Da giovedì 8 maggio è iniziata la prima azione coordinata del movimento MTG: una pausa digitale quotidiana di 30 minuti, ogni sera dalle 21.00 alle 21.30 (ora locale di ogni paese).
Durante questo buco nessuna connessione sulle reti sociali, nessun messaggio e nessun commento. Telefoni e computer spenti. Questo gesto collettivo creerà un segnale digitale forte negli algoritmi e mostrerà la nostra solidarietà con Gaza di fronte al silenzio imposto.
Il concetto Ogni giorno, a un’ora precisa, milioni di utenti in tutto il mondo spengono completamente i loro social network per 30 minuti. Nessun post, nessun like, nessun commento, nessuna apertura di app. Silenzio digitale totale. Non è un’assenza, è un atto di resistenza: uno sciopero digitale planetario.
2. Perché è potente? 1. Impatto algoritmico I social network funzionano grazie all’engagement costante degli utenti. Un calo brusco e sincronizzato dell’attività, anche se breve, può:
1. Perturbare gli algoritmi di visibilità 2. Influenzare le statistiche del traffico in tempo reale 3. Inviare un segnale tecnico ai server su un’anomalia comportamentale
Questo attira l’attenzione degli analisti delle piattaforme, dei giornalisti tech e perfino degli investitori.
B. Impatto simbolico In un mondo iperconnesso, tacere digitalmente è un atto radicale. Crea un contrasto netto tra il frastuono dei social e il silenzio imposto a Gaza. È un lutto mondiale visibile, un momento di raccoglimento collettivo.
C. Impatto politico Se l’azione diventa massiccia, i leader vedranno che i cittadini possono spegnere il mondo per Gaza. Capiranno che esiste una forza civica organizzata, capace di perturbare l’economia dell’attenzione.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Un terzo delle vittime del lavoro di maggio, 9 su 27, non erano nate in Italia: 2 erano albanesi, 2 marocchine, le altre venivano da Bulgaria, Kosovo, Olanda, Senegal e Ucraina.
L’ultima dell’elenco è un 57enne albanese residente a Lugo (Ravenna), che nella vicina Sant’Agata sul Santerno, lunedì 12 maggio, lavorava insieme a un collega alla posa degli impianti di irrigazione da collegare alle idrovore.
Nel primo pomeriggio il muletto che usavano per spostarsi è rotolato giù per l’argine del fiume: uno dei due operai è riuscito a salvarsi, mentre il 57enne è rimasto schiacciato sotto il mezzo.
Stefano Di Lorenzo, un 55enne di Sanremo (Imperia), è morto intorno alle 7 di lunedì 12 maggio mentre con altri caricava un piccolo escavatore su un camion.
Secondo alcune testimonianze l’automezzo si sarebbe mosso improvvisamente – da stabilire se il freno fosse stato inserito o se abbia ceduto – e in retromarcia avrebbe travolto Di Lorenzo. L’uomo è morto sul colpo.
La strana diplomazia europea mette in scena un farsa: vanno in cinque a Kiev per parlare di tregua. Ma se la guerra è tra Ucraina e Federazione Russa, come si fa a parlare di tregua solo con uno dei due belligeranti? E poi, andare in delegazione da uno e non dall’altro, che trattativa è? Non contenti, chiamano Trump. Cioè minacciano, della serie: guarda che lo dico a mio fratello. E questa sarebbe l’autonomia politica e diplomatica della Ue? Ma quali volenterosi, questi sono perdigiorno. Stiamo perdendo tempo, perdendo la faccia, perdendo la guerra.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
l Bayesian, il superyacht di 56 metri affondato il 19 agosto 2024 300 metri al largo di Porticello, nel comune di Santa Flavia (Palermo), ha fatto un’altra vittima: si tratta di un sommozzatore olandese di 39 anni, Rob Cornelius Maria Hujiben, morto venerdì 9 maggio a 49 metri di profondità, durante le operazioni preliminari al recupero dello scafo disposto dalla magistratura di Termini Imerese per fare luce sui fatti che causarono la morte di 7 persone.
