5 metri. Paluci non ha avuto scampo ed è morto sul posto.
A Gian Alberto Russi, operaio 66enne di Martinengo (Bergamo), mancavano pochi mesi alla pensione. È morto giovedì 22 maggio andando al lavoro con lo scooter.
Nella vicina Ghisalba, percorrendo la vecchia provinciale 99, si è scontrato con un furgone in un incidente ancora da ricostruire. Entrambi i mezzi sono usciti di strada, finendo nei campi vicini. Russi è morto prima ancora dell’arrivo dei soccorsi.
Marco Ceccarello, 53enne di Curtarolo (Padova), è morto mercoledì 21 maggio stroncato da un malore sul tetto di un edificio di Gazzo Padovano, altro comune dell’Alta Padovana.
Pensionato e invalido, stava aiutando l’amico di sempre Mirco Stefan, titolare della Teknofumi di San Giorgio delle Pertiche.
Nel racconto di quest’ultimo, l’uomo aveva insistito per aiutarlo nell’ispezione alle canne fumarie e aveva ottenuto il via libera a patto di rispettare tutte le norme di sicurezza. Poi il malore fulminante. Ceccarello, vedovo da 15 anni, lascia una figlia.
Era un incidente in itinere quello in cui il 13 maggio scorso ha perso la vita il 47enne Dario Antonini, residente ad Ardea (Roma) e titolare del Pit Stop, un locale di Tor San Lorenzo pensato per i motociclisti.
Biker appassionato, Antonini è morto nello scontro con un’automobile mentre tornava a casa.
“Davanti a tanta sofferenza il fatto che questa crisi sia iniziata da Hamas il 7 ottobre è irrilevante (…) non è legittimo che dopo tanto tempo un primo ministro sia guidato ancora dalla sete di vendetta. Che cosa stiamo facendo? Come usciamo da questa situazione? Vogliamo altri cento anni di guerra? Dopo decenni di occupazione, terrore, violenza: non ci basta? Cosa vogliamo lasciare ai nostri figli: ancora odio?
Sono le parole di David Grossman, riportate da Francesca Caferri per Repubblica. Che pubblica un’intervista allo scrittore israeliano, casualmente, nel giorno stesso in cui due diplomatici dell’Ambasciata dello Stato di Israele sono stati uccisi, davanti al Jewish Museum di Washington.
Forse l’esecutore materiale del duplice delitto è stato arrestato.
Quello che è certo è chi sia il mandante: si chiama Benjamin Netanyahu, quello che massacra palestinesi di ogni età, quello che oltre le case, gli ospedali, le scuole e i luoghi di culto a Gaza sta definitivamente riducendo in macerie la reputazione degli ebrei nel mondo.
Nella prefazione a “L’ultima terra”, di Ramzy Baroud, (Lebeg Edizioni 2023), Ilan Pappè scrive: “Antonio Gramsci sosteneva che la resistenza culturale può essere il presupposto della resistenza politica o l’insieme di strumenti impiegati quando la resistenza politica non si rende possibile”.
Ecco che alla luce degli attuali eventi in Palestina, un gran numero di registi ha reso disponibili online gratuitamente i propri film sulla Palestina.
Di seguito sono riportati i link ai film. Sentitevi liberi di guardarli e condividerli per diffondere il nostro messaggio al mondo:
• Una raccolta di film documentari di Al Jazeera Documentary: Italiano: https://bit.ly/3yp2nBI Italiano: https://bit.ly/2SSpMeC Italiano: https://bit.ly/3f0KK3P
• Il film documentario “Guardiano della Memoria”: Italiano: https://youtu.be/eywuYeflWzg
• Il film documentario “Empty Seat”: Italiano: https://youtu.be/an4hRFWOSQQ
• Il film documentario “Resistance Pilot”: Italiano: https://youtu.be/wqSmdZy-Xcg
• Il film documentario “Jenin”: Italiano: https://vimeo.com/499672067
• Il film documentario “L’Ulivo”: Italiano: https://vimeo.com/432062498
• Il film documentario “Scene dall’occupazione di Gaza 1973”: Italiano: https://youtu.be/1JlIwmnYnlE
• Il film documentario “Gaza combatte per la libertà”: Italiano: https://youtu.be/HnZSaKYmP2s
• Il film documentario “I figli di Arna”: Italiano: https://youtu.be/cQZiHgbBBcI
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Martedì 20 maggio Giuseppe Busia, dal 2020 presidente dell’Anac, l’Autorità Anticorruzione, ha presentato alla Camera dei Deputati la Relazione al Parlamento sull’attività dell’agenzia nel 2024.