Hujiben, tecnico della Hebo di Rotterdam, impresa incaricata di un recupero il cui costo è stimato in oltre 130 milioni di euro, si era immerso con i colleghi per tagliare il boma del Bayesian e smontare il gigantesco albero di 72 metri.
Poi due pontoni con gru avrebbero riportato in superficie lo yacht. Fallito un tentativo con le chiavi inglesi, i sub hanno fatto ricorso ai cannelli da taglio subacquei. Sui monitor di controllo si è visto il boma, non appena staccato, fare da leva su alcuni pezzi in coperta, uno dei quali ha colpito Hujiben, che è morto sul colpo.
Carlo Rosi, agricoltore 81enne di Capannori (Lucca), è morto folgorato venerdì 9 maggio mentre lavorava in un suo terreno nella frazione di Segromigno in Monte. Non è ancora chiaro quale apparecchiatura abbia causato il decesso.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Tutti contenti alla fine dell’incontro tra governo e sindacati per affrontare il devastante (e impunito) fenomeno delle morti sul lavoro. Chiacchiere e promesse molte, grande cordialità tra le parti, fatti zero.
La presidente Meloni si è rivenduta per l’ennesima volta lo stanziamento di 1,2 miliardi da destinare a iniziative per aumentare la sicurezza dei lavoratori. Iniziative tutte da discutere con le parti, perciò lontane e avvolte nella nebbia.
L’unica certezza è che quei 1200 milioni non li metterà il governo: sono soldi presi all’Inail, quindi ai lavoratori, da girare alle aziende.
Peccato che questo balletto milionario vada in scena proprio mentre accadono fatti scandalosi, che vedono coinvolta proprio l’Inail.
Alessandro D’Andrea
È di oggi la notizia che alla famiglia di Alessandro D’Andrea (nella foto), una delle 7 vittime della strage di Suviana del 9 aprile 2024, l’Inail ha offerto un risarcimento complessivo di 11.000 (undicimila) euro, da dividere tra i genitori, le sorelle e la compagna del tecnico 37enne di Forcoli (Pisa), residente a Milano.
“Quasi offensiva”, l’ha definita Gabriele Bordoni, legale dei D’Andrea. Che a Bologna Today ha spiegato le motivazioni vere della proposta.
“La legge è del 1965 e meriterebbe di essere rivista perché i nuclei familiari sono modificati – ha detto l’avvocato – ma ancora oggi i genitori sono indennizzabili soltanto se erano mantenuti dalla persona deceduta. Sorelle e fratelli sono indennizzabili soltanto se conviventi con la persona deceduta, mentre la compagna convivente non ha diritto a nulla perché vale soltanto il rapporto formale di cognome, quindi di matrimonio”.
La famiglia D’Andrea promette ricorsi anche in Cassazione. Governo, Inail, Parlamento hanno qualcosa da dire?
Sejdi Jilali, 48enne operaio marocchino residente con la famiglia a Bellaria (Rimini), è morto nell’ospedale Bufalini di Cesena dopo 8 giorni di coma.
Vi era stato ricoverato il 28 aprile scorso dopo una lunga e complicata operazione di soccorso.
L’operaio si trovava sul tetto di un edificio in costruzione a Russi (Ravenna), dove era appena stata stesa una guaina che copriva anche i lucernari. Jilali, che non indossava protezioni né era assicurato a sistemi anticaduta, è precipitato attraverso uno dei lucernari finendo 3 metri più in basso.
Pompieri e 118, compreso l’elisoccorso, hanno lavorato a lungo per stabilizzare l’operaio, che aveva riportato un grave trauma cranico, e trasportarlo al Bufalini. Martedì 6 maggio il quadro clinico si è aggravato e l’operaio è morto.
La Procura di Ravenna indaga per omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme contro gli infortuni sul lavoro e ha iscritto una persona nel registro degli indagati.
Un autista bulgaro di 59 anni, dipendente di una ditta di Castel San Giorgio (Salerno), appaltatrice della Pac2000 di Fiano Romano (Roma), è morto giovedì 8 maggio durante le operazioni di scarico di merci destinate ai supermercati romani.
La piattaforma del tir ha ceduto improvvisamente sotto il peso di un pesante collo di scatolame, travolgendo il lavoratore e causandone la morte sul colpo
Aniello De Rosa, 55enne macellaio di Gragnano (Napoli), addetto al banco carni del supermercato Treesse di Piano di Sorrento, è morto nella notte tra mercoledì 7 e giovedì 8 maggio all’ospedale San Leonardo di Castellammare di Stabia (Napoli).
Mercoledì nel tardo pomeriggio si era schiantato con il suo maxiscooter contro un’automobile mentre rientrava a casa, dove lo attendevano moglie e tre figli. Ricoverato in rianimazione per le gravi ferite, è sopravvissuto poche ore.
Nerio Salvatorelli, 62enne di Montesilvano (Pescara), supervisore logistico in una ditta di autotrasporti di Pineto (Teramo), è morto mercoledì 7 maggio per un malore che lo ha colpito mentre era al lavoro.
Si è accasciato improvvisamente ed è spirato prima che arrivassero i soccorsi.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Nella foto, in alto da sinistra Paolo Casiraghi, Adriano Scandellari e Angelo Cotugno; in basso da sinistra Vincenzo Franchina, Vincenzo Garzillo e Alessandro D’Andrea. A destra Pavel Petronel Tanase.
Una strage quasi dimenticata, quella nella centrale Enel Greenpower di Bargi, sul lago di Suviana, dove il 9 aprile 2024 persero la vita 7 lavoratori. Ora il fascicolo della Procura di Bologna non è più contro ignoti, ma è a carico di 5 persone per i reati di disastro colposo, omicidio colposo plurimo sul lavoro e lesioni colpose. I nomi e i ruoli non sono ancora noti.
Quel giorno era in corso il collaudo di un generatore al nono piano sotto il livello del lago, a 60 metri di profondità.
Un alternatore pesante 150 tonnellate, ruotando a 370 giri al minuto su cuscinetti a olio iniziò improvvisamente a vibrare, uscendo fuori asse e generando le scintille che provocarono l’esplosione in cui 7 tecnici morirono e altri 6 rimasero ustionati.
Le vittime furono Paolo Casiraghi, 59 anni, di Milano; Alessandro D’Andrea, 37 anni, di Forcoli (Pisa); Vincenzo Franchina, 35 anni, di Messina; Vincenzo Garzillo, 68 anni, di Napoli; Mario Pisani, 64 anni, di Taranto; Adriano Scandellari, 57 anni, di Ponte San Nicolò (Padova); Pavel Petronel Tanase, 45 anni, romeno, di Settimo Torinese (Torino).
La centrale oggi è praticabile fino al piano -5. Dal -6 è ancora invasa dall’acqua. Le iscrizioni nel registro degli indagati servono a dare alle 5 persone sotto inchiesta la possibilità di avere propri consulenti agli accertamenti irripetibili disposti dagli inquirenti per verificare la ricostruzione dei fatti.
I vigili del fuoco dovranno svuotare i piani ancora allagati, ma prima dovranno recuperare i dispositivi che i consulenti della procura riterranno necessari agli accertamenti.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Significa una vittima ogni 62 ore o, in altri termini, che nella regione si è verificato quasi il 15% delle 354 morti di lavoratori nel 2025 (1 ogni 7).
Roberto Vitale, 60enne autista della BS Trasporti di Brescia, è morto poco prima delle 23 di lunedì 5 maggio nella sede DHL di Carpiano (Milano). Vitale aveva appena scaricato e stava attraversando il piazzale quando è stato investito da una motrice ed è morto sul colpo. La Uil accusa, sostenendo che l’uomo fosse un pensionato costretto a lavorare per integrare una pensione insufficiente, ma BS Trasporti smentisce: «il signor Vitale era assunto con contratto a tempo pieno in data 15 aprile 2018, inquadrato come autista, in conformità con quanto previsto dal Ccnl Logistica, trasporto merci e spedizione vigente».