Busia è tornato a puntare il dito contro il Codice dei contratti pubblici varato dal governo Meloni nel 2023, meglio noto come Codice degli appalti, e contro il cosiddetto Correttivo entrato in vigore quest’anno, sottolineandone le ricadute letali sulla sicurezza e la salute dei lavoratori.
“È inammissibile che si continuino a registrare ancora troppi incidenti e troppe morti sul lavoro – è stato il preambolo – Al Casellario delle imprese di Anac risultano 1.448 annotazioni per violazioni delle norme su salute e sicurezza solo nel 2024, con un incremento del 43% rispetto al 2023 e dell’87% rispetto al 2022.
In questo contesto, i rischi maggiori vengono dai subappalti, specie se realizzati “a cascata”. Il ricorso a tale istituto, quando non è giustificato da ragioni sostanziali, legate alla specificità delle prestazioni da realizzare, rivela spesso una previsione non corretta della stazione appaltante nel dimensionamento della gara o nella suddivisione in lotti.
Ne derivano ripercussioni negative sulla stessa stazione appaltante, che si ritrova con prestazioni di qualità inferiore; sui subappaltatori, in particolare PMI, che vedono erosi i propri margini di profitto, e soprattutto sui lavoratori, troppo spesso anello debole della catena”.
Busia contesta il boom degli affidamenti diretti e il crollo degli appalti di lavori, che nel 2024 si sono ridotti del 38,9%, per via “dell’eccesso di frazionamento artificioso degli appalti per rimanere al di sotto delle soglie di legge, dietro cui sovente si nascondono sprechi e infiltrazioni criminali e mafiose.
Troppi continuano ad essere gli affidamenti diretti, la cui incidenza numerica, sul totale delle acquisizioni di servizi e forniture del 2024, è risultata essere di circa il 98%.
Preoccupa, soprattutto, il crescente addensamento degli affidamenti non concorrenziali tra i 135.000 e i 140.000 euro, a ridosso della soglia: più che triplicato rispetto al 2021, quando il valore-limite era di 75.000 euro.
Specie in alcuni contesti, gli amministratori onesti si trovano più esposti a pressioni indebite, non potendo più opporre l’esigenza di dover almeno aprire un qualche confronto competitivo con altri operatori economici, al di sotto dei 140.000 euro”.
Quanto al correttivo al Codice dei contratti, il presidente di Anac rileva come “non è stato introdotto l’obbligo di dichiarare il titolare effettivo delle imprese, mentre appare evidente la necessità che il contraente pubblico conosca con chi si rapporta, al di là degli schermi societari.
Questo, non solo per ridurre il rischio di pericolose infiltrazioni, ma anche per prevenire offerte combinate o altre gravi alterazioni della concorrenza.
Nessun intervento è stato fatto sulle soglie per aumentare trasparenza e competitività, come pure per ripristinare verifiche preventive sugli affidamenti in house, utili ad evitare distorsioni del mercato e rallentamenti conseguenti a possibili contenziosi”.
Sul sito dell’Anac (anticorruzione.it) il rapporto completo.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Ai nomi già segnalati si aggiunge quello di Valentina Barbagallo, 56enne funzionaria dell’Università di Catania, dove era coordinatrice dell’Unità operativa relazioni internazionali.
È morta poco dopo le 7 del mattino, mentre in scooter raggiungeva il posto di lavoro: in viale Ulisse si è scontrata con un’utilitaria ed è spirata prima dell’arrivo dei soccorsi.
Domenica 18 maggio un lavoratore di 54 anni è morto nel polo logistico Eurospin di Bacanella, nel comune di Magione (Perugia). Si tratta di Stefano Lancetti, residente a Bastia Umbra e dipendente della Coop Servizi Associati di Perugia, che ha in gestione il magazzino.