Endrit Ademi, 24enne operaio kosovaro residente a Rovato (Brescia), dipendente di Morina srls, è morto martedì 6 maggio in un cantiere in zona Lambrate, a Milano. Ademi stava tinteggiando le mura al terzo piano di uno stabile, utilizzando un trabattello con protezione posteriore, quando ha perso l’equilibrio ed è caduto all’indietro, abbattendo la protezione e precipitando da un’altezza di 12 metri. È morto sul colpo.
Un operaio marocchino di 30 anni, di cui ancora non conosciamo le generalità, è morto intorno alle 17 di martedì 6 maggio in un cantiere a Valle Castellana (Teramo). Mentre stava scaricando le ringhiere da installare in un edificio a due piani nella frazione di San Vito, il lavoratore è stato travolto dalle inferriate, che ne hanno causato la morte.
Secondo una favola abbastanza diffusa, nei paesi occidentali, dopo l’età dei Lumi e delle “rivoluzioni atlantiche”, si sarebbe definitivamente affermata l’uguaglianza giuridica.
La Rivoluzione francese e l’abolizione dei privilegi della nobiltà, la notte del 4 agosto 1789, vi figurerebbero come atto costitutivo. La realtà è evidentemente più complessa.
Fino agli anni Sessanta del Novecento le repubbliche di Stati Uniti e Francia furono, in fatto di diritti, repubbliche schiaviste, coloniali e discriminatorie. E questo vale anche per le monarchie britannica e olandese.
Un po’ ovunque, le donne sposate dovettero aspettare gli anni sessanta-settanta per emanciparsi dalla tutela giuridica dei mariti e ottenere la formale parità giuridica tra i sessi.
In realtà, l’uguaglianza dei diritti proclamata alla fine del XVIII secolo è, prima di tutto, un’uguaglianza tra gli uomini bianchi, in particolare tra gli uomini bianchi proprietari”. (Thomas Piketty, “Una breve storia dell’uguaglianza”, La Nave di Teseo.)
La democrazia europea, vessillo dell’Occidente, tocca il fondo. La RFT, un tempo locomotiva della Ue, è deragliata nel ridicolo. La grosse koalition si trasforma in una grossa delusione: il programma bellicista in politica estera, vassallo degli Usa nelle politiche economiche e sociali, non convince neanche gli stessi eletti al Bundestag che avrebbero dovuto sostenere il nuovo Cancelliere. Alla fine, ci sono volute due elezioni per nominarlo capo del governo.
In Germania si è verificata una situazione all’italiana, che ricorda gli agguati parlamentari a Prodi. In mano a gente come Merz, von der Leyen, Weber il mito europeista è finito nel ridicolo.
Con la complicità, ottusa e opportunista, dei socialdemocratici tedeschi ed europei, compreso il nostrano Pd, quello che tempo fa è sceso in piazza con le bandiere Ue, suggestionato dall’effetto Serra. Prove tecniche della bella figura di Merz.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
L’Inail ha diffuso i dati relativi al primo trimestre 2025: all’istituto sono state denunciate 205 morti sul lavoro, mentre noi ne abbiamo contate 56 in più, per un totale al 31 marzo di 261 vittime. Ci torneremo su.
Intanto aggiungiamo altri quattro nomi alla lista delle vite spezzate, che portano il totale dell’anno a 351.
Raffaele Galano, 58enne di Vicenza, moglie e 2 figli, è morto poco dopo le 7 del mattino di lunedì 5 maggio alla Aristoncavi di Brendola (Vicenza).
Capoturno con esperienza ultratrentennale in azienda, stava intervenendo con una scala su un macchinario ed è caduto, finendo risucchiato per un braccio.
I compagni di lavoro sono subito intervenuti per liberarlo ma le ferite riportate ne hanno provocato la morte prima dell’arrivo dei soccorsi.
Stefano Alborino, residente a Orta di Atella (Caserta) con la moglie e i due figli, domenica 4 maggio aveva festeggiato il suo 47° compleanno.
Lunedì 5 maggio è morto in un cantiere di Frattamaggiore (Napoli), precipitando da un’impalcatura mentre era impegnato nel rifacimento della facciata di uno stabile. I soccorritori hanno tentato il trasporto in ospedale, ma il lavoratore è morto lungo il tragitto.
Le indagini si concentrano sulla posizione lavorativa di Alborino, che secondo alcune fonti non sarebbe stato in regola.
Vincenzo Solimando, 47enne di San Nicandro Garganico (Foggia), tecnico per una ditta di Nettuno (Roma), è morto lunedì 5 maggio a Paliano (Frosinone), durante un intervento di manutenzione su un impianto fotovoltaico.
A uccidere il lavoratore una scarica elettrica. Aperta un’indagine sulla dinamica del fatto.
Massimiliano Falco, 49enne gestore di un distributore a Pino Torinese (Torino), è morto sabato 3 maggio colpito da un malore nell’impianto.
Trasportato d’urgenza in ospedale, Falco è spirato poco dopo il ricovero.
Da due mesi a Gaza non entra nulla, niente cibo, medicine, nessun bene necessario alla sopravvivenza di una popolazione bombardata, sfollata, ferita e già ridotta allo stremo. Di fronte alla paralisi, ignobile, dei nostri rappresentanti statali e degli organismi internazionali, un piccolo gruppo di attivisti si è organizzato attorno alla Freedom Flotilla, un’iniziativa della società civile per portare assistenza alla popolazione intrappolata. Le notizie riportano che la barca che avrebbe dovuto trasportare circa 30 persone e gli aiuti è stata attaccata di notte da un drone in acque internazionali al largo di Malta.
Il pensiero va indietro nel tempo, a 15 anni fa: la Mavi Marmara – la più grande tra le barche con a bordo centinaia di attivisti da tutto il mondo che tentavano di rompere il blocco di Gaza – fu presa d’assalto nella notte del 31 maggio 2010 da forze speciali israeliane. Il bilancio fu di nove civili uccisi e quasi trenta feriti. Nonostante le commissioni di inchiesta e le insistenti richieste, anche alla Corte penale internazionale (Cpi), di processare i responsabili di questo apparente crimine di guerra, non c’è stata mai alcuna forma di giustizia, né a livello interno né internazionale.
Il blocco di Gaza non ha due mesi di vita: con intensità diverse, da decenni Israele impone questa forma di punizione collettiva alla popolazione di quel piccolo lembo di terra. La politica di chiusura, o blocco, o assedio, di Gaza è praticata dagli anni Novanta: è da allora che il Palestinian Center for Human Rights di Gaza (Pchr) ha iniziato a documentare le restrizioni alla circolazione di persone e di beni a Gaza, ben prima dell’avvento di Hamas al potere. La situazione è drammaticamente peggiorata dal 2007, dopo la presa del potere di Hamas nella Striscia: Israele dichiarò l’intera Gaza «un’entità nemica» e alzò il livello di una politica illegale già in atto, centellinando tutto ciò che entrava a Gaza, perfino le calorie consumabili dalla popolazione – calcolate su quel minimo necessario per passare il vaglio dei giudici.
È in quegli anni che organizzazioni per i diritti umani, tra cui alcune israeliane, come Gisha, insieme a quelle palestinesi, iniziarono a denunciare insistentemente il blocco come illegale e a presentare petizioni ai tribunali israeliani per contrastare i divieti di ingresso a Gaza di merci fondamentali – cibo e medicinali ma anche il carburante per l’elettricità, necessaria al funzionamento di tutte le infrastrutture civili, tra cui gli ospedali. Come accade oggi, anche 15 anni fa le corti israeliane diedero di fatto mano libera al governo sulla base di presunte esigenze di sicurezza.