Uno dei tanti lati oscuri del settore, in cui le aziende non hanno dipendenti diretti ma appaltano il lavoro a cooperative che nascono e muoiono come funghi e spesso sono oggetto di inchieste della magistratura.
Lancetti si è sentito male durante il suo turno ed è morto sul posto. Il suo corpo è rimasto nel magazzino fino a tarda sera, in attesa degli accertamenti, mentre i suoi colleghi continuavano a lavorare.
Antonio Meloni, 75enne di Terralba (Oristano), è morto martedì 20 maggio cadendo da un vecchio montacarichi esterno al caseificio Sepi di Marrubiu, sempre nell’Oristanese.
Meloni, fratello del leader indipendentista sardo Doddore morto nel 2017 dopo 66 giorni di sciopero della fame nel carcere di Uta, indipendentista anch’egli, mentre portava avanti dei lavori di ammodernamento è salito sul montacarichi, il cui uso era inibito da diversi cartelli, ed è caduto da un’altezza di circa 4 metri.
Il grave trauma cranico ne ha causato la morte sul posto.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/ Mortidilavoro
Anna Chiti, morta di lavoro a 17 anni.
Anna Chiti è morta a 17 anni al primo giorno di lavoro come marinaia su un catamarano che fa crociere per turisti nella laguna di Venezia.
Uno sbocco lavorativo naturale per lei, studentessa al quarto anno dell’Istituto Tecnico Nautico Sebastiano Venier, indirizzo “trasporti e logistica e conduzione del mezzo marino”: l’anno prossimo si sarebbe diplomata allievo ufficiale di coperta.
Il diploma non lo vedrà mai e la Capitaneria di Porto, che indaga sulla sua morte, vorrebbe sapere se la ragazza ha mai visto e firmato un contratto prima di imbarcarsi.
Anna Chiti era entusiasta di questa prima esperienza lavorativa in mare, una sorta di test al termine del quale le avrebbero comunicato la conferma o meno per la prossima stagione estiva.
Un sogno, per chi si era trasferita dalla natia Treviso a Venezia proprio per frequentare il Nautico, alloggiando nel convitto dell’istituto a Malcontenta.
Il fatto: sabato 17 maggio il catamarano intorno alle 18 è rientrato in darsena, nell’isola di Sant’Elena, dopo un’escursione con un gruppo di turisti per una festa in maschera.
L’imbarcazione era ferma ma non ormeggiata, il vento era sostenuto e c’erano onde anche in laguna. Forse per uno sbandamento, Anna Chiti è caduta in acqua con le gambe imprigionate da una cima che poi si è attorcigliata all’elica, ed è rimasta intrappolata sotto la superficie della laguna.
L’allarme è stato immediato, dopo 8 minuti sono intervenuti i sommozzatori dei vigili del fuoco, che hanno tagliato la cima e riportato la ragazza all’aria. I medici hanno scoperto una profonda ferita alla testa e hanno tentato di rianimarla, senza risultato.
Che tutto questo sia accaduto alla vigilia della Giornata mondiale per le donne nel settore marittimo rende l’accaduto ancora più terribile.
Umberto Chiti, il padre, accusa: «Per una barca di quelle dimensioni che porta in giro i turisti ci voleva più personale. Invece lei era da sola col marinaio e da quanto sapevo era stata presa perché parlava molto bene l’inglese, ma non era ancora pronta per tenere una barca o fare altro».
Non a caso la Capitaneria di Venezia vuole sapere quali mansioni le fossero state affidate.
I media non hanno riservato attenzione all’accaduto. Immaginiamo lo faranno con un paio di giorni di ritardo, gridando allo scandalo.
Ignorando che Anna Chiti è la sesta vittima del lavoro con meno di 20 anni in questo inizio 2025.