Ciò che sta avvenendo oggi è il compimento di quella politica, è l’atto finale di decisioni che vengono da lontano. Ciò che sconvolge ulteriormente è che ciò avviene mentre alla Corte internazionale di giustizia (Cig) si continua a discutere degli obblighi di Israele rispetto alla popolazione civile palestinese, che è popolazione protetta (compresa quella di Gaza) in base al diritto internazionale umanitario, tra cui la IV Convenzione di Ginevra.
Proprio questa settimana, mentre l’Unrwa e le altre organizzazioni umanitarie continuano a suonare allarmi sempre più disperati sulla catastrofe umanitaria in corso a Gaza – mostrandoci foto strazianti, specie di bambini, che muoiono di fame davanti ai nostri occhi – si susseguono le udienze all’Aia, dove i delegati di oltre 40 Stati hanno preso una chiara posizione contro le politiche di Israele di questi mesi e la decisione di impedire alle agenzie delle Nazioni unite che prestano assistenza ai palestinesi di svolgere la propria missione.
Assistiamo impotenti, come se l’Onu non potesse fare nulla di fronte alla più grande violazione di tutti i principi posti alla base della sua Carta, lasciando nelle mani di trenta attivisti su una barca il tentativo (già fallito) di rompere l’assedio di Gaza. Come può essere che la più importante organizzazione internazionale, l’Onu, non possieda alcun meccanismo giuridico attivabile di fronte a uno Stato che sta affamando la popolazione civile come arma di guerra, come riconosciuto nei mandati di arresto della Cpi, e i cui atti sono in discussione quali atti di genocidio davanti alla Cig?
Il diritto internazionale non si «auto-esegue»: le Corti prendono decisioni, ma spetta agli Stati renderle esecutive. È vero tanto nel caso dell’obbligo di prevenire un genocidio (gli ordini emessi nel 2024 dalla Cig verso Israele sono rimasti lettera morta), quanto del parere consultivo del 19 luglio 2024 sull’illegalità dell’occupazione di tutto il territorio palestinese (Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est e Gaza), che la Corte ha dichiarato debba cessare «il più rapidamente possibile».
Il governo di Israele, lo ha dimostrato, non si fermerà – nemmeno di fronte a una eventuale sentenza della Cig. Netanyahu è oggetto di un mandato di arresto per gravissimi crimini di guerra e contro l’umanità spiccato dalla Cpi. Eppure, nessuno Stato sta prendendo misure concrete per costringerlo a rispettare i principi dello stato di diritto, il divieto di commettere un genocidio o almeno quelle regole basiche del diritto internazionale umanitario, in cui gli Stati fanno ancora finta di credere nei loro argomenti davanti alla massima autorità giudiziaria dell’Onu.
Le proiezioni sono programmate venerdì 9, sabato 10 e domenica 11 maggio alle 21:00, al Teatro Delia Scala, in via delle Ferriere 16, Bracciano (Città Metropolitana di Roma). L’ingresso è libero. La rassegna è a cura dell’Assessorato alla Cultura.
Il 9 maggio è la Giornata dell’Europa: ma è anche l’ultimo giorno di Gaza. Perché il tempo sta finendo, per questa terra nostra. Questa terra del Mediterraneo, il mare che ci unisce.
Per questo, in quella giornata in cui ci chiediamo chi siamo, vi chiediamo di parlare di Gaza, di farlo ovunque vorrete. E di farlo, tutte e tutti, sulla rete: su siti, canali video, social. E sempre con l’hashtag #GazaLastDay, #UltimogiornodiGaza.
Senza il mondo Gaza muore. Ed è altrettanto vero che senza Gaza siamo noi a morire. Noi, italiani, europei, umani.
Per rompere il silenzio colpevole useremo la rete, che è il solo mezzo attraverso cui possiamo vedere Gaza, ascoltare Gaza, piangere Gaza. Perché possano partecipare tutte e tutti, anche solo per pochi minuti. Anche chi è prigioniero della sua casa, e della sua condizione: come i palestinesi, i palestinesi di Gaza lo sono. Perché almeno stavolta nessuna autorità e nessun commentatore allineato possa inventarsi violenze che occultino la violenza: quella fatta a Gaza.
Sulla rete, e non solo. Per chi vuole mettere in rete ciò che succede nelle piazze e nelle comunità che si interrogano, assieme, su come fermare la strage.
Con la consapevolezza che noi siamo loro. E che a noi – italiani ed europei – verrà chiesto conto della loro morte. Perché a compiere la strage è un nostro alleato, Israele. Per ripudiare l’Europa delle guerre antiche e contemporanee, per proteggere l’Europa di pace nata da un conflitto mondiale, esiste un solo modo: proteggere le regole, il diritto, e la giustizia internazionale. E soprattutto guardarci negli occhi, e guardarci come la sola cosa che siamo. Umani.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Paolo Straulino, 50enne di Sutrio (Udine), dove viveva con il fratello gemello, è morto sabato 3 maggio poco dopo essere entrato in servizio per il turno di notte alla cartiera Reno de Medici di Ovaro (Udine).
Erano circa le 22,30 quando Straulino è sceso dal muletto che guidava per spostare una rotoballa di carta da macero e proprio in quel momento è stato investito e ucciso da un’altra macchina operatrice.
Il conducente di quest’ultima, sotto shock, si è allontanato dalla fabbrica ed è stato ritrovato solo dopo un’ora di ricerche. La cartiera ha fermato la lavorazione in segno di lutto.
Bonfiglio Scagnelli, 70enne di Rivergaro (Piacenza), è annegato sabato 3 maggio in un laghetto artificiale dopo essere caduto in acqua con un trattorino tagliaerba, sul quale stava ripulendo le sponde del bacino.
I sommozzatori dei vigli del fuoco hanno recuperato il corpo a una profondità di circa 3 metri.
Francesco Masi, 76enne di Castelgrande (Potenza), è morto nella mattina di sabato 3 maggio dopo essere rimasto impigliato nelle lame della motozappa che stava utilizzando per lavorare un suo terreno.
L’allarme è stato dato dai famigliari, che non lo vedevano rientrare a casa.
Sebastiano Di Mango, 49enne di Castelnuovo del Garda, è morto intorno alle 2,30 di domenica 4 maggio in un incidente di moto mentre tornava a casa dal lavoro.
Di Mango era quasi giunto a destinazione quando ha perso il controllo della moto ed è caduto, riportando ferite letali.
Martedì 6 maggio, 17.15, ultimo appuntamento della stagione al Cinema Farnese con LA GRANDE ARTE AL CINEMA e con il Professore Giuseppe Di Giacomo su ANDY WARHOL, AMERICAN DREAM.
La lectio è a fine film alle 18.45. Seconda proiezione alle ore 20.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Delle 6 vittime che si aggiungono ai morti di lavoro del 2025, 4 erano immigrati: provenivano da Costa d’Avorio, Pakistan, Senegal e Ucraina.
Umer Maqbool aveva 21 anni e viveva a Reggio Emilia, dove era arrivato un paio d’anni fa dal Pakistan.
Quando è morto, martedì 29 aprile, stava per iniziare il suo primo giorno di lavoro con un contratto regolare, offertogli da connazionali che gestivano un’officina, dopo un’infinità di lavoretti saltuari e precari.
Sabato 26 aprile aveva firmato il contratto, martedì 29 alle 7 ha preso il suo monopattino e si è avviato verso un futuro che immaginava luminoso. Talmente luminoso da non voler più alcuna distrazione: si era cancellato da tutti i social, per concentrarsi su una patente da prendere, sulle sorelle da far arrivare dal Pakistan e su altri grandi progetti.
Quel futuro non è mai iniziato: Umer Maqbool si è schiantato contro un autobus di linea che svoltava a sinistra ed è morto sul colpo.
Shiella Claudia Kouassi Ouphuet veniva dalla Costa d’Avorio, aveva 27 anni, una figlia e un compagno e viveva a Imperia.
Per andare e tornare dal lavoro ad Andora (Savona), usava il trasporto pubblico. Mercoledì 30 aprile temeva di perdere il bus e arrivare tardi in cooperativa, perciò ha rincorso il mezzo di Riviera Trasporti appena partito dal capolinea, l’ha raggiunto ma poi è stata urtata dal bus ed è caduta sotto le ruote posteriori.