Andando a ritroso, il 17 marzo è morto a Nocera Inferiore il 17enne Yassine Bousenna, che lavorava in nero in una falegnameria sotto sequestro giudiziario;
il 31 marzo il 17enne Felice Laveglia è morto schiacciato da un trattore a Montopoli Valdarno;
il 17 marzo il 18enne Rosario Lucchese, in attesa di un figlio con la compagna, è morto con altri due braccianti in un incidente stradale a Carlentini;
il 25 febbraio la 19enne Daniela Gambardella è morta a Roma mentre tornava a casa dal lavoro di receptionist;
il 10 gennaio Patrizio Spasiano, 19 anni, è morto intrappolato in un serbatoio a Grigignano di Aversa, avvelenato dall’ammoniaca.
Lun 19 maggio 2025, alle 17.45, Riccardo Tavani introduce il film IL CARAVAGGIO PERDUTO e la presentazione-lectio del professore Giuseppe Di Giacomo sul suo recentissimo libro CARAVAGGIO L’ETERNITÀ DELL’ISTANTE (Edizioni Shibboleth).
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Un boscaiolo romeno di 41 anni, di cui per ora si ignorano le generalità, è morto venerdì 16 maggio nel bosco della Digola, a Sappada (Udine). Il lavoratore faceva parte di una squadra che con l’ausilio di una teleferica stava spostando i tronchi appena abbattuti. Uno di questi si è però incagliato e con una sorta di effetto fionda ha colpito l’operaio, che è morto nel giro di poco tempo. Lunghe e complicate le operazioni di recupero del corpo, stanti le difficoltà di accesso all’area boschiva, che hanno richiesto l’intervento del Soccorso Alpino e degli elicotteri della Guardia di Finanza.
Mario Serafinelli, 64enne carrozziere di Pomezia (Roma), è morto venerdì 16 maggio mentre controllava la copertura della sua officina. A causa di un cedimento l’artigiano è precipitato da un’altezza di circa 6 metri, riportando lesioni fatali che hanno reso inutili i soccorsi.
Giovanni Cucco, 78enne di Pecetto Torinese (Torino), è morto nel tardo pomeriggio di giovedì 15 maggio mentre con il trattore lavorava un suo terreno. L’agricoltore ha perso il controllo del mezzo, che si è schiantato contro un albero e si è ribaltato, schiacciando Cucco. Si tratta della terza vittima dei trattori in poco più di 24 ore.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Per la prima volta in Italia un tribunale ha riconosciuto il nesso tra la morte di un lavoratore e la sua esposizione ai Pfas (Per- e PolyFluorinated Alkylated Substances, in italiano sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate), una classe di sostanze chimiche che dal 1938 (invenzione del teflon), vengono usate nella produzione di una miriade di oggetti di uso quotidiano, dall’abbigliamento alla cosmetica, dagli imballaggi ai telefoni.
La sentenza del tribunale del lavoro di Vicenza condanna l’Inail a risarcire i famigliari di Pasqualino Zenere, operaio della Miteni di Trissino dal 1979 al 1992, morto per un tumore alla pelvi renale nel 2014.
Il giudice ha stabilito che la morte del lavoratore è dovuta alla lunga e continua esposizione a Pfoa (acido perfluoroottanoico) e Pfos (acido perfluoroottansulfonico), sostanze oggi vietate perché cancerogene e inquinanti.
In particolare la fallita Miteni (fondata nel 1965 come RiMar dal conte Giannino Marzotto, e poi passata attraverso le mani di multinazionali europee e giapponesi) è oggetto di un procedimento penale a Vicenza nel quale l’accusa ha chiesto condanne fino a 17 anni per 9 manager e dirigenti, accusati dell’avvelenamento delle acque potabili di mezzo Veneto attraverso incauti sversamenti e smaltimenti, inquinamento che secondo alcune stime in 30 anni avrebbe causato circa 4000 vittime.
I Pfas sono oggetto di una convenzione internazionale del 2009 che ne vieta e/o limita la produzione e l’uso, convenzione peraltro bellamente ignorata da paesi come gli Stati Uniti.
In Italia il 13 marzo il governo Meloni ha varato un decreto legge che riduce i livelli di Pfas consentiti nell’acqua potabile e ne introduce per l’acido trifluoroacetico, che finora non è sottoposto a limitazioni.
Il decreto è ancora all’esame del Parlamento, che evidentemente parametra la propria dimensione temporale su quella dei Pfas, definiti “forever chemicals” (sostanze eterne).