È morta sul colpo, sotto gli occhi del compagno.
Lamine Barro aveva 28 anni e veniva dal Senegal, dove aveva lasciato la moglie e il figlio.
Regolare, viveva a Mesagne (Brindisi), con altri connazionali, sommando il lavoro nei campi a quello in un ristorante nel centro della cittadina pugliese.
Giovedì 1° maggio intorno alle 23,30 stava tornando a casa in bicicletta quando è stato investito e ucciso da un pirata della strada. Era impossibile non vederlo: la strada era illuminata, la bici a norma e Barro indossava anche il giubbotto catarifrangente.
È rimasto lì, agonizzante, per diverso tempo. Quando un automobilista si è fermato era troppo tardi. Il pirata si è costituito venerdì 2 maggio: è stato denunciato a piede libero.
Non conosciamo ancora il nome del 46enne operaio ucraino morto venerdì 2 maggio in un cantiere di San Lorenzo, a Roma.
L’uomo si è sentito male intorno alle 15 ed è stato accompagnato in strada, a via dei Sabelli dai compagni di lavoro, ma la situazione è precipitata prima dell’arrivo dei soccorsi.
Ancora non diffuse le generalità dell’operaio agricolo morto venerdì 2 maggio intorno alle 12,30 mentre era al lavoro nelle campagne di Apricena (Foggia), stroncato da un malore.
Per Apricena si tratta della seconda vittima del lavoro in 10 giorni.
Pierpaolo Nerone, 54enne di Silvi Marina (Teramo), gestore dello stabilimento balneare Copacabana, sposato, 4 figli, è morto giovedì 1° maggio colpito da un malore intorno alle 12, mentre era al lavoro.
di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro
Il Primo Maggio è passato, portandosi via un mare di chiacchiere sulla sicurezza dei lavoratori, molte lacrime di coccodrillo e i soliti ipocriti annunci a base di “faremo”, “stanzieremo”, “controlleremo”.
Nel frattempo si aggiungono sei nuove vittime all’elenco dei morti del 2025. Due ricadono nel mese di aprile, per via della lentezza con la quale circolano le notizie dai posti di lavoro.
“Le notizie che riguardano la morte di lavoratori sono sempre meno importanti e posizionate sempre più ‘in basso’, sui media: i lanci di agenzia non hanno più le crocette, i giornali non fanno aperture a meno che a morire non siano più lavoratori insieme o nello stesso giorno, le tv non mandano più troupe (anche perché ne hanno sempre di meno) – viene sottolineato in una nota -. Insomma, come informazione ci stiamo assuefacendo al terribile e inaccettabile fenomeno delle morti sul lavoro? Arriveremo a metterle in una ‘breve’ di cronaca?“.
“Purtroppo in Italia il lavoro non fa più notizia – sottolinea Alessandra Costante, segretaria della Fnsi -. Si confonde il lavoro a qualunque costo con la buona occupazione. La necessità di portare il pane a casa con l’esigenza della sicurezza quando si lavora. Ottimo l’appello del Gruppo Cronisti della Lombardia al quale Fnsi si aggiunge. Parliamo di lavoro, parliamone di più, rendiamolo giusto“.
“La piaga delle morti sul lavoro va affrontata indubbiamente sul piano legislativo, ispettivo, salariale, contrattuale e anche culturale, ma anche noi giornalisti possiamo e dobbiamo fare la nostra parte. Teniamo alte le notizie di morti sul lavoro. Pretendiamo che non vengano relegate in secondo piano. È una battaglia di civiltà in cui l’informazione può fare la differenza“, afferma Fabrizio Cassinelli presidente del Gruppo Cronisti lombardi.
All’appello aderiscono, fra gli altri, Articolo 21, Ossigeno per l’informazione, Sindacato cronisti romani, Gruppo cronisti liguri, Professione Reporter e Giornalisti italiani su facebook .