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Due vittime dei trattori, entrambe 74enni. Diventano così 5 questo mese i morti provocati da macchine agricole.
Armando Stefani, 74enne di Padova, giovedì 15 maggio era andato a sfalciare l’erba in un suo uliveto, posto nei Colli Euganei sul versante sud del monte Vendevolo, nel comune di Cinto Euganeo (Padova).
In un punto particolarmente scosceso il trattore si è ribaltato e Stefani è stato sbalzato ad alcuni metri di distanza. Un suo vicino ha lanciato l’allarme ma l’uomo è morto prima dell’arrivo dei soccorsi.
Novario Magnani, 74enne di Montefiore Conca (Rimini), è morto intorno alle 21 di mercoledì 14 maggio mentre con il trattore rientrava dal lavoro nei campi.
Per motivi da chiarire il mezzo è uscito di strada ribaltandosi in un fossato. Magnani è morto sul colpo. La magistratura di Rimini ha disposto l’autopsia.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Vito Nicola Eramo, bracciante 63enne di Gioia del Colle (Bari), è morto nella mattina di martedì 13 maggio mentre a bordo di un trattore con cisterna procedeva al trattamento fitosanitario di un vigneto nelle campagne tra Turi e Conversano, sempre nel Barese.
Causa della morte, il ribaltamento del mezzo agricolo, per motivi da stabilire. L’allarme è stato lanciato da un altro trattorista al lavoro in un campo vicino, ma per Eramo non c’era più nulla da fare.
Antonio Iavazzo, 50enne campano dipendente di una ditta che ha vinto l’appalto per l’ampliamento della scuola dell’infanzia comunale di Montemurlo (Prato), è morto intorno alle 7 di martedì 13 maggio, mentre entrava nel cantiere, stroncato probabilmente da un infarto.
I soccorsi sono stati rapidi ma il lavoratore è spirato poco dopo il ricovero all’ospedale fiorentino di Careggi.
Un facchino 54enne romeno, residente a Ostia, è stato trovato senza vita poco prima delle 6 del mattino in una strada lidense.
Il lavoratore, che stava raggiungendo il posto di lavoro, è stato probabilmente stroncato da un malore, talmente improvviso che tra le dita stringeva una sigaretta ancora accesa. Secondo alcune fonti l’uomo sarebbe stato un cardiopatico.
Da giovedì 8 maggio è iniziata la prima azione coordinata del movimento MTG: una pausa digitale quotidiana di 30 minuti, ogni sera dalle 21.00 alle 21.30 (ora locale di ogni paese).
Durante questo buco nessuna connessione sulle reti sociali, nessun messaggio e nessun commento. Telefoni e computer spenti. Questo gesto collettivo creerà un segnale digitale forte negli algoritmi e mostrerà la nostra solidarietà con Gaza di fronte al silenzio imposto.
Il concetto Ogni giorno, a un’ora precisa, milioni di utenti in tutto il mondo spengono completamente i loro social network per 30 minuti. Nessun post, nessun like, nessun commento, nessuna apertura di app. Silenzio digitale totale. Non è un’assenza, è un atto di resistenza: uno sciopero digitale planetario.
2. Perché è potente? 1. Impatto algoritmico I social network funzionano grazie all’engagement costante degli utenti. Un calo brusco e sincronizzato dell’attività, anche se breve, può:
1. Perturbare gli algoritmi di visibilità 2. Influenzare le statistiche del traffico in tempo reale 3. Inviare un segnale tecnico ai server su un’anomalia comportamentale
Questo attira l’attenzione degli analisti delle piattaforme, dei giornalisti tech e perfino degli investitori.
B. Impatto simbolico In un mondo iperconnesso, tacere digitalmente è un atto radicale. Crea un contrasto netto tra il frastuono dei social e il silenzio imposto a Gaza. È un lutto mondiale visibile, un momento di raccoglimento collettivo.
C. Impatto politico Se l’azione diventa massiccia, i leader vedranno che i cittadini possono spegnere il mondo per Gaza. Capiranno che esiste una forza civica organizzata, capace di perturbare l’economia dell’attenzione.